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DARE LA PROPRIA "PAROLA D’ONORE"…

Lezione N.: 
25

Prof. Giuseppe Nibbi         Tra ‘700 e ‘800: il sorriso de La Gioconda 2005         27-28-29 aprile 2005

 DARE LA PROPRIA "PAROLA D’ONORE"…

   Nelle ultime settimane abbiamo conosciuto le principali opere in poesia e in prosa di uno dei più grandi scrittori della storia del Pensiero: Aleksàndr Sergeević Pùškin. Pùškin lo abbiamo incontrato seguendo il Percorso intitolato Il sorriso de La Gioconda che attraversa il vasto territorio del "romanticismo". Dobbiamo fare, in partenza, questa sera, una breve riflessione che riguarda l’orientamento del nostro Percorso.

   Abbiamo incontrato Pùškin nella zona del territorio del "romanticismo galante" dove si affronta il tema della bellezza. Il tema della bellezza è uno dei temi più significativi della cultura "romantica". Il movimento culturale del "romanticismo" – lo sappiamo – apre un vivace dibattito sulla natura della "bellezza": si formano due principali correnti di pensiero.

   La prima corrente sostiene che la bellezza è un fenomeno collegato al bene, quindi, la bellezza possiede uno sguardo benevolo: il personaggio più autorevole di questa corrente – per cui la bellezza avvicina sempre al bene – è Schiller di cui conosciamo il pensiero.

   La seconda corrente sostiene che la bellezza è un fenomeno collegato al turbamento, e quindi possiede uno sguardo inquietante.. A questa corrente, che attribuisce alla bellezza uno sguardo inquietante, appartengono tre personaggi che, per sostenere questa idea, fanno riferimento all’immagine de La Gioconda. Noi, questi personaggi, li incontriamo perché Il sorriso de La Gioconda – come abbiamo potuto conoscere e capire – dà il nome a uno dei tanti sentieri che attraversano il territorio del "romanticismo". Lungo questo sentiero – che zigzaga tra la zona "titanica" e la zona "galante" – per primo abbiamo incontrato Byron, ora siamo entrati in contatto con Pùškin, prossimamente, sulla scia di Pùškin, incontreremo il terzo.

   L’itinerario della scorsa settimana – proprio in rapporto al tema dello "sguardo inquietante" della bellezza – ci ha condotto davanti ad un particolare paesaggio intellettuale che raccoglie le forme e i contenuti di un significativo avvenimento. Questo avvenimento è stato intitolato la "fine di Pùškin" e, in un Percorso di didattica della lettura e della scrittura, è obbligatorio occuparsi di questo avvenimento. La "fine di Pùškin" è una vicenda che è stata considerata mitica già contemporaneamente allo svolgersi dei fatti, ed è stata sùbito ritenuta epica appena se ne è consumato l’epilogo con la morte del poeta. La "fine di Pùškin" è un episodio strettamente legato alla storia della Letteratura e direttamente collegato alla storia del Pensiero e costituisce un fatto fondamentale nella cultura del romanticismo titanico e galante.

   La scorsa settimana abbiamo capito che la "fine di Pùškin" è un avvenimento strettamente legato ad una parola-chiave del repertorio romantico, titanico e galante: la parola "corrispondenza". La complessa tragedia della "fine di Pùškin", con dovizia di particolari, è stata scritta attraverso la "corrispondenza" dei numerosi protagonisti, principali e secondari. È attraverso la pratica legata alla parola "corrispondenza" che emergono ulteriori parole-chiave significative per la nostra esperienza di lettori e di scrivani.

   Nell’itinerario della scorsa settimana abbiamo appena conosciuto le battute iniziali – dal 4 al 12 novembre 1836 – della complessa narrazione che racconta la "fine di Pùškin". Se dovessimo seguire la narrazione, giorno per giorno, dal novembre 1836 alla fine di gennaio 1837 – quando il poeta muore in duello – dovremmo percorrere almeno dieci itinerari, e questo non ce lo possiamo permettere. Ma il compito di un Percorso di didattica della lettura e della scrittura è quello di sostenere, stimolare, sollecitare, incentivare, promuovere, incrementare, potenziare, favorire l’applicazione personale dei cittadini allo studio (vale a dire al repertorio e alla trama) e per questo – per quanto riguarda la didattica della lettura – abbiamo a disposizione un bel libro da leggere: Il bottone di Pùškin della professoressa Serena Vitale. Questo testo non è facilissimo da leggere se non è inserito in un "contesto", e di conseguenza il compito della Scuola, affinché ciascuno possa usufruire del piacere del testo, è quello di "in-formare" il lettore. Di questo libro ne utilizziamo – e ne abbiamo già utilizzato – molti tasselli anche per continuare a compilare l’inventario didattico delle parole-chiave e delle idee-significative del repertorio del "romanticismo" che dobbiamo conoscere e capire in quanto lettori e in quanto scrivani. Compito, non facile, della Scuola è quello di far nascere la curiosità intellettuale per favorire la lettura, per stimolare la ricerca, per indirizzare ad investire in intelligenza. Il bottone di Pùškin ci presenta, come in un romanzo, attraverso la "corrispondenza", la storia – nei suoi elementi conosciuti – della "fine di Pùškin". Per continuare il nostro itinerario, anche questa sera, vogliamo utilizzare questo saggio, ma è necessario operare una sintesi.

