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DALLA MONNA LISA RINASCIMENTALE, ALLA ROMANTICA DONNA FATALE…

Lezione N.: 
29

Prof. Giuseppe Nibbi         Tra ‘700 e ‘800: il sorriso de La Gioconda 2005         25-26-27 maggio 2005

Eva Prima Pandora (Jean Cousin)

 DALLA MONNA LISA RINASCIMENTALE, ALLA ROMANTICA DONNA FATALE

   Questa sera affrontiamo l’ultimo itinerario di questo Percorso 2004-2005 (il ventesimo di questa esperienza didattica): per concludere ci rimangono da fare quattro passi.

   Il primo passo consiste in una riflessione che si concretizza in un esercizio: l’esercizio della scelta. Spesso l’azione di "scegliere" comporta grandi difficoltà specialmente quando gli oggetti – di natura materiale o intellettuale sui quali siamo chiamati a esprimere un giudizio (noi adesso dobbiamo scegliere delle parole) – sono numerosi e sono tutti, chi per un verso chi per l’altro, desiderabili e attraenti. In questo caso, più che mai, l’azione di "scegliere" – proprio quando è più difficile – avvicina due elementi contrastanti, unisce due fattori aporetici, mette in relazione due parti in contraddizione tra loro: "la scelta" diventa il punto d’incontro della razionalità con l’irrazionalità. La "razionalità" guida l’analisi delle varie possibilità e indirizza verso una sintesi, ma l’atto finale della scelta – soprattutto se la gamma degli oggetti da scegliere risulta vasta e appetibile – è comunque avvolto nell’irrazionalità.

   Secondo la tradizione dei nostri Percorsi in funzione della didattica della lettura e della scrittura l’esercizio della scelta verte sulle parole-chiave che – insieme alle idee – sono la materia prima, sono il contenuto essenziale della Storia del Pensiero Umano. Se facciamo un piccolo bilancio dobbiamo dire che vasto territorio culturale, situato cronologicamente tra il 1750 e il 1850 – al quale è stato dato convenzionalmente il nome di "territorio del romanticismo" – abbiamo percorso una serie di itinerari: 15 itinerari lo scorso anno scolastico da febbraio a maggio 2004, in un Percorso intitolato "Romanticismo titanico, uno sguardo sull’Idealismo", e 29 itinerari durante quest’anno scolastico da ottobre 2004 a maggio 2005 in un Percorso intitolato "Romanticismo galante, il sorriso de La Gioconda". Nei due Percorsi portati a termine nel "territorio del romanticismo" – per un totale di 44 itinerari (Lezioni per Unità Didattiche) – abbiamo incontrato molte parole-chiave: 41 parole sono state catalogate come significative, come struttura portante dell’itinerario di apprendimento. Sul questionario intitolato INVESTIRE IN INTELLIGENZA, come potete vedete (in fondo alla lezione), ci sono due gruppi di parole: il primo gruppo fa riferimento al romanticismo galante, il secondo gruppo al romanticismo titanico. Leggete con attenzione, e scegliete non più di tre parole nel primo gruppo, quello del "romanticismo galante" che è più consistente (33 parole). E poi leggete con attenzione, e scegliete una sola parola nel secondo gruppo, quello del "romanticismo titanico" (8 parole). Questa scelta ci permette – attraverso le parole – di "dare un senso", di "dare una forma" – nell’ottica dei nostri gruppi di studio – al territorio del romanticismo nei suoi due aspetti principali, quello titanico e quello galante. Inoltre il territorio di parole che ne verrà fuori costituirà – quest’autunno, a ottobre – il punto di partenza del primo Percorso del prossimo anno scolastico 2005-2006.

   Il secondo passo è in relazione al pretesto, all’oggetto culturale, che abbiamo utilizzato come "indicatore di riferimento" nel Percorso di quest’anno scolastico: La Gioconda di Leonardo. Il nostro intento non era – lo sapete – quello di studiare il ritratto de La Gioconda (in proposito ci sono un’infinità – saggi, trattati, romanzi – di libri da leggere), ma il nostro obiettivo culturale era quello di conoscere e di capire come il "romanticismo" – in particolare il "romanticismo galante" – abbia usato l’immagine de La Gioconda per sostenere alcune tesi che, questo "movimento culturale", ha saputo mettere sul tappeto della Storia del Pensiero Umano in rapporto, soprattutto, al tema fondamentale della bellezza.

   Sappiamo che il "romanticismo titanico" si occupa soprattutto del tema del "bene", mentre il "romanticismo galante" si occupa principalmente del tema del "bello", e le due tematiche s’intersecano dando vita ad un dibattito intellettuale che ha – come abbiamo potuto constatare in questi mesi – una ricaduta molto positiva sul piano della didattica della lettura e della scrittura che rappresenta lo specifico dei nostri Percorsi. Inoltre abbiamo capito che, nel momento in cui, gli intellettuali, gli scrittori, i poeti, gli artisti "romantici" hanno utilizzato l’immagine de La Gioconda per dare forza alle loro tesi, hanno anche contribuito a trasformarla nell’icona più famosa del mondo. Il ritratto de La Gioconda è stato lodato da Giorgio Vasari, è stato fonte d’ispirazione per Raffaello e ampiamente imitato e riprodotto nel tempo, ma è solo nell’epoca del Romanticismo che La Gioconda raggiunge la fama e la celebrità, e gli itinerari che abbiamo percorso sono serviti anche per farci capire l’inizio di questo processo.

   Questa sera, per concludere, ci domandiamo ancora: che cosa ha contribuito – insieme alla letteratura – ad accrescere la fama de La Gioconda?

   Nell’800 inizia un’intensa attività di copiatura di questo ritratto che contribuisce ad accrescerne la celebrità principalmente nell’aristocrazia. Nelle case aristocratiche delle principali città europee – noi lo abbiamo constatato a Pietroburgo (attraverso un racconto di Pùškin) – non è difficile trovare una copia de La Gioconda. Successivamente, a metà dell’800, arrivano le riproduzioni a stampa e allora La Gioconda può affermarsi anche tra le classi medie poiché le stampe sono di gran lunga più economiche e più facilmente reperibili. L’Ultima cena di Leonardo, per esempio, deve gran parte della sua popolarità all’incisione di Morghen e alla sua successiva diffusione in una prima tiratura di cinquecento esemplari. Eppure, nessuno tra i grandi incisori del passato ha mai tentato di riprodurre La Gioconda: non è un dipinto facile da incidere, e anche un abile incisore trova difficoltà a rendere il senso di profondità e la delicatezza risultanti dallo sfumato di Leonardo. Le opere di Raffaello presentano in tal senso minori problemi, e per questo sono apparse numerose stampe dei suoi lavori.

