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"BEATO IL PAESE CHE NON SMETTE MAI IL LUTTO PER I SUOI POETI"…

Lezione N.: 
27

Prof. Giuseppe Nibbi         Tra ‘700 e ‘800: il sorriso de La Gioconda 2005       11-12-13 maggio 2005

 "BEATO IL PAESE CHE NON SMETTE MAI IL LUTTO PER I SUOI POETI"…

   Sono ben quattro settimane che ci stiamo occupando della cosiddetta "fine di Pùškin". Perché ce ne stiamo occupando? Perché questo avvenimento rappresenta un paesaggio intellettuale che è diventato mitico all’interno del vasto territorio del "romanticismo titanico e galante". Ma soprattutto a noi – che stiamo portando a termine un Percorso di didattica della lettura e della scrittura – interessa viaggiare all’interno di questo avvenimento, che ha assunto da subito, dal 1837, le caratteristiche dell’epopea, perché, osservando questa memorabile vicenda, possiamo mettere a fuoco una serie di parole-chiave. Le parole che abbiamo già catalogato, negli itinerari precedenti a questo, in relazione al racconto della "fine di Pùškin sono: la corrispondenza, la sfida, il ridicolo, l’indagine, l’onore, la rappresaglia, il chiacchiericcio (o le voci), la compromissione.

   Queste parole, a loro volta, contengono alcune idee-significative che fanno parte del territorio del romanticismo proprio nel punto in cui l’elemento titanico e l’elemento galante s’incontrano e s’intrecciano: in quel punto prende forma il genere letterario del "romanzo", più precisamente del "romanzo dell’800". Inoltre, l’avvenimento della "fine di Pùškin" – sempre nel contesto di un Percorso di didattica della lettura e della scrittura – ci ha messo in comunicazione con un interessante libro da leggere: Il bottone di Pùškin della professoressa Serena Vitale.

   Di questo libro ne abbiamo già utilizzato molti tasselli e ne utilizzeremo ancora qualcuno ma, i frammenti che abbiamo letto, rappresentano (se vogliamo usare una metafora) solo una goccia in una cantina ben fornita, questo libro è ancora tutto da leggere: noi abbiamo soltanto fatto degli assaggi. Il bottone di Pùškin ci presenta, come in un romanzo, attraverso la "corrispondenza", la narrazione – nei suoi elementi conosciuti – della "fine di Pùškin", ma non solo, ci presenta anche un ambiente, una mentalità, un costume, una visione: lo spaccato di un’epoca che è stata definita "romantica".

   A che punto siamo arrivati nella narrazione della vicenda a cui è stato dato il titolo di la "fine di Pùškin"? Siamo arrivati all’epilogo finale. E l’epilogo finale ha inizio quando mancano dieci minuti alle quattro pomeridiane del 27 gennaio 1837. Il 27 gennaio 1837, alle quindici e cinquanta, Pùškin e il suo padrino Kostantin Karlović Danzas salgono sulla slitta che li attende in strada, davanti alla casa del poeta. Sono già un po’ in ritardo e Pùškin è preoccupato di non arrivare puntuale sul luogo concordato per il duello con Georges d’Anthès. Ma lasciamo che questi drammatici avvenimenti ce li racconti il testo del libro che stiamo utilizzando.

 LEGERE MULTUM….

Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

La slitta partì in direzione della Neva. Sul quai du Palais incrociò la carrozza dei Pùškin: Natàl’ja Nikolaevna tornava a casa con i bambini. Danzas la riconobbe e per un istante sperò in un miracolo – «ma la moglie di Pùškin era miope e Pùškin guardava da un’altra parte». Sul fiume ghiacciato il poeta chiese all’amico: «Non mi starai portando alla Fortezza?».

... continua la lettura ...

   In realtà tra i duellanti è finita qui: non s’incontreranno mai più. Ciò che non finisce ma bensì aumenta è l’interesse per questo avvenimento, e ciò dipende da alcune circostanze che contribuiscono a creare l’enigma, il mistero e, di conseguenza, il mito. La prima circostanza "misteriosa" è legata a un bottone: non al bottone che manca alla bekeš’ – al vecchio cappotto foderato di pelliccia – di Pùškin di cui ci siamo occupati la scorsa settimana. La prima circostanza "enigmatica" (e qui continuiamo ad entrare in contatto con aggettivi – "misterioso", "enigmatico" – che richiamano anche Il sorriso de La Gioconda) è legata a un altro bottone: non a un bottone che manca a Pùškin ma bensì a un bottone del suo avversario. Pùškin sotto la pelliccia indossa la marsina nuova (che abbiamo già citato la scorsa settimana), un gilet scuro, una camicia e i pantaloni neri.

