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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ UMANISTICA ENTRA IN SCENA IL CONCETTO DI “SFUMATURA” ...

Lezione N.: 
27

Prof. Giuseppe Nibbi       La sapienza poetica e filosofica dell’età umanistica       11-12-13  maggio  2016

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ UMANISTICA

ENTRA IN SCENA IL CONCETTO DI “SFUMATURA”  ...

     Questo è il ventisettesimo itinerario [il quartultimo] del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età umanistica”. Siamo sempre in compagnia di Francesco Petrarca che viene universalmente considerato il più importante “umanista” della Storia della cultura internazionale anche solo per il fatto di aver introdotto sul piano poetico, filologico e filosofico il concetto di “sfumatura”. Che cosa significa? Procediamo con ordine attraverso la biografia di Francesco Petrarca.

     Abbiamo lasciato la scorsa settimana Francesco Petrarca in Provenza dove era emigrato, da bambino, dalla Toscana a causa delle peripezie politico-giudiziarie di suo padre, il notaio ser Petracco, che, come Dante, deve fuggire da Firenze stabilendosi ad Arezzo, dove il 20 luglio 1304 sua moglie, Eletta Canigiani, dà alla luce Francesco. Ser Petracco è fuggito da Firenze a causa di una ingiusta condanna e, difatti, qualche anno dopo viene assolto ma lui non torna in patria bensì si stabilisce a Pisa, città piena di fuoriusciti fiorentini, compreso Dante; ma lì non è facile trovare lavoro e, di conseguenza, nel 1312, decide di emigrare con la famiglia ad Avignone dove c’è la corte papale. Ad Avignone, sede del papato, si è sviluppato un grande commercio e ser Petracco [che è un tipi intraprendente] s’inserisce in questo ambiente e fa buoni affari [diventa consulente legale di molti mercanti e gode della protezione del cardinale Niccolò da Prato]. Siccome Avignone è città troppo affollata, prende la residenza nella più tranquilla cittadina di Carpentras e a Carpentras Francesco, come sappiamo, studia e si forma alla Scuola di un valido maestro che abbiamo incontrato la scorsa settimana, Convenevole da Prato [che instilla in Francesco l’amore per le Opere dei Classici], e successivamente, perché possa completare la sua preparazione intellettuale, ser Petracco [ormai diventato benestante] - che vuole fare di Francesco un notaio, secondo la tradizione di famiglia - lo manda a studiare presso le facoltà di giurisprudenza delle più note Università europee.

     Ser Petracco nel 1316 manda Francesco [che ha appena dodici anni ma è già in possesso di una solida cultura di base] all’Università di Montpellier perché studi giurisprudenza, una disciplina per la quale Francesco non nutre particolare simpatia: lui ha una predilezione per la Letteratura, che ha affinato alla Scuola di Convenevole a Carpentras, in particolare ama i poeti latini [Ovidio, Orazio, Catullo, Virgilio] e le Opere filosofiche di Cicerone, ma suo padre pensa [e gli ripete sempre] che «Carmina non dant panem » [la poesia non assicura il pane]. Francesco, ubbidiente, si trasferisce a Montpellier e studia con diligenza la giurisprudenza [e questa competenza gli tornerà utile a suo tempo]. Dopo quattro anni di corso a Montpellier Francesco si trasferisce per continuare gli studi, insieme al fratello Gherardo [più giovane di lui ma ormai in età scolare], nella rinomata Università di Bologna, una città che offre le condizioni ideali per uno studio proficuo delle materie giuridiche [ci sono i più noti maestri del momento] e Francesco comincia anche ad essere affascinato dallo studio teorico del Diritto [studia con passione i Trattati giuridici di Cicerone il quale condanna le meschinità e gli interessi non sempre moralmente accettabili dell’attività legale].  Poi Bologna [Bononia pinguis, la grassa] offre agli studenti grandi motivi d’interesse per la vita di relazione [il mangiar bene, il ballare, il fare gite interessanti nelle città vicine e lontane] e Francesco si fa molti amici e amiche - tutti appassionati di poesia - con i quali frequenta anche i corsi di Letteratura, e tra questi conosce e fraternizza con Giacomo Colonna, membro della nobile famiglia romana [che vive anche lui ad Avignone perché suo fratello Giovanni è cardinale], e questa conoscenza diventa importante per Francesco: infatti, quando terminano gli studi e tornano ad Avignone, mentre Giacomo Colonna è già destinato a diventare [e lo sarà nel 1328 a ventisette anni] vescovo di Lombez in Guascogna, Francesco [che non vuole fare né il notaio né l’avvocato ma preferisce fare il diplomatico] viene assunto come segretario del potente fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni Colonna, che fa prendere a Francesco gli “ordini minori”; lui - sebbene sia uomo di fede ma, tuttavia, non abbia nessuna propensione [come sappiamo] per la carriera ecclesiastica - accetta perché questa nomina, che gli procura un beneficio [una, seppur modesta ma non disprezzabile, rendita da canonico], gli dà la possibilità di mantenersi, gli assicura l’autonomia e lo rende titolato a svolgere attività diplomatiche per conto della Chiesa. Intanto, in veste di segretario del cardinale Giovanni Colonna, Francesco Petrarca lo accompagna nei suoi viaggi e così può anche trattenersi per qualche tempo a Roma, dove il cardinale si reca periodicamente per curare gli interessi di famiglia.

