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IL "SENSO DEL RIDICOLO" NELLA SOCIETÀ "ROMANTICA"…

Lezione N.: 
24

Prof. Giuseppe Nibbi         Tra ‘700 e ‘800: il sorriso de La Gioconda 2005         20-21-22 aprile 2005

 IL "SENSO DEL RIDICOLO" NELLA SOCIETÀ "ROMANTICA"…

   Il Percorso che s’intitola Il sorriso de La Gioconda e che attraversa il vasto territorio del "romanticismo" ci ha condotto ad incontrare Aleksàndr Sergeević Pùškin di cui abbiamo conosciuto le principali opere in poesia e in prosa. La scorsa settimana ci siamo dati appuntamento facendoci una domanda: perché dobbiamo occuparci della "fine di Pùškin"? In un Percorso di didattica della lettura e della scrittura è obbligatorio occuparsi di questo avvenimento. Questo avvenimento è stato considerato mitico già contemporaneamente allo svolgersi dei fatti, ed è stato sùbito ritenuto epico appena se ne è consumato l’epilogo con la morte del poeta.

   La "fine di Pùškin" è un avvenimento strettamente legato alla storia della Letteratura e direttamente collegato alla storia del Pensiero ed è un paesaggio intellettuale fondamentale nella cultura del romanticismo titanico e galante. La "fine di Pùškin" è un avvenimento strettamente legato ad una parola-chiave del repertorio romantico, titanico e galante, che abbiamo già incontrato sul nostro Percorso e sulla quale abbiamo già riflettuto: la parola "corrispondenza". La complessa tragedia della "fine di Pùškin", con dovizia di particolari, è stata scritta attraverso la "corrispondenza" dei numerosi protagonisti, principali e secondari. È attraverso la pratica legata alla parola "corrispondenza" che emergono ulteriori parole-chiave significative per la nostra esperienza di lettori e scrivani.

   Sappiamo che la morte di Pùškin è causata dalle ferite riportate in duello, e la parola-chiave "duello" assume un ruolo strategico nella "corrispondenza" che narra gli avvenimenti legati alla "fine di Pùškin". La parola-chiave "duello" è rilevante nella cultura del romanticismo. L’avvenimento che corrisponde alla parola "duello" costituisce, con il suo rituale, un punto d’incontro tra le componenti titaniche e le componenti galanti del fenomeno culturale che chiamiamo "romanticismo". Questa affermazione: "il duello è rilevante nella cultura del romanticismo…" risuona senza dubbio, nelle nostre orecchie, come una dichiarazione inquietante, ci domandiamo infatti: è possibile considerare il rituale cruento del duello come un fatto di cultura? Che cosa c’entra il duello con la cultura? La parola "cultura" sembra stonare accanto alla parola "duello". Il duello è un rituale cruento, severamente vietato dalla legge, che, per quanto "farsesco" ci possa apparire, ha delle conseguenze tragiche. Certo, se oggi ci guardiamo intorno lo spirito del duello cruento non solo sopravvive ma prospera: di fronte alle faide di mafia, all’azione del terrorismo, alla dottrina neo-religiosa della guerra preventiva, la pratica romantica – titanica e galante – del duello tra gentiluomini ci appare persino un po’ comica. Attenzione perché è con il metro della cultura che dobbiamo ragionare. Perché i rituali cruenti – ci cui il duello fa parte – invece di esaurirsi, si riproducono e si sviluppano nella storia dell’Umanità? Come mai la legge non è bastata e non basta a trasformare in tabù i rituali cruenti? E che ruolo gioca a questo proposito l’Educazione morale e civile? Perché i rituali cruenti non sono stati ancora minimamente esorcizzati, svuotati della loro carica disumana, da quell’essere che si autodefinisce: homo sapiens-sapiens? È di fronte a queste domande che la cultura, come strumento portatore di Umanesimo, deve fare la sua parte, e a chi spetta mettere in moto la cultura "umanistica" con le sue buone pratiche del conoscere, del capire, dell’applicare, dell’analizzare, del sintetizzare e del valutare? Questo compito tocca forse alla Scuola? E allora, è in questo senso che il rituale cruento del duello entra in relazione con la cultura.

   Prima di intraprendere il nostro itinerario che, purtroppo, ci obbliga ad occuparci di un duello, di un vero e proprio "rituale cruento", vogliamo fare una riflessione. Dobbiamo intanto precisare che il termine "duello" ha soprattutto un significato positivo e utile nella società del libero confronto delle opinioni. La parola "duello", nella società democratica, è legata ad una serie di parole significative: contesa, gara, concorso, competizione, confronto, discussione, dibattito.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Hai mai accettato o lanciato una sfida a duello nel senso delle parole che sono state elencate?

Scrivi quattro righe in proposito…

   E ora mettiamoci in cammino sulla strada che porta al duello, cruento, che costa la vita a Pùškin. Noi naturalmente affrontiamo questo itinerario come esercizio di didattica della lettura e della scrittura. Già conosciamo i personaggi principali di questa tragedia. Oltre a Pùškin sono coinvolti in questo dramma la sua bellissima moglie Natàl’ja Nikolaevna Gonćaròva Pùškina e il suo spasimante – forse, per lo meno a parole, ricambiato – il cavaliere della guardia imperiale barone Georges d’Anthès. Inoltre è coinvolto negli avvenimenti, come personaggio di primo piano, anche l’ambasciatore olandese presso lo Zar, il barone Jacob van Heeckeren che, nel 1836 ha adottato come figlio il cavaliere Georges d’Anthès. La strada che porta al duello tra d’Anthès e Pùškin – a proposito di corrispondenza – passa attraverso l’invio di un certo numero di lettere anonime: sono questi messaggi anonimi che accendono la miccia che darà fuoco alle polveri. Queste lettere anonime non fanno esplicito riferimento alla presunta relazione tra d’Anthès e Natàl’ja Pùškina ma siccome questo fatto era sotto gli occhi di tutti, evidentemente era a questa situazione che facevano riferimento. Queste lettere anonime contengono uno scherzoso diploma che autentifica l’iscrizione di Pùškin al Circolo dei Cornuti. Vista da un certo punto di vista questa faccenda potrebbe essere anche comica, ridicola, farsesca ma Pùškin non è nella condizione psicologica adatta per poter scherzare e la sua reazione è tale da scatenare la tragedia. L’invio di questo messaggio anonimo – riprodotto in più copie – innesca un processo che non potrà essere più interrotto, nonostante i tentativi e le mediazioni di amici e conoscenti, se non con la morte del poeta. Altri personaggi importanti che danno vita alla tragedia sono i "mediatori", e via via li incontreremo.