   Ma nel 1857 arriva l’annuncio che, a Parigi, il grande incisore Luigi Calamatta (1801-1869) ha finalmente intrapreso il progetto di un’incisione de La Gioconda. In realtà del ritratto esistevano già delle incisioni ma tutte di pessima fattura e anche lo stesso Calamatta aveva iniziato a lavorare all’incisione de La Gioconda dal 1838. Per incidere un’immagine, che Leonardo ha dipinto in quattro anni, Calamatta ne impiega venti. Qualcuno ha scritto che esistono opere alle quali gli artisti possono dedicarsi solo "nei giorni di grazia". Leonardo, da vero perfezionista qual è, ha lavorato al dipinto senza mai esserne completamente soddisfatto: altrettanto accade all’incisore.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Chi è Luigi Calamatta? Se vuoi conoscere meglio questo famoso maestro dell’incisione puoi consultare l’enciclopedia, o anche la rete

Se scopri qualcosa d’interessante: scrivi quattro righe in proposito…

   Charles Blanc – editore della "Gazzetta delle Belle Arti" e direttore della Scuola di Belle Arti di Parigi – è stato un allievo di Luigi Calamatta, e celebra l’inizio del lavoro per la nuova incisione de La Gioconda con un famoso articolo. In questo articolo prima di tutto vuole rendere omaggio al suo antico maestro e alla sua attività. Ma questo articolo è significativo soprattutto perché ci fa conoscere il clima che si è creato attorno a questa impresa artistica: Charles Blanc ricorda con nostalgia l’atmisfera del primo anno di lavoro quando lo studio di Calamatta è sempre affollato e vi è un continuo viavai di intellettuali di passaggio. Il fatto che un incisore si dedicasse a La Gioconda era un evento, ed era soprattutto una sfida: si trattava di ingaggiare una competizione con quel sorriso misterioso. Infine, in questo articolo, Charles Blanc ci lascia in eredità un riferimento letterario molto interessante in funzione della didattica della lettura e della scrittura. E proprio a questo proposito leggiamo un frammento di questo articolo.

LEGERE MULTUM….

Charles Blanc, La Gioconda di Leonardo da Vinci incisa da Calamatta

in «Gazzetta delle Belle Arti», febbraio 1859

Nello studio del maestro Luigi Calamatta affollato dal continuo viavai di intellettuali di passaggio si potevano incontrare tra gli altri anche George Sand e Fryderyk Chopin, che borbottava con un forte accento polacco e poi Ingres ed altre personalità di rilievo. Entrando nello studio, tra il piano di lavoro del maestro e quello del suo assistente di fiducia, ci si trovava subito di fronte un disegno de La Gioconda che esercitava una sorta di richiamo su ogni visitatore: avvolta, nel mistero della mezza tinta, questa testa, ammaliante, fiera e serena, il cui sorriso delicato talvolta sembrava volgere al satanico, emanava una provocazione a stento contenuta; il suo sguardo voluttuoso e senza tempo ci seduceva tutti. Il suo ritratto era considerato imperscrutabile. I fluidi magici di Monna Lisa erano nell’aria: una donna ammantata di mistero, una donna fatale.

   Avviene così la trasformazione di Lisa Gherardini – se è proprio lei ad essere ritratta – da normale sposa e madre, da semplice donna di casa a "madonna" ammantata di mistero, a icona che sprigiona turbamento ed inquietudine, ed è così che, ne La Gioconda, acquisisce spessore la figura della femme fatale, della donna fatale. Lo stampo della femme fatale, della donna fatale, entra, naturalmente, soprattutto dalla metà dell’800, nel genere letterario del romanzo e quindi – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – si apre un’ampia prospettiva (un vasto paesaggio intellettuale) che noi avremo occasione di osservare in futuro, nei prossimi Percorsi.

   A che cosa si riferisce Charles Blanc quando usa il termine "femme fatale", "donna fatale"? Siamo consapevoli del fatto che da qui, da questo punto, parte un altro sentiero che s’inoltra in un vasto spazio culturale. Noi possiamo solo dedicarci a fare alcune considerazioni che hanno come obiettivo quello di stimolare la ricerca e la riflessione. Innanzitutto dobbiamo riflettere sul significato dell’aggettivo "fatale". Il termine "fatale" fa riferimento ad un’ampia gamma di significati: è "fatale" ciò che è "stabilito dal fato", "decisivo", "mortale", "affascinante". Quali significati assume l’aggettivo "fatale" quando affianca il sostantivo "donna"? L’aggettivo "fatale", quando affianca il sostantivo "donna", richiama soprattutto: l’affascinante, l’incantevole, l’irresistibile, il seducente, l’ammaliante. Volendo usare una sola espressione, l’aggettivo "fatale", in questo caso, rimanda alla parola "fascino" con tutte le conseguenze culturali che comporta. A ottobre, in partenza, abbiamo incontrato e abbiamo studiato la parola "fascino" e, questa sera, in chiusura di Percorso, la ritroviamo quasi come se, idealmente, dovessimo chiudere un cerchio…

   Prima dell’Ottocento, la figura della "femme fatale" è piuttosto rara perché non si è ancora caratterizzata in un tipo, in uno stampo culturale. Nella letteratura cortese medievale e, prima ancora nelle fiabe e nelle favole, le donne vengono spesso raffigurate come creature inaccessibili, per le quali gli uomini arrischiano grandi imprese allo scopo di ottenerne il favore. A volte però sono viste come insidiose tentatrici il cui unico fine è quello di sedurre gli uomini: sono donne bellissime, ma raramente "fatali", le quali, con grande disappunto dei sovrani, in genere rimangono caste e inespugnabili, e a volte anche spietate, distaccate e irraggiungibili. Il mito della donna attraente e al tempo stesso pericolosa non si è ancora materializzato se non come espressione concreta del diavolo (che si traveste da donna seducente). Al museo del Louvre è conservato un dipinto di Jean Cousin dal titolo Eva prima Pandora (1540 ca.), che raffigura una donna idealizzata e inespressiva accanto a una testa decapitata, un ramo di melo, un vaso di Pandora e un serpente.

   Nella letteratura romantica la "femme fatale" viene spesso presentata come una femmina pericolosa, come la reincarnazione di una figura biblica o mitologica, che assume di volta in volta l’aspetto di Medea, della Sfinge o di Dalila, colei che seduce e porta alla rovina Sansone. Ma soprattutto, la "femme fatale", assume la figura di Salomè, la donna che fa decapitare Giovanni Battista il quale le ha resistito e l’ha respinta. È questa figura, proveniente dalla letteratura dei Vangeli, – sebbene nei Vangeli non si citi il nome di Salomè ma della madre Erodiade (l’episodio è più ampiamente raccontato nel testo di Marco cap. 6, vv. 17-29) – ad ispirare il dipinto Salomè danza davanti a Erode (1876) del pittore Gustave Moreau, e poi ad ispirare il racconto di Gustave Flaubert intitolato Hérodias (Erodiade) del 1877, in cui la "femme fatale" non è solo la figlia, ma è soprattutto la madre Erodiade. È ancora lei ad ispirare l’atto unico Salomè di Oscar Wilde (scritto in Francia nel 1896) dal quale il musicista Richard Strauss trae (1905) una famosa opera (come possiamo constatare a proposito del tipo della "femme fatale" abbiamo molti oggetti culturali da osservare, da leggere e da ascoltare…). 