     Petrarca nota con amarezza che Roma - Roma senza papa - è ridotta ad un ammasso di rovine e di sporcizia: l’unica cosa consolante - perché, per lo meno, dà a questo luogo un aspetto bucolico, scrive Petrarca ironicamente nella sua autobiografia - è che all’interno delle mura pascola il bestiame. A Roma Francesco fa un incontro significativo: conosce Stefano Colonna il Vecchio, padre del suo amico Giacomo e del cardinale Giovanni. Con il Vecchio Stefano Colonna Francesco Petrarca ha un lungo e memorabile colloquio, un avvenimento che racconta nella sua autobiografia: durante una passeggiata lungo la via Lata [l’attuale via del Corso] il Vecchio Colonna fa sostare Francesco vicino ad una tomba di marmo di età imperiale e lì gli tiene una vera e propria Lezione di Letteratura dicendogli che la vera ricchezza di Roma, quella che durerà in eterno, è contenuta nei testi dei poeti e degli scrittori latini che hanno sempre esaltato come bene prezioso l’amore per la pace e, quindi, lo esorta a dedicare la sua vita [lui che è un ragazzo così intelligente e così ben preparato] a studiare le Opere dei Classici [soprattutto Cicerone e Virgilio] e poi, racconta Petrarca con un velo di tristezza, il Vecchio Stefano Colonna, come un antico profeta, predice che i suoi figli - inevitabilmente coinvolti nella lotta per il potere - sarebbero morti prima di lui, e così avverrà. Stefano Colonna invita Francesco Petrarca a leggere il trattato di Cicerone intitolato De officiis [I doveri] scritto nel 44 a.C., l’ultimo trattato filosofico-morale di Cicerone che muore l’anno dopo, nel 43 a.C. a Formia, ucciso in circostanze drammatiche.

     Stefano Colonna rimane piacevolmente sorpreso dal fatto che Francesco Petrarca conosce già quasi a memoria il testo di quest’opera, che noi abbiamo avuto occasione di studiare a suo tempo: un’opera esemplare che ha esercitato un influsso fondamentale sull’etica dell’Umanesimo e sulla cultura moderna e contemporanea, e questo testo [il più tradotto e ripubblicato di Cicerone] viene considerato una sorta di “prefazione” ai testi delle odierne Costituzioni democratiche. In questo trattato Cicerone sostiene che la natura stessa ci ha affidato un ruolo in base al quale noi, in quanto persone, dobbiamo fare i conti con il nostro dovere individuale [officium] e con i nostri doveri sociali [officia] e, facendo questo, realizziamo la vera “humanitas” [se non facciamo il nostro dovere vanifichiamo i nostri diritti e i diritti di tutti], e il Vecchio Stefano Colonna invita Francesco, del quale loda il talento, ad impegnarsi per realizzare il concetto della “humanitas” facendo il suo dovere di intellettuale di stampo ciceroniano investendo il più possibile “non in prepotenza, non in superbia” ma in intelligenza.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con quale gesto oggi ritenete si aver fatto il vostro dovere?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Dopo questo incontro romano, Francesco Petrarca, quando torna ad Avignone [nel 1336] è diventato una persona diversa [capisce che un vecchio saggio - amante della latinità classica - lo ha invitato a seguire la sua vocazione intellettuale] e la città dei papi - così chiassosa, mondana, superaffollata, in mano agli affaristi - non è più fatta per lui, e l’escursione sul Mont Ventoux [nell’aprile del 1336, di cui abbiamo già parlato], insieme al fratello Gherardo che sta pensando di farsi monaco nell’austera certosa di Montrieux, ha per Francesco un significato simbolico che richiama il suo tormento interiore, di persona che si sente in bilico tra le lusinghe del mondo [fare carriera, acquisire posizioni di potere, arricchirsi] e il richiamo [agostiniano] alla saggezza interiore.

     Come pensa di sottrarsi Francesco Petrarca alla confusione, agli intrighi, al clamore della corte papale? Si ricorda di quando, da bambino e da ragazzo, abitando a Carpentras, aveva visitato più di una volta la Valchiusa fino alle sorgenti del fiume Sorga ed era rimasto affascinato dalla bellezza di quei luoghi: a Valchiusa - lo aveva detto e scritto - sarebbe voluto tornare per viverci, e questo ora diventa il modo per sottrarsi alla vita frenetica e corrotta della corte dei papi e, difatti, vi si trasferisce sul finire dell’estate del 1337.

     Sul finire dell’estate del 1337, Francesco Petrarca a Valchiusa acquista una modesta casetta sulla riva sinistra del fiume Sorga, addossata alla roccia, con due giardini che la circondano e con accanto un piccolo podere. A Valchiusa Francesco trova la quiete che non può trovare ad Avignone anche perché c’è un altro problema che lo affligge: lì spera di dimenticare l’amore non ricambiato per Laura, la cui vicinanza gli procura pena e dolore [lei abita ad Avignone con marito e figli].