   Prima di tutto ricapitoliamo sinteticamente le fasi iniziali di questa storia che è stata intitolata la "fine di Pùškin": sono episodi a noi già noti che coinvolgono personaggi che già conosciamo. Ai primi di novembre dell’anno 1836 Pùškin riceve, attraverso una serie di lettere anonime, un diploma di appartenenza al Circolo dei cornuti (un’associazione virtuale che voleva diffondere il "senso del ridicolo"), probabilmente in relazione al fatto che la sua bellissima moglie, Nàtal’ja, coltiverebbe una relazione amorosa con il cavaliere della guardia Georges d’Anthès. Lo spregiudicato corteggiamento di Georges d’Anthès nei confronti di Nàtal’ja Gonćaròva Pùškina è, difatti, sotto gli occhi di tutti. E sotto gli occhi di tutti è anche l’atteggiamento di Nàtal’ja, la quale, con grande disinvoltura, mentre ostenta la fedeltà ai suoi doveri coniugali e dichiara la sua volontà di non cedere alle richieste dell’intraprendente cavaliere della guardia, tuttavia si lascia corteggiare in modo spregiudicato. Pùškin è furioso per questa situazione, teme di "cadere nel ridicolo", ma dissimula e aspetta che si presenti un’occasione per poter reagire. Ecco che l’arrivo delle lettere anonime, mentre lo ferisce profondamente, gli procura anche un pretesto per agire. Pùškin sospetta che le lettere anonime gli siano state inviate dal padre adottivo – e anche amante (tutti lo sanno ma tutti fanno finta di non saperlo) – di Georges d’Anthès, l’ambasciatore d’Olanda, il barone Jacob van Heeckeren. Pùškin non ha le prove che le lettere anonime siano state confezionate e inviate dall’ambasciatore, tuttavia lo vuole credere fermamente e, in questo contesto, Pùškin, il 4 novembre 1836, la sera stessa dell’arrivo delle lettere anonime, invia, proprio all’ambasciata d’Olanda, un "cartello di sfida" rivolto a Georges d’Anthès.

   Qui dobbiamo fare una riflessione alla quale non ci siamo ancora dedicati. L’ambasciatore Jacob Van Heeckeren è la persona di cui Pùškin vuole sospettare –Pùškin è alla ricerca di un pretesto – e, molto probabilmente, i sospetti di Pùškin non sono fondati: leggiamo tre frammenti in modo da poter continuare la nostra riflessione. Il primo frammento è un pensiero scritto due settimane dopo la morte di Pùškin da uno dei suoi illustri amici, che noi abbiamo già incontrato, Pëtr Andreević Vjazemskij (1792-1878), principe, uomo politico, e anche poeta, critico letterario, memorialista.

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Vjazemskij al granduca Michail Pavlovic, Pietroburgo, 14 febbraio 1837:

«Non appena ricevette le lettere anonime Pùškin sospettò Heeckeren di esserne l’autore, e morì con questa convinzione. Non siamo mai riusciti a chiarire su cosa si fondasse tale congettura, che fino alla sua morte abbiamo ritenuto inammissibile. Un caso fortuito le ha dato in seguito un certo grado di plausibilità. Ma poiché non esistono prove giuridiche né concrete, bisogna lasciarla al giudizio di Dio e non a quello degli uomini».

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   Naturalmente il supplemento d’indagine sulle lettere anonime che hanno aperto il sipario sull’ultimo atto della vita di Pùškin, tira in ballo molti personaggi della Pietroburgo che conta. Chi ha spedito le lettere anonime? Chi aveva interesse a colpire Pùškin? Chi aveva interesse a fargli credere che la moglie lo tradiva in modo che lui desse sfogo a tutta la sua gelosia e alla sua furia? Chi lo voleva trascinare nel ridicolo fomentando la sua rabbia e il suo rancore? Chi aveva interesse a spingerlo verso il duello con d’Anthès in modo o da poterselo togliere dai piedi o da metterlo nei guai visto che i duelli erano severamente vietati? Sono interrogativi interessanti ed inquietanti, il racconto diventa un vero e proprio romanzo giallo dentro al romanzo epistolare. Per un supplemento d’indagine è utile lasciarsi incuriosire e leggere Il bottone di Pùškin: in funzione della didattica della lettura e della scrittura è utile attaccare bottone direttamente con Pùškin…

   A questo punto – sul nostro itinerario – entra in gioco la parola "indagine", la quale ha trovato una sua precisa collocazione nel cultura dell’illuminismo e poi in quella del "romanticismo galante" entrando a pieno titolo nel genere letterario del romanzo. La parola "indagine" è legata a molte parole significative come: ricerca, osservazione, esplorazione, intervista, sondaggio, esame, inchiesta, investigazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quale di queste parole accosteresti alla parola "indagine" ? Tu hai mai condotto un’indagine?

Scrivi quattro righe in proposito…

   L’ambasciatore Jacob Van Heeckeren all’arrivo del "cartello di sfida" non informa subito il figlio ma, molto preoccupato, intavola una trattativa con Pùškin per evitare il duello e ottiene una proroga di quindici giorni. A questo punto entrano in scena alcuni mediatori: la prima mediatrice è Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja, zia materna di Natàl’ja, di Ekaterina e di Aleksandra Gonćaròva, il secondo mediatore è Vasilij Andreević Zukovskij, poeta, educatore, precettore, che considera Pùškin come se fosse un figlio, entrambi, la zia acquisita e l’amico "paterno", tentano di convincere Pùškin a rinunciare al duello.

   Intanto, a proposito d’indagini, Pùškin – che vuole, invece, a tutti i costi arrivare al duello – scopre che Georges d’Anthès ha una relazione con sua cognata, Ekaterina, la sorella più grande di Nàtal’ja, e viene anche a sapere che questa relazione ha superato il limite del lecito: Ekaterina ha perduto l’illibatezza. Georges d’Anthès non ama Ekaterina, ma si è avvicinato a lei per avvicinarsi a Nàtal’ja. Il barone Jacob Van Heeckeren e la zia di Ekaterina sono al corrente di questo fatto e decidono di giocare la carta del matrimonio riparatore, tanto per salvare l’onore di Ekaterina quanto per evitare il duello: d’Anthès e Pùškin si sarebbero imparentati e probabilmente Pùškin avrebbe accettato di riappacificarsi con lui. Pùškin, sulle prime, proprio per salvare l’onore di Ekaterina, sembra acconsentire alla pace e tutti finalmente ricominciano a dormire tranquilli, ma lui in realtà ha un piano bellicoso. Noi sappiamo che intorno al 12 novembre Pùškin incontra il suo amico Sollogub e gli comunica che "non ci sarà nessun duello", ma, contemporaneamente, si fa accompagnare da lui nella più fornita armeria della città, da Kurakin, per prenotare due pistole.