   L’ambiente della buona società di Pietroburgo ci appare come un acquario in cui tutto avviene sotto gli occhi di tutti ed emerge un’idea significativa che costituisce certamente uno dei motori che fa procedere questa vicenda verso la catastrofe: il senso del ridicolo. La parola "ridicolo" costituisce il termine più rilevante (è anche nel titolo…) dell’itinerario di questa sera. La parola "ridicolo" è al centro non solo della società pietroburghese ma è al centro anche di tutta la società "romantica" europea. La parola "ridicolo" porta con sé molte altre parole significative, come: risibile, buffo, comico, goffo, grottesco, farsesco, meschino, caricaturale.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

 Succede, a volte, di cadere nel ridicolo o di essere responsabili di aver fatto cadere altri nel ridicolo: a te è successo?

 Scrivi quattro righe in proposito…

   In quest’epoca "romantica" il "ridicolo degli altri" è una risorsa da ricercare per fuggire la noia, e il "ridicolo proprio" è un incubo da cui scappare nell’isolamento o, alla peggio, da cui difendersi con la pistola.

   La scorsa settimana abbiamo utilizzato un saggio scritto sotto forma di romanzo epistolare che s’intitola Il bottone di Pùškin di Serena Vitale. L’analisi e lo studio della corrispondenza, che costituisce la maggior parte del materiale di questo interessante libro, ci permette di osservare da vicino la società pietroburghese e soprattutto ci permette di fissare lo sguardo su un ritratto in chiaroscuro dell’uomo Pùškin. Nella sua vita impregnata di inquietudine e di turbamento si rincorrono luci e ombre e ne risulta un personaggio complesso e ambiguo, contemporaneamente sensibile e truculento, dolce e irascibile, impietoso nei suoi giudizi verso gli altri e abbastanza indulgente verso se stesso. Possiamo constatare che Pùškin, come altri grandi artisti prima e dopo di lui, in qualche modo ha orchestrato con le sue azioni la propria fine, come se la sua vita fosse uno dei suoi poemi, come se la sua vita fosse un dramma scritto per il palcoscenico della Storia e la "corrispondenza" ci fornisce una interessante testimonianza di questo atteggiamento.

   La strada che porta al duello tra d’Anthès e Pùškin – stavamo dicendo, a proposito di "corrispondenza" – passa attraverso l’invio di alcune lettere anonime. Queste lettere anonime – abbiamo già detto – non fanno esplicito riferimento alla presunta relazione tra d’Anthès e Natàl’ja Pùškina ma contengono un messaggio insinuante che viene inviato in modo subdolo non solo a lui ma viene recapitato a un certo numero di persone, amiche di Pùškin, con l’invito a farglielo avere. A chi arriva questo provocatorio messaggio? Un messaggio arriva a Elizaveta Michajlovna Kutuzova Chitrovo (1783-1839). Questa signora, "materna" amica di Pùškin – coma lei stessa ama definirsi – porta, da nubile, un cognome famoso soprattutto per chi ha letto Guerra e pace. Elizaveta Michajlovna Kutuzova è infatti la figlia del generale Michail Ilarionovic Kutuzov di Smolensk (1745-1813), il comandante in capo dell’esercito russo contro Napoleone, il vincitore di Napoleone, l’eroe della Grande Guerra Patriottica contro l’Armata francese: uno dei personaggi realmente vissuti, immortalati da Tolstòj nel suo romanzo. In funzione della didattica della lettura e della scrittura dobbiamo anche dire che il primo marito di questa signora, Ferdinand, aiutante di campo, morì nella battaglia di Austerlitz (il 2 dicembre 1805) compiendo un gesto eroico: questo gesto, che causò la sua fine, ha ispirato a Leone Tolstòj il celebre episodio di cui in Guerra e pace è protagonista Andrei Bolkonskij uno dei principali personaggi letterari del romanzo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Conviene non lasciarsi sfuggire l’occasione di leggere Guerra e pace di Leone Tolstòj…

   E ora leggiamo il racconto della trafila degli arrivi delle lettere anonime indirizzate a Pùškin: il primo frammento – sempre tratto da Il bottone di Pùškin di Serena Vitale – ci porta, appunto, in casa di Elizaveta Kutuzova .

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Aveva appena finito di scrivere l’altisonante firma – Elizaveta Michajlovna Chitrovo, nata Principessa Kutuzov-Smolensky – quando le consegnarono una busta arrivata con la posta cittadina; incuriosita (la piccola posta era ancora una novità per la capitale), la aprì subito e vi trovò un foglio sigillato indirizzato a Pùškin. Si meravigliò non poco, ma presto allo stupore subentrò una penosa ansia; quella misteriosa missiva, pensò, veniva sicuramente da un nemico del poeta: glielo diceva il suo sesto senso, affinato dall’esperienza del mondo e delle sue bassezze.

...continua la lettura ...