     A Valchiusa Francesco può dedicarsi con tranquillità ai suoi studi: può leggere, scrivere, riflettere. Non è che a Valchiusa viva in assoluta solitudine perché questa zona di campagna è discretamente abitata da gente laboriosa e qui trova anche un illustre nuovo amico: Philippe de Cabassoles, feudatario e vescovo di Cavaillon, la cui diocesi comprende anche questi luoghi;  Philippe abita in un castello posto sul fianco della montagna, alle prime pendici del Mont Ventoux, e coltiva gli stessi interessi di Francesco: entrambi amano i libri e la campagna e, quindi, s’incontrano spesso.

     A Philippe de Cabassoles, molti anni dopo, Francesco indirizza uno dei suoi epigrammi [dei suoi Gabbiani] in cui riassume tutto il suo amore per questo luogo alle sorgenti del fiume Sorga, leggiamo il testo di questo epigramma [i primi due versi anche in latino]: «[Valle locus Clausa toto mihi nullus in orbe / gratior aut studiis aptior ora meis ...] Non vi è luogo in tutta la terra che più caro di Valchiusa mi sia / non vi è contrada più adatta ad indicare dei miei studi la via. / A Valchiusa sono stato fanciullo e da giovane mi ha accolto ridente nel suo grembo assolato, / e nella maturità vi ho trascorso gli anni migliori perché questo luogo mi ha fatto sentir consolato. / E qui, vecchio, desidero trascorrere i miei ultimi giorni, e se tu, o Philippe, mi tieni la mano, è a Valchiusa che voglio morire, in pace, e senza soffrire». In realtà Petrarca non muore a Valchiusa ma qui fissa la sua residenza e vi trascorre lunghi anni - dal 1337 al 1353 quando deve tornare in Italia -, naturalmente vi soggiorna quando non è in viaggio, perché, come sappiamo, la sua irrequietezza e, soprattutto, le ragioni del suo lavoro di diplomatico lo spingono continuamente a viaggiare.

     Il suo caro amico Giacomo Colonna, vescovo di Lombez, che si dedica alla vita mondana, ogni tanto gli scrive chiedendogli che cosa ci faccia in mezzo ai monti e Francesco gli risponde in perfetto stile ciceroniano, leggiamo un frammento da una sua Lettera:  «Caro Giacomo, tu vuoi sapere che cosa faccia a Valchiusa e quale sia qui la mia vita e il mio stato. Non tacerò il vero e non mentirò, perché è come se parlassi a me stesso. Lungi da me ogni vana gloria, non desidero nulla e di quello che ho sono contento. In questo mutuo patto concorda con me l’aurea povertà, ospite né sgradito né grave. La Fortuna, se così le piaccia, mi lasci la bellezza della campagna e questo modesto campicello, la mia casetta e i miei cari libri, il resto lo tenga pure per sé o, se vuole, tutto mi tolga senza contrasto, è roba sua».

     Come possiamo leggere nella sua autobiografia, a Valchiusa Francesco può avvalersi di un fedele collaboratore, il suo vicino di casa, Raymond Monet, al quale affida, a mezzadria, la cura del suo piccolo podere, e con lui Francesco instaura un rapporto di amicizia e di fiducia, e scrive: «Questo contadino è una persona amabile, pieno di diligenza e di urbanità. Credo che nessuno al mondo mi sia più fedele di lui. Gli ho affidato tutto me stesso, le mie cose, e i miei libri perché, per quanto illetterato, è amantissimo delle Lettere e custodisce gelosamente proprio quei libri che mi sono più cari». Raymond ha una moglie, «infaticabile lavoratrice, scrive Petrarca, che accudisce la sua casa e anche la mia, si occupa degli ospiti, ed educa suo figlio e le sue figlie con grande saggezza». Petrarca tiene alcuni cavalli e anche un cane e, a questo proposito, scrive: «Selene [la Luna, in greco] è una cagnolona bianca di razza spagnola che mi ha regalato il cardinale Colonna, e ogni volta che, stanco, dormo più a lungo del solito, guaisce e mi dice ammonendomi che il sole è tornato e raspa con le zampe la mia porta. Quando esco mi saluta con espressione gioiosa e mi precede nei luoghi che abbiamo visto spesso insieme e volge gli occhi indietro per vedere se la seguo. Con grandi balzi sale i colli e corre lungo il fiume, e con l’acuto guaire imita i ragazzi e le ragazze che cantano e i suoi comportamenti muovono al riso come quando rincorre le anatre selvatiche fin sugli alti scogli del Sorga per cui i poveri uccelli devono gettarsi a capofitto in acqua come fossero gabbiani». Francesco Petrarca ama la vita campestre della Valchiusa.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è una campagna che voi amate particolarmente?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Francesco si è rifugiato a Valchiusa per dimenticare Laura ma qui, in questo ambiente meraviglioso, tutto gliela fa ricordare e l’immagine di Laura penetra in tutte le sfumature che la Natura possiede.

     Il tema della somiglianza ci rimanda al romanzo che stiamo leggendo perché c’è un nesso tra la somiglianza e la relazione [la relazione amorosa in particolare]. Stiamo puntando l’attenzione [come sapete] sul romanzo che s’intitola Il gabbiano, composto nel 1943 dallo scrittore ungherese Sándor Márai [1900-1989]. Sappiamo che Sándor Márai è stato uno dei fondatori del movimento letterario chiamato “romanticismo ungherese” che s’ispira, in particolare, alla poetica di Francesco Petrarca del quale Márai ha tradotto in ungherese le Opere.

