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LA TRAGEDIA È IN CORRISPONDENZA CON IL TAFANO FREMENTE, OISTROS …

Lezione N.: 
15

Prof. Giuseppe Nibbi      Tragòs oidos 2004      28-29 30 gennaio 2004

   LA TRAGEDIA È IN CORRISPONDENZA CON IL TAFANO FREMENTE, OISTROS …

   Per noi, questa sera, c’è già nell’aria il clima tipico che si respira alla fine di un viaggio. Siamo quasi arrivati alla fine di questo Percorso: siamo al penultimo itinerario! Di solito, quando si arriva, quando si torna da un viaggio, ci si ritrova di fronte a quello che partendo avevamo lasciato (per questo motivo conviene ripartire subito!…). Quattro mesi fa, in partenza, abbiamo incontrato Dioniso: e Dioniso – il canto di Dioniso – ci aspetta ancora all’arrivo! Il canto del caprone, ò tragòs oidos, la tragedia è il canto di Dioniso: cioè è la trafila di tutti i modelli culturali che questa cultura, che viene chiamata dionisiaca e che si identifica con la civiltà contadina, contiene! La cultura dionisiaca, con i suoi modelli tragici, è la cultura che sta alla base della civiltà! E gli studiosi fissano anche, nella storia della letteratura, della cultura, del Pensiero, un punto che viene considerato l’ultimo canto di Dioniso: questo punto, atto finale di una cultura morente, è senz’altro – scrivono gli studiosi – anche il punto di rilancio di una serie di modelli culturali che rimangono ben presenti nella società moderna e contemporanea: e ce ne siamo accorti, strada facendo!

   L’ultimo canto di Dioniso, l’ultimo sussurro del canto del caprone, è rappresentato da un’opera colossale e dal misterioso autore che l’ha scritta: è legato ad uno dei più significativi enigmi dell’antichità, rappresentato dalla vita e dalle opere di Nonno di Panopoli. Di lui nulla sappiamo con certezza, eccetto il luogo di nascita: Panopoli, in Egitto, una ricca città nel delta del Nilo. Sulla data di nascita di Nonno vi sono, fra gli studiosi, diverse scuole di pensiero: oggi però, tutti accettano il fatto che Nonno sia vissuto tra il V e il VI secolo d.C..

   Ma l’enigma di Nonno di Panopoli riguarda soprattutto le sue opere: questo scrittore ci ha lasciato due opere straordinarie, stupefacenti, e per il loro valore in quanto tali e per il dibattito culturale che hanno scatenato. Una s’intitola Dionisiache (Dionysiakά Dionysiakà), un poema epico in 48 canti – numero pari alla somma dei canti dell’Iliade e dell’Odissea – e l’altra s’intitola Metάbole kata Ioannin Metàbole kata Ioannin, cioè Parafrasi del Vangelo di Giovanni.

   Che cos’è una metàbole o parafrasi? Metàbole, in greco significa trasferimento di un testo in un nuovo testo: una metàbole o parafrasi è la riscrittura di un testo con parole proprie, sviluppandolo e dilatandolo con commenti e interpretazioni. Nonno riscrive il testo del Vangelo di Giovanni, in versi esametri, commentandolo e interpretandolo via via, concetto per concetto e parola per parola. Ne viene fuori un’opera spropositata che sta quasi tutta ancora sui codici: ne è stata pubblicata una piccola parte.

   Questo formidabile scrittore è stato spesso definito il primo grande scrittore barocco, ma addirittura si potrebbe definire rococò. Lo stile barocco rococò è ricco d’intarsi, di abbellimenti, di sovrapposizioni decorative: ebbene la scrittura di Nonno è altrettanto sovrabbondante, debordante, esorbitante, eccedente, traboccante.

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Che cosa ti fanno venire in mente queste parole: sovrabbondante, debordante, esorbitante,

eccedente, traboccante?

Scrivi quattro righe in proposito…

   Il poema Dionisiache (Dionysiakà) è scritto in epilli, versi esametri in stile alessandrino, versi voluttuosi, sinuosi, sensuali, sovrabbondanti di aggettivi, dove i riferimenti culturali si sovrappongono l’uno all’altro in un continuo gioco decorativo, intarsiato, stupefacente.

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Per avere un corrispettivo visivo tra la scrittura di Nonno di Panopoli e le immagini, gli esperti consigliano una visita ai quadri di un pittore provenzale che si chiama Jean-Honoré Fragonard (1732-1806). L’arte di Fragonard rappresenta la fioritura dello stile rococò in Europa nella seconda metà del 1700: i colori, la pennellata fanno di questo artista l’interprete di una pittura  traboccante, sensuale, sottilmente erotica e "dionisiaca"…

Cerca e osserva le opere di Fragonard (L’altalena, Il giardino di Villa d’Este, Bagnanti…) e scrivi quattro righe in proposito…

   Quest’opera racconta la storia del viaggio in India di Dioniso, e durante questo viaggio – che è anche una spedizione militare e un pellegrinaggio – Dioniso narra tutte le tappe della sua leggenda, del suo mytos, del suo culto. Voi sapete che il viaggio in India è un argomento tipico della cultura alessandrina: compiere un viaggio in India, per gli studenti e per gli intellettuali alessandrini, significava risalire alle fonti della cultura universale, alla cultura dei libri dei Veda: la cultura dell’anima, dello spirito, della ricomposizione dell’Essere. Un viaggio di formazione, un viaggio culturale, alla ricerca della quiete interiore…

   Le Dionisiache sono una debordante apologia, un’esaltazione dei valori della paganità, che tra il V e il VI secolo dovrebbe giacere morente, in coma profondo. Ma nel prologo de le Dionisiache leggiamo: "La cultura di Dioniso, in questo secolo si spalanca ai nostri occhi e si svela ai nostri sensi, come una prateria di narcisi fioriti". In verità, la cultura dionisiaca, la cultura del paganesimo (ricordiamo che pagus è il villaggio di campagna, e il paganesimo è la cultura dei villaggi di campagna, dove si è sviluppato il canto del caprone e il culto e il rito di Dioniso), nel V e nel VI secolo d.C., è stata ormai letteralmente sommersa dal cristianesimo che si è soprapposto ai culti di Dioniso, occupando tutte le figure mitiche greche e tutte le strutture pagane. Nel V e nel VI secolo d.C, la dottrina del Cristianesimo è ormai dominante: la lunga marcia della cristianizzazione nel bacino del Mediterraneo (accompagnata da uno scontro violento all’interno del Cristianesimo, tra le varie anime del Cristianesimo) è iniziata con il Concilio di Nicea del 325. In 200 anni, l’affermazione del Cristianesimo avviene tanto a occidente (su tutto il territorio di quello che era stato l’impero romano d’occidente), quanto a oriente (sul territorio dell’impero romano d’oriente, l’impero bizantino, che era in piedi, e che rimarrà in piedi ancora per un millennio fino al 1455).