   Il 13 novembre Pùškin ascolta in silenzio le parole della zia Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja la quale gli comunica che Georges d’Anthes avrebbe sposato Catherine. Pùškin non avrebbe potuto macchiarsi del sangue di un parente. Con questo matrimonio d’Anthès avrebbe riparato a tutti i propri torti, – tutti, ripete con aria grave la Zagrjazskaja, anche quelli che avevano potuto urtare la giusta, comprensibile suscettibilità di un marito. Ora Pùškin doveva solo consegnare a lei e a Zukovskij una lettera in cui comunicava ufficialmente la sua volontà di rinunciare al duello e soprattutto promettere che non avrebbe rivelato a nessuno come si era giunti a quelle nozze: non doveva sembrare un matrimonio riparatore perché qualsiasi indiscrezione poteva mandarlo a monte. Pùškin promette, e la zia Zagrjazskaja, infine, lo prega di tornare da lei l’indomani per incontrare in sua presenza il barone van Heeckeren, e Pùškin docilmente acconsente. Una copia della lettera di Pùškin in cui rinuncia alla sfida è rimasta tra le carte di Zukovskij, leggiamone il testo.

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Il pomeriggio del 13 novembre Pùškin consegnò a Zukovskij un abbozzo della rinuncia alla sfida perché lo sottoponesse all’attenzione degli interessati. Ne è rimasta una copia tra le carte di Zukovskij: «II signor barone Heeckeren mi ha fatto l’onore di accettare per conto di suo figlio il barone G. d’Anthès una sfida a duello. Avendo appreso per caso, da voci che circolavano in società, che il signor G. d’Anthès era deciso a chiedere la mano di mia cognata, la signorina C. Gonćarova, prego il barone Heeckeren di voler considerare la mia sfida come non avvenuta. Per aver tenuto nei confronti di mia moglie un comportamento che non mi è consentito tollerare (nel caso che il signor d’Anthès esiga la motivazione della sfida)».

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   Che cosa apprende Zukovskij in casa Karamzin? Apprende che Pùškin – lo ha fatto anche lì nel loro salotto poche ore prima – ironizza pubblicamente sul "matrimonio riparatore": sparla di Georges d’Anthes che, vigliaccamente vorrebbe sfuggire al duello "riparandosi" (Pùškin usa sempre l’ironia per schernire…) dietro il matrimonio, e deride il barone van Heeckeren affermando che, al più presto, per quanto riguarda il fatto delle lettere anonime che ha ricevuto, lo farà cadere, insieme a suo figlio, nel ridicolo davanti a tutta Pietroburgo. È incredibile come le voci corrano velocemente: Zukovskij torna a casa e, assai irritato, scrive a Pùškin, noi possiamo leggere la sua lettera.

LEGERE MULTUM….

Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Zukovskij a Pùškin, [notte fra il 13 e il 14 novembre 1836]:

«Ti comporti in modo estremamente imprudente, ingeneroso, e addirittura ingiusto nei miei confronti. Perché hai raccontato tutto a Ekaterina Andreevna (seconda moglie di Nicolaj Karamzin) e Sof’ja Nikolaevna (figlia della prima moglie di Nicolaj Karamzin)? Che cosa vuoi? Rendere impossibile ciò che ora per te deve concludersi nel migliore dei modi?

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   Il 14 novembre – come d’accordo – Pùškin e l’ambasciatore d’Olanda si incontrano a casa della zia, la signorina Zagrjazskaja per suggellare la pace. Pùškin si impegna a tacere, il barone van Heeckeren s’impegna a chiedere la mano di Catherine per il figlio appena questi avesse ufficialmente ricevuto dal poeta la rinuncia alla sfida. La lettera – aggiunge il barone – avrebbe dovuto essere leggermente diversa dalla bozza che Zukovskij gli ha mostrato, e a questo proposito d’Anthès s’era premurato di annotare alcune considerazioni. Leggiamo le considerazioni di d’Anthès suggerite, probabilmente, dal barone.

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Da un foglio Heeckeren lesse: «Non posso e non devo acconsentire a che nella lettera compaia la frase concernente la signorina G.; ecco le mie ragioni, e penso che il signor Pùškin le capirà. Nel modo in cui la questione è posta, se ne potrebbe dedurre questo: "sposarsi o battersi". Poiché il mio onore mi impedisce di accettare condizioni di sorta, tale frase mi imporrebbe il triste obbligo di accettare la seconda proposta

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   Il 15 novembre si tiene uno dei tanti fastosi balli al quale sono presenti tutti i personaggi più illustri di Pietroburgo, e, come sempre, anche Natàl’ja Nikolaevna Pùškina è stata invitata, ma questa volta senza il marito. In altre occasioni Pùškin sarebbe stato felice di non doversi mostrare in pubblico, ma ora, esasperato, immagina che tutti sappiano delle lettere anonime e della sua vergogna, e pensa che tutti tramino contro di lui.

   Pùškin è sconvolto, è furibondo tanto che Natàl’ja scrive a Zukovskij chiedendogli consiglio. Natàl’ja riceve un breve biglietto di risposta nel quale Zukovskij scrive che lei deve assolutamente andare al ballo: non è il momento di esporsi ad altri pettegolezzi. Pùškin si deve ritenere giustificato perché qualche mese prima, egli stesso, aveva detto all’imperatrice che non andava in società a causa del lutto per la morte della madre. Natàl’ja si presenta da sola al gran ballo. Appare meravigliosa come sempre, e Aleksandra Fëdorovna, nel suo diario, la paragona a «un’incantevole fata».

   Zukovskij, presente al ballo, raccoglie le voci, ascolta i sussurri, poi va a trovare Vjazemskij il quale lo mette al corrente che Pùškin, proprio in casa sua, davanti a sua moglie Vera Fëdorovna Gagarina, poche ore prima, ha fatto un’altra grave affermazione.