   Ma come è vestito quel giorno Georges d’Anthès? Non è un particolare di poco conto, come si potrebbe credere. Leggiamo che cosa scrive Žukovskij:  «A far cadere in terra d’Anthès fu solo una forte contusione: la pallottola perforò le parti carnose del braccio destro con cui si copriva il petto e da ciò indebolita andò a colpire il bottone con cui i pantaloni si reggevano a una delle bretelle». E Sophie Karamzina scrive:  «La pallottola gli (a d’Anthès) ha attraversato il braccio, soltanto la carne, e si è fermata all’altezza dello stomaco – un bottone dell’abito lo ha salvato, ha riportato soltanto una leggera contusione al petto».

    Questo salvifico bottone viene ricordato anche da Vjazemskij, da Danzas, e perfino dagli ambasciatori di Prussia e di Sassonia. Quindi quel piccolo cerchio di metallo, come un improvvisato scudo, sbarra la strada alla pallottola di Pùškin: un bottone salva la vita di Georges d’Anthès.

REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura

 Che cosa ti suggerisce la parola "bottone"?

 Scrivi quattro righe in proposito…

   Nel corso degli anni diverse generazioni di esperti balistici hanno studiato la traiettoria obliqua, dal basso verso l’alto, di questo proiettile sparato da Pùškin. Ma come è vestito quel giorno d’Anthès? Sotto il pastrano e la giacca dell’uniforme da cavaliere della guardia, quel gelido pomeriggio di gennaio – il termometro segna quindici gradi sotto lo zero – d’Anthès porta senz’altro una camiciola di flanella. Ma il suo abbigliamento, soprattutto il suo abbigliamento intimo – in questo secolo e mezzo – ha sempre creato dei sospetti e delle illazioni: per quale motivo?

   In un articolo apparso più di cinquant’anni fa su una rivista dal titolo Luci della Siberia, l’ingegner M. Komar si è chiesto come fosse possibile che una pallottola del diametro di un centimetro e mezzo, lanciata alla velocità iniziale di circa 300 metri al secondo, «rimbalzasse come una pallina» contro un bottone. Quel bottone avrebbe dovuto frantumarsi, e i suoi frantumi, come micidiali proiettili, avrebbero dovuto devastare il petto del cavaliere francese. Scrive testualmente l’ingegner Komar:  «L’ignobile boia (d’Anthès) prezzolato dagli aristocratici lacchè di Nicola e dallo stesso Nicola, andò al duello indossando sotto l’uniforme una corazza …di squame o lamine d’acciaio. Uno di quei marchingegni che all’epoca si potevano acquistare a Berlino».

   Secondo l’ingegner Komar l’astuto ambasciatore van Heeckeren aveva ordinato questo marchingegno già il 5 novembre 1836, al tempo della prima sfida, per questo motivo aveva pregato Pùškin di rimandare di due settimane il duello, proprio per attendere la consegna del prezioso oggetto. Si racconta che, agli inizi degli anni ’30 del ‘900, un letterato siberiano abbia scoperto, per caso, in un vecchio registro, che nel novembre 1836 in una cittadina della Siberia arrivò un messo dell’ambasciatore d’Olanda. Il misterioso viaggiatore si fermò per alcuni giorni in via degli Armaioli, perché? Per commissionare la sleale corazza che poi portò segretamente a Pietroburgo? La "versione della corazza" si è tramandata di generazione in generazione e ha imperversato in Unione Sovietica fino alla fine degli anni sessanta.

   C’è chi sostiene che questo argomento sia servito per mantenere vivo il ricordo di questo avvenimento, per continuare a tramandare il culto della "fine di Pùškin", e c’è chi pensa che dovremmo provare ammirazione per un paese in cui gli intellettuali e vasti strati della popolazione, continuano a dedicare molta attenzione per i propri poeti. Oggi gli esperti dichiarano che d’Anthès non poteva indossare una corazza andando a un duello: anche nel caso di una lieve ferita al collo o alla spalla sarebbe stato smascherato e sarebbe diventato lo zimbello dell’opinione pubblica.

REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura

Smascherare, sbugiardare, svergognare, sfatare, screditare, smentire, sconfessare… che cosa ti ricordano queste azioni?

Scrivi quattro righe in proposito…

   Però il dubbio, il mistero, l’enigma "della corazza" rimane e, ogni tanto, questo tema riemerge, leggiamo un frammento significativo.

  LEGERE MULTUM….

Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

( Il polverone si era ormai diradato quando nel 1969, concludendo un lungo saggio sulla fine di Pùškin, M. Jašin (biografo di Pùškin) stabilì una volta per tutte la verità sulla vessata questione: i Cavalieri della Guardia indossavano due tipi di giacca d’ordinanza, entrambi di panno verde e con bottoni d’argento: il primo tipo, a doppio petto, aveva due file di sei bottoni, il secondo, più lungo e a un solo petto, una fila di nove bottoni.