   Altri modelli storici e mitologici molto amati, nei quali viene identificata la figura della "femme fatale", sono quelli di Elena di Sparta e di Cleopatra, il cui fascino avrebbe scatenato a Roma una guerra civile. Anche Messalina, moglie dell’imperatore Claudio, è nell’elenco delle "donne fatali" come crudele assassina, e Lucrezia Borgia, che, si dice, avvelenava gli amanti. A differenza delle Gorgoni e di altri malvagi mostri femminili del passato, la nuova "femme fatale" non è un orribile demone inviato dal diavolo per portare discordia, distruggere città e preparare pozioni letali, come era accaduto nel Medioevo, ma la nuova "femme fatale" è piuttosto una donna bellissima che usa perfidamente la sua bellezza per circuire uomini sventurati: questi disgraziati, una volta innamorati, vengono infine attirati nel fondo di un’inevitabile perdizione, rovina e follia.

   Che l’amore potesse rendere folli gli uomini, in letteratura, è cosa risaputa da un pezzo. Nell’Orlando Furioso (1516-32), Ludovico Ariosto, contemporaneo di Leonardo, ha celebrato proprio questo tipo di follia e lo ha fatto con una certa ironia, perché questo genere letterario era, nel Rinascimento, già ben consolidato. Ma le donne di cui si innamorano gli eroi di Ariosto non sono "fatali", sono creature innocenti e la follia degli uomini è dovuta piuttosto a una gelosia mal riposta: Angelica – il personaggio femminile più significativo dell’Orlando Furioso – è altrettanto non-colpevole come la Desdemona di Otello. (Qualche studente ha detto: "Ma io l’Orlando Furioso non l’ho mai studiato"… e forse, in avvenire, bisognerà pensare ad un Percorso "ariostesco"?)…

   Nella letteratura medioevale gli ostacoli a un’unione felice non dipendono da "donne fatali" ma sono costituiti generalmente da altri uomini, come mariti gelosi, padri severi, re crudeli, guardiani egoisti, o dai vili complotti organizzati da rivali malvagi. Una volta che, superati gli ostacoli, l’amore ha riconquistato tutti, il lieto fine è assicurato: la donna bellissima è passiva e attende, con mansuetudine, di essere salvata. Perlopiù, le donne nella letteratura medioevale – ci dicono gli addetti ai lavori – o sono sante o sono puttane: due categorie di donne "non fatali". Accanto a queste, ce ne sono altre: donne potenti e influenti, sagge, colte, sensuali, pie e religiose, castellane dal senso pratico che badano agli affari di Stato mentre i mariti sono impegnati nelle crociate, oppure sono eroine, come Giovanna d’Arco, ma non sono da considerarsi "donne fatali". Dal Rinascimento in avanti la letteratura produce anche tutto un filone che ha come protagoniste delle donne che espongono la loro sessualità. Queste figure, più che "fatali", sono considerate "immorali" e possiamo fare degli esempi citando dei testi significativi in funzione della didattica della lettura e della scrittura: La Celestina di Fernando de Rojas (1519), Vita dell’arcitruffatrice e vagabonda Coraggio di Grimmelshausen (1670), riadattata da Bertholt Brecht nel 1939 col titolo di Madre Coraggio, Moll Flanders di Defoe (1722), Manon Lescaut dell’abate Prévost (1731) e Fanny Hill di John Cleland (1749): questi libri possono essere avvicinati, in biblioteca, e, per curiosità, se ne può leggere qualche pagina…

   Nella prima metà del Seicento le scene dei drammi sono affollate da donne intriganti e cattive che, accanto a uomini ancor più malvagi, uccidono e avvelenano. Il cosiddetto "romanzo gotico", genere letterario in cui si distinguono gli inglesi, include immancabilmente donne corrotte – spesso italiane o orientali, difficilmente inglesi – animate da un’intensa lussuria. Alcune di queste figure letterarie (avulse dalla realtà della generale condizione femminile) precorrono il tipo della "femme fatale" dell’800, ma ancora non costituiscono una figura consolidata; in letteratura non basta qualche esempio per determinare uno stampo: il modello deve essere ripetuto e imitato continuamente finché non raggiunge un pubblico dotato di capacità di comprensione. Soltanto con il ripetersi in una serie di racconti, romanzo dopo romanzo, commedia dopo commedia, l’immagine della "femme fatale" si radica nella memoria collettiva del pubblico e viene immediatamente riconosciuta non appena la si incontra nella storia. Ma occorre tempo perché una simile convenzione letteraria si consolidi, e mentre il termine "seduttore" viene già usato da Shakespeare (1600), il femminile "seduttrice" entra a far parte del vocabolario inglese solo nell’800.

   Il cosiddetto "romanzo popolare ottocentesco" – che nasce e si sviluppa come sottoprodotto del "classico genere del romanzo dell’800" – brulica di uomini virtuosi, deboli o frustrati, in lotta con demoniache donne vampiro dalla sessualità minacciosa. Alla metà dell’800, attraverso questi "romanzetti popolari" (quelli che regala d’Anthès a Natàlja?), questa figura di donna che turba e che inquieta – per niente rappresentativa della generale realtà femminile – si afferma nella letteratura ma anche nel costume e soprattutto nella società dei salotti. È chiaro però che la figura letteraria della "donna fatale" si consolida quando emerge in opere che sono considerate di buona fattura e degne di essere lette. Di queste opere ne citiamo alcune tanto per conoscerne l’esistenza quanto per sapere che hanno contribuito alla diffusione dell’immagine della "femme fatale", e all’arricchimento della gamma delle sue varianti che sono state, in seguito, ampiamente utilizzate non solo dagli scrittori e dai pittori ma, nel ventesimo secolo, dai produttori teatrali e cinematografici. Lo scrittore Jules Barbey d’Aurevilly nei suoi racconti brevi, opportunamente intitolati Le diaboliche (1874), fornisce un ricchissimo assortimento di donne fatali dal carattere diabolico: questi brevi racconti meritano di essere letti!

   Certamente una "donna fatale" è Nana (1880) l’omonima protagonista del romanzo di Émile Zola. Nana, pur non essendo enigmatica e misteriosa, infiamma di passione gli uomini ed è causa della loro rovina. La fine di Nana, morta di vaiolo proprio alla vigilia della guerra franco-prussiana, incarna la fine di un’epoca: personaggio "fatale" per raccontare un momento "fatale". Zola trasforma la sua eroina nella Grande Tentatrice, una "mosca dorata" che emerge dai sobborghi per vendicare i derelitti portando devastazione tra i borghesi con la sua travolgente sensualità: anche questo romanzo merita di essere letto… 

Non è da meno il personaggio fatale di Lulù di Frank Wedekind che è la protagonista di due drammi Lo spirito de la terra (1893) e Il vaso di Pandora o Lulù scritto nel 1894, rappresentato nel 1904, da cui il regista G. W. Pabst ha tratto un film, Lulù, nel 1928 e il musicista Alban Berg nel 1937, prendendo spunto da questo dramma, ha composto un’opera dal titolo Lulù (I drammi di Wedekind meritano una partecipazione a teatro, il film di Pabst marita di essere visto e l’opera di Alban Berg merita di essere ascoltata…).