   Nella notte, Zukovskij, sempre più preoccupato scrive ancora a Pùškin, per tirarsi fuori da tutta questa faccenda, leggiamo il messaggio:

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Zukovskij a Pùškin, [notte tra il 15 e il 16 novembre]:

«Ieri sera dopo il ballo sono passato da Vjazemskij. Ecco cosa, pressappoco, hai detto l’altro ieri alla principessa (Vera Fëdorovna Gagarina, moglie di Vjazemskij): «So chi ha scritto le lettere anonime e tra otto giorni sentirete parlare di una vendetta unica nel suo genere; sarà una vendetta piena, completa; getterà quell’uomo nel fango».

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   E poi, Zukovskij, per far sapere a Pùškin che lui ha capito le sue intenzioni, e non le condivide, gli racconta una favola: un genere letterario che Pùškin conosce molto bene. Anche Zukovskij è uno scrittore ma sa di non essere bravo come Pùškin a comporre "favole", ma il suo è un ultimo tentativo di carattere affettivo, vuole entrare, anche con ironia, nelle corde del Pùškin poeta per cercare di farlo riflettere: fa quasi tenerezza questa sua volontà di mediazione, e Zukovskij ci appare come una persona saggia, ma Pùškin non conosce più la prudenza e non vuole dare più retta a nessuno. Leggiamo questa favola: la morale che ne viene fuori, purtroppo, è tragica…

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

 Eccoti una favola: c’era una volta un pastore (Pùškin); questo pastore era anche un tiratore accanito. Il pastore aveva delle bellissime pecorelle (Natàl’ja, Ekaterina Alexandra). Ed ecco che un lupo grigio (d’Anthès) si mette a gironzolare intorno al suo gregge. E pensa: voglio papparmi la pecorella (Natàl’ja) preferita del pastore; pensando questo, il lupo grigio guarda anche le altre pecorelle (Ekaterina) e si lecca i baffi.

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   Avete certamente riconosciuto i personaggi di questa divertente favoletta: sono gli stessi personaggi che si agitano sulla scena della realtà. La favoletta è divertente e dovrebbe servire per mettere pace: la realtà sarà meno divertente…

   Il compare Vasilij, come Zukovskij si autodefinisce nella favola, è una persona che non riesce a serbare rancore.

   Vinto il disappunto, la mattina del 16 novembre, torna da Pùškin e lo prega ancora a lungo di togliere dalla lettera di rinuncia quella benedetta frase in cui allude al matrimonio di Georges d’Anthès. Ma l’amico è irremovibile e non vuole cambiare una sola parola di quelle che ha scritto. Infine si trova un compromesso: Pùškin autorizza Zukovskij a testimoniare verbalmente che non desidera più battersi con il francese, che considera tutta la vicenda chiusa per sempre, e non ne avrebbe parlato ad anima viva. Perché fa questa proposta? Perché lui, nei salotti che contano e che fanno girare le notizie, ne ha già parlato, della presunta vigliaccheria di d’Anthès, e la voce si sta diffondendo e il "ridicolo" incombe sulla testa del bel cavaliere della guardia.

   Zukovskij informa il barone van Heeckeren il quale, pure se a malincuore, accetta questa ingloriosa condizione di pace. Ma d’Anthès, quando lo viene a sapere, capisce che, la proposta di Pùškin è una trappola e allora decide di ubbidire a ciò che gli detta il suo onore, disobbedendo – per la prima volta in tanti giorni – al padre adottivo, e così agisce di propria iniziativa: prende la penna e scrive a Pùškin. Che cosa gli scrive? Leggiamo:

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

D’Anthès a Pùškin, [16 novembre 1836, ore 13 circa]:

«Il barone Heeckeren mi dice di essere stato autorizzato dal signor Zukovskij a farmi sapere che tutte le ragioni per cui mi avevate sfidato a duello sono venute meno, e che di conseguenza posso considerare il vostro gesto come non avvenuto.

... continua la lettura ...

   Con questo messaggio molto misurato Georges d’Anthes fa sapere a Pùškin che lui non può essere considerato un vigliacco, comunica che è pronto alla pace ma è anche pronto a difendere il suo onore se non si arriverà a chiarire i fatti. Zukovskij scrive nel suo diario che la lettera di d’Anthès, così equilibrata, fa terribilmente infuriare Pùškin – il lupo grigio della favoletta non è caduto in trappola – e d’Anthès attende invano una risposta di Pùškin, e allora decide di farsi avanti e di nominare un padrino.

   Nel tardo pomeriggio del 16 novembre Pùškin riceve la visita del giovane visconte Olivier d’Archiac, in servizio all’ambasciata di Francia. Olivier d’Archiac si presenta in veste di padrino di Georges d’Anthès. Stavano infatti per scadere le due settimane di proroga che Pùškin aveva accordato a d’Anthès. D’Anthès aveva pregato il visconte d’Archiac di riferire a Pùškin che, scaduta la proroga, adesso lui «era a sua disposizione». Pùškin disse a d’Archiac che gli avrebbe fatto conoscere al più presto il nome del suo padrino. D’Archiac accenna anche a un tentativo di conciliazione: basta che il poeta elimini dalla sua lettera la frase sui progetti matrimoniali di d’Anthès e tutto – ne era convinto – si sarebbe sistemato senza inutili spargimenti di sangue. Pùškin lo interrompe bruscamente, e lo congeda – dirà poi d’Archiac – con secca gentilezza.

   La sera del 16 novembre i Karamzin festeggiano il compleanno della padrona di casa Ekaterina Andreevna, la seconda moglie di Nicolaj Karamzin. Pùškin siede a tavola accanto a Sollogub; mentre tutti discorrono allegramente, tra brindisi e indirizzi d’augurio, si gira verso il suo vicino e gli dice svelto, a bassa voce: «Vieni da me domani, ti incaricherò di passare da d’Archiac per prendere accordi sulla parte pratica del duello. Voglio che sia il più sanguinoso possibile. Non accettare alcun tipo di trattativa». Poi continua tranquillamente a chiacchierare con gli altri commensali. Sollogub rimane di stucco, ma non osa obiettare nulla perché nel tono di Pùškin c’è una fermezza che non tollera obiezioni.