     Nel testo del romanzo Il gabbiano l’autore, nel corso del dialogo tra due personaggi emblematici, sviluppa puntigliosamente il fenomeno per cui l’Intelletto dell’essere umano, dopo la perdita della persona amata [la relazione amorosa prevede sempre un incontro, uno sviluppo e una fine], coglie spesso la somiglianza dell’amata o dell’amato in altre figure, suscitando uno stato emotivo che stimola, inevitabilmente, una riflessione sui temi dell’esistenza. Nel romanzo Il gabbiano [e ne siamo al corrente] s’incontrano due personaggi emblematici: il consigliere di Stato che ha appena preparato per il ministro il documento con cui la Nazione [l’Ungheria] entra in guerra [sullo sfondo c’è il secondo conflitto mondiale e lui teme tanto la brutalità della guerra quanto la vecchiaia] e una giovane donna, straniera [finlandese], che ha chiesto udienza per ottenere un permesso di soggiorno [il suo paese è già in guerra, la sua casa è stata bombardata, suo padre è morto, sua madre si è risposata con l’uomo che avrebbe voluto sposare lei]. Quando questa bella ragazza appare di fronte al consigliere di Stato lui entra in crisi [ha un attacco di nevrotica ilarità che a mala pena riesce a contenete] perché questa giovane donna è il doppio perfetto di colei che, anni prima, ha amato [sembra il suo duplicato, anche se, ironicamente, questa persona si chiama Unica, Aino Laine, Unica Onda]. Lui è consapevole che lei non può essere realmente tornata, sa bene che costei [che si chiamava Ilona detta Ili] si è uccisa per amore di un altro, e non può certo essere risorta, e allora la ragazza che ha di fronte diventa, inevitabilmente, un oggetto di studio: chi è questa persona? È lì per caso, oppure è venuta a cercarlo perché, in realtà, sia lui a studiare se stesso? Il fenomeno della somiglianza genera miraggi, rinfocola rancori, fa scatenare lo spirito inquisitorio, e ravviva in modo lacerante i ricordi.

     Aino Laine [Unica Onda] ha spiegato al consigliere di Stato i motivi per cui si è trasferita dalla Finlandia in Ungheria e perché vuol rimanere a Budapest [vuole fare l’insegnate, conosce bene la lingua ungherese ed esiste una parentela culturale tra la cultura ugro-finnica e quella magiara], ma sono davvero queste le vere ragioni per cui lei è andata a cercarlo? Lui la invita all’Opera [in programma c’è Un ballo in maschera] e lei accetta immediatamente. Escono insieme dal palazzo del ministero e, attraversando il ponte sul Danubio, si soffermano ad osservare i gabbiani che planano a ridosso del parapetto perché un uomo [insieme ad altre persone] li sta nutrendo lanciando loro pezzi di pane. E allora [come abbiamo letto la scorsa settimana] si soffermano a riflettere sulla provenienza di questi uccelli - che stanno danzando intorno a loro - dalla lontana costa norvegese, e dissertano sul senso che può avere la loro vita, sulla loro energia vitale che li porta ad attraversare i confini di Nazioni in guerra tra loro: questi gabbiani sono la rappresentazione metaforica dei “profughi” [e questo è un tema che si presenta oggi di grande attualità nelle pagine di questo romanzo scritto più di settant’anni fa].

     Il consigliere propone alla ragazza di andarla a prendere per portarla all’Opera ma lei rifiuta decisamente questa offerta dicendo che s’incontreranno nell’atrio del teatro poco prima dell’inizio della rappresentazione: lui si sente offeso, ma lei, ridendo, lo invita a non impermalirsi, e lui capisce che non c’è ragione di offendersi. Lei lo saluta e si allontana, e lui comincia a riflettere sull’accaduto e inizia a ricordare: ha mal di testa, ed entra in un caffè dove spesso si incontrava con Ilona [Ili],

LEGERE MULTUM….

Sándor Márai, Il gabbiano

Gli duole la testa. Entra in un caffè, uno di quei locali alla moda che hanno invaso la città; si accosta al bancone circolare, beve una tazzina di caffè nero e addenta alcune sottili fette di pane di guerra guarnite con ingredienti sospetti. Il locale gli ricorda una scatola in cui mani nervose hanno stipato stracci e cascami variopinti: donne fasciate da giacche sgargianti o da corte pellicce chiacchierano ai tavoli, uomini inseparabili dal loro bicchierino di vermut le passano in rassegna, con sguardo inequivocabile, tra un sandwich e l’altro, non diversamente da quanto accade nelle case di malaffare dove, al momento di scegliersi una compagna, il cliente non si lascia più inibire da pregiudizi sociali. È un mercato aperto, la brulicante e disinibita piazza del commercio amoroso.

... continua la lettura ...

     Il consigliere di Stato [del quale non conosciamo il nome] ci fa partecipi dei suoi ricordi, che riaffiorano a causa dell’inaspettato incontro con Unica Onda che assomiglia straordinariamente alla donna che lui ha amato.