     È la mattina del 4 novembre 1836 quando questo messaggio anonimo, indirizzato a Pùškin, arriva a Elizaveta Kutuzova e contemporaneamente viene recapitato anche ad un certo numero di persone della cerchia di Pùškin. Ma seguiamo il racconto della trafila degli arrivi.

 LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Quella stessa mattina del 4 novembre 1836 Pëtr Andreević Vjazemskij (1792-1878, principe, funzionario di Cancelleria, vicedirettore del Dipartimento del commercio estero, viceministro dell’Istruzione popolare, poeta, critico letterario, memorialista), era intento a sbrigare la corrispondenza quando la moglie entrò nel suo studio mostrandogli lo strano plico che aveva appena ricevuto con la posta del mattino:

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   Attenzione: di che incidente si tratta e a che cosa si riferisce Vladimir Sollogub? La risposta a questa domanda non è breve e la si trova leggendo tutto intero Il bottone di Pùškin: noi, in questo momento siamo obbligati, per non perdere il filo, a seguire una precisa trafila, leggiamo…

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

E ora Sollogub si chiedeva allarmato cosa potesse significare quella misteriosa missiva. Certamente nulla di buono, giudicò in cuor suo. Senza mettere la zia a parte delle sue apprensioni, si fece consegnare il foglio ancora sigillato e uscì diretto verso la casa del poeta.

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   Ma chi ha spedito questo messaggio – in più copie – a Pùškin mettendo in moto un meccanismo che nessuno purtroppo riuscirà più a fermare? Per conoscere gli eventuali indiziati e per capire il coinvolgente intreccio che, attraverso le lettere, attraverso la "corrispondenza", la professoressa Serena Vitale ha ricostruito, dobbiamo leggere tutti interi i capitoli de Il bottone di Pùškin che s’intitolano Lettere anonime e Sospetti: se, leggendo, attacchiamo questo bottone ne vengono fuori molti personaggi interessanti (alcuni li abbiamo già citati) e molte implicazioni che danno al racconto il carattere del romanzo giallo. Noi, ora, possiamo solo chiederci: su chi cadono i sospetti di Pùškin? E i sospetti di Pùškin sono davvero fondati oppure è prevenuto e vuole attribuire questa macchinazione a tutti i costi a qualcuno in modo da trovare un pretesto per lanciare una sfida?

   E come stanno le cose nel novembre del 1836, due mesi prima del fatale duello che gli sarebbe costato la vita? Cerchiamo – attraverso la "corrispondenza" – di fare il punto della situazione. Noi sappiamo già – lo abbiamo constatato la scorsa settimana – che Natàl’ja, la bellissima moglie di Pùškin, viene assiduamente corteggiata dal cavaliere Georges d’Anthès, questo fatto è di pubblico dominio e per Pùškin, questa situazione, diventa, giorno dopo giorno, sempre più insopportabile. Sappiamo che lei, Natàl’ja, non cede al corteggiamento però, contemporaneamente non se ne sottrae: Pùškin ricorda spesso alla moglie che "chi offre aringhe e caviale deve poi anche spegnere l’ardente sete che questi cibi causano". Il quarto personaggio-chiave di questa storia – che via via assume i tratti e del romanzo giallo e della tragedia – è Jacob van Heeckeren, l’ambasciatore olandese che ha adottato come figlio Georges d’Anthès. Questo signore, assai spregiudicato, la sa lunga – tiene un epistolario con il figlio adottivo che è anche il suo amante – ed è ben informato sui particolari, anche più intimi, di questo dramma in cui il "senso del ridicolo" gioca un ruolo importante. Leggiamo un frammento dove Jacob van Heeckeren contribuisce a metterci al corrente sul comportamento "ambiguo" di Natàl’ja Nikolaevna Pùškina.

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Tiriamo un sospiro di sollievo: Pùškin – almeno fino all’ottobre del 1836 – non era cocu. Natàl’ja Nikolaevna, come scrisse Van Heeckeren a Nesselrode, «non aveva mai dimenticato completamente (Che vipera, però, questo ambasciatore!) i suoi doveri», poteva vantare, come scrisse Vjazemskij al granduca Michail Pavlović, un’«innocenza di fondo». Ma proprio in quel «fondo», in quel «mai completamente», stava la sua paradossale colpa, la causa del disastro.

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   Da questo frammento veniamo a sapere che Natàl’ja (o Natalie, si parla il francese a Pietroburgo) "aveva respinto d’Anthès, per la seconda volta, e nel suo rifiuto ora doveva esserci anche la gelosia". Perché Natàl’ja avrebbe dovuto essere gelosa nei confronti della sorella Catherine o Ekaterina (per dirlo in russo) che era la maggiore e la più "bruttina" delle sorelle Gonćarov, e perché avrebbe dovuto essere gelosa della principessina Barjatinskaja? Georges d’Anthès lo conosciamo: è un conquistatore, ed è corteggiato lui stesso soprattutto dalle signore maritate in cerca di avventure, ora noi non abbiamo il tempo di seguirlo nelle sue imprese galanti, che risultano interessanti per noi lettori, non tanto per l’avventura in se stessa ma soprattutto perché – rincorrendo gli amanti o i potenziali amanti – abbiamo la possibilità di visitare la città di Pietroburgo dal di dentro: nei suoi palazzi, nei suoi salotti che tuttora esistono come musei, come luoghi pubblici che possono essere visitati con maggior interesse se esiste un supporto culturale, intellettuale, letterario e Il bottone di Pùškin di Serena Vitale è anche una significativa "guida" per la visita alla città. Va anche detto che in questi giorni di novembre del 1836 anche d’Anthès, come Pùškin, è di pessimo umore e ha buoni motivi per essere turbato, ansioso, incapace di dominare i propri nervi: perché, che cosa è successo? Georges d’Anthès con la maggiore delle sorelle Gonćarov, Ekaterina, si è cacciato in un tremendo pasticcio. Noi, ora, non possiamo raccontare questo avvenimento – ci occuperemo delle sue conseguenze – perché il nostro itinerario diventerebbe troppo lungo, ma dobbiamo far nascere – il nostro è un Percorso in funzione della didattica della lettura e della scrittura – la curiosità di leggere, con calma, Il bottone di Pùškin: è utile e anche divertente andare ad attaccare bottone (basta non attacchiate briga, per carità) con Pùškin.