... continua la lettura ...

REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura

 Puntiamo ancora una volta la nostra attenzione sui poeti: verso quale poeta (uomo o donna che sia) si orienta maggiormente la vostra a attenzione? …

 Ci sono delle ragioni particolari per cui vi attrae?…

 Scrivete un verso – tratto dalle opere di questo poeta – che voi volete far conoscere ai lettori…

   Durante il viaggio di ritorno Pùškin sopporta con coraggio il dolore della ferita e prova a chiacchierare e perfino a scherzare con Danzas. Danzas non ha nessuna voglia né di chiacchierare né di scherzare: è molto preoccupato. Poi le fitte all’addome crescono in intensità e frequenza e Pùškin comincia a capire che la sua ferita è grave. Ma si preoccupa soprattutto per la moglie, e prega Danzas di non spaventarla se l’avessero trovata in casa al loro ritorno, e di tacerle le sue reali condizioni. La carrozza dell’ambasciatore raggiunse il n. 12 della Mojka intorno alle sei pomeridiane. Danzas si precipita nell’appartamento e, trafelato, spiega brevemente ai domestici che cosa è accaduto e li manda alla carrozza per aiutare Pùškin a scendere dalla vettura. Subito dopo entra, senza farsi annunciare, nel boudoir di Natal’ja Nikolaevna e la trova in compagnia di Aleksandrina, e le dice, ostentando una finta calma, che il marito si è battuto con d’Anthès ma che non c’è motivo di preoccuparsi, ha riportato solo una leggera ferita all’anca. Natal’ja corre all’ingresso e, nel vestibolo, vede il marito sanguinante, portato in braccio dal suo domestico Nikita Kozlov. Natal’ja lancia un urlo e perde i sensi.

   Pùškin vuole essere portato nel suo studio e dispone che gli preparino il divano per la notte. Si toglie gli abiti sporchi di sangue, indossa la biancheria pulita, e si corica. Solo allora fa chiamare Natal’ja la quale, rinvenuta, si precipita nello studio e Pùškin le dice subito: «Sta’ tranquilla, tu non hai colpa di tutto questo». Qui comincia "l’agonia di Pùškin" ma sarebbe meglio dire: qui Pùškin comincia a "recitare la sua agonia".

   Danzas, intanto, si mette alla ricerca di un medico. Passa da Arendt, poi da Salomon, poi da Person, ma nessuno di loro è in casa. La moglie di Person gli consiglia di provare all’Istituto per gli orfanelli, che non è distante da lì. Danzas arriva all’Istituto mentre sta uscendo il dottor Wilhelm von Scholz.  Scholz è un ostetrico, ma promette a Danzas di trovare chi possa occuparsi del ferito con maggior competenza. E, quindi, di lì a qualche minuto Scholz arriva nella casa sulla Mojka accompagnato dal dottor Sadler, il quale è reduce dall’ambasciata d’Olanda dove ha medicato il braccio di d’Anthès. Visitato il ferito, Sadler esce per procurarsi gli strumenti: poteva rendersi necessaria un’operazione.

   Pùškin rimane solo con Scholz e gli chiede: «Cosa pensate della mia ferita? Subito dopo lo sparo ho sentito un forte colpo al fianco e una fitta bruciante alla vita; per strada ho perso molto sangue. Ditemi sinceramente, cosa ne pensate?». Scholz risponde: «Non posso nascondervi che è grave». «Mortale?» chiede Pùškin. Scholz risponde: «Credo sia mio dovere dirvelo: non lo escludo. Ma sentiremo il parere di Arendt e Salomon; sono stati chiamati». «Vi ringrazio – ribatte Pùškin – siete stato onesto con me, ora bisogna che sistemi le mie cose». Poi Scholz domanda a Pùškin se vuole vedere qualcuno dei suoi amici più stretti. E Pùškin – che non ha perso l’ironia – ribatte: «Credete dunque che non sopravviverò neanche un’ora?». Scholz un po’ confuso, risponde: «Oh no, non l’ho detto per questo, ma credevo che vi avrebbe fatto piacere vedere qualcuno di loro». « – risponde Pùškin – io vorrei vedere Žukovskij » e poi chiede dell’acqua perché gli viene da vomitare. E dopo aver controllato il polso che risulta «debole, affrettato, come durante un’emorragia interna», Scholz esce dallo studio per chiedere dell’acqua e per trasmettere la richiesta del malato: mandare a chiamare Žukovskij.