    Ancora una citazione che ha come protagonista una "donna fatale" del passato. Uno dei primi romanzi (1842) di Gustave Flaubert s’intitola Novembre e descrive un adolescente in età da turbamento che fantastica di «fuggire con Cleopatra» sulla sua «antica galea». Questo collegiale imberbe, che freme di malinconie e desideri, incontra quella che lui crede una "Cleopatra", infatti conosce per la prima volta l’amore carnale incontrandosi con una giovane prostituta, la quale, esternamente, per tutti, rappresenta una "femme fatale", ma in realtà questa persona ha un cuore vergine e un animo assetato di sincerità: questo breve romanzo – delicato, romantico, poetico – merita di essere letto…

   In un articolo apparso l’11 marzo 1860 sul celebre "Journal" èdito dai fratelli Edmond e Jules de Goncourt, loro stessi, in veste di giornalisti, raccontano di una visita al salotto di Adolphe Dennery. In questo articolo – che non casualmente utilizziamo come esempio – i fratelli de Goncourt descrivono l’amante di questo signore, Gisette, con le seguenti parole:

 LEGERE MULTUM….

 Edmond e Jules de Goncourt, dal «Journal» (11 marzo 1860)

Adolphe Dennery ha un’amante, è l’emblema del suo salotto, un emblema che inquieta e che turba: il suo nome è Gisette. Ogni donna rappresenta un enigma, ma lei è la più misteriosa di tutte Simile a una cortigiana del sedicesimo secolo, è tutta istinto e nessuna regola, e mostra, come una maschera incantata, il sorriso colmo di notte de La Gioconda.

Non si poteva mai sapere se voleva venire a letto con te o soltanto prenderti in giro.

   Qui c’è poco da commentare: la femme fatale e La Gioconda sono presenti, ormai, nello stesso contesto.

   E questa sera abbiamo appena il tempo per mettere in evidenza un solo tassello di questo vasto paesaggio intellettuale, abbiamo appena il tempo di farci una domanda e di dare una risposta molto circoscritta: chi è il personaggio che, sul piano letterario, contribuisce maggiormente a creare l’idea che La Gioconda corrisponda ad una femme fatale, ad una donna fatale?

   Questo personaggio è uno scrittore e si chiama Théophile Gautier (1811-1872)  che – utilizzando le affermazioni letterarie su La Gioconda scritte da Byron, da Pùškin, da Lermontov – diventa il principale creatore dell’immagine di Monna Lisa come donna misteriosa, "donna fatale", dallo strano sorriso enigmatico. La fama di Gautier, prospera, ancora oggi, per la sua definizione del "sorriso" de La Gioconda. Oggi, quando si commenta il "sorriso enigmatico e misterioso" del ritratto di Monna Lisa non si fa altro che riecheggiare l’opinione sostenuta da Gautier e dal suo circolo culturale alla metà dell’800: noi sappiamo (lo abbiamo studiato) che non è un’opinione sua, ma lui è stato capace di svilupparla e di divulgarla.

   Théophile Gautier è uno scrittore di rilievo, è autore di romanzi di successo come Mademoiselle de Maupin (1835-36), Capitan Fracassa (1853), poi ha scritto libri di viaggio, e libretti per balletti come Giselle e La Péri. La fama delle sue poesie si è accresciuta per opera dei numerosi compositori – Berlioz, Offenbach, Bizet, Massenet e altri ancora – che le hanno musicate e il catalogo Lovenjoul (1899) elenca non meno di 476 chansons basate sulle sue poesie. A Gautier, «poeta impeccabile, mago perfetto della letteratura francese», Charles Baudelaire ha dedicato la raccolta di poesie I fiori del male (1857).

   Gautier è stato il più stimato e popolare critico d’arte attivo a Parigi alla metà dell’800. Ha studiato all’Accademia delle belle arti con l’intenzione di diventare un artista, ma poi si è presto dedicato alla letteratura, e i suoi scritti conservano una forte connotazione visiva. Nel 1856 Théophile Gautier diventa editore di l'Artiste, la rivista fondata da Arsène Houssaye, che è un fervente ammiratore di Leonardo: questa rivista contribuisce in modo decisivo a divulgare il mito di Leonardo e il "sorriso enigmatico e fatale" de La Gioconda.

   I commenti di Gautier hanno sempre avuto un’enorme influenza sul mondo dell’arte parigino: «La sua lode è sufficiente per vendere un’opera d’arte… Non c’è pittore, scultore, attore, scrittore, acrobata» – scrive un suo biografo – «che non si rivolga a lui per domandare il suo sostegno».

   Tra il 1836 e il 1855 Gautier scrive oltre mille articoli, in gran parte sull’arte, per La Presse (La Stampa), uno dei primi quotidiani europei ad ampia diffusione e tutta l’elite letteraria li legge con ammirazione. Gautier è al centro della vita artistica parigina, dunque europea, e si trova nella posizione ideale per influenzare il gusto tanto degli intellettuali quanto dell’opinione pubblica in generale. E la sua popolarità è tale che, dopo la pubblicazione dell’articolo intitolato Una visita al signor Ingres (1847), in cui tesse le lodi del pittore dopo esserlo andato a trovare nel suo atelier, nel giro di una settimana, più di tremila persone vanno a visitare lo studio dell’artista e devono intervenire i gendarmi per regolamentare i flussi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Che cosa vanno a vedere – incuriositi dall’articolo di Gautier – migliaia di cittadini parigini nell’ atelier del pittore Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867)? A questo punto viene anche a noi la curiosità di andare a fare una visita nello studio dell’artista, utilizzando l’enciclopedia, o un catalogo o la rete…

E poi se, alla vista delle sue opere, "qualcosa" vi colpisce è utile esprimerlo: scrivendo quattro righe in proposito…

   I romanzi di Gautier e le sue opere in versi presentano continui riferimenti a pittori e dipinti, le sue descrizioni dei paesaggi e delle persone sono intensamente pittoriche, e sono condizionate dalla bellezza visiva. Gautier considera la pittura ritrattistica una forma d’arte superiore quando riesce a "rivelare il pensiero oltre le fattezze e l’interiorità dietro l’apparenza". Gautier ha la stessa opinione di Leonardo il quale, nel Trattato della pittura ha scritto che: «Il buon pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’essere umano ed il concetto della mente sua. Dipingere l’essere umano è facile, dipingere il concetto della mente sua è difficile».