   Più tardi la compagnia riunita dai Karamzin si sposta e raggiunge l’ambasciata d’Austria per prendere parte a un ricevimento di gala cui è annunciata la presenza dei sovrani. Pùškin arriva più tardi degli altri. Sulla grande scalinata di marmo incontra d’Archiac, e il giovane visconte tenta di riprendere il filo della mediazione che Pùškin aveva interrotto bruscamente, qualche ora prima, durante il loro incontro. Pùškin lo tratta con sufficienza e si limita a dire: «Voialtri francesi siete molto gentili. Sapete tutti il latino, ma quando vi battete vi mettete a trenta passi per tirare. Noi russi facciamo diversamente: meno convenevoli si fanno, più il duello è feroce».

   Entrato nel salone, Pùškin nota che tutte le dame sono vestite di nero perché, due giorni prima, era morto Carlo X, l’ex re dei Francesi, e lo zar aveva imposto alla corte il lutto stretto. Pùškin nota che solo sua cognata Catherine è vestita di bianco. Da questo segno capisce che, del prossimo matrimonio di sua cognata, Ekaterina Gonćaròva, doveva essere già stata informata anche l’imperatrice, che altrimenti avrebbe sùbito ordinato alla sua damigella d’onore di cambiarsi d’abito o di lasciare il ricevimento: quando la Corte era a lutto potevano vestire di bianco solo le fanciulle in procinto di sposarsi.

   Come se non bastasse, Pùškin vede che accanto a Catherine c’è d’Anthès, che ostenta nei suoi confronti le tenerezze di un promesso sposo. La scena è degna di un palcoscenico teatrale e siamo a metà strada tra la tragedia e la farsa: i presenti hanno già notato tutto, hanno notato anche la diplomatica assenza di Natàl’ja – che di solito non manca mai, alle feste – e già comincia ad alzarsi la minacciosa marea dei sussurri. Mortalmente pallido, Pùškin si avvicina alla coppia: ordina ad Ekaterina di venire via con lui e a d’Anthès rivolge bruscamente alcune parole. Ordina anche all’altra cognata, Aleksandra, che è insieme alla sorella, di venire via. Dopo pochi minuti Pùškin abbandona l’ambasciata d’Austria riportando a casa d’autorità le due cognate: una sceneggiata in cui si è sicuramente ricoperto di ridicolo.

   Sallogub, incaricato da Pùškin di fargli da padrino, scambia con d’Archiac, il padrino di d’Anthes, un’occhiata significativa: ma entrambi non vorrebbero trovarsi in questa situazione: sanno che anche loro rischiano di coprirsi di ridicolo. Poi d’Anthès si avvicina a Sollogub e dice: "Sono un uomo d’onore e spero di dimostrarlo presto. Non capisco cosa voglia Pùškin. Mi batterò con lui, se vi sarò costretto, ma non voglio né litigi né scandali".

   La mattina dopo, il 17 novembre, quando Vladimir Sollogub si sveglia, si affaccia alla finestra e constata che dal cielo basso, lattiginoso, cade una fitta neve che comincia a vorticare in densi mulinelli. Comincia quella che a Pietroburgo viene chiamata la tormenta, quando i candidi fiocchi s’infilano negli occhi e nei baveri sollevati delle pellicce, e impediscono il respiro, e si stenta a camminare, e anche i cocchieri più esperti faticano a far avanzare le slitte lungo le strade spazzate dal vento. Ma Sollogub deve assolutamente uscire. Ha deciso innanzitutto – anche se sa che Pùškin è contrario – di far visita a Georges d’Anthès: lui lo conosce molto bene e chissà, forse potrebbe riuscire a dissuaderlo da un duello di cui non sono ben chiari i motivi.

   Georges d’Anthès lo accoglie con riguardo ma rifiuta di spiegargli i motivi del duello e lo rimanda seccamente al suo padrino d’Archiac per prendere gli accordi necessari. Ma Sollogub insiste a chiedere le ragioni di questo duello e dopo molte insistenze d’Anthès gli dice: «Insomma, non volete capire che sposo Catherine? Pùškin ha ritirato la sfida, ma non voglio che sembri che io mi sposo per evitare di battermi. D’altra parte non desidero che in tutta questa storia venga fatto il nome di una donna. È un anno che mio padre – il barone Heeckeren – non mi permette di sposarmi». A questo punto Sollogub – convinto che d’Anthès non abbia poi tutti i torti – va da Pùškin e, strada facendo, sotto la tormenta di neve, ordina al cocchiere di fermare la slitta davanti alla casa di suo padre – che abita proprio sulla Mojka, vicino alla casa di Pùškin – perché, già che si trova da quelle parti, vuole fargli un breve saluto (solo un saluto? Chissà che cosa si sono detti: noi non lo sappiamo…).

   Quando Sollogub arriva da Pùškin, il poeta non impiega molto tempo per capire che il suo giovane amico e padrino ha violato le sue istruzioni abboccandosi con il rivale e, molto contrariato, gli dice: «D’Anthès è un miserabile. Ieri gli ho dato del mascalzone… In società dicono che faccia la corte a mia moglie. Secondo alcuni a lei piace, secondo altri no. Per me è lo stesso, ma io non voglio che i loro nomi vengano accomunati. Ricevute le lettere anonime, l'ho sfidato…», Sollogub risponde a Pùškin dicendo: «D’Anthès non vuole che in questa storia vengano fatti nomi di donne». A queste parole Pùškin va in bestia e grida a Sollogub: «È così dunque? Non vuoi essere mio padrino? Ne sceglierò un altro!».