   Abbiamo detto che Nonno e le sue opere costituiscono un enigma! Uno degli enigmi più affascinanti dell’antichità che si ripercuote sull’età moderna e contemporanea! In che cosa consiste quest’enigma? Le Dionisiache – e questa è la prima domanda che ci dobbiamo fare – presuppongono un autore pagano? Un intellettuale che vuole difendere e salvare il paganesimo morente, condannato per sempre al silenzio dall’affermazione del Cristianesimo? Nonno, con le Dionisiache, vuole difendere la cultura del paganesimo dall’egemonia dell’ideologia cristiana che si è ormai affermata nel bacino del Mediterraneo?

   Noi sappiamo che in questo momento storico esiste effettivamente una resistenza contro l’assalto che il cristianesimo sta portando alla filosofia greca. Erano soprattutto i Neoplatonici, con le loro Scuole, che rivendicavano la loro autonomia dal Cristianesimo, e rivendicavano l’autonomia della Filosofia greca: dei valori e dei modelli della cultura greca che il Cristianesimo assorbiva e faceva suoi. I Neoplatonici rivendicavano la laicità dei valori morali della Filosofia greca! Nonno di Panopoli è un intellettuale neoplatonico che vuole difendere la Filosofia greca? Possiamo dare una risposta o possiamo solo fare delle ipotesi?

   Possiamo solo fare delle ipotesi, ma la cultura – lo sapete – ha un carattere interlocutorio! Per i Neoplatonici, che difendevano la filosofia greca, il simbolo della resistenza era la dea Atena: la dea del lavoro fecondo dei campi, della polis operosa, della giustizia, delle Arti, dello Stato, delle opere pubbliche, la dèa dell’ulivo, insomma la dèa della pace e della prosperità. La dea Atena era diventata l’emblema e la figura depositaria di tutti i valori della cultura greca da difendere e da preservare: la curiosità intellettuale, la conoscenza, la sapienza!

   Dioniso era considerato dagli intellettuali neoplatonici una figura troppo arcaica e troppo religiosa per essere utilizzata come emblema della cultura greca. E poi, la figura di Dioniso – un dio che muore e risorge e che predica la salvezza dell’anima – era già stata sistematicamente assorbita dalla figura di Cristo! Nel VI secolo, Cristo e Dioniso, si assomigliano ormai inesorabilmente…

   Dobbiamo pensare quindi che Nonno, se fosse stato un intellettuale neoplatonico, avrebbe scritto le Ateneidi, piuttosto che le Dionisiache! Per i Neoplatonici, è Atena il modello della filosofia per eccellenza, ed è Atena il simbolo della laicità dei valori morali: la ricerca del Bene è legata a un itinerario culturale, l’epistrophé, il viaggio intellettuale di formazione (vedi L’ANTIbagno, n.8). La scelta di fare il Bene dipende dall’intelligenza, non da condizionamenti religiosi! La statua di Atena diventa l’emblema di questo modo di pensare, e diventa il simbolo dell'Accademia di Platone e poi della Scuola di Atene, che ne è la continuazione. Plotino cita spesso Atena nelle Enneadi come simbolo della filosofia. Atena ci accompagna nel viaggio di studio per imparare a scegliere il Bene! Scegliere di fare il Bene è una scelta di carattere intellettuale!

   Questa riflessione ha come punto di riferimento un sogno! Secondo la Tradizione neoplatonica, Proclo di Costantinopoli fece un sogno: avete certamente letto la pag.13 del n. 8 de L’Antibagno, dedicato al Neoplatonismo, intitolata: Il sogno di Proclo.

   Chi è Proclo? Proclo di Costantinopoli (410-485) è l’esponente più significativo della scuola neoplatonica ateniese. I suoi studi hanno avuto un largo influsso sul pensiero arabo, ebraico e cristiano. Proclo, nella sua opera più importante, Teologia Platonica, racconta di aver fatto un sogno simbolico: è la metafora che determina la fine di un’epoca. Proclo racconta di aver sognato – a Costantinopoli – una bellissima signora, che gli si presentò come la dea che presiede alla filosofia, la quale lo esortò a studiare, e lo pregò di recarsi subito ad Atene a mettere in salvo la sua statua che i cristiani volevano distruggere: Proclo andò e portò la statua di Atena in casa sua. Racconta Proclo:  "Mi apparve, in sogno, una bellissima signora, la quale mi disse: - Sono la dea che presiede alla Filosofia, vai subito ad Atene, metti in salvo la mia statua che i cristiani vogliono distruggere! - Appena sveglio andai e portai la statua in casa mia".

   Noi non sappiamo se Proclo abbia fatto davvero questo sogno, sappiamo però che questo è l’atto simbolico della fine della civiltà greca, della filosofia greca: nelle grandi città il Cristianesimo sovrappone ai simboli della cultura greca i suoi simboli! Dopo questo atto simbolico ci sarà anche un atto giuridico che sanziona la fine della cultura greca: nell’anno 529 (50 anni dopo il sogno di Proclo) l’imperatore Giustiniano chiuse la Scuola di Atene, l’ultimo grande centro della filosofia greca nel bacino del Mediterraneo) e i Neoplatonici si dispersero per il mondo, migrando verso est, nel territorio dell’impero persiano, portando con loro le opere di Platone e di Aristotele. Su quel territorio – dell’impero persiano – nel secolo successivo arriveranno gli Arabi! Gli intellettuali arabi studieranno con interesse, conserveranno, tradurranno le opere di Platone e di Aristotele e intorno all’anno 1000 le faranno conoscere all’occidente: le opere di Platone e di Aristotele ritornano nel mondo latino attraverso la mediazione culturale degli Arabi. Nell’anno 529, quando l’imperatore Giustiniano chiuse la Scuola di Atene, la figura della dea Atena divenne il simbolo della resistenza della cultura filosofica greca.