   Gautier non reputa la sua produzione di critico d’arte un genere a parte rispetto alla produzione narrativa e poetica: gli scrittori, ritiene, sono i migliori critici d’arte, ed è loro compito "svelare" quel che resta invisibile, oscuro e inafferrabile nell’opera. Bisognerebbe (lo metto al condizionale…) ricordare che questa intuizione di Gautier ha fatto scuola nella letteratura, soprattutto nella letteratura contemporanea: si moltiplicano i romanzi in cui si tiene desta l’attenzione dei lettori con i (spesso presunti) lati oscuri, misteriosi, inquietanti, presenti (o inventati) delle opere d’arte. Théophile Gautier si considera sufficientemente dotato di sensibilità e di introspezione per indagare a fondo il famoso ritratto di Monna Lisa. Nel dipinto – o forse sarebbe meglio dire nella modella – scopre quelle immagini e quelle fantasie che si agitano nella sua mente e nella mente degli intellettuali di tutta una generazione.

   Nei suoi romanzi, Gautier ha spesso utilizzato la figura della donna inquietante, minacciosa, esotica, la "femme fatale": quel genere di donna che porta alla rovina l’uomo che se ne innamora. Per i suoi personaggi femminili si ispira all’antichità: a Cleopatra, a Elena di Sparta e a tante altre donne oscure e misteriose. Le sue donne "fatali" provengono spesso dal sud – sono italiane, zingare, ebree o in genere orientali – cosicché la "femme fatale" fa parte di un altro ben noto cliché: il contrasto tra la bionda fanciulla del nord, algida e fredda, e la sensuale e peccaminosa bellezza scura del mediterraneo.

   La narrativa di Gautier è dominata dall’ossessione per la bellezza: nei suoi testi le labbra appaiono sempre brillanti, invitanti e tentatrici, il corpo è di un bianco eburneo, il petto è pieno. Si può conquistare la virtù, indulgere nel vizio o rinunciarvi, ma la bellezza è un dono divino, irraggiungibile per chi non la possiede. Dalle sue descrizioni delle forme femminili emerge una straordinaria sensualità. Talvolta nei suoi racconti inserisce anche uomini di eccezionale avvenenza e, quasi a voler sottolineare che la bellezza è una prerogativa delle donne, spesso aggiunge che sono «troppo belli», quasi femminili. Quello dell’androginia – della non precisa identificazione con un sesso: una persona che potrebbe essere tanto un uomo quanto una donna – è un altro tema ricorrente nella narrativa di Gautier, ed è un tema che emerge dal romanticismo e che si svilupperà in seguito. Gautier non ama gli uomini troppo "mascolini", e trova il David di Michelangelo troppo imponente, robusto, con mostruosi bicipiti, «uno scaricatore forzuto – scrive – in attesa di caricarsi un sacco sulla schiena» (Preferisce Donatello…).

   Gautier ha partecipato con un interesse profondo al vivace dibattito intorno all’idea della Bellezza, e se – abbiamo detto – lo sguardo della Bellezza è biforcuto (da una parte benevolo e dall’altra inquietante), ebbene Gautier – anche se sembra esaltare maggiormente lo "sguardo inquietante" della Bellezza – in realtà tende, nelle sue opere, a far emergere la complementarietà dei due sguardi. Il "bello" si manifesta in una sintesi data tanto dalla benevolenza che porta con sé, quanto dall’inquietudine che porta con sé.

   L’arte narrativa di Théophile Gautier possiede un’enorme forza descrittiva (le trame delle sue opere risultano invece abbastanza deboli), mentre risalta sempre, nei suoi testi, l’esercizio della critica d’arte. La sua attività di critico d’arte è così saldamente incorporata nel racconto che fra i due generi – il saggio critico e il romanzo – si percepisce solo una differenza minima.

   I romanzi e le opere poetiche di Théophile Gautier sono interessanti da leggere anche perché in esse non manca mai la Storia dell’Arte: i quadri, le sculture, le architetture, i musei, gli artisti diventano protagonisti. Anche il personaggio letterario della "femme fatale", della "donna fatale" – per Théophile Gautier – possiede tutte le caratteristiche tipiche di un’artista e anche le qualità specifiche di un’opera d’arte. Se la "femme fatale", la "donna fatale", non avesse le doti di "un’artista" e non fosse equiparabile ad "un’opera d’arte" non potrebbe avere il potere di sottomettere totalmente gli uomini. Gautier ha interiorizzato così profondamente il concetto della superiorità della "femme fatale", della "donna fatale", alla quale gli uomini si devono sottomettere totalmente, da manifestarlo nella sua vita privata.

   Théophile Gautier, fra alti e bassi, per quasi trent’anni ha rincorso invano una donna: Carlotta Grisi, una delle maggiori ballerine di tutti i tempi. Nel giugno 1841, Carlotta Grisi è stata la prima a danzare Giselle, il cui libretto, composto da Gautier, narra la storia delle anime delle ragazze morte prima del matrimonio. È proprio in questa circostanza che Gautier s’invaghisce di Carlotta Grisi. La cosa un po’ strana è che lui ha intrattenuto una lunga relazione con la sorella di lei, la cantante d’opera Ernesta Grisi, dalla quale ha avuto due figlie. Carlotta ha sempre respinto le lusinghe di Gautier, ma è evidente che nutre un certo sentimento, per lo meno di amicizia, nei suoi confronti. Le lettere che Carlotta Grisi ha scritto a Théophile Gautier, quando ormai era una signora di mezz’età, dimostrano ampiamente la profonda amicizia e l’interesse che coltiva per lo scrittore. Dopo il 1865, quando ebbe termine la relazione sentimentale che Carlotta Grisi intratteneva con un principe tedesco, il suo rapporto epistolare con Théophile Gautier s’intensifica. Gautier si reca spesso in visita da Carlotta nella sua casa di Ginevra.

   In una lettera inviatale l’11 gennaio del 1868 – quando il poeta aveva cinquantasei anni e Carlotta quasi cinquanta – lo scrittore sembra interpretare uno dei suoi personaggi chiedendo a Carlotta di giocare il ruolo della femme fatale. La lettera è stata scritta dopo un’ennesima visita a Ginevra, e Gautier lamenta che solo il suo corpo è ritornato a Parigi, mentre la sua anima è rimasta con lei e la segue ovunque. Ma leggiamo un frammento di questa lettera in cui si capisce bene come lui la consideri una "femme fatale", una "donna fatale": ma lei lo è davvero?