     Petrarca si trasferisce a Valchiusa anche per dimenticare Laura: ma chi è Laura, ed è esistita davvero? Su questo tema si è molto indagato, non si è scoperto granché, quello che possiamo dire è che Francesco deve aver trovato modo di consolarsi.

     Durante la sua permanenza a Valchiusa a Petrarca nasce un figlio, Giovanni, e non sappiamo chi sia la madre [potrebbe essere una delle figlie di Raymond Monet?], così come non si sa chi sia la madre della figlia Francesca, che gli nascerà qualche anno più tardi, nel 1343.

     Non ci è giunta notizia [attraverso le Lettere] che qualcuno dei suoi amici si sia scandalizzato di questo fatto e la cosa più curiosa è che il bambino e la bambina non sono stati abbandonati dal padre - atteggiamento frequente in quest’epoca - ma siano stati entrambi [con atto notarile] legittimati da Petrarca che si è sempre curato del loro mantenimento e della loro educazione. Ci meraviglia il fatto che Petrarca, il quale ci dà tante notizie su di sé, non lasci trapelare nulla sulle sue relazioni amorose e sull’identità delle madri dei suoi figli. Sappiamo che Petrarca è allergico al matrimonio [non è un proto-libertino] per ragioni giuridiche e il solo significato di “matris-monia” [monia, i doveri - matris, della madre] lo porta a contestare il fatto che la cristianità - per ingiuste ragioni di ordine pubblico - ha adottato senza farsene scrupolo le Leggi Giulie di Augusto sulla famiglia del 27 a.C.: queste Leggi decretano il potere maschile e sanciscono la subordinazione femminile [al termine matris-monia sui doveri delle madri si affianca la parola patris-jura da cui deriva il termine “patrimonio”]. Secondo le Leggi Giulie [sempre in vigore nel Medioevo, in età Moderna e tuttora influenti sulla mentalità contemporanea] il “pater familias” ha diritto di vita e di morte su tutti i membri della famiglia, può ripudiare la moglie a suo piacimento. Le Leggi Giulie istituzionalizzano il concubinato [con tanto di contratto: c’è l’albo delle concubine] e in età medioevale c’è un corrispettivo albo delle cortigiane [categoria molto amata e protetta da un gran numero di ecclesiastici] e l’albo è lo strumento che legalizza la prostituzione. Sta di fatto che Petrarca non fa parola delle madri di Giovanni e di Francesca perché queste donne, essendosi concesse liberamente fuori dal matrimonio e non essendo iscritte all’albo delle concubine, rischiano [paradossalmente] di essere duramente sanzionate.

     Se non conosciamo il nome delle madri dei suoi due figli, tutti conosciamo invece il nome di Laura, la donna bellissima ed evanescente, che Francesco ha reso immortale in quel capolavoro poetico intitolato il Canzoniere. Sul nome di Laura si è molto discusso e c’è chi ha messo in dubbio persino la sua esistenza pensando si possa trattare di un sogno, di una sorta di fantasma nato dalla fantasia del poeta. Di Laura infatti non conosciamo che il nome e poche frammentarie notizie e la sua presenza alimenta la poesia del Canzoniere, appare fugacemente nei Trionfi [l’altra opera di Petrarca in versi volgari] e poi il poeta fa il nome di Laura in due Lettere familiari e solo alcuni accenni nella Lettera ai posteri [l’autobiografia], la cita spesso invece nei suoi epigrammi [i Gabbiani]. Il pittore senese Simone Martini, chiamato da Benedetto XII [Jacques Fournier] per decorare il palazzo dei papi di Avignone, ne ha dipinto il ritratto in una miniatura sul frontespizio del manoscritto di Petrarca intitolato Virgilio, ma questa miniatura è andata perduta. L’ipotesi più attendibile è che “l’amata” di Petrarca sia Laura de Noves, andata sposa nel 1325 a Ugo de Sade, ma è solo un’ipotesi non suffragata da documenti.

     Risulta assai vaga la tradizione che vorrebbe Laura raffigurata negli affreschi della cappella di San Giovanni nel palazzo dei papi ad Avignone che si presenta come una donna con in testa un cappuccio, il naso aguzzo, la bocca sprezzante, il mento sfuggente: un ritratto [che trovate facilmente sulla rete] che non rende giustizia alla celestiale bellezza cantata da Petrarca. È anche fantasiosa la leggenda secondo la quale papa Urbano V [Guglielmo de Grimoard] avrebbe voluto dare in sposa Laura a Petrarca, ma il poeta si sarebbe rifiutato di sposarla dicendo che: «il matrimonio gli avrebbe inaridito la vena poetica». [Secondo voi il matrimonio inaridisce o esalta la vena poetica? ].     