   Scoraggiato, avvilito, Sollogub si fa finalmente portare all’ambasciata di Francia. Lì s’incontra con d’Archiac, il padrino di d’Anthès, il quale gli confessa che anche lui non ha dormito per tutta la notte e anche lui avrebbe volentieri fatto a meno di quel duello: non solo perché è amico di d’Anthès e gli vuole bene, ma perché capisce, pur essendo francese, cosa significa Pùškin per la Russia. D’Archiac invita Sollogub a tornate da Pùškin e a convincerlo a ritirare la sfida. Lui si fa garante che d’Anthès sposerà Catherine e così, forse, si potrà evitare una grande sciagura. Sollogub replica che bisogna considerare Pùškin come un uomo malato di gelosia e che su certe inezie era meglio chiudere un occhio ed assecondarlo. I due padrini – come vediamo – decidono di interrompere le negoziazioni sulle modalità del duello per dedicarsi a cercare una soluzione pacifica (anche con dei sotterfugi…) e decidono di rivedersi più tardi in presenza di Georges d’Anthès.

   Pùškin, naturalmente, è fortemente irritato dal comportamento "conciliante" di Sollogub, esce di casa e raggiunge, in piazza Michajlovskaja, il palazzo di Klementij Rosset (impiegato nel Dipartimento dello Stato Maggiore) e gli chiede di fargli da padrino. Rosset (anche lui) non vuole immischiarsi in questa faccenda, però, essendo amico di Pùškin, non può neppure tirarsi indietro, e rifiuta adducendo che la sua conoscenza del francese scritto non è all’altezza dei negoziati preliminari che, a quel punto, si annunciavano molto complessi e molto importanti perché – aggiunge Rosset – prima di tutto, il dovere di un padrino è quello di adoperarsi per trovare una soluzione pacifica. Anche se lui – dichiara Rosset – detesta d’Anthès non meno di Pùškin, lo considera un borioso ufficialetto non degno della società pietroburghese, ma il primo compito di un padrino e di un amico, è quello di evitare spargimenti di sangue. Pùškin lo invita a pranzo perché – nonostante il suo rifiuto – lo sente dalla sua parte e Rosset accetta di buon grado questo invito anche per tentare di rassicurare e di far calmare Pùškin e di indurlo a migliori propositi.

   Verso le tre, all’ambasciata d’Olanda, riprendono le trattative fra i due padrini, Sollogub e d’Archiac. È presente anche d’Anthès ma non interviene in alcun modo nella conversazione. I due padrini – loro malgrado – stabiliscono il luogo, la data e le condizioni del duello. Sollogub scrive a Pùškin per comunicargli i termini dell’accordo e anche – sollecitato da d’Archiac – per proporre, in extremis, una conciliazione. D’Anthès chiede di leggere la lettera, ma d’Archiac si oppone con fermezza: questo è un compito del padrino, è lui che la legge e, dopo averla letta, dice a Sollogub: «Sono d’accordo con quello che avete scritto, mandatela», poi restano in attesa della risposta di Pùškin per quasi due ore. D’Anthès trascorre queste due ore in un cupo, corrucciato silenzio.Ma osserviamo d’Anthès, in questa circostanza, leggendo un frammento da:

 LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Ecco lo spavaldo cavaliere della Guardia tramutato in statua della passività e dell’impotenza. Il padre adottivo aveva saldamente ripreso in mano la situazione ponendosi con autorità tra lui e Pùškin; i padrini, inseguendo ostinate intenzioni di pace, erano pronti a concessioni e compromessi; lui stesso, superato il primo impeto d’orgoglio, si chiedeva nuovamente se un duello non avrebbe distrutto la reputazione di Natalie, il destino di Catherine: tutto lo fermava, lo spingeva a un’umiliante resa.

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   E ora leggiamo la lettera che Sollogub scrive a Pùškin, letta e approvata da d’Archiac: che cosa dice il testo di questa lettera?

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Sollogub a Pùškin, [17 novembre 1836, ore 16 circa]:

«Come mi avevate chiesto, sono stato dal signor d’Archiac per convenire tempo e luogo. Ci siamo accordati per sabato, visto che venerdì mi è impossibile essere libero, dalle parti di Pargolovo, la mattina presto, a dieci passi di distanza.

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   Ci rendiamo conto del fatto che questa lettera, più che trasmettere gli accordi per "celebrare" il rito cruento del duello, contiene l’estremo tentativo fatto dai due padrini – i quali si dimostrano persone sagge – per tentare una conciliazione. I termini della chiarificazione sono molto semplici e possiamo riassumerli. Pùškin deve affermare, a voce davanti ai padrini, che d’Anthès non cerca il matrimonio con Catherine per evitare il duello. D’Anthès, subito dopo, deve chiedere la mano di Catherine affermando che, da tempo la ama, e da tempo, avrebbe voluto fare questo passo se suo padre adottivo, il barone Heeckeren, non glielo avesse impedito. A questo punto risulta chiaro il fatto che se d’Anthès, da tempo, ama Catherine, sono tutte voci calunniose quelle che attribuiscono a lui una relazione con Natàl’ja Pùškina. E se il comportamento galante di d’Anthès verso Natàl’ja è stato frainteso e mal interpretato dal marito, lui, d’Anthès, chiede umilmente scusa. A Pùškin, di fronte a questa situazione, non resta che ritirare il "cartello di sfida" e dichiarare la pace.

   Questo è quello che pensano e auspicano i due padrini. Ma i due contendenti, a questo punto, antepongono la parola "onore" alla parola "pace": e quando si antepone la parola "onore" alla parola "pace", di solito scoppia la guerra.

   Di fronte al comportamento di Pùškin e di d’Anthès noi dobbiamo tornare a riflettere sulla parola "onore" che – come sappiamo dal Percorso precedente – risulta essere una parola-chiave del romanticismo. In relazione al rito cruento del duello – e in relazione a tutte le manifestazioni cruente di cui, oggi, siamo testimoni – la parola onore con tutti i suoi significati che senso ha? È lecito l’uso della parola "onore" in relazione ad un rituale cruento? In un Percorso di didattica della lettura e della scrittura dove le parole-chiave hanno un peso è necessario "restituire onore all’onore". A che cosa corrisponde il termine "onore" secondo la tradizione semantica? Basta consultare un dizionario.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

L’onore è dignità, moralità, onestà, decoro, correttezza, sincerità, lealtà, credibilità, stima, rispetto, considerazione.

Quale di queste parole, secondo te, rende maggiormente onore all’ onore?