   È a questo punto che Georges d’Anthès, in grande difficoltà, chiede aiuto a suo padre, e l’ambasciatore Jacob van Heeckeren decide di entrare in scena con grande cautela – non correva un rischio da poco – e di adoperarsi per convincere Natàl’ja Nikolaevna Pùškina ad accettare l’amore del suo figlio adottivo. Lei non lo ha respinto ma non si vuole concedere in nome dei suoi doveri di donna sposata. E a questo punto ci domandiamo: Natàl’ja è entrata nei panni di Tatjana? Leggiamo un frammento significativo.

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Ne abbiamo la prova: fu dunque d’Anthès a «guidare il comportamento» dell’ambasciatore, ad architettare il suo ruffiano agguato, a scongiurarlo di parlare con la «Signora in questione» per sondarne sentimenti e intenzioni, impietosirla, piegarne la strenua resistenza.

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   Queste macchinazioni non sfuggono né a Pùškin né tanto meno ai frequentatori dei salotti pietroburghesi e neppure allo zar che aveva un occhio (anche due occhi…) di riguardo nei confronti di Natàl’ja Nikolaevna Gonćarova Pùškina. E allora: ritorniamo alle lettere anonime che la mattina del 4 novembre 1836 portano in giro un burlesco certificato che affibbia a Pùškin il diploma di cocu, di cornuto.

   Da quello che abbiamo raccontato, seppur sommariamente, e da quello che abbiamo letto, seppure frammentariamente, che cosa possiamo capire? Possiamo capire che Pùškin non si trova nelle condizioni psicologiche di prendersela in ridere: il "senso del ridicolo" per Pùškin, in questo momento, risulta un fattore ingovernabile.

   Ci siamo chiesti: su chi cadono i sospetti di Pùškin per il messaggio anonimo che lo ridicolizza? E i sospetti di Pùškin sono davvero fondati oppure è prevenuto e vuole attribuire a tutti i costi questa macchinazione a qualcuno in modo da trovare un pretesto per lanciare una sfida, per inviare un cartello di sfida? Pùškin sospetta che il compilatore e lo speditore delle lettere anonime sia l’ambasciatore Jacob van Heeckeren, naturalmente il suo sospetto è come un punto d’appoggio psicologico per trovare il pretesto decisivo per poter colpire Georges d’Anthès che lui disprezza e rimane il suo vero obiettivo.

   Allora Pùškin nel tardo pomeriggio del 4 novembre 1836 prende carta e penna e scrive un "cartello di sfida" – i duelli erano regolamentati da un rituale titanico e galante –rivolto a Georges d’Anthès, e lo affida a suo cognato, il fratello minore di Natàl’ja, l’ussaro Ivan Gonćarov affinché lo porti all’ambasciata d’Olanda e lo consegni a Jacob van Heeckeren. Pùškin vuole coinvolgere padre e figlio in questa faccenda. Georges d’Anthès che cosa sta facendo in queste ore? Georges d’Anthès ha qualche problema di servizio, leggiamo.

 LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Il 3 novembre 1836 il reggimento dei Cavalieri della Guardia venne ispezionato in previsione della rivista che avrebbe avuto luogo l’indomani alla presenza del generale Knorring. Per «l’ignoranza degli uomini dei suoi plotoni e la trascuratezza nell’abbigliamento» il tenente Georges d’Anthès venne punito con cinque turni di guardia straordinari. Così, a partire dal mezzogiorno del 4 novembre, dovette passare gran parte del suo tempo in caserma, fisicamente lontano dagli avvenimenti che avrebbero dato una brusca, inattesa svolta al suo destino.

   Intanto il "cartello di sfida", scritto da Pùškin e indirizzato a Georges d’Anthès, arriva a destinazione all’ambasciata d’Olanda, ma Georges d’Anthès, come abbiamo letto, è bloccato in caserma, e a questo punto, come probabilmente voleva Pùškin, è suo padre adottivo, l’ambasciatore, a prendere in mano la situazione: leggiamo…

 LEGERE MULTUM….

Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

La sera del 4 novembre l’ussaro Ivan Gonćarov, fratello minore di Natàl’ja Nikolaevna, portò all’ambasciata d’Olanda il cartello di sfida di Pùškin. D’Anthès era di guardia al reggimento, e fu Heeckeren, allarmatosi al solo sentire il nome di Pùškin, ad aprire quella lettera. La lesse, e lo sgomento lo impietrì. Riavutosi, decise che prima di tutto bisognava adempiere le formalità previste dal codice d’onore. La mattina del 5 novembre si recò dal poeta e accettò la sfida a nome del figlio, assente per obblighi di servizio; proprio a causa di quell’assenza e di quegli obblighi chiese altre ventiquattro ore di tempo oltre quelle di rito: la breve dilazione, disse, sarebbe servita anche allo sfidante per riflettere con maggior calma sul proprio gesto. Ottenne il rinvio richiesto.