     C’è un sonetto del Canzoniere, intitolato Real natura, dove Petrarca racconta un episodio molto particolare: Laura sarebbe stata baciata dal re boemo Carlo IV durante una festa alla corte papale quando nel 1346 era giunto ad Avignone in visita al papa Clemente VI [Pierre Roger]. Si tratta di un episodio misterioso non confermato da alcuna testimonianza e, per giunta, Laura non era più giovane ed era «prostrata dai molti parti »[come scrive Petrarca nella sua autobiografia dove su Laura fa solo alcuni accenni]; quindi, Laura non era certo più in grado di sedurre il giovane re di Boemia ma quel bacio, in ogni caso, suscita la gelosia di Francesco sebbene il re boemo, che l’aveva invitata a «farsi in disparte», si era limitato a baciarle gli occhi e la fronte. Nell’incipit di questo sonetto, Francesco loda il principe [«Real natura, angelico intelletto, chiara alma, occhio cerviero (di lince), providenzia veloce, alto pensiero...»] che rende onore a Laura scegliendola tra tutte le altre donne presenti alla festa ma questo gesto lo riempie d’invidia: «…li occhi e la fronte con sembiante umano / basciolle sì che rallegrò ciascuna: / me empié d’invidia l’atto dolce e strano».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A questo punto potete prendere in mano il testo del “Canzoniere” del Petrarca - lo trovate in biblioteca [probabilmente anche nella vostra biblioteca domestica] e inoltre in molti siti della rete - in modo da leggere per intero i quattordici versi del sonetto “Real natura” [il 199°]...

Tutti i volumi del “Canzoniere” sono forniti di indice, di note, di commenti e, quindi, ci vuol solo un po’ di pazienza per godere della musicalità del verso petrarchesco: fate questo esercizio...

     Le notizie più concrete a proposito di Laura le troviamo in una nota che lo stesso Petrarca ha appuntato sul primo foglio del manoscritto del testo intitolato Virgilio che deve entrare a far parte di un’opera [in latino] su Gli Uomini Illustri. La nota è del 19 maggio 1348 [l’anno della peste nera che ha decimato la popolazione europea], e questo è il giorno in cui Francesco riceve [da uno dei suoi amici e circa quaranta giorni dopo, mentre lui si trova a Verona] la notizia della morte di Laura: leggiamo questa nota che, sebbene contenga un particolare simbolico che assume un carattere mitico perché Francesco scrive di avere incontrato la prima volta Laura il 6 aprile [del 1327?] e il 6 aprile è morta, ebbene, questa nota [a parte questo particolare emblematico] sembra confermare l’autenticità storica ed umana di questa donna che ha ispirato il capolavoro di poesia d’amore per eccellenza della Storia della Letteratura universale.  Leggiamo “la nota in morte di Laura”.

LEGERE MULTUM….

Francesco Petrarca, Nota sul primo foglio del manoscritto del Virgilio

Ricevo la tristissima notizia che Laura, illustre per le sue virtù e a lungo celebrata nei miei carmi, e che apparve per la prima volta ai miei occhi nel sesto giorno di aprile nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, a mattutino e in quella stessa città, nello stesso mese di aprile, nella stessa prima ora del giorno dell’anno 1348, la luce della sua vita è stata sottratta alla luce del giorno e, mentre mi trovo per caso a Verona, sono stato per molti giorni ignaro, ahimè, del mio fato.

     Anche il consigliere di Stato, protagonista del romanzo Il gabbiano, deve fare i conti con le ragioni della morte della donna amata: per questo ripensa a quando ha deciso di far visita, come è stato sollecitato a fare, al padre di Ili.

LEGERE MULTUM….

Sándor Márai, Il gabbiano

Trascorsero due mesi prima che si decidesse ad andare nella farmacia del padre di Ilona. Nel frattempo s’era procurato una fotografia del professore. L’aveva ritagliata da una rivista illustrata; poco tempo addietro G. aveva tenuto una conferenza presso un’università straniera, e la rivista aveva pubblicato il suo ritratto in occasione della presentazione di un nuovo ritrovato chimico. Naturalmente non si trattava di un’immagine recente, bensì di uno scatto giovanile risalente forse a quindici o vent’anni prima: raffigurava un G. trentenne, immortalato secondo le pompose convenzioni fotografiche degli anni Venti. In quella fotografia, più che uno scienziato, sembrava un giovane operaio vestito a festa. Portava i baffi arricciati, aveva il colletto piegato verso il basso e la cravatta ben annodata. Per qualche tempo aveva tenuto quella fotografia nel portafoglio. Un giorno lesse sul giornale che alle sei di sera G. avrebbe tenuto lezione a un pubblico di profani in una specie di corso di educazione popolare.

... continua la lettura ...

     Che cos’è il Canzoniere del Petrarca? È universalmente riconosciuta come la raccolta di poesie d’amore più significativa della Storia della Letteratura universale.

     Francesco Petrarca non pensava di diventare celebre con il Canzoniere ma piuttosto con le opere che scrive in latino le quali, effettivamente, gli hanno procurato una certa fama anche se sono rimaste opere incompiute a causa della sua pignoleria e, in proposito, dobbiamo ricordarne due: la prima, intitolata De viris illustribus [Gli uomini illustri], nella quale lo scrittore si propone di raccogliere una serie di biografie degli antichi eroi romani, da Scipione a Cesare, poi allargando il ventaglio fino a comprendere le vite di uomini illustri [da Adamo ai suoi contemporanei] e naturalmente non l’ha mai completata. La seconda opera di Petrarca rimasta incompiuta è un poema epico, intitolato Africa, che ha come protagonista Scipione l’Africano e doveva essere composto da dodici Libri come l’Eneide di Virgilio - che lui ammirava moltissimo - ma Petrarca non arriva alla fine perché vuole limare il testo cercando una perfezione eccessiva per cui si perde.