   Come si comportano le persone che partecipano alla "fine di Pùškin"? Dobbiamo dire che tutti i suoi amici – e non solo loro – percepiscono la solennità di questo momento, si rendono conto che la Storia e la Leggenda sono entrate nello studio di Pùškin gremito di libri. Per questo motivo tutti sentono la necessità – mentre si danno il cambio al suo capezzale – di scrivere. Di scrivere non solo la cronaca degli avvenimenti, che ciascuno vede dalla propria angolazione, ma anche le loro riflessioni, i loro pareri, le loro sensazioni, la loro rabbia e la loro tristezza. La "fine di Pùškin" è un avvenimento che esalta il ruolo della scrittura. Lo esalta nel suo valore più alto: come strumento che crea, come dispositivo che rende oggettiva la realtà.

   I suoi amici – mentre si alternano al suo capezzale – sentono il bisogno di scrivere come se il rito, l’atto della scrittura, potesse allontanare la morte dal poeta, proprio perché il poeta, con la scrittura, ha saputo, meglio di tutti, mettere in risalto la lingua e le tradizioni di un intero popolo mantenendole in vita, e anche ha saputo far risaltare gli "eterni" sentimenti di tutto il genere umano. E Pùškin: come si prepara a morire? Affidiamoci alla lettura utilizzando il deposito di testimonianze scritte – spesso varie e contraddittorie – che possediamo e che Serena Vitale ha messo in ordine in funzione della didattica della lettura e della scrittura.

 LEGERE MULTUM….

Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

(Il dottor Scholz uscì, e nella stanza rettangolare gremita di libri – coprivano tutt’intorno le pareti fino al soffitto, erano stipati sullo scaffale che riparava il divano dallo sguardo di chi entrava – si insinuarono invisibili Storia e Leggenda. Aspettavano impazienti il corpo del poeta, e già si impadronivano delle sue parole e dei suoi gesti. Perfino le lettere che il sobrio cronista Aleksandr Turgenev scrisse al cospetto dell’agonia di Pùškin, alcune seduto al tavolo del salotto attiguo allo studio, in parte erano già rivolte alla Russia e ai posteri. Insieme a quelle scritte poco più tardi da Žukovskij e dai principi Vjazemskij, non concordano almeno in un punto con la testimonianza di Spasskij, il medico che arrivò poco dopo le sette di sera, né con i ricordi di Danzas.

... continua la lettura ...

   Intanto uno dopo l’altro, al n. 12 della Mojka, arrivano tutti i medici più importanti della città: torna Sadler, poi, quasi contemporaneamente, arrivano Salomon e Arendt. Nikolaj Fèdorović Arendt, è, in questo momento, il più illustre clinico russo: è il medico di Corte e tocca a lui – in questa scala gerarchica delle competenze – visitare il poeta. Arendt esce sconsolato dallo studio, e conferma la prognosi di chi l’aveva preceduto: non ci sono speranze di guarigione, e forse Pùškin non avrebbe neppure superato la notte. Ritiene che un’operazione sarebbe inutile e rischierebbe di aggravare l’emorragia interna: prescrive impacchi di ghiaccio, sedativi, e purganti. Per ultimo arriva Ivan Spasskij: il medico di famiglia dei Pùškin. Anche lui visita il ferito e si sente in dovere di pronunciare parole di speranza, ma Pùškin gli dice che non è necessario mentire: è già informato del fatto che le sue condizioni sono molto gravi.

   Piuttosto Pùškin si preoccupa per Natal’ja e chiede notizie di lei e poi fa alcune riflessioni che riguardano lo stato psicologico di sua moglie in rapporto alla società, e, ci chiediamo: è mai possibile che Pùškin, in un momento come questo, si preoccupi così tanto del "giudizio della gente"? Pùškin è contraddittorio (ma in questo assomiglia molto all’individuo del terzo millennio): da una parte ha sempre affermato di considerarsi al di sopra delle chiacchiere della società e di essere immune dal giudizio della gente, in realtà, però, i suoi comportamenti sono stati molto spesso condizionati dalle voci, dalle opinioni, dalle dicerie della "buona società pitroburghese", che, con le sue ininterrotte, incessanti, permanenti mormorazioni, si presenta come una "società del pettegolezzo" per eccellenza. E, difatti, il "giudizio della gente" – un elemento che compare vistosamente nei romanzi dell’800 – ha sempre avuto, nella realtà, un peso che ha influenzato i comportamenti delle persone: anche oggi è così.

   E noi ci domandiamo: è mai possibile che una persona intelligente come Pùškin, un uomo di cultura – anche se figlio del suo tempo, figlio di un’epoca titanica e galante – non sia in grado di valutare le conseguenze dolorose dei suoi gesti? Non vogliamo giustificare il comportamento di Pùškin anche se molti hanno scritto: «È la società che lo ha ucciso».