In quale circostanza tu hai dato "la tua parola d’onore"?

Scrivi quattro righe in proposito

   La lettera che abbiamo letto, scritta da Sollogub, padrino di Pùškin, e approvata da d’Archiac, padrino di d’Anthès, viene affidata al cocchiere perché la porti immediatamente sulla Mojka, dove erano stati la mattina. Ma, in quale delle due case? La mattina avevano fatto due soste e Sollogub, in preda alla fretta e alla preoccupazione, non specifica in quale delle due case il vetturino debba portare la lettera. Il povero vetturino, nel bel mezzo della tormenta – che continuava ad imperversare – incerto tra le due case davanti alle quali s’era dovuto fermare qualche ora prima con Sollogub, dà uno sguardo all’indirizzo che era scritto in francese «A Monsieur Pouchkin, nelle sue proprie mani». Il vetturino è analfabeta e riconosce a stento le lettere dell’alfabeto russo. Decide così di andare dal padre di Sollogub, dove tante altre volte aveva portato il giovane conte e dove avevano fatto una breve sosta anche quella stessa mattina.

   Chi è il padre di Sollogub? Il padre di Sollogub è una persona autorevole, fa parte del "consiglio segreto dello zar": è il consigliere segreto Aleksandr Ivanovic Sollogub. Il vetturino consegna a lui la lettera. Il consigliere esita prima di aprire il foglio indirizzato a Pùškin, ma poiché gli era stato detto che era cosa urgentissima e aveva riconosciuto la scrittura del figlio, decide di leggerlo e, naturalmente, rimane stupefatto, ma probabilmente, in questo caso, manca qualche tassello per ricostruire per filo e per segno la storia. E a questo punto affidiamoci ancora a …

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

La bufera di neve, un biglietto di vitale importanza recapitato alla persona sbagliata: sembra che il destino voglia per un istante imitare le storie inventate da Pùškin. Una notte di tormenta, nella Figlia del capitano, il giovane Grinév è soccorso da un vagabondo a cui dona un pellicciotto: lo sconosciuto si rivelerà Pugacév, il sanguinario popolano ribelle che nel ricordo di quel gesto riconoscente salverà la vita di Grinév.

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   Perché il consigliere segreto Aleksandr Ivanovic Sollogub lascia passare questa lettera così compromettente anche per suo figlio: i duelli sono vietati e anche i padrini commettono grave reato. Il consigliere segreto Aleksandr Ivanovic Sollogub sa qualcosa che noi non sappiamo? Qualcosa che non è stato scritto in nessuna lettera? Qualcosa di cui ha parlato nel breve incontro con suo figlio, prima che lui si recasse da Pùškin? Lui, in quanto consigliere segreto, è già al corrente del fatto che, per qualche ragione, per ora, questo duello non avverrà? Gli addetti ai lavori, i ricercatori si sono sempre chiesti: qual è stato il ruolo del governo e dello zar ne "l’affare Pùškin"? Che cosa possiamo dire, noi? Possiamo dire solo dire che: Aleksandr Ivanovic Sollogub è, appunto, un "consigliere segreto" e che cosa ci stanno a fare i "consiglieri segreti" se non per mantenere i segreti e a maggior ragione i "segreti di Stato"?

   E così la lettera scritta da Sollogub, padrino di Pùškin, e approvata da d’Archiac, padrino di d’Anthès, arriva finalmente a Pùškin. Pùškin la legge e naturalmente, in modo provocatorio, risponde: questa lettera non è segreta e noi la leggiamo:

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 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Pùškin a Sollogub, 17 novembre 1836, [ore 17.30 circa]:

«Non esito a scrivere ciò che posso dichiarare verbalmente. Avevo sfidato a duello il signor Georges d’Anthès e questi ha accettato la sfida senza entrare in alcuna spiegazione.

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   Il povero cocchiere – non ne conosciamo neppure il nome sebbene faccia parte a pieno titolo di questa complicata storia – estenuato dalla tormenta, porta la risposta di Pùškin all’ambasciata d’Olanda e della lettera se ne impadronisce subito d’Archiac, il padrino di d’Anthès, che le dà una rapida occhiata e, con un’espressione compiaciuta, dice: «Quello che ha scritto il signor Pùškin, a noi, può bastare». Ancora una volta d’Archiac si rifiuta di mostrare la lettera a d’Anthès e si felicita invece con lui per il prossimo matrimonio. D’Anthès si rivolge allora a Sollogub e gli dice: «Andate dal signor Pùškin e ringraziatelo per aver consentito a mettere fine alla nostra lite. Spero che, da ora in poi, ci frequenteremo come fratelli».

   I due padrini si recano subito al n. 12 della Mojka a casa di Pùškin. Il poeta sta pranzando in compagnia dei famigliari e di Klementij Rosset che aveva accettato l’invito a pranzo. Pùškin riceve Sollogub e d’Archiac nel suo studio: è teso, è pallido, accoglie le rituali parole di gratitudine di d’Archiac in silenzio, e parla solo quando Sollogub gli dice: «Da parte mia mi sono permesso di promettere che tratterete vostro cognato da buon conoscente». «Avete fatto male!» esclama in tono stizzito Pùškin. «Questo non avverrà mai. Tra la casa di Pùškin e quella di d’Anthès non potrà mai esserci nulla in comune». Dopo una breve pausa, però, aggiunge: «Del resto ho ammesso, e sono pronto a ripeterlo, che il signor d’Anthès si è comportato da uomo d’onore». «Questo mi basta» – dice subito d’Archiac che vuole attaccarsi a qualunque parola positiva esca dalla bocca di Pùškin per mettere pace – «Prendo atto con soddisfazione – dichiara d’Archiac – che voi considerate d’Anthès un uomo d’onore» e, insieme a Sollogub, che approva vivamente, si affretta a salutare e a uscire.