     Il titolo originale che Petrarca ha dato alla raccolta di poesie in volgare che oggi [dal Rinascimento] chiamiamo il Canzoniere è, in latino, Rerum vulgarium fragmenta [che possiamo tradurre “Rime sparse”] e comprende, nella sua versione definitiva, trecentosessantasei componimenti, quanti sono i giorni di un anno bisestile: trecentodiciassette sonetti, ventinove canzoni, nove sestine, sette ballate, quattro madrigali e in quest’opera la parola-chiave che fa da filo conduttore è il termine “sfumatura” che entra a pieno titolo nella Storia del Pensiero Umano.

     Il Canzoniere è considerata la raccolta di poesie d’amore più significativa della Storia della Letteratura universale ed è, in primo luogo, la biografia del suo autore, di Francesco, che guarda a Laura non con gli occhi rivolti al Paradiso con i quali Dante guarda a Beatrice, ma con gli occhi di una persona che si sente attratta dagli impulsi terreni, dai desideri e dai piaceri estetici che fanno di Laura una creatura eminentemente terrena. Nel Canzoniere il termine “estetica” viene utilizzato dall’autore nell’autentico significato greco del termine che deriva dal verbo “aisthànesthai” [percepire]nel senso di “cogliere tutte le sfumature che le sensazioni possono dare”.

     Laura è sì, casta, modesta e gentile, tanto da suscitare gioie spirituali ma ha anche “i capelli biondi, il collo di latte, le guance infuocate, gli sguardi invitanti, i sospiri ammalianti” per cui il fatto che non sia disponibile procura sofferenze [lacrime vere] a Francesco. Poi lo scenario in cui si presenta Laura non è il paesaggio onirico del paradiso dantesco ma è quello della Natura feconda: Laura è sempre ritratta in mezzo a un verde campo, sotto una pioggia di fiori, vicino all’acqua che mormora, tutti elementi che [in chiave orfico-dionisiaca] stimolano il desiderio amoroso.

     In questa «materialità» s’innestano gli umori di Francesco che è combattuto tra la rabbia derivante dalla situazione sociale e politica caratterizzata dalla crudeltà e dall’ignoranza dei “signori” e dal disgusto per la crisi delle istituzioni ecclesiastiche a cominciare dal papato. In questa vastità di interessi Francesco Petrarca si presenta come il poeta che è stato capace di presentare la più vasta gamma possibile di sentimenti umani considerati nelle loro più svariate sfumature per cui la sua poesia ha assunto un carattere universale, e dal “petrarchismo” è difficile prescindere. Il termine “sfumatura”, nel Canzoniere, è una gradazione, un’intonazione, una tonalità che riguarda la gamma dei sentimenti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il termine “sfumatura” possiede un ventaglio molto ampio di significati: che cosa vi fa venire in mente la parola “sfumatura”?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     La prossima settimana faremo [probabilmente] alcune spigolature dal Canzoniere, ora leggiamo sette versi [su quattordici] del primo sonetto che funge da introduzione in cui Petrarca si pente e si vergogna di aver ceduto troppo facilmente agli stimoli dell’amore e chiede perdono a chi legge le sue rime ma, contemporaneamente, tra le righe, ci vuole dire: «guardate che io sono stato capace di esplicitare senza remore tutte le sfumature del sentimento amoroso. Sì, aggiunge Petrarca, sono convinto della fugacità delle cose terrene [“che quanto piace al mondo è breve sogno”], e certamente l’amore, in quanto cosa terrena e materiale, complica la vita umana [potrebbe sembrare una violenta patologia del sistema nervoso] ma quanto sarebbe noiosa la vita senza l’amore, senza innamorarsi!». Leggiamo l’incipit del Canzoniere del Petrarca.

LEGERE MULTUM….

Francesco Petrarca, Canzoniere

Voi c’ascoltate in rime sparse il suono

di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core

in sul mio primo giovenile errore

quand’era in parte altr’uom da quel ch’i sono,

spero trovar pietà nonché perdono.

Di me medesmo meco mi vergogno;

che quanto piace al mondo è breve sogno.

     E ora, per concludere, diamo la parola a Sándor Márai perché, naturalmente, non ha potuto fare a meno, nel romanzo che stiamo leggendo, di far riflettere il protagonista sul concetto della “sfumatura” in termini petrarcheschi. Non poteva non farlo, se non altro per incidere sull’itinerario di questa sera.

LEGERE MULTUM….

Sándor Márai, Il gabbiano

Adesso bisogna fare molta attenzione, lui pensa. La comparsa di Aino Laine dell’unica onda è un fatto che può essere giudicato da un punto di vista umano? Questa è una danza stregata. Oggi sta succedendo qualcosa, a me, al mondo a cui appartengoed è molto raro - il momento in cui «succede qualcosa» per davvero. Il più delle volte le persone e le cose se ne stanno semplicemente lì a mezz’aria. Ma oggi sta succedendo tutto quanto Quindi sta’ attento Perché se succede qualcosa, allora va bene così, e non puoi farci nulla: in questi casi è Dio a rivolgersi a te personalmente. Ma se tu ti intrometti mentre Dio parla o intervieni con qualche gesto avventato in ciò che accade per causa divina, allora tutto diventa umano, dunque confuso e occasionale. Quindi sta’ molto attento.