     A questo punto Ivan Gonćarov informa Natàl’ja, informa le altre due sorelle, Ekaterina e Alexandra, informa anche la loro zia, che Pùškin ha inviato un "cartello di sfida" a Georges d’Anthès. Le sorelle Gonćarove, d’accordo con la loro zia, angosciatissime, decidono di inviare Ivan a Carskoe Selo (oggi si chiama Pùškin questa località nei pressi di San Pietroburgo) per far intervenire Vasilij Andreević Zukovskij: sperano che lui, persona autorevole, poeta, educatore, precettore, che considera Pùškin come se fosse un figlio, possa farlo riflettere e possa farlo recedere dalla sua decisione. Intanto anche il barone van Heeckeren sembra darsi da fare per scongiurare il duello. Ma leggiamo i particolari della cronaca di questi avvenimenti.

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

La mattina del 6 novembre Pùškin ricevette una breve lettera di Jacob van Heeckeren: chiedeva un ulteriore differimento del duello e gli comunicava che quel giorno stesso sarebbe tornato a trovarlo. Contemporaneamente, mentre a Carskoe Selo attendeva ai suoi compiti di aio (precettore) dell’erede al trono, Zukovskij (Vasilij Andreevic Zukovskij, 1783-1852; poeta, educatore, precettore dei figli dello zar) riceveva l’inattesa visita di Ivan Gonćarov.

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     Pùškin è "toccato dall’emozione e dalle lacrime" del barone van Heeckeren e decide di concedere un rinvio: ma le lacrime del barone van Heeckeren sono autenticamente paterne oppure sono "lacrime diplomatiche"? Intanto nel pomeriggio il barone van Heeckeren mette al corrente il figlio adottivo, di quello che sta succedendo, leggiamo:

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Il pomeriggio del 6 novembre l’ambasciatore d’Olanda ebbe un breve colloquio con d’Anthès nelle caserme di via Spalernaja. Lo informò della sfida, dei due incontri con Pùškin, lo pregò di attendere con calma i risultati dei passi che aveva già intrapresi. Non poteva assistere inerte, disse, al crollo di quanto aveva costruito a prezzo di tanti sacrifici; la sua stessa carriera diplomatica sarebbe stata gravemente compromessa da un duello del figlio adottivo, qualunque ne fosse stato l’esito. Lo lasciò promettendogli di tenerlo al corrente di ogni novità e si recò al Palazzo d’Inverno, da Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja (1779-1842, damigella d’onore dell’imperatrice, zia materna di Natàl’ja Gonćarova Pùškina).

   Chi è Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja? Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja, damigella d’onore dell’imperatrice, è la zia materna (la sorella della madre) di Natàl’ja Gonćarova e di Ekaterina e di Alexandra. Come possiamo capire l’ambasciatore, molto diplomaticamente, fa le sue mosse: che cosa hanno da dirsi Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja e il barone van Heeckeren, tenendo conto del fatto che le donne non si occupano, di solito, di duelli.

   Intanto Zukovskij, dopo aver incontrato nel suo giro di ricognizione il conte Viel’gorskij e il principe Vjazemskij, che lo mettono al corrente della delicata situazione, torna a casa molto preoccupato: a casa trova una lettera e poi, non riuscendo a prendere sonno, ricorda e riflette. Chi gli scrive e che cosa ricorda e su che cosa riflette? Leggiamo…

 LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Tornato a casa, la sera del 6 novembre, Zukovskij trovò una lettera della Zagrjazskaja: la zia delle sorelle Gonćarov lo pregava di passare da lei l’indomani mattina per discutere i gravi fatti avvenuti. La notte Zukovskij faticò a prendere sonno. Ripassava nella mente le occasioni in cui era dovuto intervenire per far ravvedere quel ragazzo (aveva sedici anni più di Pùškin e così lo considerava ancora) quella natura ardente e impetuosa che sembrava imboccare ad arte le vie della rovina. Due anni prima, quando gli era saltato in mente di andare in congedo, lo aveva strapazzato come meritava

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     Intanto, dopo il breve colloquio pomeridiano con il padre adottivo, Georges d’Anthès, in serata, gli scrive un messaggio molto ingarbugliato e per la fretta e per l’inquietudine, ma leggiamolo e poi seguiamo il commento al contenuto di questa breve lettera che rivela un pericoloso e sotterraneo gioco delle parti.

LEGERE MULTUM….

 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

 D’Anthès a Heeckeren, [sera del 6 novembre]-

«Mio carissimo, ti ringrazio dei due biglietti che mi hai mandato. Mi hanno un po’ calmato, ne avevo bisogno, e ti scrivo queste poche parole per dirti ancora una volta che mi rimetto completamente a te qualunque sia la decisione che prendi, convinto in anticipo che agirai meglio di me in tutta questa storia. Mio Dio, non ne voglio alla moglie, e sono felice di saperla tranquilla, ma è una grave imprudenza o follia che non capisco, né quale è il suo scopo. Mandami un biglietto domani per farmi sapere se qualcosa di nuovo è successo durante la notte. Non mi dici neanche se hai visto la sorella dalla zia; né come sai che ha confessato le lettere. Buona sera, ti bacio di cuore

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   Leggendo Il bottone di Puskin è interessante curiosare nei libri che il poeta tiene nella sua biblioteca ed è significativo conoscere anche a quali autori era interessato. E ci sono anche dei libri di autori italiani nella sua biblioteca? Certamente. E poi: quali libri mandava d’Anthès a Natalie? Questa è una faccenda che deve aver fatto arrabbiare molto Pùškin: deve essersi sentito tradito più come scrittore che come marito. Si presume che i libri mandati da d’Anthès a Nàtal’ja fossero "insulsi romanzetti d’amore": così li definisce Pùškin quando viene a sapere questo particolare. "Insulsi romanzetti" che Pùškin non avrebbe mai tenuto sui suoi scaffali.Questi libri, questo "romanzetti", per la verità, non sono stati mai trovati: che testi potevano essere? Sono state fatte delle ipotesi? A questo proposito "Attaccate voi bottone con Pùškin", continuate voi la lettura su questo argomento…

   Noi adesso qui – sull’itinerario che stiamo percorrendo – non possiamo occuparci di libri, dobbiamo andarci ad occupare, purtroppo, di pistole.