   Il ragionamento che stiamo facendo ci obbliga a riflettere sul fatto che, ancora oggi, la "società del pettegolezzo" ha un potere eccessivo e sono gli individui stessi ad alimentarlo… Inoltre i mezzi che alimentano ad arte la "società del pettegolezzo" hanno preso il sopravvento e consentono il dilagare della superficialità, della genericità, della faciloneria, della trascuratezza, dell’apparenza, della futilità, dell’inconsistenza, della banalità, della stupidità. Lo studio della Storia del Pensiero Umano c’induce a riflettere. L’auspicato passaggio "epocale" dalla "società del pettegolezzo" alla "comunità educante" (dalla "testa ben piena" alla "testa ben fatta", cfr. i Saggi di Michel de Montagne, 1580) non è ancora avvenuto e sembra ben lontano dal realizzarsi. Un Percorso di didattica della lettura e della scrittura deve porre questo problema per il semplice fatto che "la lettura" e "la scrittura" sono tra gli strumenti fondamentali per la progettazione e la realizzazione della "comunità educante".

REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura

 In quale occasione hai subito il condizionamento del "giudizio della gente"?

 Scrivi quattro righe in proposito…

   Pùškin si preoccupa del fatto che sua moglie possa «ancora soffrire nel giudizio della gente», ma non è forse lui il maggiore responsabile della sua sofferenza? Leggiamo.

  LEGERE MULTUM….

Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Il medico (Spasskij) lo tranquillizzò: Natal’ja Nikolaevna era più calma. «Poveretta,» disse Pùškin «patisce senza colpa e può ancora soffrire nel giudizio della gente». Due sentimenti opposti lottavano in lui: voleva che medici e amici nascondessero a Natal’ja Nikolaevna la gravità delle sue condizioni, e insieme temeva che la moglie si abbandonasse a una speranza che altri avrebbero potuto scambiare per indifferenza – se l’avessero vista calma in quei momenti, diceva, la società l’avrebbe sbranata. «Poveretta, poveretta» ripeteva.

   Poi Pùškin si preoccupa per il suo padrino, Kostantin Danzas, il quale suo malgrado è rimasto invischiato in questa faccenda. L’autorità giudiziaria, a breve, avrebbe cominciato ad indagare e tutti coloro i quali erano coinvolti nel duello ne avrebbero pagato le conseguenze. Pùškin si sente in colpa per aver coinvolto forzatamente Danzas in questa impresa, sa che verrà perseguito dalla legge e pensa di chiedere aiuto al dottor Arendt che, essendo il medico di Corte, può anche facilmente parlare con lo zar. Arendt non è ancora andato via ma si è intrattenuto con Natal’ja, e così viene richiamato al capezzale del ferito: leggiamo la trafila degli avvenimenti.

 LEGERE MULTUM….

Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

(Pùškin) Domandò di Arendt. «Chiedete allo zar di perdonarmi,» lo pregò «chiedetegli di perdonare Danzas, per me è un fratello, lui non ha colpa, l’ho incontrato per strada e l’ho fatto venire con me». Congedandosi, Arendt affidò Pùškin alle cure di Spasskij e promise di tornare più tardi. «Un’eccezionale presenza di spirito non abbandonava il malato. Di tanto in tanto si lamentava sommessamente per il dolore al ventre e perdeva i sensi per qualche istante». Poco dopo le undici tornò Arendt.

... continua la lettura ...

   Il dover fare questa affermazione deve essere stato molto doloroso per Pùškin – più ancora delle ferite –, ma è costretto dalle circostanze a piegarsi, ancora una volta, di fronte allo zar: sa che deve ottenere il perdono – un gesto che sarebbe ricaduto positivamente sulla sua famiglia –, sa che deve intercedere perché venga perdonato anche Danzas, il suo padrino, e poi soprattutto spera che lo zar paghi i numerosi debiti che lui lascia e che sarebbero rimasti in eredità alla moglie e ai figli. Dopo, Pùškin, domanda di incontrare Ekaterina Andreevna Karamzina, la seconda moglie di Nicolaj Karamzin: è un incontro breve che dura poco più di un minuto, ad essa Pùškin chiede solo la benedizione, lei lo benedice, profondamente commossa, e se ne va.

   Poi Pùškin desidera vedere i figli, Marija (Maša, quattro anni), Aleksandr (Saša, tre anni), Grogorij (Griša, un anno) e Natal’ja (Taša, tre mesi): li portano nello studio ancora mezzo addormentati e, chiaramente per fortuna, non si rendono conto della situazione. Pùškin li guarda, li benedice, e posa la mano ormai fredda sulla loro bocca. Noi, assai turbati, ci domandiamo: si può fare un duello con quattro figli in tenera età? La cosa paradossale è che Pùškin muore convinto di aver difeso il loro onore, il loro nome, il loro prestigio: cresceranno con questa convinzione. Poi Pùškin vuole parlare con Natal’ja.