   Nonno è vissuto in questi anni – tra il V e il VI secolo – e certamente il suo pensiero risente di tutti questi avvenimenti, anche se Nonno – lo si capisce – non può essere considerato un intellettuale neoplatonico! Quale enigma si nasconde dietro al personaggio e alle opere di Nonno? A turbare, a rendere enigmatica la situazione, è il fatto che l’altra sua opera, la Parafrasi del Vangelo di Giovanni, presuppone un autore cristiano. Come nelle Dionisiache Nonno esalta Dioniso e la cultura pagana, così nella Parafrasi del Vangelo di Giovanni, Nonno esalta Gesù Cristo e la cultura cristiana! È chiaro che questa faccenda ci pone di fronte ad alcuni inquietanti interrogativi! Anche perché gli studiosi, gli esegeti, non sono riusciti a capire quale delle due opere Nonno abbia scritta per prima!

   Che cosa successe a Nonno di Panopoli, che cosa ha influenzato la sua mente? Quali interrogativi ci pone la sua vita e la sua opera? Chi era Nonno di Panopoli? Era un pagano che celebrò le ultime luci della cultura greca, ed esaltò la paganità con il poema su Dioniso, e poi si convertì alla nuova fede, al cristianesimo, allora già dominante, scrivendo la Parafrasi del Vangelo di Giovanni? Oppure, forse avvenne l’inverso: Nonno era un cristiano che, a un tratto, venne folgorato dalla paganità, così dalla Parafrasi passò all’onda travolgente delle Dionisiache? Oppure – ci dicono gli esegeti – si può presentare una terza ipotesi: che Nonno abbia scritto nello stesso tempo le Dionisiache e la Parafrasi: con una mano disegnava le avventure di Dioniso, con l’altra evocava il processo di Gesù. Nonno è un pagano che guarda al cristianesimo, o è un cristiano che guarda al paganesimo, o è un intellettuale laico che analizza entrambe le correnti, cercandone i tratti concomitanti? Ecco come ci si presenta l’enigma di Nonno e della sua opera, considerato, dagli studiosi, uno dei più affascinanti della storia della cultura!

   Se riflettiamo, come hanno fatto gli esegeti in questi secoli studiando la opere di Nonno, noi scopriamo che la mente di questo scrittore era profondamente commossa da entrambi quegli esseri divini: Cristo e Dioniso! E forse non aveva neppure bisogno di chiedersi se credeva in entrambi, e perché scriveva su di loro: nessun elemento, di fatto, ci può aiutare a risolvere l’enigma. Rimane il testo delle sue opere e il suo stile, ridondante, come una valanga dilagante di parole: ma Nonno – per gli esperti – è un poeta che nasconde in sé un teologo.

   Che senso ha questa figura stilistica che ci viene incontro nella scrittura di Nonno: la ridondanza, l’abbondanza, l’eccesso, l’esuberanza! Sono qualità dionisiache che lo Spirito del cristianesimo ha fatto proprie! In questa scelta stilistica troviamo l’intento teologico di Nonno, che non è tanto quello di definire un dio pagano o un dio cristiano, ma un’idea di Dio. Come teologo Nonno – non importa se pagano o cristiano o laico – ci manda a dire, con la sua scrittura poetica, che bisogna avere fede nella ridondanza, nell’abbondanza, nell’eccesso, nell’esuberanza degli stimoli a conoscere. Dio (Cristo o Dioniso che sia) ci dona – attraverso le manifestazioni del creato, della Natura, del cosmo – ridondanti, abbondanti, esuberanti stimoli, orientati verso la conoscenza: bisogna imparare a riconoscerli. Per Nonno, la poesia, l’imparare ad usare le parole come strumento poetico, è un mezzo per far avvicinare l’intelletto all’esuberanza del creato, della Natura, del cosmo, ll’esuberanza salvifica di Dioniso e di Cristo! Non stimoli per avvicinarsi alle cose materiali e al loro consumo, ma lo slancio a cercare con l’intelligenza:il Bene, il Bello, il Buono, il Giusto.

   Se osserviamo i dettagli narrativi, ve n'è uno che ha indirizzato tutti gli studiosi a seguire l’ipotesi che sembra più improbabile: quella di Nonno che scrive nello stesso momento – senza percepire alcuna frattura tra l’una e l’altra opera – le Dionisiache e la Parafrasi. Le due opere di Nonno contengono un concetto-chiave, un’idea determinante per capire quello che dicevamo prima: ha un carattere divino ciò che stimola verso la conoscenza, e Nonno sintetizza questo concetto nella parola oistros oìstros, che in greco significa il tafano (insetti ditteri, Tabanidi). E questa parola-chiave è anche l’ultima che troviamo nel territorio della tragedia!

 REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Sicuramente questa parola è legata al senso di fastidio… Che cosa ti fa venire in mente la parola tafano? Che cosa ti fa venire in mente l’espressione: ho provato un senso di fastidio?

Scrivi quattro righe in proposito…

   Innumerevoli volte, nelle Dionisiache, ci viene mostrato da Nonno l’operare del tafano, che rappresenta l’immagine stessa di Dioniso e della sua presenza! Dioniso è come un tafano provocatore che stimola in continuazione, che c’infastidisce affinché non ci si lasci andare al torpore, alla noia, all’alienazione, all’assuefazione.

   Le Dionisiache sono un’opera dove abbondano le scene erotiche, le scene sensuali. Queste scene sono una metafora della conoscenza: l’educazione dei sensi, il controllo del desiderio, l’orientamento dell’energia sensuale, è propedeutica alla conoscenza. Ricordiamoci che Dioniso, nelle Dionisiache, sta compiendo un viaggio in India ed è molto probabile che Nonno conosca la cultura del Kamasutra di Vatsy Ayana, uno scrittore vissuto intorno al 300 d.C.. Kamasutra – Il testo (sutra) della via dei sensi (kama) – non è solo un compendio erotico che descrive posizioni e tecniche corporee, ma è un’opera complessa: è un romanzo d’amore, un trattato di sociologia e di antropologia culturale, è un poema etico, una guida all’erotismo in funzione della conoscenza, e infine è un testo sacro: far bene l’amore, la comunione amorosa vicendevole, avvicina alla beatitudine divina! L’unione amorosa è un’immagine della ricomposizione dell’Essere!