... continua la lettura ...

     E ora ci troviamo di fronte all’interrogativo fondamentale posto dal movimento dell’Umanesimo: se siamo tutte e tutti noi - secondo il pensiero di Francesco Petrarca - diverse sfumature dello stesso modello umano, ebbene, siamo in grado si stabilire qual è il tono, la gradazione, l’intonazione della sfumatura che ci contraddistingue? Questo interrogativo - evidenziato da Sándor Márai nel romanzo del quale leggeremo ancora un certo numero di pagine - è il filo conduttore che fa del Canzoniere di Petrarca un capolavoro: un punto di riferimento della poetica umana.

     Con questo interrogativo [tutt’oggi di grande attualità] siamo ormai agli albori dell’Età moderna e lo dimostra il fatto che qualcuno, più di un secolo dopo, in pieno Rinascimento, tornando assai stanco da un faticoso “lavoro di dipintura” sospeso per aria in una Cappella papale [la Cappella Sistina], prima di coricarsi, ha voluto scrivere quattro righe condizionato dal tema delle “sfumature” [fa anche parte del suo lavoro trovare le sfumature giuste]. Non vorrete pensare che chi ha avuto la commissione [da un papa molto esigente] di dipingere il soffitto della Cappella Sistina non avesse la buona abitudine di scrivere quattro righe al giorno! E, sul quaderno dove segna le ore di lavoro, questo “dipintore” scrive, in margine, nella sua bella lingua cinquecentesca, otto versi emblematici dedicati al quella “dotta signora” che è l’ignoranza perché la consapevolezza di ignorare spinge verso il desiderio di conoscere soprattutto i molti significati, le molte sfumature che il Creatore ha dato alle parole. “Il dipintore” di cui stiamo parlando [e del quale non facciamo il nome perché non ci tiene affatto ad essere etichettato come pittore: per lui il vero artista è lo sculture] è anche un conoscitore della Letteratura ebraica del Talmud nella quale si legge: «Dio ha detto una parola e io ne ho sentito due: ogni parola ha settanta [innumerevoli] sfumature diverse mentre attendiamo la settantunesima».

     E ora, per concludere, vi leggo gli otto versi emblematici ma, per noi, ben noti.

LEGERE MULTUM….

Monna ignorantia è dottrina dotta,

ti mostra che tutto lo scibile non sai,

 sprona verso il disio di conoscenza,

virtù che non s’ha da perder mai

ché l’intelletto abbisogna di linfa

per poter svelar l’arcano dato

di quante sfumature per ciascuno verbo

il Creator del Mondo abbia creato.

     Ebbene, se il disio di conoscenza è una virtù / che non s’ha da perder maicioè se non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, la Scuola non può che esser qui, e voi non perdete il terzultimo itinerario di questo lungo viaggio…

ché l’intelletto abbisogna di linfa

per poter svelar l’arcano dato  

di quante sfumature per ciascuno verbo

il Creator del Mondo abbia creato.

 

 

PER INVESTIRE IN INTELLIGENZA ...

parola per parola idea per idea ...

     Alla fine di questo viaggio diamo una forma – con le nostre scelte – al territorio della  Sapienza poetica e filosofica dell’Età umanistica che abbiamo attraversato ...

   

    Leggi con attenzione queste parole ...

la natura  l’esperienza  la teocrazia  la magia  l’immaginazione  la tecnica 

la scienza  la mistica  la filologia  la matematica  l’ecumenismo  la necessità 

la sperimentazione  la fisica  l’indulgenza  il giubileo  la schiettezza  il denaro 

l’albero  la distinzione  l’univoco  l’analogico  la volontà  la semplicità  l’oriente 

l’intuito  l’indefinito  la rettitudine  la relazione  la sfumatura  la misura

... scegline non più di tre e scrivile qui …

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Leggi con attenzione i termini che compongono il catalogo dei valori umanistici

l’uguaglianza  la giustizia  la pace  la solidarietà  la misericordia

... scegline due e scrivili qui …

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Insieme a Dante osserviamo la mappa dei Cieli che danno forma al Paradiso ...

L’Empireo animato dall’Intelligenza teologica, il Cielo Cristallino animato dall’Intelligenza morale, il Cielo Stellato animato dall’Intelligenza della natura, il Cielo di Saturno animato dall’Intelligenza astrologica, il Cielo di Giove animato dall’Intelligenza geometrica, il Cielo di Marte animato dall’Intelligenza musicale, il Cielo del Sole animato dall’Intelligenza aritmetica, il Cielo di Venere animato dall’Intelligenza poetica, il Cielo di Mercurio animato dall’Intelligenza razionale, il Cielo della Luna animato dall’Intelligenza grammaticale …  

  Leggi il catalogo delle dieci Intelligenze

grammaticale  razionale  poetica  aritmetica  musicale,

geometrica  astrologica  naturale  morale  teologica

... scegline due e scrivile qui …

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Lezione del: 
Venerdì, Maggio 13, 2016