   Per ora, per fortuna, troviamo ancora all’opera i "mediatori": la zia delle Gonćarove, Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja e l’amico "paterno" di Pùškin, Vasilij Andreevic Zukovskij. Vasilij Zukovskij è una persona buona, pacifica, candida e, man mano che passano le ore, rimane sempre più sconcertato dall’ingarbugliamento della situazione, e questo personaggio c’ispira quasi un sentimento di tenerezza. Vasilij Zukovskij la mattina del 7 novembre, dopo aver parlato con la zia delle Gonćarove si dirige all’ambasciata d’Olanda. Il barone van Heeckeren, il adottivo padre di d’Anthès, lo stava aspettando con ansia e lo accoglie molto amichevolmente e lo mette a conoscenza della sua angoscia e della sua volontà di impedire a qualunque costo il duello. Il barone van Heeckeren sostiene che non c’è alcun motivo che possa giustificare questo duello, a parte l’estrema e a tutti nota suscettibilità di Pùškin. Era vero, ammette il barone, che suo figlio aveva sempre reso omaggio alla bellezza di Natal'ja, ma chi, a Pietroburgo, non lo faceva? Anche suo figlio, dopo aver conosciuto l’incantevole moglie di Pùškin, se n’era invaghito, ma si poteva, in coscienza, fargliene una colpa? Chi, a Pietroburgo, non era "ammaliato" da Natàl'ja Pùškina: persino lo zar! Il tempo fortunatamente, guarisce presto le ferite nei giovani cuori, e quell’infatuazione – aggiunge il barone – aveva lasciato posto, nel cuore di d’Anthès, a un più profondo e maturo sentimento per la sorella della signora Pùškina.

   A questo punto il candido Zukovskij, del tutto disorientato, domanda al barone se la sorella in questione fosse Alexandrine, giovane e di bella presenza, ma l’ambasciatore lo corregge: no, suo figlio ama Ekaterina Gonćarova e già da tempo gli aveva manifestato l’intenzione di sposarla, ma era stato lui ad opporsi nel modo più reciso. Naturalmente il barone sostiene di avere un’ottima opinione di Mademoiselle Catherine, una fanciulla non particolarmente bella (rispetto ad Alexandrine e soprattutto rispetto a Natalie, la cui bellezza era ineguagliabile) ma sana e di ottima famiglia, damigella d’onore dell’imperatrice, eppure, il barone, aveva sperato in un matrimonio più vantaggioso per il suo Georges. Con il modesto appannaggio di ambasciatore non poteva garantirgli l’agiato avvenire che ogni padre si augura per il proprio figlio, e per nessuno era un mistero che le risorse economiche dei Gonćarov erano tutt’altro che floride. Solo la munificenza della zia permetteva alle nipoti di brillare per eleganza nei salotti pietroburghesi, ma neanche la stimatissima zia, Mademoiselle Zagrjazskaja, poteva assicurare a Catherine una dote conveniente. Si doveva dunque comprendere perché lui avesse lungamente contrastato quel matrimonio, ma ora che era in gioco la vita stessa di suo figlio non ne avrebbe più intralciato i progetti. Pùškin – aggiunge il barone – non deve sapere nulla di quanto lui, in veste di padre distrutto dal dolore, si è sentito in diritto, anzi in dovere, di rivelare.

   Zukovskij – sempre più disorientato – afferma che avrebbe mantenuto il più stretto riserbo. Però Zukovskij, appena terminato l’incontro con il barone, tornando a casa, riflette e si domanda perché ciò che il barone gli ha comunicato debba rimanere segreto. Non è forse una notizia positiva il possibile matrimonio tra Catherine e Georges d’Anthès? Questo matrimonio farebbe diventare parenti, cognati, i due contendenti e potrebbe smorzare le tensioni in corso. Zukovskij, nel suo candore, non riesce ad immaginare che questo matrimonio non è propriamente un "matrimonio d’amore", infatti d’Anthès si è avvicinato a Ekaterina per poter a sua volta ridurre le distanze da Natàl'ja. Era anche facile fare breccia in Ekaterina che, non avendo pretendenti, si era lasciata prontamente compromettere, e anche troppo compromettere.

   Zukovskij pensa, sinceramente, che le informazioni ricevute possano aprire uno spiraglio per mettere pace e siccome il suo sincero intento è quello di portare concordia ritiene utile non mantenere il segreto e coinvolgere Pùškin. Leggiamo la trafila degli avvenimenti:

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 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Ciò che ora sapeva di Ekaterina Gonćarova e Georges d’Anthès, pensò Zukovskij, mutava in modo inatteso la situazione aprendo uno spiraglio alla pace. E andò da Pùškin per riferirgli – proprio come Heeckeren si era segretamente augurato – le clamorose novità su cui si era impegnato a tacere. Invece di indurlo a più miti consigli, le sue parole fecero andare in bestia Pùškin.