   In questo senso le Dionisiache sono un’opera dove abbondano le scene erotiche, le scene sensuali; e le scene amorose nascono o contengono tutte il ronzio melodioso, quasi rassicurante, del tafano, ma questa musica prelude al colpo del pungiglione: inaspettato, doloroso, provocatorio, stimolante.

   Una delle scene più sensuali è senza dubbio quella in cui Nonno racconta l’incontro amoroso tra Zeus e Semele in cui avviene il concepimento di Dioniso: noi conosciamo già questa immagine mitica, abbiamo già letto questo racconto e quello che ne consegue nella versione di Ovidio da Le Metamorfosi. Leggiamo questa pagina delle Dionisiache per capire che cosa significa lo stile ridondante di Nonno e per incontrare l’Oistros Bròmio Oistros Bromio, il tafano fremente con il quale Dioniso si identifica fin dalla nascita:

 LEGERE MULTUM….

Nonno di Panopoli, Le Dionisiache Canto 7 (V-VI sec d.C)

 Allora Zeus abbandonò la stellata dimora del cielo per unirsi a Semele.

Del suo passaggio non restarono che tracce invisibili.

Con un primo balzo varcò tutti i sentieri del cielo;

con un secondo, come un battito d'ali o un pensiero, fu a Tebe.

I cancelli della reggia spontaneamente si aprirono per lasciarlo passare,

affinché, finalmente, nel nodo di un amoroso abbraccio da lei fosse stretto,

e lui, come il vento che stringe le vele, con forza Semele stringesse.

Sul letto il dio emetteva armoniosi muggiti di toro,

con in testa due corna potenti sul morbido corpo di uomo:

era l'immagine perfetta di Dioniso incoronato di spine e di alloro.

Ora assumeva l’aspetto di un irsuto leone, o di una nera pantera,

perché voleva generare un figlio campione di audaci visioni,

mandriano paziente di vellutate pantere, auriga spericolato di flessuosi leoni.

Oppure appariva nello slancio che possiede un giovane sposo

mentre s’avvolge le chiome tra spire di serpi e tralci di vite,

intrecciando i riccioli con foglie vermiglie, ornamento di Bacco.

In forma di serpente sinuoso strisciava, con le labbra umide e attente

baciava tenero e dolce la rosea nuca della giovane sposa accogliente,

s’insinuava nel petto e arrotolandosi sulla rotondità dei suoi seni sodi

sibilava un canto nuziale cospargendola di fatale, essenziale liquido miele,

dolce frutto delle api sciamanti, donando all’amante vibrante Semele,

come è vero il letale veleno delle vipere, un vero ritmico intenso piacere.

E Zeus rallentava, indugiava e allungava il tempo nel piacere d’amore

e come accanto al torchio della vendemmia ritrovandosi, quasi smarrito

nel profondo degli occhi di lei ormai feconda consapevole madre,

gridò: evohé evohé, generando un figlio che avrebbe amato quel grido.

Premeva il dio le labbra eccitate sulla bocca della fanciulla ridente,

facendola inebriare nell’abbraccio potente, cospargendola col nettare d'amore

perché concepisse un figlio, signore della nettàrea vendemmia

e come presagio di eventi futuri, levava in alto un grappolo,

oblio di tutti gli affanni, farmaco di molti malanni.

In realtà tutta la terra rideva, un vigneto fitto di foglie cresceva

e correva intorno al letto finalmente fecondato

e sulle pareti sbocciavano fiori di prato, stillanti rugiada oleosa e odorosa

per coronare dell’Oistros Bròmio, il tafano fremente, la nascita misteriosa.

Sul letto sgombro di nubi, Zeus fece echeggiare, con sentimento sincero,

dai più lontani e profondi recessi, gli inquietanti fragori del tuono,

preannunciando i timpani delle feste notturne di Dioniso a celebrarne il mistero

con il loro incessante, assordante, ritmico, ditirambico, orgasmico suono.

   Ma trasferiamoci ora in Palestina, dentro la Parafrasi del Vangelo di Giovanni, per capire come Nonno utilizzi la figura del tafano pungente per unire queste due affascinanti figure: Dioniso e Cristo! Non è forse anche Gesù Cristo lo stesso tafano pungente, fastidioso, che stimola a non arrendersi mai, fino alla fine, per superare le ipocrisie che si annidano nell’animo umano, per respingere le oscene ritualità che caratterizzano il potere delle istituzioni? Leggiamo:

LEGERE MULTUM….

 Nonno di Panopoli, Parafrasi del Vangelo di Giovanni 8 48-59 (V-VI sec d.C)

 I suoi avversari risposero, e gli dissero: «Non diciamo bene noi, che sei un samaritano (uno straniero) e hai un demonio in corpo e sei pazzo?».

Rispose Gesù: «Io non ho un demonio in corpo, ma onoro il Padre mio, e voi mi disonorate. Ma io non cerco la mia gloria; vi è Uno che la cerca e che giudica. In verità, vi dico: Se uno osserva la mia parola non vedrà la morte in eterno». Gli dissero (allora): «Ora sappiamo che hai davvero un demonio in corpo. Abramo è morto, come anche i Profeti, e tu dici: "Chi osserva la mia parola non gusterà la morte in eterno". Sei tu più grande del nostro padre Abramo, il quale è morto? Ed anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?». Rispose Gesù: «Se fossi io a glorificare me stesso, la mia gloria sarebbe nulla; c'è il Padre mio che mi glorifica, del quale voi dite: "È il nostro Dio!" e non lo conoscete, ma io lo conosco bene. E se dicessi di non conoscerlo, sarei come voi, un bugiardo; ma lo conosco, e osservo la sua parola. Abramo, nostro padre, ha esultato nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e ne gioì». Gli dissero allora: «Non hai ancora cinquant'anni, e hai veduto Abramo?» Rispose loro Gesù: «In verità, vi dico: Prima che Abramo fosse, io sono». Allora presero delle pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose ed uscì dal Tempio.