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Théophile Gautier, Corrispondenza generale (11 gennaio 1868)

Troppo spesso nei miei confronti voi siete così riservata, così impenetrabile, così avvolta nei veli della reticenza da trovare talvolta difficile capire quello che avete in mente [...] voi siete la mia vita, la mia anima, il mio eterno desiderio [...] tenete nelle vostre mani la mia felicità e la mia disperazione. Potete esserne certa, oh malvagia, oh crudele, oh ingiusta! O Monna Lisa! Perché farmi attendere così a lungo dopo avermi lasciato sperare [...]. Cosa dovrei fare per ottenere il vostro cuore? Non aspettate la mia morte per avere pietà di me [...]. Lasciatemi fantasticare di tenervi tra le braccia, vicino al cuore, e di respirare la vostra anima dalle vostre labbra, mentre voi non rifiutate le mie. Indissolubilmente, ostinatamente e appassionatamente vostro:

Théophile

   Nella lettera di Carlotta del 27 gennaio (quindici giorni dopo) non ci sono tracce di risposta alle domande "fatali" che il poeta le pone. Nella sua risposta Carlotta, manifesta, come sempre, un tono amichevole, forse anche troppo confidenziale e per nulla "fatale". Al poeta – che le aveva confessato di nutrire per lei una passione inestinguibile – Carlotta rivolge ben altre domande, molto più concrete: chiede che cosa si dovesse fare delle sei paia di calzini che gli erano stati confezionati a quindici franchi ogni dieci paia. Scrive Carlotta: «Mio caro Théophile, i calzini vi devono essere spediti a Parigi? Oppure mandate qualcuno a prenderli?». (E soprattutto, tra le righe, domanda: «Ma, li devo pagare io, questi calzini?"»).

   Non sappiamo se la cosa fece irritare Gautier: forse si sarà consolato al pensiero che l’episodio dei calzini era solo l’ultima trovata di una "femme fatale" che voleva continuare a imporre il suo potere su di lui.

   È evidente che Gautier, nella finzione come nella realtà, spesso trasforma delle donne desiderabili in donne fatali dominanti, e alla fine anche La Gioconda ha subìto un simile trattamento: citiamo solo una testimonianza. Nel 1855 viene rappresentata a Parigi una commedia di Paul Foucher e Régnier, intitolata La Gioconda. In questa commedia si narra la storia banale di Gioconda, una giovane di buona famiglia rimasta orfana e sola al mondo, che alla corte di un ricco principe preferisce il matrimonio con un giovane povero. Théophile Gautier scrive sulla rivista Il Monitore universale, in data 26 novembre 1855, una durissima recensione. Leggiamone un frammento.

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 Théophile Gautier, Il Monitore universale (26 novembre 1855)

La Gioconda! Questo nome evoca immediatamente in me la sfinge della bellezza dal sorriso così misterioso del dipinto di Leonardo da Vinci, che sembra proporre un enigma ancora irrisolto attraverso secoli di ammirazione. È pericoloso evocare uno spettro simile, la piegatura delle sue labbra sembra stia per erompere in un sarcasmo divino, in un’ironia celestiale, in una derisione angelica; un qualche intimo piacere, il cui segreto non riusciamo a comprendere a fondo, fa sì che queste labbra prendano una piega insolita. Chi non ha mai contemplato per ore questa testa immersa nelle mezze tinte, avvolta da veli traslucidi? Il suo sguardo, che suggerisce piaceri ignoti, appare divinamente ironico. La sua presenza ci turba con la sua aura di superiorità. Il suo sguardo nasconde segreti proibiti, il sorriso beffardo è quello degli dèi onniscienti che disprezzano la volgarità degli esseri umani. L’ideale femminile non è mai stato rappresentato in una forma ineluttabilmente più seducente. Se Don Giovanni l’avesse conosciuta, avrebbe rinunciato alle tremila donne che si vantava di aver posseduto.

Gli sfortunati autori di questa commedia non hanno tenuto conto delle aspettative che avrebbero suscitato utilizzando questo nome formidabile. Avrebbero dovuto trascorrere un giorno al Louvre prima di farlo. Si sarebbero dovuti mettere insieme Shakespeare, Goethe, Byron e Pùškin per reggere la sfida.

   Con queste parole, enfatiche, il mito de La Gioconda – misteriosa, enigmatica, "fatale" – comincia ad essere divulgato a livello di massa, e il divulgatore per eccellenza è Théophile Gautier. Nel 1867 Gautier aggiunge gli ultimi ritocchi a una delle sue opere più famose e divulgative in cui si trova un’ampia presentazione letteraria de La Gioconda. Quest’opera è una guida e s’intitola Guida al museo del Louvre per il visitatore appassionato. Con questo testo Théophile Gautier ci accompagna in visita al famoso museo e ci conduce nel Salon Carré, il "tempio dell’Arte", dove si tiene, scrive, «la più illustre adunanza di pittori al mondo». Quasi prendendoci per mano, Gautier – facendo quello che dopo di lui moltissime guide avrebbero fatto – ci indica La Gioconda, «questo miracolo della pittura, quest’opera – scrive – che, secondo noi, si è avvicinata di più alla perfezione».

   Il suo amore per la «Monna Lisa del Giocondo», scrive, non è recente; «la mia passione per alcuni esseri umani non è durata così a lungo» afferma, dimenticando, forse, la sua duratura e intramontabile passione per Carlotta Grisi. Poi conclude con queste parole: leggiamole.

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 Théophile Gautier, Guida al museo del Louvre per il visitatore appassionato (1867)

L’ho vista spesso, da allora, questa adorabile Gioconda. È sempre lì che sorride sensualmente, prendendosi gioco dei suoi numerosi amanti. Ha l’espressione serena della donna che ha la sicurezza di rimanere per sempre bella e di superare in magnificenza l’ideale di artisti e poeti.

   Con queste parole salutiamo La Gioconda: probabilmente la incontreremo ancora su altri sentieri…

   E così – incontrando la figura letteraria della "donna fatale" – abbiamo fatto anche il nostro secondo passo verso la conclusione, e questo passo ci ha riportato a Parigi. Théophile Gautier è stato, naturalmente, un ammiratore di Vivant Denon. A questo personaggio, a Vivant Denon – il creatore del museo del Louvre, colui che ha scritto (1802) la prima descrizione ufficiale de La Gioconda – che abbiamo imparato a conoscere bene perché ci ha accompagnato, con la sua presenza fattiva, nella prima parte del nostro Percorso, è dedicato il terzo passo di questo itinerario finale.

   Il terzo passo è in funzione della lettura e della scrittura. A Parigi una sera qualunque di uno degli ultimi anni dell’Ancien Régime, in uno dei tanti salotti della città, un gruppo di amici si pone la seguente questione: è possibile raccontare una storia erotica senza usare parole sconvenienti, termini indecenti, ma utilizzando soltanto espressioni "galanti"? Tutti i presenti pensano non sia possibile, tranne uno: il giovane Vivant Denon. Per dimostrare la sua tesi, il giovane Vivant Denon scrive un racconto che s’intitola Senza domani. Questo racconto oggi rimane come un esempio molto significativo per rappresentare un’epoca: l’epoca del "romanticismo galante", un’epoca di cui noi – con la complicità dell’immagine di Monna Lisa – abbiamo acquisito le principali "chiavi di lettura". In poche pagine, con scansione impeccabile, Vivant Denon racconta una storia di seduzione, di inganno ma anche di felicità che si apre e si chiude nel corso di una notte. Con mano leggera, ma con segno preciso, Vivant Denon afferra, come per gioco, l’effimero in tutta la sua magia e in tutte le sue sfaccettature. Chi legge questo breve e seducente racconto si trova immerso nel clima del "romanticismo galante".