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   Il 9 novembre, l’infaticabile Vasilij Zukovskij riprende la sua paziente opera di paciere. Incontra ancora una volta il barone van Heeckeren, e questi gli fa nuove rivelazioni. Lo mette al corrente del fatto che l’amoroso legame tra il figlio e Catherine Gonćarova aveva disgraziatamente superato i confini del lecito. Zukovskij – di fronte a questa nuova rivelazione – è costernato e pensa che ormai non ci si possa più limitare a conversazioni informali. In quel momento arriva d’Anthès il quale si era liberato dai suoi impegni di servizio. Tra lui e il padre adottivo, in presenza di Zukovskij, scoppia una discussione dai toni molto accesi, una vera e propria scenata, qui è lecito domandarsi: padre e figlio si sono messi d’accodo, stanno recitando una sceneggiata? D’Anthès dichiara che, dopo l’ennesima notte insonne trascorsa a soppesare i fatti, a interrogarsi sul proprio futuro, ha capito di come stesse rischiando il ridicolo: prima o poi la storia della sfida di Pùškin sarebbe venuta a galla. E noi ci accorgiamo di come il problema di non cadere nel ridicolo sia sentito non solo da Pùškin ma anche da d’Anthès. Tutta Pietroburgo lo avrebbe schernito, al reggimento lo avrebbero accusato di viltà, e forse lo avrebbero espulso. Lui dichiara, sbraitando, di volersi battere: detesta Pùškin e sente di essere in grado di ucciderlo, e non gl’importa se poi verrà incarcerato, degradato, trasferito alle guarnigioni del Caucaso. Ora lui non può più tollerare che altri, sia pure con le migliori intenzioni, dispongano a loro piacimento del suo destino e del suo buon nome.

   Queste affermazioni irritano fortemente il barone van Heeckeren, il quale, alzando a sua volta la voce, ricorda al figlio adottivo di stare attento a come parla perché solo a lui deve quel destino e solo a lui deve quel nome, e gli proibisce nel modo più categorico – visto che i suoi nervi sono a fior di pelle – di prendere iniziative: deve lasciar fare tutto a lui.

   Il povero Vasilij Zukovskij, adesso, si trova a dover fare da paciere non solo tra Pùškin e d’Anthès, ma anche tra d’Anthès e il padre adottivo e, a questo punto, chiede al barone una lettera che lo investa ufficialmente dell’autorità di negoziatore, qui, ora, non c’è solo un duello da evitare ma c’è anche la celebrazione di un matrimonio da organizzare: probabilmente Zukovskij chiede proprio quello che il barone vuole. Il barone van Heeckeren, di buon grado, scrive una lettera in cui affida a Zukovskij l’incarico di far avvicinare le parti in causa: leggiamo i punti di questa lettera che c’interessano.

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 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Heeckeren a Zukovskij, Pietroburgo, 9 novembre 1836:

« Come voi sapete, signore, fino a oggi tutto si è svolto tramite terzi. Mio figlio ha ricevuto una sfida, suo primo dovere era accettarla, ma gli si deve almeno dire, a lui in persona, per quale motivo è stato sfidato. Un abboccamento anche tra le due parti mi sembra dunque opportuno, obbligatorio, in presenza di una persona che come voi, signore sappia apprezzare il reale fondamento delle suscettibilità che hanno potuto provocare questa vicenda ».

   Come possiamo notare il discorso dell’ambasciatore è un po’ ambiguo ma lui ha le sue buone ragioni. Nel chiedere che Zukovskij – il quale è anche vicino alla casa reale – diventi un mediatore c’è anche l’esigenza che si trasformi in un informatore dell’opinione pubblica, e soprattutto possa convincere Pùškin: qual è l’intento dell’ambasciatore? Il suo intento è quello di far avvalorare pubblicamente la notizia che suo figlio fosse intenzionato da tempo a sposare Catherine Gonćarova, molto prima dell’arrivo delle lettere anonime, molto prima del "cartello di sfida" di Pùškin, in modo che non si dica che Georges d’Anthès voglia sposare Catherine per evitare il duello con Pùškin. Questo lo avrebbe fatto cadere nel ridicolo, e il ridicolo, a Pietroburgo, uccide più di un duello!

   Ora: del fatto che l’onore di Catherine fosse compromesso ne era già al corrente l’autoritaria zia Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja ed è per questo che s’intromette con determinazione in questa faccenda e conduce delle trattative con il barone van Heeckeren. Le zie russe, anche quelle di solida tempra settecentesca, non s’immischiano mai in questioni maschili come i duelli, ma fanno di tutto invece per coprire gli altarini delle fanciulle che hanno, sventatamente, perduto l’illibatezza, in modo da portarle in gran fretta all’altare. Naturalmente Catherine si era confidata con le sorelle e con la zia quando la sua relazione clandestina con d’Anthès aveva superato i confini del lecito. Quindi Ekaterina Ivanovna Zagrjazskaja poteva fornire a Zukovskij la prova materiale che di matrimonio si era già parlato prima del 4 novembre, prima della sfida di Pùškin. D’Anthès – questo è certo – non amava la sorella di Natalie ed era, anche se controvoglia, pronto ad un matrimonio riparatore, d’altra parte, in questo momento, le cose da riparare erano più di una e le persone che volevano riparare – o correre ai ripari – erano numerose, e allora leggiamo il frammento successivo:

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 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Le umide ma sempre magiche notti alle Isole (c’erano molti posti "romantici" in cui appartarsi), una donna perdutamente innamorata (Catherine), i sensi eccitati da meno accessibili grazie (quelli di d’Anthès di fronte al rifiuto di Natalie), l’eclissi della ragione (quella degli amanti clandestini), e poi – la vergogna della sedotta (Catherine), le promesse del seduttore (d’Anthès), il fermo divieto di un padre severo (il barone van Heeckeren)

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   Le persone che volevano riparare – o correre ai ripari – erano numerose, solo una persona non voleva riparare ma voleva rompere: era Pùškin.

   Il pomeriggio del 9 novembre Zukovskij torna da Pùškin per mostrargli la lettera dell’ambasciatore e la risposta di cui aveva preparato una bozza. Il poeta dichiarò gelido che avrebbe incontrato d’Anthès solo sul luogo del duello, adesso non aveva null’altro da dire. Quando Zukovskij esce dalla casa di Pùškin sulla Mojka è avvilito, è scoraggiato. E allora, scrivendo al barone van Heeckeren, decide di mentire per guadagnare tempo: scrive che non ha trovato a casa l’amico e per il momento non può dunque dare una risposta. Poi va a pranzo a casa del conte Viel’gorskij e da lì con la tenacia della disperazione, manda un messaggio a Pùškin e scrive che c’è ancora la possibilità di fermare tutto. Scelga lui che risposta vuol dare al barone van Heeckeren in modo da mettere, irrevocabilmente, fine a questa pericolosa storia.