   Nel frattempo, a Pietrobugo, si è sparsa la notizia del duello e del ferimento di Pùškin, e una folla di persone comincia a dirigersi in direzione della Mojka, verso la casa del poeta.

   E ora leggiamo il brano con cui termina il capitolo che narra la "fine di Pùškin". In questo racconto – tratto dalle lettere, dai diari, dagli appunti dei testimoni – gli avvenimenti reali sono avvolti nelle componenti tipiche della poesia pùškiniana: soprattutto il sentimentalismo. Pùškin, nonostante abbia sempre voluto evitare – con l’ironia – il sentimentalismo, è stato un grande poeta "sentimentale". Succede che, in questo racconto, i protagonisti reali, e lo stesso Pùškin, finiscono per assumere le caratteristiche dei personaggi letterari di Pùškin. Succede che, in tutto il racconto della "fine di Pùškin", emergono le parole-chiave tipiche della zona del territorio del romanticismo in cui si colloca questo avvenimento: la zona influenzata dallo "sguardo inquietante della bellezza". Sono le principali parole chiave che caratterizzano il genere letterario del "romanzo dell’800: sentimento, natura, fascino, artificio. Leggiamo.

 LEGERE MULTUM….

Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

La moglie si ostinava a non credere: «Qualcosa mi dice che vivrà» sussurrava a chi usciva dallo studio con gli occhi arrossati, l’espressione sconvolta. (Pùškin) Fece poi entrare la moglie per dirle finalmente la verità: (il dottor) Arendt lo aveva condannato, non gli restava molto da vivere, forse solo poche ore. Urlando, singhiozzando, Natalie corse a gettarsi in ginocchio davanti alle icone. Il vestibolo si andava riempiendo di folla: venivano a informarsi delle condizioni di Pùškin amici, conoscenti, sconosciuti. La porta che dall’ingresso principale dava nel vestibolo continuava ad aprirsi, il rumore infastidiva il malato. Si decise di sbarrare l’ingresso con una cassapanca e di aprire la porticina di servizio.

... continua la lettura ...

   Pùškin sembra vivere nella realtà i fatti che hanno portato al duello fatale, attingendo a piene mani dal romanzo in versi Evgenij Onegin, un capolavoro che ha contribuito ad accrescere enormemente la sua fama di grande poeta. Avendone studiato la trama e avendo conosciuto i tratti caratteristici dei vari personaggi (soprattutto Tat’jana Larina) ci rendiamo conto che le analogie tra gli avvenimenti reali della "fine di Pùškin" e la trama del romanzo in versi Evgenij Onegin non mancano. Pùškin muore, come ha vissuto, all’altezza della sua fama, dimostrando di essere una persona contraddittoria che manifesta tutte le sue debolezze, ma dimostrando anche di avere, nella sua umanità, il coraggio dei propri sentimenti. Le conseguenze delle proprie azioni lo interessano soprattutto da un punto di vista puramente estetico, per l’impatto che queste conseguenze possono avere sulla società che frequenta e sull’opinione pubblica che lo osserva.

   Con la morte di Pùškin il nostro racconto s’interrompe, ma la storia della "fine di Pùškin" non si conclude con la morte di Pùškin. Con la morte di Pùškin comincia il dopo, ha inizio un nuovo capitolo. L’avvenimento finale della sua vita ha contribuito a rendere mitica la figura di Pùškin e a consolidarne l’immortalità. Inoltre l’avvenimento finale della vita di Pùškin ha conservato un perenne ricordo di tutti i personaggi coinvolti in questa storia.

   Il bottone di Pùškin, il prezioso libro che abbiamo utilizzato in queste settimane, – nei due capitoli conclusivi, nell’Epilogo e nell’utilissimo Indice dei nomi – ci fa conoscere anche che cosa succede dopo la morte di Pùškin e quale destino hanno i personaggi coinvolti in questo avvenimento.

   A tutti coloro i quali sono curiosi di sapere che cosa succede dopo la morte di Pùškin e che fine fanno i personaggi principali di questa complessa e drammatica avventura si consiglia, quindi, la lettura de Il bottone di Pùškin perché nei nostri itinerari – in fin dei conti – ne abbiamo appena utilizzato una ventina di pagine su 487.

   Gli avvenimenti che succedono dopo la morte di Pùškin continuano a contenere una carica di drammaticità e contemporaneamente di comicità che li rende attraenti alla lettura. Per esempio:  «la mattina del 1° febbraio (1837) un imbarazzante dilemma si pose a molti pietroburghesi eccellenti: come vestirsi in occasione dei funerali di Pùškin? Uniforme o frac?». Ebbene, chi va a leggere questa pagina si rende conto di quali comiche considerazioni ci sono dietro alla facciata della tragedia.