   Gli avversari accusano Gesù, e il testo del Vangelo di Giovanni dice: «Non è vero che sei un Samaritano (uno straniero) e hai un demonio in corpo e sei pazzo (óti daimónion écheis)? Ciò significa che si debba parafrasare: «e ora ti spinge il vagante tafano vendicatore (alàstoros oìstros) del demone Lyssa, la Pazzia».

   Questo – dicono gli studiosi – è il segno preciso della costanza e della coerenza di Nonno: nelle due opere è equanime verso Dioniso e verso Cristo. Nonno trova e coltiva nelle loro storie – di Dioniso e di Cristo – lo stesso tafano, oistros, il demone in senso socratico, che spinge all’ebbrezza, alla furia, al delirio, quindi, di conseguenza: alla ricerca, all’illuminazione, alla conoscenza, alla salvezza. Nonno di Panopoli ci conduce – come avete capito – a riflettere dentro ad uno degli enigmi più misteriosi della storia della cultura. Omero è l’alba con l’Iliade e l’Odissea, Nonno con le Dionisiache rappresenta il tramonto della cultura greca: l’ultimo sussurro del canto del caprone!

   Ancora una serie di domande si fanno gli esperti, e anche noi ce le dobbiamo fare: perché, se Nonno è un intellettuale cristiano, sente il dovere di tornare a Dioniso? Perché sente il dovere di rimettere al centro la cultura dionisiaca, invece di nasconderla? Perché Nonno definisce Dioniso con gli stessi attributi ormai assunti da Gesù Cristo: soter, il salvatore, dikaster, il giudice? E perché Nonno attribuisce anche a Gesù Cristo l’attributo più provocatorio di Dioniso: oìstros, il tafano fremente?

   Ammettiamo che Nonno fosse un intellettuale cristiano: perché in questo momento storico, pensa di poter sostenere la figura di Cristo con la figura di Dioniso, invece di affossare Dioniso una volta per tutte?

   Vedete, tra il V e il VI secolo, si pone pressante nella Chiesa di Roma il problema di cristianizzare la Storia, il problema di far ripartire la Storia dalla nascita di Cristo, di spaccare la storia in due: prima di Cristo e dopo Cristo! Forse ci sfugge come sia avvenuta questa complicata operazione culturale! Abbiamo introiettato una visione mitica del Cristianesimo, per cui siamo stati portati a pensare che la notte di Natale al canto degli angeli la storia, come per magia, si spacchi in due.

   Questo problema, di riformare il calendario, e tutta la storia umana, in senso cristiano, si pone, nella Chiesa di Roma, cinque secoli dopo la comparsa di Gesù! E anche questo avvenimento, nella storia della cristianesimo e nella storia della Chiesa non fu indolore, ci fu uno scontro, lungo e violento, determinato dal quadro storico e politico di quel periodo: l’inizio – dopo la caduta dell’impero romano d’occidente – del così detto alto Medioevo!

   Ebbene Nonno – potrebbe essere – uno di quegli intellettuali cristiani che si schiera contro la cristianizzazione del tempo e della Storia. Forse che prima dell’incarnazione di Cristo – sostenevano i contrari alla cristianizzazione del tempo, non c’era la Storia? Sostenevano: la Parola di Dio, il, Logos, si è incarnato non per cristianizzare la Storia, ma per umanizzare il Mondo. Perché cristianizzare il "tempo, il chronos" quando Gesù Cristo è venuto – come scrive Paolo nella Lettera ai Romani – per "trasformare il tempo". La resurrezione di Cristo (anastasia) trasforma il tempo che passa (il chronos) in tempo che resta (il kairòs). La parola kairòs definisce il "tempo che è", e si traduce: ora è il tempo. Il tempo che passa, il chronos, è un tempo che non è più. E il tempo che verrà, l’èskaton, è un tempo che non è ancora! Quindi – sostiene Paolo nella Lettera ai Romani – il tempo può essere definito solo come kairòs: ora, è l’ora. Ora è il tempo: il kairòs è la consapevolezza di un presente continuo!

   Gesù Cristo – sostengono coloro che si oppongono alla cristianizzazione del tempo – vuole trasformare il tempo, non impossessarsi del tempo. Probabilmente il pensiero di Nonno s’identifica con queste idee. Il tempo è un adesso, è un presente, in cui si vive la gioia della salvezza che si è realizzata con la resurrezione! Perché impossessarsi della quantità del tempo e della Storia quando la risurrezione ha cambiato la qualità delle cose? Cristianizzare la Storia – per molti intellettuali cristiani dell’epoca – significa rendere statico il messaggio evangelico che propone la trasformazione della persona, la trasformazione dell’Umanità e anche la trasformazione del concetto del tempo. La predicazione del Vangelo non deve produrre forme di cristallizzazione, ma deve trasformare! "Cristianizzare il tempo" significa togliere al Vangelo lo slancio propulsivo. Il tempo della resurrezione di Cristo – che si è realizzato – è un continuo presente, un kairòs: non è un tempo che passa, né un tempo che verrà, ma è un tempo che resta, in cui ogni potere sulle cose si è dissolto! Quindi voler cristianizzare il tempo – impadronirsi del tempo, della Storia – è come negare la resurrezione!

   È possibile che Nonno sia uno di questi intellettuali cristiani che si sono battuti contro la conquista del tempo, contro la cristianizzazione del tempo e della Storia.

   Ma la cristianizzazione del tempo e della Storia avverrà comunque nel VI secolo. In questa operazione – dal 530 al 556 – sono coinvolti un certo numero di papi, in un momento storico, l’inizio dell’alto Medioevo, assai complesso: Bonifacio II, Giovanni II, Agapito I, Silverio, Vigilio, Pelagio I (non dobbiamo cedere alla tentazione di lasciarci trascinare nella storia dei papi!). Il piano di cristianizzazione della Storia fu ufficializzato, però, non a Roma, ma a Costantinopoli – la capitale dell’impero romano d’oriente, l’impero bizantino – nell’anno 553, durante il V concilio di Costantinopoli, sotto l’egida dell’imperatore bizantino Giustiniano, che di fatto – in questo momento, armi in pugno – controlla e condiziona le scelte e gli indirizzi della Chiesa di Roma.