   Abbiamo iniziato questo Percorso in compagnia di Vivant Denon e penso sia giusto concludere con lui che è stato – come sappiamo, come abbiamo studiato – uno dei protagonisti del "movimento culturale romantico".

   E ora leggiamo l’incipit, leggiamo l’inizio di Senza domani: seguiamo il protagonista, naturalmente provvisto di maschera, nel "boschetto labirintico" (il mito greco emerge sempre) che fa da palcoscenico a questa avventura galante".

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 Vivant Denon, Senza domani (1777)

Amavo perdutamente la Contessa di; avevo vent’anni, ed ero ingenuo; lei mi ingannò, io mi arrabbiai, lei mi lasciò. Ero ingenuo, la rimpiansi; avevo vent’anni, mi perdonò: e poiché avevo vent’anni, poiché ero ingenuo, ancora ingannato, ma non più lasciato, mi credevo l’amante più amato, e quindi il più felice degli uomini. Lei era amica di Madame de T, che sembrava avere qualche progetto sulla mia persona, purché la sua dignità non ne venisse compromessa. Come si vedrà. Madame de T aveva dei princìpi di decenza ai quali si atteneva scrupolosamente. Un giorno, che mi disponevo ad aspettare la Contessa nel suo palco, mi sento chiamare dal palco vicino. Non era proprio la decente Madame de T? «Come! Di già?» mi sento dire. «Lì senza far niente! Ma allora venite qui da me». Io ero ben lontano dal prevedere tutto ciò che questo incontro avrebbe avuto di romanzesco e di straordinario. Va in fretta, la fantasia delle donne: e in quel momento quella di Madame de T ebbe una singolare ispirazione. «Bisogna» mi disse «che vi salvi dal ridicolo di una simile solitudine: visto che ormai ci siete, bisogna Un’idea eccellente. Sembra che una mano divina vi abbia guidato qui. Non avrete per caso dei progetti per la serata? Sarebbero vani, vi avverto; niente domande, niente resistenza chiamate i miei domestici. Siete delizioso». Io mi prosterno vengo esortato a uscire, obbedisco. «Andate a casa del signore» viene ordinato a un domestico «e avvertite che stanotte non rientrerà». Poi gli vien detta qualche parola all’orecchio, e lo si congeda. Io tento di dire qualcosa, l’opera ha inizio, vengo fatto tacere: si ascolta, o si fa finta di ascoltare. Non appena finisce il primo atto, lo stesso domestico torna con un biglietto per Madame de T, e le dice che tutto è pronto. Lei sorride, mi chiede di porgerle la mano, esce, mi fa salire sulla sua carrozza, e io mi ritrovo fuori città prima ancora di aver potuto chiedere che cosa si volesse fare di me. Ogni volta che azzardavo una domanda, la risposta era una risata. Se non avessi saputo per certo che era donna di grandi passioni, e che proprio in quel momento aveva un’inclinazione, inclinazione della quale non poteva ignorare che io fossi al corrente, sarei stato tentato di credere a un successo galante. Lei pure, del resto, conosceva la situazione del mio cuore, poiché la Contessa di era, come ho già detto, intima amica di Madame de T Mi vietai dunque ogni idea presuntuosa, e attesi gli eventi. Cambiammo i cavalli, e ripartimmo con la velocità del fulmine. La cosa cominciava a sembrarmi più seria. Chiesi con più insistenza fin dove mi avrebbe portato quello scherzo. «Vi porterà in una bellissima dimora; cercate di indovinare, ve la do a mille a casa di mio marito. Lo conoscete?». «Per nulla». «Penso che sarete contento di saperlo: ci stanno riconciliando. Le trattative vanno avanti da sei mesi, e da un mese ci scriviamo. Mi sembra assai cortese, da parte mia, andarlo a trovare». «Sì: ma di grazia, che cosa c’entro io? A che mai potrei servire?». «Questo è affar mio. L’idea di restare sola con lui mi dava noia: voi siete simpatico, e mi fa piacere avervi con me». «Scegliere proprio il giorno di una rappacificazione per presentarmi, a me pare una stravaganza. Mi fareste quasi credere di essere un uomo da nulla. Aggiungete a questo l’aria imbarazzata che si ha in occasione di un primo incontro. A dire il vero, non vedo nulla di piacevole per nessuno di noi tre in quello che state facendo». «Ah, niente prediche, vi scongiuro; assolvete male al vostro compito. Voi dovete divertirmi, distrarmi, e non farmi la morale!». La vidi così risoluta che decisi di esserlo quanto lei. Mi misi a ridere del mio comportamento e fummo subito di eccellente umore.

   Il quarto è ultimo passo di questo itinerario finale è rivolto all’avvenire, al prossimo inizio autunnale, ai Percorsi futuri. Abbiamo detto più di una volta che dall’incontro tra le caratteristiche del "romanticismo titanico" con le caratteristiche del "romanticismo galante" prende forma lo straordinario genere letterario del "romanzo", quello che chiamiamo "il romanzo dell’800". Ebbene una delle componenti fondamentali che definiscono il "romanzo dell’800" è la Storia. Gli "avvenimenti storici" e i "personaggi storici" irrompono nel genere letterario del "romanzo" e convivono, s’intrecciano, con gli "avvenimenti" e i "personaggi" inventati, immaginati dagli scrittori. Attenzione però: anche questi avvenimenti immaginati e i personaggi inventati conservano una grande aderenza con gli avvenimenti e i personaggi della "realtà" perché spesso rappresentano "l’autobiografia" degli autori.

   Naturalmente, a questo punto, ci troviamo di fronte alla prime grandi domande che danno vita a un altrettanto grande e interessante dibattito che ha investito il mondo della cultura e la Storia del Pensiero Umano (la Stopenum) dalla metà dell’800 in avanti: chi fa la Storia? Chi sono i protagonisti della Storia? Sono i "grandi uomini" che, con le loro decisioni, determinano lo svolgersi della Storia?

   Oppure sono i piccoli gesti che "ogni anonima persona" compie a determinare lo svolgersi degli avvenimenti e della Storia? E poi: la Storia dipende da un "provvidenziale progetto soprannaturale"?

   Oppure gli avvenimenti storici sono in "balìa del caso"? Oppure c’è una "necessità insita nell’esistenza stessa" che determina la Storia? Queste sono le prime grandi domande – che ne generano molte altre, a grappoli – alle quali gli scrittori, i filosofi e le donne egli uomini del tempo cercheranno di dare delle risposte all’interno di correnti di Pensiero che dovremo studiare.

   Uno degli esempi più classici che possiamo fare sull’irruzione della Storia nei romanzi è Guerra e pace di Leone Tolstòj. Abbiamo citato costantemente questo libro non per scherzare ma con un obiettivo didattico ben preciso: questo Percorso è anche un "modesto strumento" che aspira a favorirne la lettura. Ebbene Guerra e pace termina con un lungo Epilogo diviso in due parti: la prima parte dell’Epilogo chiude il romanzo, la seconda parte dell’Epilogo contiene una complessa riflessione che inizia con queste parole: L’oggetto della storia è la vita dei popoli e dell’umanità.