   Soffermiamoci ancora, molto brevemente, su due personaggi coinvolti nella "fine di Pùškin" (uno principale e uno secondario), soltanto per dare alcune notizie.

   Il primo personaggio è Natal’ja Nikolaevna: come si configura il "dopo Pùškin" per la bellissima moglie di Pùškin? Il poeta, nell’ultimo colloquio, le consiglia «di aspettare due anni e poi di risposarsi, ma non con un mascalzone». Ebbene, dopo non due ma ben sette anni di lutto, la vedova di Pùškin si risposa: il 16 luglio 1844, Natal’ja Nikolaevna Pùškina sposa il generale Pëtr Petrović Landskoj (1799-1877) comandante dei cavalieri della guardia dell’imperatrice ed ebbe altri tre figli: fu sposa e madre esemplare – come riportano le cronache – e finalmente, come auspicava Pùškin, assomigliò integralmente alla figura di Tat’jana Larina. Natal’ja Nikolaevna muore nel 1863, qualcuno scrive nel 1864 era nata nel 1812, aveva più o meno cinquant’anni e la sua bellezza era sempre inquietante.

   La seconda persona che vogliamo ricordare è un personaggio secondario perché al momento dei tragici eventi ha soltanto quattro anni: stiamo parlando di Marija Aleksandrovna Pùškina detta Maša (1832-1919), la figlia primogenita di Pùškin. Che cosa dobbiamo dire di lei? Sarebbe interessante conoscerne la biografia (come quella degli altri figli di Pùškin) ma noi ci limitiamo ad una sola informazione in funzione della didattica della lettura e della scrittura. Maša Pùškina negli anni ‘60 dell’800, nella città di Tula, incontra Leone Tolstòj: è un breve incontro che si limita alle presentazioni. Ebbene noi sappiamo che Leone Tolstòj s’ispira a Maša Pùškina per dare le sembianze ad un immortale personaggio letterario: Anna Karenina. Perché la Scuola ci ha voluto dare questa informazione? Perché appena abbiamo finito di leggere Guerra e pace è consigliabile iniziare subito la lettura di Anna Karenina

 LEGERE MULTUM….

Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Tutto era sossopra in casa Oblonskij. La moglie era venuta a sapere che il marito aveva una relazione con la governante francese che era stata presso di loro, e aveva dichiarato al marito di non poter più vivere con lui nella stessa casa. Questa situazione durava già da tre giorni …

   Questo è il celebre inizio del romanzo Anna Karenina di Leone Tolstòj: andate a rileggerlo per conto vostro.

   E ora mettiamo davvero la parola "fine" al nostro lungo incontro con Aleksàndr Sergeević Pùškin. Ci congediamo da lui – dandogli appuntamento su altri Percorsi – leggendo ancora una delle sue Liriche premonitrici. Non ne leggiamo una a caso, ma naturalmente ne leggiamo una in linea con l’andamento del nostro itinerario.

 LEGERE MULTUM….

Aleksàndr Sergeević Pùškin, Liriche (1826)

 Dono vano, dono casuale, o vita, perché mi sei data? O perché

dal misterioso destino sei condannata alla pena capitale?

Perché la vita è un attimo e il tuo sorriso, Monna Lisa, è eterno?

Chi con l’avverso potere mi ha chiamato dal nulla, e ha colmato

la mia anima di passione, e ha agitato col dubbio la mente?

Perché la vita è un attimo e il tuo sorriso, Monna Lisa, è eterno?

Non ho scopo davanti a me: il cuore è vuoto, inattiva è la mente,

e mi riempie di languida angoscia il monotono frastuono della vita.

Perché la vita è un attimo e il tuo sorriso, Monna Lisa, è eterno?

   Pùškin scrive questo sonetto nel 1826 subito dopo la sconfitta decabrista ed utilizza il sorriso "eterno" de La Gioconda per proclamare la caducità e la brevità della vita umana: per fare una riflessione sui limiti dell’esistenza. Ebbene sulla scia del sorriso di Monna Lisa – che Pùškin definisce "eterno" – abbiamo incontrato le opere di questo grande scrittore. Anche le opere di Pùškin dureranno in eterno perché in esse ha saputo affrontare alcuni dei grandi temi, tipici, del romanticismo titanico e galante: i temi del sentimento, della natura, del fascino, dell’artificio e della bellezza.