   Ora non possiamo dilungarci sugli avvenimenti storici, ma siamo al termine (553) della guerra goto-bizantina – quella terribile guerra – in cui Belisario, generale di Giustiniano, ha riconquistato l’Italia strappandola ai Goti. Per pochi anni (15 anni) l’Italia diventa bizantina con capitale Ravenna, ma nel 568 ci sarà l’ennesima invasione dal nord, quella dei Longobardi (re Alboino, Bertoldo…). E ritroveremo un’Italia divisa a pelle di leopardo con territori bizantini, territori longobardi e territori (attenzione!) periferici e inospitali, governati con le regole di Benedetto da Norcia (ora, labora et cura), un progetto che quando, nel 590, viene eletto papa il grande Gregorio, diventa il progetto di tutta la Chiesa: la Chiesa delle abbazie, le case paterne, materne, fraterne.

   Ma torniamo al piano di cristianizzazione del tempo e della Storia: questo progetto – in pratica – si concretizza per opera di un monaco: uno studioso che si chiama Dionigi detto il Piccolo, a cui il papa Giovanni II affida questo incarico (Papa Giovanni II si chiamava Mercurio e fu il primo a cambiare nome, nel 533!). Questo monaco, Dionigi il Piccolo – che è un personaggio importante nella storia della cultura – è nato in Scizia (a nord del mar Nero) nell’anno 500 circa, è un teologo, un matematico che aveva introdotto a Roma la Tavola dei Cicli di Cirillo di Alessandria, il quale aveva cominciato a studiare, un secolo prima in quale anno del calendario romano (che era in funzione regolarmente) fosse nato Gesù. Dionigi il Piccolo conclude lo studio sulla possibile data di nascita di Gesù e trasforma il calendario romano in cristiano (vi siete resi conto di come si chiama? Ironia della sorte: il nome Dionigi, equivale al nome Dioniso. È buffo pensare che colui il quale studierà il modo per spaccare la Storia in due nel nome di Cristo si chiama come Dioniso!…). Dionigi il Piccolo, nell’anno 532, comincia a sperimentare il computo degli anni dalla nascita di Cristo da quella che lui ritiene la data probabile (non esprime una certezza!) della nascita di Gesù, mettendo insieme i rari dati storici e i dati provenienti dalla Letteratura dei Vangeli (che però storica non è…).

   E così il 25 dicembre – che da due secoli circa, i vescovi di Roma avevano scelto come data per celebrare la nascita di Gesù, perché combaciava, nel calendario romano, con la festa del Sol invictus, del Sole vincitore, quando le giornate ricominciano a riallungarsi e Gesù Cristo come il Sole aveva vinto le tenebre – il 25 dicembre dell’anno 555 entra (con la benedizione dell’imperatore Giustiniano) in vigore ufficialmente nella Cristianità il nuovo calendario dalla nascita di Cristo. In quel momento, ufficialmente, il calendario romano va in pensione e cessa il computo degli anni dalla data mitica della fondazione di Roma. L'anno 1 combacia – secondo gli studi di Dionigi – con l'anno 753 dalla fondazione di Roma: secondo i calcoli di Dionigi, Gesù di Nazareth è nato 753 anni dopo la fondazione di Roma. Quello è l’anno 1 dell’era cristiana e via via, la storia del mondo, la datazione degli avvenimenti venne ristrutturata e, in tutto il mondo, gli anni si conteranno, e si contano ancora oggi, secondo Dionigi il Piccolo! Gli studi più recenti ci dicono che Gesù è nato tra il 4 e il 7 a.C, e Dionigi il Piccolo, Diònisos ò mikròs, ci ha dato vicino!

   Ma è l’ora di concludere e per fare ciò torniamo a Dioniso: la figura del mito! Da lì, da questo modello culturale, siamo partiti quattro mesi fa, e lì ritorniamo.

   Abbiamo capito che la cultura di Dioniso si configura come un grande racconto: il personaggio di Dioniso è stato concepito, secondo la tradizione – e Nonno ce lo ricorda – a Tebe. Tebe è la città di Dioniso, e Tebe è la città fondata da Cadmo: nella tradizione dionisiaca, il personaggio di Cadmo – e di sua moglie Armonia – è fondamentale per completare il mito e per individuare lo stampo di tutti gli stampi.

   Cadmo è il padre di Semele, la sfortunata madre di Dioniso, amata e bruciata da Zeus: quindi Cadmo – in questo improbabile gioco delle parentele – è il nonno di Dioniso e sua moglie Armonia è la nonna di Dioniso. Secondo la tradizione mitica, Cadmo ha fondato Tebe. Anche se queste cose non sono mai avvenute, le pietre di Tebe parlano di Cadmo.

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Oggi Tebe, Thìva è una cittadina della Beozia, di 20.000 abitanti, ai piedi dei monti Elicona e Citerone. Tebe, oggi, non è una meta turistica di primo piano, sebbene sia una delle più celebri città della Grecia antica, fu teatro di fondamentali racconti tragici in cui troviamo figure mitiche di spicco come Laio, Edipo, Etéocle e Polinice e i Sette di Argo, mitici protagonisti di un celebre assedio alla città. Tebe fu danneggiata da diversi terremoti, e conserva delle tracce molto significative del suo glorioso passato.