   E la Storia, attraverso il "romanticismo", si presenta sulla scena culturale, non solo sul terreno della letteratura ma anche su quello della filosofia.

   Per introdurre questo argomento, per introdurre il tema della Storia di cui ci occuperemo nei Percorsi futuri facciamo ancora un passo in compagnia di Friedrich Schiller. Nel 1789 – su interessamento di Goethe – Schiller viene nominato professore di storia all’Università di Jena e le sue lezioni risultano entusiasmanti e di grande interesse per gli studenti. Il discorso, tenuto da Schiller, per l’inaugurazione delle sue lezioni di storia all’Università di Jena s’intitola: Che cosa significa la storia universale e per quale scopo la si studia? Questo discorso è stato pubblicato ed è diventato famoso! Ispirandosi a Herder e a Kant, Schiller sostiene la tesi che la storia, non deve essere insegnata per inculcare uno spirito nazionalistico ma, deve essere insegnata come "rappresentazione del mondo morale". La storia deve essere insegnata come esempio per l’educazione morale: dagli avvenimenti storici (dal passato, remoto e recente) dobbiamo imparare a prendere le decisioni del presente, tenendo conto che, oggi – scrive Schiller – una decisione presa qui, finisce per coinvolgere tutto il mondo! Una scelta in favore del bene fatta qui e ora, migliora, anche se impercettibilmente – scrive Schiller – le condizioni morali dell’umanità. Una scelta in favore del bene è sempre una "scelta storica"! Di conseguenza – secondo Schiller – lo studio della storia deve: "esaltare le scelte in favore del bene, in favore della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità (siamo nel 1789)". Lo studio della storia non deve quindi esaltare le "presunte grandezze" dei singoli staterelli, ma deve contribuire allo sviluppo umano dell’individuo e della società universale, quindi, dal punto di vista didattico – scrive Schiller – è necessario studiare la "storia universale dei popoli", considerando i meriti e gli errori come ammonimenti per l’educazione morale dei cittadini, non come elementi strategici per definire meglio le mosse in funzione della conquista del potere. La Storia va studiata in funzione dell’educazione morale dei cittadini.

   A Jena, sulla base di queste idee, Schiller scrive alcuni saggi storici importanti, inoltre si dedica allo studio approfondito delle opere di Omero e di Euripide. Traduce, a scopo didattico, molti capolavori classici, tra cui la tragedia: Ifigenia in Aulide di Euripide, su cui – nel 1789 – tiene un corso, sul tema della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità (questo corso "infiamma gli studenti"!). Infine – e questa è la cosa più importante che dobbiamo ricordare questa sera – Schiller studia, traduce, e propone ai suoi studenti Le storie di Erodoto come esempio di analisi storica di carattere universale. Certamente: Erodoto è un greco vissuto circa 2500 anni fa, e si sente profondamente tale, però viaggia, osserva, riflette e considera i fatti, gli avvenimenti, gli usi, i costumi, i pensieri e la morale altrui con grande rispetto. Schiller comincia a menzionare Erodoto come: "padre della storia". All’Università di Jena – per merito di Schiller – balza in primo piano tanto la disciplina storica quanto la figura di Erodoto di Alicarnasso. All’Università di Jena passano – anche attraverso la cattedra di storia – prima, Johann Fichte (nel 1794) di cui abbiamo studiato il pensiero, e poi, nel 1801, comincia a insegnare a Jena, occupandosi anche di storia, un certo Georg Hegel, che incontreremo, prossimamente, sul nostro cammino 2005-2006.

   Questo significa che sarà utile seguire il consiglio di Schiller e occuparsi – con un Percorso – nell’autunno-inverno 2005-2006, de Le Storie di Erodoto. Quali modelli, quali parole-chiave, quali idee significative ci sono – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – dentro lo sguardo di Erodoto? Se la disciplina storica comincia di lì, ebbene, prima di affrontare il tema hegeliano della "filosofia della storia", dobbiamo riflettere sull’origine tradizionale della storia. Quando le storie (con la "s" minuscola) diventano la Storia (con la "S" maiuscola)?

   Questa sera i nostri Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura superano il traguardo del ventesimo anno di attività e possono vantare quindi – seppure senza pretese – una loro piccola storia (con la "s" minuscola) che si colloca nell’ampio alveo della Storia (con la "S" maiuscola) del Movimento che – dalla fine dell’800 – lotta, studia, lavora e intraprende per costruire un sistema (pubblico, gratuito, graduale e continuo) sempre più efficace di Educazione degli Adulti; un po’ di strada è stata fatta, molta ne rimane da fare e anche tutti noi, molto umilmente, ne siamo protagonisti: prendiamone atto! Questa "storia" l’hanno costruita – prima di tutto – i cittadini che hanno partecipato e che partecipano a questo Movimento e, nei nostri Percorsi, hanno dato un contributo significativo i cittadini che hanno scritto, arricchendo con i loro Pensieri la biblioteca itinerante e le pagine de L’ANTIbagno. La ricca (per la quantità e per la qualità) "biblioteca itinerante" contiene un frammento di quel grande mosaico (Averroè lo chiama l’Intelletto Universale) che rappresenta la Storia del Pensiero Umano.

   L’ultimo atto – visto che ci stiamo occupando di Storia – è quello di dedicarci alla cronologia: prendete l’agenda – ma avete già ricevuto il "programma" (che può essere divulgato) – e scrivete la prossima data d’inizio:

Scuola "Francesco Redi" di Bagno a Ripoli, mercoledì 12 ottobre 2005, ore 21

Scuola "Primo Levi" di Tavarnuzze-Impruneta, giovedì 13 ottobre 2005, ore 21

Scuola "Don Milani" di Firenze, venerdì 14 ottobre 2005, ore 17

   Arrivederci, in questa data con il proverbiale: accorrete numerosi, la Scuola è (o dovrebbe essere) qui e, in questa forma, ha appena compiuto vent’anni…

   Buone vacanze.

  INVESTIRE IN INTELLIGENZA

ci ragiono e scelgo…

Leggi con attenzione queste parole che fanno riferimento al "romanticismo galante"…

il museo, il fascino, la galanteria, il ritratto, il diario, l’autoritratto,

l’artificio, l’incisione, la relazione, il catalogo, l’opposizione, la benevolenza,

il turbamento, la magia, la corrispondenza, il diabolico, l’affinità, l’ombra,

la patria, la nazionalità, la coscienza civile, il mistero, la gelosia,

la notte, il sospetto, l’indagine, la sfida, il ridicolo, l’onore,

il rifiuto, la compromissione, la chiacchiera, l’isolamento.

 

Scegli non più di tre di queste parole-chiave

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ci ragiono e scelgo…

Leggi con attenzione queste parole che fanno riferimento al "romanticismo titanico"…

il sublime, l’emozione, la fede, la storia, l’irrazionalità, l’infinito,

la tensione, la nostalgia.

Scegli una di queste parole-chiave

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Lezione del: 
Venerdì, Maggio 27, 2005