   La Lirica che abbiamo letto ci riporta sul sentiero del nostro Percorso all’interno del grande dibattito "romantico" sul tema della bellezza. Il dibattito sul tema della bellezza è uno dei più significativi all’interno della Storia del Pensiero Umano e propone molti interrogativi, e uno degli interrogativi posti, quello che riguarda più da vicino la didattica della lettura e della scrittura, affronta il problema del contatto con la "bellezza". Quali conseguenze genera il contatto con la "bellezza"? Intorno a questo interrogativo nascono due correnti di pensiero. La prima sostiene che il contatto con la bellezza assicura la chiarezza, la calma e la serenità: la "bellezza" possiede una sguardo benevolo e indirizza verso il bene. Gli appartenenti alla seconda corrente di pensiero sostengono invece che il contatto con la bellezza non genera un impulso benevolo, ma bensì procura turbamento e inquietudine. L’animo dell’artista e, in genere, l’animo di ogni essere umano – sostengono gli appartenenti a questa seconda corrente – è predisposto a turbarsi e ad inquietarsi davanti alla "bellezza".

   Sappiamo che tra gli scrittori e i poeti, che, nel territorio del romanticismo, tanto titanico quanto galante, hanno coltivato l’idea che la bellezza possegga uno "sguardo inquietante" siamo quasi obbligati a incontrarne tre, e due li abbiamo già incontrati. Abbiamo incontrato Byron, qualche settimana fa, e, in queste ultime settimane, abbiamo incontrato Pùškin, ebbene: chi è il terzo? Per incontrare questo terzo personaggio dobbiamo ancora fare riferimento a Pùškin, perché questo scrittore, questo poeta, cresce all’ombra del genio di Pùškin. Per presentare in anteprima questo scrittore che si chiama Michail Lermontov – in modo da poterlo incontrare più da vicino la prossima settimana – leggiamo un frammento tratto dall’Epistolario. La lettura di questo brevissimo brano è sufficiente a farci capire perché questo scrittore si trova sul sentiero che stiamo percorrendo.

 LEGERE MULTUM….

Michail Lermontov, Epistolario. Lettera di accompagnamento alla poesia

"La morte del poeta" in memoria di Aleksandr Pùškin (1837)

 La bellezza in Monna Lisa si concentra nel suo sorriso e possiamo immaginare che la potenza enigmatica di questo sorriso riveli un’inquietudine derivante da un rifiuto e da un distacco. Possiamo pensare, infatti, che questa signora, nonostante sia attratta dal fascino del pittore che la ritrae, rendendola immortale, rifiuta di cedere alla sua corte, preferisce la fedeltà ai doveri, preferisce la comune mortalità. La bellezza esteriore è destinata a generare rifiuto e distacco, qualità che generano inquietudine. Il sorriso misterioso di Monna Lisa ci trasmette l’inquietudine tanto della modella quanto del pittore La bellezza genera turbamento, ed è questo il tema affrontato dal grande Aleksandr Pùškin – di cui con questi versi celebriamo la morte – nel suo perfetto romanzo Evgenij Onegin. Lo straordinario personaggio di Tatjana Larina, la vera protagonista del poema, è una specie di Monna Lisa che sorride enigmatica e irraggiungibile al suo seduttore respinto e lo fa precipitare nell’inferno della trepidazione.

   È evidente che Michail Lermontov considera la bellezza un fenomeno che ispira turbamento e inquietudine e sulla scia di Pùškin utilizza l’immagine de La Gioconda e del suo sorriso per sostenere questa idea. Inoltre è significativo il fatto che Lermontov consideri il personaggio di Tatjana Larina simile a Monna Lisa. Michail Lermontov è un bel tipo (fisicamente è un po’ sgraziato…) e per molti versi assomiglia a Pùškin di cui è uno degli eredi culturali. Più che essere noi ad avvicinarlo sarà lui, la prossima settimana, che ci verrà incontro con "esuberanza", e sarà bene non farlo arrabbiare perché, in questo caso, la prima cosa che fa è quella di mettere mano alla spada. Però non sempre, qualche volta, per non perdere tempo, mette mano alla pistola: lui crede di avere una buona mira. Ma non dobbiamo temere, oggi la pistola di Lermontov (come quella di Byron, come quella di Pùškin) è caricata a parole scritte e spara didattica della lettura e della scrittura. E dobbiamo dire che Lermontov, con questo pacifico armamentario, ha acquisito davvero una buona mira, quindi lasciamolo sparare: lasciamo che spari parole, lasciamo che faccia esplodere idee.

   Che cosa scrive Michail Lermontov? C’è soprattutto un romanzo che ha fatto entrare questo scrittore nella Storia del Pensiero Umano: di che romanzo si tratta? Ebbene, per conoscerne le parole-chiave e per capirne le idee-significative, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, la prossima settimana, accorrete: la Scuola è qui…

 

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 13, 2005