A Tebe possiamo visitare il sito dell'acropoli, chiamata rocca Cadmea, con gli scavi di un grande palazzo, chiamato palazzo di Cadmo del periodo Elladico (XIV sec. a.C.). A sud-est della città, troviamo i resti della porta d’Elettra, facente parte delle mura del IV sec. a.C, e presso il cimitero, su una collina, ci sono le fondamenta di un tempio di Apollo Isménio (IV sec. a.C). Molti oggetti, soprattutto statue arcaiche, sono raccolte nel museo archeologico…

Utilizza una guida della Grecia per completare il tuo viaggio virtuale a Tebe, e scrivi quattro righe in proposito…

   Secondo la tradizione mitica, noi sappiamo che Cadmo, originario di Sidone in Fenicia, fonda Tebe – a nord-est del golfo di Corinto, nel cuore della penisola Attica – mentre è in viaggio alla ricerca della sorella Europa rapita da Zeus trasformato in bianco toro. Zeus è preoccupato che Cadmo si accorga della sua responsabilità nel rapimento della sorella, e preventivamente benedice Tebe, e lascia le sue saette sulla rocca in omaggio alla città e a Cadmo. Cadmo successivamente aiuterà Zeus in grande difficoltà contro il mostro Tifone, che si era ribellato e aveva disarmato Zeus, il quale si rifugia a Tebe. Cadmo restituisce le saette a Zeus che potrà così annientare Tifone! Tifone è un mostro titanico che fa danni con la sua forza naturale, mentre Zeus è un dio che fa danni con la sua energia divina.

   Cadmo è solo un mortale che porta con sé e usa il più importante strumento di promozione umana che mai sia stato concepito, secondo i Greci: l’alfabeto! Cadmo, con l’alfabeto, saprà costruire una città, saprà mantenere una famiglia, saprà civilizzare: potrebbe vivere felice e contento se non ci fossero mostri ignoranti e dèi ignoranti! In greco la parola alfabeto è stoichia, stoicheia, che significa: copertura, tetto, riparo, edificio, casa.

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Qual è la lettera dell’alfabeto che ti piace di più?

Scrivi quattro righe in proposito…

   Per il grande favore ricevuto, Zeus ricompenserà Cadmo facendogli conoscere una donna bellissima: Armonia. E le nozze di Cadmo e Armonia sono il preludio della tragedia di Dioniso. La collana che Armonia riceve in dono, come regalo di nozze, è la figura della corona, un oggetto tragico per eccellenza, uno stampo delle origini che racchiude castigo e premio.

   Cadmo e Armonia avranno cinque figli: Polidoro, Autonoe, Ino, Agave e Semele. Zeus ama Semele e concepisce con lei Dioniso. Ma Semele – ingannata da Giunone, gelosa e vendicativa – vuole vedere Zeus in tutto il suo splendore e così prende fuoco e brucia (il fuoco illumina e brucia!). Zeus salva quella creatura, estraendola dal corpo di Semele morente e la porta a maturazione, covandola lui e poi affidandola ad Agave, la sorella di Semele.

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Alexandre Dumas, ricalca il mito del concepimento di Dioniso, per far nascere Salvato, un personaggio-chiave del romanzo La Sanfelice (1863-1865): leggi il cap. VII e VIII di questo affascinante romanzo, ma conviene cominciare dall’inizio…

   Dioniso, allevato dalla zia Agave, con il suo talento musicale e creativo, e con il suo carattere sentimentale e poetico, indica all’essere umano una strada per arricchire maggiormente la propria personalità: non siamo solo ragione e intelletto siamo anche sentimento e cuore, con tutto quello che comporta, nel bene e nel male! Dioniso verrà ucciso ma risorgerà perché il talento, il sentimento, la musica, la poesia, l’anima non può morire. Attraverso Dioniso, il concetto dell’anima immortale entra nella cultura occidentale.

   La zia Agave, dopo la sua morte di Dioniso – fatto a pezzi dai titani per volere di Giunone – diffonde a Tebe il culto dionisiaco, forse esagera nel suo proselitismo. Agave ha un figlio, che si chiama Penteo, il quale ha un complesso: è malato della stessa gelosia che contamina Giunone. Penteo vorrebbe più considerazione da parte di sua madre Agave, e vuole proibire a Tebe il culto di Dioniso. Agave, accecata dall’ira, lo uccide. Questo ancora una volta è l’atto finale di una tragedia: Agave, Cadmo e Armonia rimangono contaminati, e il loro destino (come quello di Caino dopo aver ucciso Abele) sarà un doloroso e interminabile esilio.

   È Nonno che ci racconta, nelle Dionisiache, la conclusione di questa tragedia! Dobbiamo capire bene questo straordinario frammento di Letteratura greca del V-VI sec d.C.. Nonno scrive, probabilmente immerso nel clima che porta alla chiusura della Scuola di Atene da parte di Giustiniano, e celebra le esequie della cultura greca, celebra la fine di una civiltà ma anche il perseverare dell’esistenza della figura di Dioniso. Tebe viene rasa al suolo, ma è Dioniso l’artefice di questa distruzione, come se volesse liberarsi da tutte le strutture: da tutte quelle strutture e sovrastrutture a cui il cristianesimo, invece, si sta attaccando…

   L’esilio di Agave e di Cadmo e Armonia è l’immagine della fine di una civiltà! Questa immagine viene resa con una straordinaria metamorfosi. Cadmo e Armonia si trasformano in un serpente: la figura mitica della tentazione e del peccato, quest’immagine riprende il mito della cacciata dal paradiso terrestre! Ed è Dioniso la divinità che giudica e punisce. Tutto ridiventa un mucchio di macerie e tutto resterà un mucchio di pietre, e gli stampi originali si perderanno per sempre ma, c’è una speranza che cova nella tragedia di Cadmo e di Armonia. Tutti gli stampi originali sono andati perduti, meno lo stampo degli stampi: l’alfabeto, stoicheia: la copertura, il tetto, il riparo, la struttura della promozione umana! Ed è per mezzo di questo stampo, l’alfabeto, che la tragedia di Dioniso (e la tragedia di Cristo) e tutta la nostra storia – se scritta – rimane, al di là delle rovine, per sempre! Leggiamo:

LEGERE MULTUM….

 Nonno di Panopoli, Le Dionisiache Canto 4 (V-VI sec d.C)

 Cadmo ricomparve a Tebe in tempo per prendere in mano i lacerti del corpo di Penteo,

che la madre Agave aveva fatto a pezzi con le proprie mani sui monti.

Chiamò la sua anziana sposa Armonia e le disse di prepararsi a partire, ancora

una volta: lei lo aveva conosciuto come un errante, e come erranti sarebbero morti.