   Pùškin torna nella sala da pranzo, si rivolge a Catherine e le dice: «Vi faccio gli auguri, d’Anthès ha chiesto la vostra mano». La cognata, Catherine, che aveva i nervi a pezzi, poveretta, perché quegli ultimi giorni erano trascorsi in una terribile altalena di speranze e di angosce, e aveva passato molte notti insonni, getta bruscamente il tovagliolo sul tavolo, poi altrettanto bruscamente si alza e, piangendo, corre verso la sua stanza. Natàl’ja la segue. Senza commenti, con un sorrisetto sulle labbra, Pùškin dice a Rosset: «Che tipo, però questo d’Anthès!».

   Nel frattempo è cessata anche la tormenta di neve e quella sera stessa – è un martedì, e di martedì a Pietroburgo (non lo sapete?) – si balla a casa dei Saltykov, una casa molto ospitale ma con le stanze un po’ troppo piccole. Ma leggiamo che cosa succede a casa dei Saltykov attraverso Il bottone di Pùškin.

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 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Quella sera stessa, durante il ballo che i Saltykov davano ogni martedì, supplizio dei pietroburghesi per l’afa che stagnava nelle piccole stanze stipate fino all’inverosimile, venne annunciato il fidanzamento di Catherine Gonćaròva e Georges d’Anthès.

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   Pùškin scommette che quel matrimonio non sarebbe mai avvenuto. Perché scommette? Che cosa pensa in proposito? Pùškin ha capito che i due padrini stanno operando di comune accordo per evitare il duello, per questo ha già maturato l’idea di sostituire il suo.

   Pùškin pensa che d’Anthès non conosca ancora il contenuto della sua lettera di risposta nella quale lui insinua che d’Anthès si sposa per evitare il duello, difatti d’Archiac non ha permesso a d’Anthès di leggere il testo della lettera.

   Pùškin pensa che quando d’Anthès verrà a conoscenza del testo della sua lettera reagirà e, se si comporterà da uomo d’onore, si batterà e Pùškin pensa, quindi, di poter ammazzare d’Anthès in duello al più presto, prima del matrimonio. Oppure se d’Anthès non si fosse comportato da uomo d’onore, una volta evitato il duello, avrebbe trovato qualche scusa per evitare anche il matrimonio con Catherine, magari con la collaborazione del suo padre adottivo. A quel punto Pùškin avrebbe avuto un pretesto in più per battersi con lui. Ma Pùškin perderà la scommessa perché questo matrimonio – tre settimane dopo – sarà celebrato.

   Georges d’Anthès – che probabilmente non conosce ancora il contenuto della lettera di Pùškin nella quale lo si accusa di volersi sposare per evitare di battersi – è ormai intenzionato a portare all’altare Ekaterina Gonćaròva e probabilmente è anche intenzionato a tenere le distanze da Natàl’ja Pùškina (anche se continua ad incontrarla, però).

   L’ultimo frammento che leggiamo questa sera da Il bottone di Pùškin è una lettera di Georges d’Anthès a Ekaterina Gonćaròva scritta quattro giorni dopo l’annuncio del loro fidanzamento. È una lettera d’amore? Sembra una lettera d’amore, ma più precisamente è una lettera di rassicurazione- giustificazione visto che d’Anthès dichiara di aver incontrato Natàl’ja – la "Signora in questione", così la chiama – e di essersi comportato con lei (ma non siamo sicuri…) secondo gli ordini (quali?) che gli ha impartito Catherine: ma molte cose ci sfuggono. Natàl’ja ha incontrato d’Anthès perché – a quanto ci è dato capire – sta "negoziando" per scongiurare un duello che, se fosse avvenuto, sarebbe costato caro a tutti. E allora leggiamo questa lettera…

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Georges d’Anthès a Ekaterina Gonćaròva, [Pietroburgo, 21 novembre 1836]:

«Mia cara e buona Catherine, vedete che i giorni passano e uno non assomiglia all’altro. Ieri pigro, oggi attivo anche se torno da un orribile turno di guardia al Palazzo d’Inverno, cosa che avevo gridato stamattina a vostro fratello Dmitrij pregandolo di dirvelo affinché poteste darmi un piccolo segno di vita

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E ora, per concludere l’itinerario, è necessaria una riflessione sulla parola "padrino" e sulla parola "madrina". La parola "padrino" (che assume molti significati, anche negativi), e la parola "madrina", ricorrono in modo costante nella cultura del "romanticismo galante" e di conseguenza anche all’interno del genere letterario del romanzo. Queste due parole "padrino" e "madrina" sono presenti nel territorio del romanticismo con il significato di "testimoni", di "garanti".

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Tutti noi abbiamo avuto "padrini", "madrine", "testimoni", "garanti", non certo in occasione di un duello, ma in occasioni rituali pacifiche e serene…

Chi sono i tuoi "padrini" e le tue "madrine"? Perché sono stati scelti? Che influsso hanno avuto nella tua vita?

Scrivi quattro righe in proposito…

   Nonostante la buona volontà i due "padrini", Sollogub e d’Archiac, riescono soltanto, con dei sotterfugi, a creare le condizioni per una tregua, ma è una tregua molto fragile: è una tregua armata, e difatti Pùškin, quasi tutti i giorni, passa davanti alla vetrina dell’armeria di Aleksej Kurakin per dare un’occhiata alle due pistole che ha prenotato. E poi decide di dare "fuoco alle polveri" e scrive due lettere. A chi scrive Pùškin? La prima lettera la scrive a quello che sospetta essere il mandante dei messaggi anonimi che ha ricevuto circa due settimane prima: il barone Jacob Van Heeckeren, il padre adottivo di Georges d’Anthès. La seconda lettera la scrive addirittura al Capo della polizia di Sua Maestà Imperiale, a quello che lo dovrebbe tenere d’occhio per conto dello zar: il conte Aleksandr Christoforović Benckendorff.

   Sapete che cosa scrive Pùškin a queste due persone? E sapete come si arriva e come si celebra il cruento rituale del duello che conduce alla "fine di Pùškin"? E poi non abbiamo ancora chiarito che ruolo hanno i "bottoni" nella "fine di Pùškin".

   Se volete ancora "attaccare bottone con Pùškin": accorrete, la Scuola è qui…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Aprile 29, 2005