   Pùškin, appena ricevuto il messaggio, si precipita da Viel’gorskij e riversa addosso al tenace mediatore Zukovskij tutta la sua rabbia: gli impedisce di immischiarsi nella sua vita privata. Rinfaccia a Zukovskij di essere un ingenuo e che il barone van Heeckeren e il suo figlio "bastardo", o "amante che sia" (così si esprime Pùškin) lo stanno prendendo per il naso. Gli urla che quei vigliacchi, padre e figlio, sarebbero andati a informare i gendarmi e lo zar che lui gli aveva inviato un "cartello di sfida" infrangendo la legge. Zukovskij non ha né il coraggio né il tempo per rispondergli: quella sera è invitato al Palazzo d’Inverno alla tavola dell’imperatore.

   Rientra a notte inoltrata, e di nuovo scrive al caparbio, incosciente amico.

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 Serena Vitale, Il bottone di Pùškin (1995)

Zukovskij a Puskin, [prime ore del 10 novembre]

Non voglio che tu ti faccia idee sbagliate sulla parte che in questa vicenda ha d’Anthès. Ecco la storia. Venuto a sapere come stavano le cose, (d’Anthès) voleva a tutti i costi incontrarti. Ma il padre (van Heeckeren), spaventato all’idea dell’incontro, si e rivolto a me.

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   La mattina del 10 novembre Zukovskij vede d’Anthès e gli comunica che l’auspicato incontro con il poeta non avrebbe avuto luogo. Manda quindi un messaggio all’ambasciatore d’Olanda nel quale scrive che dopo un ulteriore colloquio con Pùškin si è persuaso che non esista alcuna possibilità di conciliazione e con grande rincrescimento deve dunque declinare l’incarico a lui affidato.

   Rispondendo a Zukovskij per ringraziarlo del tentativo fatto, van Heeckeren lo prega di intervenire ancora, nonostante tutto: solo lui può evitare la tragedia. Gli permette, se lo ritiene opportuno per il buon esito delle trattative, di rivelare quanto finora gli ha chiesto di tenere segreto. E Zukovskij non più nelle vesti di negoziatore ufficiale, torna da Pùškin e per l’ennesima volta si trova davanti a un muro di rabbiosa e tetra ostinazione.

   Ma quando Pùškin comincia a riflettere sullo stato dei rapporti tra Catherine e il cavaliere francese da prima s’infuria poi chiede che: "potrebbe essere formulata una formale proposta di matrimonio" da parte di d’Anthès e un altrettanto "formale impegno a celebrare le nozze al più presto".Zukovskij tira un sospiro di sollievo e si compiace di questa volontà propositiva di Pùškin.

   La mattina, all’alba dell’11 novembre, Zukovskij corre all’Ambasciata d’Olanda e mette al corrente il barone van Heeckeren della richiesta di Pùškin. Il barone si dichiara subito disposto a dare ogni possibile garanzia, ma esige, a nome del figlio, una "formale rinuncia alla sfida". Se Pùškin insiste a non voler incontrare lui o suo figlio – comunica il barone a Zukovskij – basta che Pùškin metta per scritto i motivi della sua sfida e il motivo per cui ora rinuncia al suo proposito.

   Zukovskij fa sapere al più presto a Pùškin le richieste dell’ambasciatore.

   La sera del 12 novembre, invitato dalla signorina Zagrjazskaja, l’ambasciatore viene a sapere che la generosa opera di persuasione di Zukovskij e le suppliche dei famigliari hanno compiuto il miracolo: Pùškin è disposto a discutere con la zia di Natalie le modalità della pace.

   Quella notte, all’infuori di Pùškin, tutti, finalmente, dormono un sonno lungo e tranquillo. Ignorano che la subitanea remissività di Pùškin non è causata solo dalla pena per Catherine che ha perduto la sua illibatezza. Tutti ignorano i pensieri e i propositi che ora occupavano la mente del poeta.

   Intorno al 12 novembre Vladimir Sollogub incontra Pùškin e gli domanda se, per caso, abbia scoperto l’autore dei diplomi anonimi. Il poeta risponde che sta sospettando di una persona e che presto avrebbe potuto fornire le prove dei suoi sospetti. Al che Sollogub ribatte, con tono scherzoso: "ebbene, quando troverai il primo, se ti serve un secondo, o un terzo, disponi pure di me". Pùškin replica in tono serio al gioco di parole dell’amico e dice: «Non ci sarà alcun duello, ma forse ti chiederò di assistere a una spiegazione a cui gradirei fosse presente un uomo di mondo, per la dovuta divulgazione, qualora ve ne fosse bisogno». Poi Pùškin invita Sollogub a fare due passi con lui, deve sbrigare una commissione, e lo porta dall’armaiolo Kurakin, e in quel negozio ben fornito, si fa mostrare due pistole, e ne chiede il prezzo. Curioso comportamento – pensa Sollogub – per una persona che aveva appena detto: «Non ci sarà alcun duello». Ma noi sappiamo che il duello ci sarà, è solo questione di tempo, e la "corrispondenza", come abbiamo potuto constatare, ci mette al corrente su questa tragedia anche se molti punti sono e rimarranno oscuri. Questo è un mosaico a cui mancano alcuni tasselli. Noi sappiamo che il duello ci sarà: quando, dove e soprattutto perché? Perché nessuno è stato capace di evitare questo duello che ha causato la fine prematura di Pùškin?

   A questi interrogativi dobbiamo rispondere, quindi, accorrete, la Scuola è qui…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Aprile 22, 2005