Dioniso, poco dopo, si mostrò a Tebe, prese possesso della città e ne espulse Agave,

Cadmo e Armonia, che, dopo l’orrenda fine di Penteo, erano tutti portatori

di contaminazione, e Cadmo, aiutato dai servi, sistemò qualche sacca su un carro.

Armonia teneva già le redini in mano, Dioniso indicò la strada.

Dovevano muovere verso i confini occidentali della terra, verso le brume illiriche.

Il giorno delle loro nozze, giovani e splendenti, Cadmo e Armonia si erano mostrati

in piedi su un carro trainato da un caprone e un cinghiale.

Ora questi due vecchi, espulsi dalla loro casa, erano montati su un carro trainato

da due semplici buoi e carico di straordinari ricordi.

Quando il carro si avviò, il corpo di Cadmo e quello d’Armonia s’affiancarono

e i Tebani videro le schiene dei due sposi annodarsi nelle squame di un solo serpente.

Cadmo e Armonia si allontanavano, serpenti allacciati in basso, con la testa eretta.

Così appaiono tuttora in una pietra che segnala la loro tomba,

sul bordo delle nere gole di un fiume d’Illiria.

Mentre guidava il carro verso Occidente, annodato alla sua sposa, come

un emigrante testardo che cerca una nuova città anche se ormai è troppo tardi,

Cadmo rifletteva sul passato: che cosa ne rimaneva?

Qualche cassa di oggetti sul carro, e dietro di loro una città che, Dioniso,

aveva appena squassato con un terremoto mortale.

Cadmo aveva salvato Zeus, ma questo non lo aveva salvato dalla precarietà.

Era partito per cercare sua sorella Europa, aveva conquistato Armonia.

Di Europa un viaggiatore gli aveva detto che era diventata sovrana di Creta.

Armonia era al suo fianco, vecchio serpente, e si sentiva come quando

era sbarcato a Samotracia: uomo senza doni, perché tutto quello che possedeva

stava su un carro, ma il suo dono era impalpabile.

Un altro re venuto dall'Egitto, Dànao con le sue cinquanta figlie sanguinarie, aveva portato

alla Grecia il dono dell'acqua, Cadmo aveva portato alla Grecia

doni provvisti di mente: vocali e consonanti aggiogate in minuscoli segni,

modello inciso di un silenzio che non tace: l'alfabeto.

Con l'alfabeto, i Greci si sarebbero educati a sentire gli dèi nel silenzio

della mente, non più nella presenza piena e normale,

come ancora a lui era toccato, il giorno delle sue nozze.

Pensò al suo regno disfatto: figlie e nipoti sbranati, e sbrananti, piagati dall'acqua bollente,

trafitti, sprofondati nel mare, anche Tebe era un cumulo di rovine.

Tutta l’antica Grecia era ed è un cumulo di rovine!

Ma nessuno ormai avrebbe potuto cancellare quelle piccole lettere, quelle zampe

di mosca che Cadmo, il fenicio, aveva sparpagliato sulla terra greca,

dove i venti lo avevano spinto alla ricerca di Europa

rapita da un candido toro emerso dal mare.

Tutta l’antica Grecia era ed è un cumulo di rovine, un mucchio di pietre!

E sarebbero sprofondate nel silenzio, per sempre, se Cadmo, il fenicio, l’errante fratello d’Europa,

non ci avesse lasciato in eredità l’alfabeto,

lo stampo di tutti gli stampi.

   Qui sta per terminare il sentiero del nostro percorso, e termina in modo interlocutorio. Che cosa facciamo tutte le volte che scriviamo? La tragedia è anche stoikéia, l’alfabeto, lo strumento della promozione umana. Tutte le volte che scriviamo, noi avviciniamo, mettiamo insieme, uniamo in modo armonico dei simboli astratti per costruire le parole, per costruire le frasi. Quando scriviamo parola per parola, idea per idea, uniamo, mettiamo insieme simboli astratti e discorso, forma e contenuto, segni e significato. Noi, quando scriviamo, continuiamo a rinnovare l’unione tra Cadmo, l’alfabeto e Armonia, il racconto. Ecco quale metafora rappresentano le nozze di Cadmo e Armonia: l’esercizio della scrittura, la costruzione del racconto, la creazione della tragedia. Le nozze di Cadmo e Armonia rappresentano la metafora del momento in cui il canto del caprone espresso oralmente diventa scrittura, diventa: la tragedia. Dalle nozze di Cadmo e Armonia nasce Semele, da Semele nasce Dioniso, e il culto di Dioniso è la culla dei grandi racconti delle origini, da prima orali, poi scritti, è quel fenomeno che chiamiamo la tragedia, tragòs oidos, "il canto del caprone". Tutte le volte che scriviamo, che raccontiamo in modo autobiografico, continuiamo a celebrare le nozze di Cadmo e Armonia; e siamo invitati, tutti, a quel banchetto. La festa del banchetto delle nozze di Cadmo e Armonia è l’immagine dello spazio che siamo capaci di dedicare alla lettura e alla scrittura. Le nozze di Cadmo e Armonia sono il momento mitico che presuppone la nascita di Dioniso, e quindi l’esistenza di tutta la rete dei racconti delle origini, legata al culto di Dioniso.

   Di questa rete, ora, noi conosciamo meglio qualche segmento. Sono segmenti che contengono motivi complicati: stampi, calchi, idee, modelli simbolici, e chiavi di lettura. Quali chiavi di lettura abbiamo acquisto, strada facendo, itinerario dopo itinerario, in questo Percorso?

   Per fare un bilancio delle competenze acquisite, la prossima settimana: accorrete! Ci aspetta un piccolo "gran finale"! Piccolo perché siamo al confine di un altro grande territorio, e non abbiamo tempo da dedicare ai "gran finali": si arriva e subito si riparte.

   Intanto, la prossima settimana – per il piccolo "gran finale" – andremo ad Atene, ma passando per la Sicilia, precisamente dalla polis di Leòntinoi, oggi si chiama Lentini, questa bellissima cittadina a nord-ovest di Siracusa: andate a cercarla!

   Sapete perché dobbiamo passare proprio di lì, da Lentini? E allora accorrete! Accorrete lentini, ma accorrete, che: quelli che van lentini, van sanini e lontanini!

   La Scuola è qui…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Gennaio 30, 2004
Anno Scolastico: