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SUL TERRITORIO DEL ROMANTICISMO TITANICO PRENDE CAMPO IL POEMA IDILLICO DI CARATTERE NAZIONALPOPOLARE …

Lezione N.: 
10

ASSOCIAZIONE ARTICOLO  34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

In viaggio sul territorio del Romanticismo titanico

5-6-7  marzo 2025

SUL TERRITORIO DEL ROMANTICISMO TITANICO

PRENDE CAMPO IL POEMA IDILLICO

DI CARATTERE NAZIONALPOPOLARE …

     Durante l’itinerario precedente abbiamo preso visione della tragedia [o del dramma che dir si voglia] fatta pubblicare da Goethe nel 1790 intitolata Torquato Tasso. Il testo di quest’opera, che è reperibile in rete, è considerato un manifesto del Romanticismo titanico, e prima di ricordare perché ha assunto questo ruolo, e anche per sottolineare che la figura di Tasso è stata onorata pure in un modo assai più giocoso mediante lo stile del gioco di parole, rileggiamo [perché abbiamo letto questo brano altre volte in altri contesti] il racconto intitolato La quercia del tasso tratto dal volume Manuale di conversazione scritto nel 1973 da Achille Campanile [volume che potete richiedere in biblioteca in modo da leggerne qualche pagina]-

Achille Campanile, Manuale di conversazione

LA QUERCIA DEL TASSO

Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, come avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto quand’essa era frondosa. Anche a quei tempi la chiamavano così. Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide. Meno noto è che poco lungi da essa, c’era, ai tempi del grande e infelice poeta, un’altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi. Un caso. Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la t maiuscola e della quercia del tasso con la t minuscola. In verità c’era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall’altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso. Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano il tasso del Tasso e l’albero era detto la quercia del tasso del Tasso da alcuni, e la quercia del Tasso del tasso da altri. Siccome c’era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, e poeta anch’egli) il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: “È il Tasso dell’olmo o il Tasso della quercia?”. Così, poi, quando si sentiva dire il Tasso della quercia qualcuno domandava: “Di quale quercia?”. Della quercia del Tasso. E dell’animaletto di cui sopra ch’era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: il tasso del Tasso della quercia del Tasso. Poi c’era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s’era dedicata al poeta e perciò era detta la guercia del Tasso della quercia, per distinguerla da un’altra guercia che s’era dedicata al Tasso dell’olmo (perché c’era un grande antagonismo fra i due). Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta la quercia della guercia del Tasso; mentre quella del Tasso era detta la quercia del Tasso della guercia: qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso. Qualcuno più brevemente diceva: la quercia della guercia o la guercia della quercia. Poi, sapete com’è la gente, si parlò anche del Tasso della quercia della quercia e, quando lui si metteva sotto l’albero di lei, si alludeva al Tasso della quercia della guercia. Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi. Viveva. E lo chiamavano il tasso della quercia della guercia del Tasso, mentre l’albero era detto la quercia del tasso della guercia del Tasso e lei la guercia del Tasso della quercia del tasso. Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto il tasso del Tasso. Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente e, durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l’animaletto venne indicato come il tasso del tasso del Tasso. Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all’ombra d’un tasso perché non ce n’erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora il tasso barbasso del Tasso; e Bernardo fu chiamato il Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal Tasso del tasso. Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora l’animaletto fu indicato da alcuni come il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; e da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso. Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso. …

     Questo per affermare che giocando con le parole ci si esercita nella lettura perché si è costrette e costretti ad alzare il livello di attenzione sulla comprensione dei significati. Il brano che abbiamo letto sarebbe piaciuto tanto a Tasso quanto a Goethe il quale intanto aveva già capito a suo tempo che il genere letterario della tragedia non è forse quello più agevole per veicolare delle idee, anche importanti.

     Al Museo di Roma in Trastevere il Comune di Roma ha organizzato una Mostra intitolata L’albero del poeta. La Quercia del Tasso al Gianicolo che fino al !° giugno presenta un racconto per immagini e documenti sulla memoria di Torquato Tasso. Ebbene tra le Tavole in mostra c’è anche un testo corredato di disegni esplicativi su I tassi di Campanile composto da Joëlle su impulso ricevuto dalla Scuola quando qualche anno fa abbiamo letto il testo di Campanile. Questa composizione è in rete sul blog.petitbistrotculturel I tassi di Campanile dove le curatrici della Mostra l’hanno individuata ed esposta.

     E ora prendiamo il passo sull’itinerario di questa sera.

     Durante l’itinerario precedente abbiamo preso visione della tragedia [o del dramma che dir si voglia] fatta pubblicare da Goethe nel 1790 intitolata Torquato Tasso: perché il testo di quest’opera [che è reperibile in rete] è considerato un manifesto del Romanticismo titanico? Perché nel testo di quest’opera Goethe vuole mettere in evidenza un’idea fondamentale: scrive Goethe: «Quando l’intero genere umano ammutolisce - per il dolore, per la disperazione, ma anche per la gioia - alla persona che sa esprimersi in poesia è affidato il compito [titanico] di esprimere i sentimenti con le parole, per cui la poesia diventa uno straordinario strumento di conoscenza.». E, sulla scia di questa riflessione di Goethe, formulata nei versi finali del testo della tragedia Torquato Tasso, si è potuto affermare che il Romanticismo è stato un movimento intellettuale che ha operato per far diventare il genere letterario della poesia un dispositivo utile ad affinare e perfezionare la conoscenza umana.

     Goethe, per avvalorare questa idea, utilizza come sappiamo la figura di Torquato Tasso attraverso il genere letterario classico della tragedia in versi, ma il pubblico di Weimar accoglie con freddezza [come abbiamo già ricordato] la prima rappresentazione di quest’opera per cui Goethe, superato il primo momento di contrarietà, decide di dedicarsi alla scrittura di testi conformi a generi letterari più accessibili al pubblico e che risultino più accattivanti per la lettura: in questa sua scelta dobbiamo dire che viene influenzato dallo stile di Wieland che compone romanzi di formazione in chiave filosofica, tra cui un poema fantastico come Oberon [e le opere di Wieland le conosciamo].

     E, difatti, nel 1793 Goethe fa pubblicare un poema fantastico in esametri di genere animalesco intitolato La volpe Renardo riprendendo un tema molto famoso della tradizione popolare medioevale che noi in questi anni abbiamo incontrato - come ricorderete - in molti contesti diversi: egli si rifà a una raccolta di narrazioni in versi francesi, composte tra il XII e il XIV secolo, che come ricorderete viene chiamata Il romanzo della volpe. Queste narrazioni non sono legate le une alle altre ma si riferiscono tutte a un personaggio che è l’eroe principale della saga: Renart, le goupil, cioè la volpe [in francese antico], una figura allegorica che è stata creata per mettere in guardia le persone da “la renardite” [la renardie] cioè dall’astuzia e dall’ipocrisia dominanti nel mondo e di cui la volpe rappresenta il modello.

     Sul tema de “la renardite” [l’astuzia volpina] sono state composte molte opere e uno degli esempi più antichi è dato dal poema epico in versi latini dal titolo Ysengrimus [in italiano “Isengrino”] scritto dal chierico Nivardo di Gand, composto nelle Fiandre tra il 1151 e il 1152. In questo poema epico [Isengrino, che Goethe legge con interesse divertendosi] per la prima volta gli animali sono dei veri protagonisti e portano dei nomi propri significativi, di tradizione germanica, in funzione del loro aspetto e del loro carattere: per citarne alcuni c’è Brun, che è l’orso; c’è Ìsengrim [che significa “Elmo di ferro”], che è il lupo; c’è Reinhart [il Furbo matricolato], che è la volpe [e il nome Reinhart deriva da “regin-consiglio” e “hart-duro, invincibile”]; c’è Vrevel [il Tracotante], che è il leone. Il poema Isengrino è raccontato dal Cinghiale [Beaucent] e viene trascritto dall’Orso [Brun] e si apre con il motivo medioevale del pellegrinaggio ai luoghi santi: la Capra intraprende un pellegrinaggio a Roma e a lei si uniscono il Cervo, il Caprone, il Montone, l’Asino, la Volpe Reinardus, l’Oca e il Gallo; al sopraggiungere della sera questa comitiva si ferma in un’osteria in mezzo ai boschi e si prepara a passarvi la notte. A un certo punto, sopraggiunge il Lupo Isengrino per cui, dopo il primo momento di preoccupazione [è bene non fidarsi dei lupi], consigliati da Reinardus, gli animali pellegrini pensano di sbarazzarsi di lui; il Lupo Isengrino viene invitato a tavola e da questo momento ha inizio una serie di avventure in cui la Volpe Reinardus e il Lupo Isengrino cercano di eliminarsi a vicenda coinvolgendo tutti gli altri nella faccenda: il pellegrinaggio assume un tono tanto comico che drammatico,] tutto diverso da quello che dovrebbe avere.

      Goethe impara che la fonte del poema che si perde nella notte dei tempi è costituita dalla ricca tradizione orale popolare in cui sono presenti molti racconti animaleschi e, quindi, quest’opera non ha un’origine dotta ma è diventata materiale letterario in virtù dell’iniziativa redazionale di un chierico medioevale, Nivardo di Gand, che [e Goethe ne prende atto] possiede un sofisticato gusto satirico; con la sua “zoepica” [l’insieme dei racconti in cui si parla degli esseri umani utilizzando i caratteri degli animali (zoòn, in greco)] compone un poema in cui, sebbene in modo pacato e austero, ironizza efficacemente nei confronti dei comportamenti poco ortodossi di molti uomini di Chiesa e di Stato anche perché quando Nivardo di Gand [a metà del XII secolo, e Goethe è al corrente di questo fatto] scrive il testo del poema Ysengrìmus sta cominciando a circolare in Europa quella che è stata chiamata “la mentalità catara o pauperista”, di cui abbiamo studiato le caratteristiche a suo tempo, che auspicava una riforma della Chiesa e propugnava un ritorno alle origini evangeliche [e Nivando esprime il suo pensiero cercando di non esporsi utilizzando la zoepica, un genere letterario che ha avuto da subito molto successo per porre temi di carattere politico].

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Uno dei testi contemporanei del 1945 più famosi di Letteratura zoepica è il romanzo di George Orwell intitolato La fattoria degli animali che periodicamente va riletto, per cui lo potete richiedere in biblioteca…   Quale personaggio letterario rappresentato da un animale [nella fiaba, nella favola, nel romanzo] risulta essere, secondo voi, particolarmente significativo?... 

Scrivete quattro righe in proposito...

Dal 13 gennaio al 9 giugno 2021 - durante la pandemia - la nostra attività è continuata in rete con undici itinerari registrati di un Percorso di natura zoepica intitolato La sapienza poetica e filosofica affidata agli animali... 

Volendo potete rileggere e riascoltare i testi di questo Percorso sui siti della Scuola...

     Il testo del poema Ysengrìmus di Nivardo di Gand precede quello del Romanzo della volpe di autore anonimo che si compone di tante parti staccate tra loro dette [rami] branches, raccolte da compilatori redazionali come Pierre de Saint-Cloud e Richard de Lison, tanto per far due nomi, che formano molte ramificazioni narrative dove compaiono numerosi animali: Renart il volpone, Isengrino il lupo, Nobile il leone, Bruno l’orso, e il gallo Chantecler insieme al corvo Tiécelin, al cane Roonel, al gatto Tibert e a molti altri animali, tutti contraddistinti da un nome, pronti a formare tutti insieme un mondo, una società simile a quella degli umani. Gli animali più in vista hanno anche ognuno una moglie: Renart, che è un volpone maschio, ha per moglie la volpe Ermellina; Isengrino ha la lupa Hersent; Nobile ha la leonessa Fiera, e il nome proprio di ciascuno e ciascuna conferisce vita individuale e autonoma ai singoli personaggi.

     Ne Il romanzo della volpe le varie ramificazioni narrative ci presentano le bestie che formano una società monarchica sotto il governo del Leone, ma l’azione fondamentale è data dalle lotte tra Renart la Volpe e Isengrino il Lupo e dalla divisione di tutto il regno in due partiti, favorevoli all’uno o all’altro. Renart è astuto, malvagio, inesauribile, sempre minacciato e in pericolo, ed è quello che tiene in movimento tutto il regno [è il genio stesso dell’avventura, per lui l’avventura è un istinto naturale e, quindi, è il modello di tutte le avventuriere e gli avventurieri che stanno sul palcoscenico della Letteratura] e finisce quasi sempre con l’avere la meglio, mentre le altre bestie vivono in pace e d’accordo alla Corte del loro re: solo Renart, imprudente, ingordo, malvagio, trama ai loro danni, si beffa di alcune di loro, cerca scappatoie quando è incolpato, invoca l’aiuto degli altri animali quando ne ha bisogno ma poi, subito dopo, tradisce il suo salvatore quando si ritrova libero di agire.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

L’ultima volta che ci siamo occupate e occupati di questo argomento è stato nell’anno 2020 in compagnia di La Fontaine e allora vi ho detto: «Sta di fatto che, strada facendo, se, fra qualche anno, riusciremo ancora ad attraversare il territorio del Romanticismo titanico, ritroveremo questo tema e ne riparleremo in compagnia di Johann Wolfgang Goethe.»... Siamo ancora in viaggio e, quindi, il poema Isengrino di Nivardo di Gand e Il romanzo della volpe, pubblicato dalla casa editrice Sellerio, nella collana La memoria n. 7 (ma ora fuori catalogo), li potete richiedere in biblioteca in modo da leggerne qualche pagina, incuriositevi come la volpe...

     Goethe legge divertito queste opere, si lascia ispirare e si mette a comporre.

     Nel 1793 Goethe fa pubblicare il poema fantastico in esametri di genere animalesco intitolato La volpe Renardo, scritt in primo luogo per compiere un esercizio stilistico: vuole creare un genere letterario che sia gradito al pubblico in modo che le idee che vuole veicolare abbiamo una più vasta diffusione, in quanto non intende tanto narrare delle storie [e Goethe capisce che anche Nivardo di Gand con Isengrino e i compilatori redazionali con Il romanzo della volpe e La Fontaine con le sue Favole avevano già avuto la sua stessa intenzione], ma con la sua opera vuole far riflettere sulla politica internazionale: il più grande avvenimento in Europa dal 14 luglio 1789 è stato la Rivoluzione francese e ora, nel 1793, si deve constatare che questo evento straordinario ha ormai perso la sua forza propulsiva, e gli ideali proclamati [libertà, uguaglianza, fraternità] sembrano essersi persi per strada. Con la Rivoluzione [pensa e riflette Goethe] la borghesia, insieme al popolo, ha sconfitto il feudalesimo e abolito i privilegi nobiliari, ma poi la lotta per il potere, mentre il popolo torna a essere subalterno, è scoppiata in seno alla borghesia stessa: nel testo del suo poema fantastico di genere zoepico Goethe descrive e critica, con la metafora della volpe [de la renardite, dell’astuzia volpina], la borghesia più spregiudicata, la fazione realista che mira alle proprie convenienze e che emargina la fazione idealista quella che aspira a diffondere i diritti e i doveri tra tutte le cittadine e tutti i cittadini. Goethe vuole - con un genere letterario popolare - attirare ancora una volta l’attenzione, così come ha fatto in modo più ostico nella tragedia Torquato Tasso, sullo scontro tra il realismo [della volpe Renardo, astuto, malvagio, inesauribile, ingordo, traditore] e l’idealismo [delle altre bestie, pacifiche, solidali, ingenue.

     Il poema fantastico di Goethe riscuote successo, un successo europeo che è durato nel tempo a vasto raggio e, a questo proposito dobbiamo dire che esiste persino una versione del poema La volpe Renardo di Goethe in dialetto aretino dovuta al traduttore Nicola De Bello dal titolo La gorpe Rainècche, vortata da i’ todesco, edita dall’Editore Sinatti, ad Arezzo nel 1906, e poi lo stesso autore ha tradotto il poema di Goethe in lingua italiana con il titolo Il romanzo della volpe edito prima ad Arezzo nel 1913, sempre dall’Editore Sinatti, e poi a Bari, dall’Editore Laterza, nel 1925.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Consultate la rete e richiedete in biblioteca il poema di Goethe intitolato Il romanzo della volpe, magari lo si trova nella traduzione di Nicola De Bello, poi questo poema di successo è stato tradotto e pubblicato nel 1948 a cura di Liliana Scalero [Sansoni Editore, Firenze] e nel 1963 a cura di Anna Curcio [Editrice R.A.D.A.R. di Padova] con il titolo La Volpe...  Incuriositevi...

     Sull’onda del successo Goethe persevera nell’uso di questo genere letterario.

     Goethe [tra il 1796 e il 1797] scrive e fa pubblicare un altro poema intitolato Arminio e Dorotea che ha avuto [a suo tempo e nei limiti del numero delle lettrici e dei lettori] un enorme successo di pubblico. Perché, ci dobbiamo domandare, è utile riflettere su quest’opera sebbene sia molto probabile che non la leggeremo mai [ed essendo un poema in versi risulta anche più difficile da tradurre e da leggere in lingua non originale] e giustamente starete pensando che della maggior parte dei testi che stiamo incontrando in questo Percorso noi, se riusciamo a reperirli, ne leggeremo forse qualche pagina: e allora perché, vi starete chiedendo, dobbiamo comunque nutrire un interesse per opere come questa, il poema Arminio e Dorotea di Goethe? Ebbene l’attenzione che dobbiamo nutrire per un’opera come questa sta nel fatto che costituisce “un modello”, e questa affermazione comporta una riflessione generale di tipo metodologico, nell’ottica della didattica della lettura e della scrittura.

     Io, per esempio, non so cucire ma so osservare attentamente il figurino di un abito, io, per esempio, non so fare una torta ma so leggere con interesse la ricetta per farla. Ebbene, nell’ambito della didattica della lettura e della scrittura, la presa di contatto con “il modello di un’opera”, un poema, in questo caso, è utile sul piano dell’apprendimento perché quando si riflette [mediante le azioni cognitive (conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare)] sulla forma di “un modello” si sta comunque investendo in intelligenza [e lo fa presente anche Platone nel dialogo intitolato Parmenide: «È la conoscenza del modello che permette la comprensione della realtà»]. Questa riflessione metodologica è fondata sul fatto che il Romanticismo titanico, sul cui territorio stiamo viaggiando, è un laboratorio nel quale sono stati elaborati una serie di modelli [“stampi, typoi” di cui abbiamo preso atto] che caratterizzano la Letteratura contemporanea come il romanzo di formazione, il romanzo sentimentale, il poema fantastico. «Nel venire a contatto con il testo di un’opera, scrive Paul Cornea in Introduzione alla teoria della lettura, di solito prevale l’interesse per il contenuto ma perché l’apprendistato cognitivo di chi legge risulti proficuo è necessario che si tenga conto anche e soprattutto della forma perché il contenuto dell’opera si arricchisce tanto più è aderente a un modello.». Goethe, consapevole della riflessione che abbiamo condotto, nello scrivere Il romanzo della volpe, ha seguito un modello dato da Wieland [il romanzo filosofico di formazione] mentre in questa sua nuova opera Goethe ha assorbito la lezione teatrale di Schiller.

     Noi Schiller non lo abbiamo ancora incontrato [lo incontreremo a breve] ma se lo avessimo già incontrato, sapremmo che negli anni ’80 del ’700 Schiller ha conseguito uno straordinario successo con i suoi poemi caratterizzati da un particolare modello: sono come vedremo poemi drammatici di carattere storico, politico e psicologico. Ebbene, circa quindici anni dopo, Goethe segue la lezione teatrale di Schiller apportando al modello del poema drammatico schilleriano delle modifiche che trasformano il carattere dell’opera e la rendono ancora più appetibile al pubblico.

     In attesa di dar voce a Schiller [nel prossimo itinerario lo incontreremo] adesso seguiamo Goethe il quale, con questo nuovo poema, mette a punto un nuovo modello letterario rispetto a “il poema fantastico” di Wieland come Oberon che conosciamo, e rispetto a “il poema drammatico” di Schiller di cui parleremo nel prossimo itinerario, e con Arminio e Dorotea prende forma il modello del “poema idillico di carattere nazionalpopolare”.

     L’espressione “nazionalpopolare” [facciamo un breve inciso] l’abbiamo sentita usare [ma forse non lo ricordate neppure] qualche anno fa nel 1987 in occasione di una polemica sul modo di fare televisione tutta interna alla televisione stessa come se non ci fosse nulla al di fuori del tubo catodico, e in quell’occasione è stato tirato in ballo dai contendenti anche Antonio Gramsci [1891-1937] il quale, in quella importante opera di esegesi letteraria prodotta dal 1929 al 1937 che s’intitola Quaderni del carcere [e sarebbe interessante, strada facendo, imbastire un Percorso su quest’opera, chissà ...], ebbene, Gramsci però non ha mai dato una definizione riguardate il concetto di “nazionalpopolare” ma ha parlato invece in molte pagine di “coltura nazional-popolare” a proposito di un tema cruciale: quello della distanza esistente soprattutto in Italia tra i ceti intellettuali e il popolo e, di conseguenza, dell’incapacità degli intellettuali di rappresentare gli interessi e i gusti della gente non acculturata in modo da favorire un processo graduale e permanente di alfabetizzazione in quanto “senza alfabeto non c’è progresso umano e sociale”, per cui l’intellettuale deve prodigarsi per “conoscere la vita del popolo per poterla rappresentare”.

     Si può pensare [ci dobbiamo domandare pur con tutte le differenze sul piano storico e temporale che ci sono] che anche Goethe, così come Wieland, Schiller e Jean Paul, abbiano coltivato un pensiero simile, rispetto al concetto di “coltura nazional-popolare”, nel momento in cui riflettono e agiscono per mettere a punto un modello letterario che sia, nella forma e nel contenuto, il più efficace possibile in funzione dell’esercizio della lettura? Non è facile rispondere a questo interrogativo prodotto da questo inciso, mentre in funzione della didattica della lettura e della scrittura possiamo ricordare che in Italia due autori in particolare hanno operato negli anni ’50, favorendo un interessante dibattito, per cercare di produrre “una Letteratura di carattere nazional-popolare che potesse assolvere a una funzione pedagogica”.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In biblioteca potete richiedere il romanzo Le terre del Sacramento del 1950 di Francesco Jovine [1902-1950] e il romanzo Metello del 1955 di Vasco Pratolini [1913-1991] ... Se leggete o rileggete i testi di queste due opere, dal diverso finale, potete cogliere, attraverso le vicende dei due protagonisti [Luca Marano e Metello Salani], tre temi - l’umiliazione, la poesia, la speranza - che caratterizzano la Letteratura nazional-popolare che deve tendere a “conoscere la vita del popolo per poterla realisticamente rappresentare”…  Incuriositevi…

     Ma torniamo a Goethe, che sarebbe stato senz’altro attratto dai due romanzi citati.

     Goethe scrivendo il testo dell’opera intitolata Arminio e Dorotea dà forma al modello del “poema idillico di carattere nazionalpopolare” e allora ci dobbiamo domandare: quali sono le peculiarità corrispondenti a questo modello letterario? Anche se non leggeremo mai il testo di questo poema lo studio del modello che lo caratterizza nelle sue forme e nei suoi contenuti, ci dà comunque modo di alzare il livello delle nostre competenze cognitive da utilizzare nell’ambito dell’esercizio della lettura e della scrittura. Il testo di Arminio e Dorotea - pubblicato nel 1797 a Berlino - ha avuto, come abbiamo detto, un successo straordinario anche economico [Goethe ha incassato un onorario di seimila talleri (circa 56 mila euro) e questo fatto ha suscitato scalpore]. Goethe è sempre stato molto affezionato a quest’opera, non tanto per motivi economici perché era ricco di famiglia, ma per motivi sentimentali, e ancora nel 1825 si commuoveva leggendone il testo così come si era commosso nel settembre del 1796 quando aveva letto per la prima volta a Schiller il quarto canto, «Goethe scrive Schiller mi ha letto il quarto canto del suo poema Arminio e Dorotea fra le lacrime.».

     Il primo elemento significativo riguardante il modello del poema idillico di carattere nazionalpopolare è relativo allo scenario in cui si svolge: Goethe non recupera uno sfondo dell’antica Grecia o del Medioevo o del Rinascimento, ma racconta avvenimenti contemporanei più consoni con l’ispirazione del poeta e più comprensibili per chi legge. Il poeta e il pubblico che legge, pensa Goethe, s’immedesimano di più nel racconto se i personaggi sono contemporanei e popolari in quanto Arminio e Dorotea sono due figure che vivono gli stessi avvenimenti vissuti dalle lettrici e dai lettori, e sono due persone che appartengono alla stessa collettività, allo stesso popolo, della quale fanno parte tanto il poeta quanto chi legge. In riferimento alla tragedia scritta precedentemente da Goethe, Arminio e Dorotea come personaggi si distinguono da Torquato Tasso ed Eleonora d’Este: anche Torquato ed Eleonora fanno commuovere chi legge [e non dovremmo rinunciare alla lettura del testo di questo dramma] ma provocano un tipo di coinvolgimento, afferma Goethe, di natura mitica non reale: l’amore tra l’affascinante poeta ritenuto pazzo e la bella duchessa infelice fa emozionare, ma chi legge non può pienamente riconoscersi in loro perché “non sono appartenenti al popolo e sono lontani nello spazio e nel tempo”. Quindi, l’argomento che Goethe vuole affrontare nel suo poema, il tema della sofferenza umana che propone in tutte le sue opere, sebbene sia una questione ricorrente in tutti i tempi e in tutte le civiltà, assume un aspetto più vivo e coinvolgente se trattato nella contemporaneità.

     Ebbene, questa questione posta da Goethe in età romantica ha preso campo nel secolo scorso quando le registe e i registi hanno pensato di ambientare in un contesto contemporaneo le storie di certe opere teatrali o melodrammatiche svoltesi nei secoli precedenti perché assumessero un aspetto più vivo e coinvolgente. Lo scenario del poema Arminio e Dorotea è quello contemporaneo della Rivoluzione francese, il grande avvenimento che «ha fatto battere scrive Goethe più libero il nostro cuore quando abbiamo udito che i diritti di ogni persona sono comuni a quelli di tutte le altre persone.». Ma è anche vero, deve amaramente riconoscere Goethe, che gli sviluppi della Rivoluzione hanno provocato una situazione che ha messo in primo piano la sofferenza umana, «mentre dovrebbe essere la pietà umana scrive Goethe un valore più grande di tutte le più grandi contingenze della storia.». Goethe nel poema Arminio e Dorotea, rifacendosi e rielaborando un episodio reale accaduto nel 1732, racconta quando nel 1795, in occasione di una guerra locale di religione, ai protestanti di Salisburgo viene imposta una forzata emigrazione: vengono loro confiscati i beni e costretti in malo modo ad andarsene. A Goethe non interessa tanto innescare la polemica politico-religiosa: qualunque ideologia religiosa è responsabile di avere infierito sulle persone considerate infedeli ma, in definitiva, scrive Goethe, è sempre il popolo [costituito dagli esseri umani più indifesi] che subisce. Goethe è attratto da un’immagine - che purtroppo continua a essere di straordinaria contemporaneità portando con sé qualcosa di epico - l’immagine della lunga processione dei profughi, che camminano faticosamente con le poche cose che sono riusciti a portare via, verso l’incerto e crudele destino dell’esilio.

     L’azione del poema Arminio e Dorotea si svolge in un paese di frontiera dove le popolazioni abitanti al di là del Reno giungono in folla come profughi fuggendo davanti all’incalzare delle truppe francesi; tra la folla dei fuggiaschi c’è anche una fanciulla, Dorotea, che «cammina scrive Goethe con passi sicuri accanto a un solido carro tirato da due buoi possenti», e di lei s’innamora, mentre la vede passare, Arminio, il giovane figlio del proprietario dell’albergo “Al Leon d’oro”: la narrazione del loro primo incontro, del loro idillio e della nascita del sentimento amoroso che corona la vittoria del cuore sopra tutte le avversità esterne e le difficoltà, costituisce la trama del poema.

     L’idea-madre che Goethe vuole esprimere su cui si regge il genere letterario del poema idillico di carattere nazionalpopolare è semplice: dagli avvenimenti di questo mondo, purtroppo inevitabilmente, scrive Goethe, si sprigiona la sofferenza umana e il modo più consono per attenuare l’umana sofferenza è credere nel valore dell’amore. Se le persone sanno costruire l’amore tra loro con tenacia, rispetto e determinazione trasformando l’innamoramento in solidarietà, e l’incontro tra umani in stima reciproca, ci sarà una ricaduta positiva su tutta la società che servirà ad attenuare, se non ad abolire completamente, l’umana sofferenza.

     Goethe, quindi, vincola il contenuto del suo poema alla contemporaneità mentre, per quanto guarda la forma, non può fare a meno di attingere alla sua cultura classica ma con l’intento di farla combaciare con la coltura popolare e, di conseguenza, dà alla sua composizione poetica una struttura in nove canti, a ognuno dei quali assegna come sovra-titolo il nome di una delle nove Muse. Voi ricorderete [coloro che erano in viaggio nell’anno 2005] che i grammatici alessandrini hanno diviso [la prima attestazione è del I secolo a.C.] il testo delle Storie di Erodoto, scritte tra il 440 e il 429 a.C. - che era disorganico e ininterrotto - in Libri, e hanno dato a ogni Libro il nome di una Musa [le Muse sono nove e quindi l’opera di Erodoto è divisa in 9 Libri] e a Goethe è piaciuto fare questa operazione di carattere neo-classico, noi diciamo romantico.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Ricordate il nome delle nove Muse e di che cosa si occupano?…  Ripassiamo con Goethe...

     Anche se non leggeremo mai [ma non è detto che non si possa fare] il testo del poema Arminio e Dorotea è bene conoscere l’intreccio della trama che presenta aspetti di stringente attualità: «Quando l'intero genere umano [ricordate che cosa scrive Goethe?] ammutolisce per il dolore, al poeta è affidato il compito di esprimere i sentimenti con le parole, per cui la poesia diventa uno straordinario strumento di conoscenza.».

     Il primo canto del poema Arminio e Dorotea è dedicato a Calliope, la musa della poesia epica, e con i suoi versi Goethe loda lo stile di vita della provincia, delle persone che abitano nei paesi ed esalta l’atmosfera di pace che abitualmente vi regna, e poi fa una minuta descrizione dello stato di eccitazione che viene a determinarsi nella cittadina di frontiera dove la narrazione si svolge, a causa del passaggio del lungo corteo di poveri profughi che avanzano disordinatamente con carri e masserizie lungo la strada principale.

     Il secondo canto è dedicato a Tersìcore, la musa della danza, e il protagonista dei versi è Arminio che vede Dorotea [«la quale cammina con passi sicuri accanto al suo carro»] e rimane colpito [«il suo cuore sussulta»] per la dignità di questa ragazza più che per la sua bellezza, per cui comincia a fare una raccolta di generi di prima necessità [s’inventa la protezione civile, fonda una Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale?...] e chiama in causa questa persona e la invita a procedere alla distribuzione lei che conosce la sua gente mentre lui organizza i soccorsi: Dorotea lo guarda, gli sorride, gli strige la mano e i cuori battono, scrive Goethe, perché il poeta vuole ribadire che la solidarietà e l’innamoramento sono due sentimenti affini [e questo deve insegnare il poema idillico di carattere nazionalpopolare]; Arminio ritorna a casa di corsa felice, dove però il padre gli parla invece in modo assillante e interessato delle promettenti figlie del loro ricco vicino, un mercante che ha un palazzo e una bottega di fronte al loro albergo sulla stessa piazza del Mercato e anche la madre, che s’intenerisce quando si parla di matrimonio, non nasconde le sue simpatie per la graziosa figlia maggiore del mercante: ad Arminio, che tenta invano di opporsi e reagire, non resta che andarsene, zitto zitto, facendo adirare suo padre.

     Il terzo canto è dedicato a Talìa, la musa della commedia, e contiene solo 110 versi che servono a far sbollire la collera del padre in un colloquio col farmacista che dichiara di essere disgustato perché, col grande aumento dei prezzi che c’è stato a causa della guerra, non può nemmeno permettersi di far indorare l’angelo dell’insegna della sua farmacia; mentre la madre di Arminio è preoccupata nel vedere il figlio così scontroso e irritato.

     Nel quarto canto dedicato a Euterpe, la musa della musica, la protagonista dei versi è la madre che va a cercare Arminio [prima nel giardino, poi sotto la pergola del caprifoglio, poi nella vigna, poi di orto in orto fin nella parte più alta del paese] e lo trova seduto sotto l’antichissimo e simbolico albero del pero con lo sguardo che si perde lontano verso l’infinito, con le lacrime negli occhi perché lo tormenta [così dice alla madre] il pensiero della grande miseria che ha visto e lo affligge l’idea di non poter aiutare, come sarebbe necessario, quelle povere persone profughe, e poi confessa alla madre di essersi innamorato di una meravigliosa ragazza di passaggio con questa gente.

     I versi del quinto canto dedicato a Polimnia, la musa che ispira gli inni in onore degli dèi e degli eroi, e quelli del sesto canto dedicato a Clio, la musa della storia, raccontano l’opera di persuasione che la madre, il pastore evangelico, il farmacista e il giudice s’impegnano a svolgere perché il padre di Arminio dia il suo consenso alla relazione del figlio con Dorotea; in proposito, per vincere le sue resistenze, si recano di persona in mezzo agli esiliati per incontrare la ragazza e sondare le sue intenzioni e lì si rendono conto delle condizioni di degrado in cui vive questa povera gente: senza cibo, senza casa, senza medicine, senza speranza, e per merito dell’idillio tra Arminio e Dorotea le autorità scoprono che devono intervenire in modo solidale perché l’amore quando sboccia produce una ricaduta benefica su tutta la società, e scoprono il grande ardimento di Dorotea che, con gli aiuti ricevuti dall’ardimentoso Arminio, si sta prodigando per aiutare la sua gente.

     Nel canto settimo dedicato a Erato, la musa della poesia amorosa e dell’arte mimica, si leggono i versi della celebre “scena d’amore alla fontana”: Dorotea e Arminio vanno ad attingere acqua per far bere la gente accampata, e, nell’immergere le brocche dentro la fonte scoprono che le loro sembianze si specchiano nell’acqua e, mentre si parlano, cominciano a far avvicinare le immagini dei loro volti fino a farli volutamente sovrapporre per cui, scrive Goethe: «un dolce desiderio li avvolge».

     Nel canto ottavo dedicato a Melpòmene, la musa della tragedia, i versi del poema raggiungono la loro più intensa e delicata liricità quando Arminio invita Dorotea a casa sua e poi vanno fin sotto l’antichissimo albero di pero che fa da testimone naturale del loro patto, si siedono a contemplare il tramonto e, mentre scende la notte, ritornano, al chiaro di luna, dopo essersi più volte teneramente abbracciati e baciati.

     Nel nono canto dedicato a Urania, la musa dell’astronomia, Goethe, in versi, descrive la celebrazione del matrimonio di Arminio e Dorotea e usa un tono sarcastico [schernisce l’ambiente alto borghese di Weimar] perché, appartenendo Arminio a una famiglia benestante, le nozze avrebbero dovuto essere costose, lussuose, sfarzose e invece avvengono con una cerimonia molto solenne [ironizza Goethe] perché semplice ed essenziale in quanto «più prevale il sentimento amoroso e meno si sente il bisogno dello sfarzo.».

     Con il poema idillico di carattere nazionalpopolare Goethe vuole esaltare l’indole aperta e disponibile della gente che, facendo appello a sentimenti eterni e universali, sceglie l’umiltà come stile di vita criticando i comportamenti di una società che, a causa della somma degli egoismi, sembra vacillare nelle sue stesse fondamenta sia vantate come “evangeliche” che come “rivoluzionarie”.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il testo del poema Arminio e Dorotea di Goethe lo potete richiedere in biblioteca [è stato stampato in diverse edizioni] in modo da leggerne qualche pagina, incuriositevi...

     L’incontro con queste opere [che non si leggono più ma con le quali è utile rimanere in contatto sul piano didattico] è motivato dal fatto, come sapete, che nel corso del Romanticismo titanico vengono messi a punto nuovi modelli letterari con i quali si continuano a creare opere: il romanzo di formazione, il romanzo sentimentale, il poema fantastico, il poema idillico di carattere nazionalpopolare.

     Per concludere, in funzione della didattica della lettura, da coniugare in modo più agevole, e della scrittura, da osservare come prototipo per favorire la lettura, incontriamo un autore, Adalbert Stifter, più volte citato in questi anni in diversi contesti, che è stato capace di scrivere creando una contaminazione di generi dando vita circa un secolo dopo l’epoca nella quale stiamo viaggiando a un modello nuovo.

     Adalbert Stifter [1805-1868] è considerato da qualche anno a questa parte uno dei più significativi scrittori dell’800 e se non è mai emerso è anche perché ha sempre vissuto appartato nella provincia austriaca, in montagna [ha visto il mare per la prima volta a cinquantadue anni a Trieste]. Viene apprezzato come autore in quanto ha attuato in anteprima un’opera di contaminazione di generi, e nei suoi testi mescola insieme ad arte i modelli del romanzo di formazione con il romanzo sentimentale con il poema fantastico e con il poema idillico di carattere nazionalpopolare, producendo una miscela linguistica che ha il pregio anche tradotta di essere letta agevolmente: il modo di narrare di Stifter è semplice, lineare, dotato di leggerezza, idillico ma anche intramezzato da riflessioni cariche di ironia e dotate di spirito pedagogico.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In biblioteca di Adalbert Stifter potete richiedere una serie di racconti che sono stati pubblicati recentemente [dal 1983 al 1999], e soprattutto potete puntare la vostra attenzione sul romanzo [breve, sono cento pagine] intitolato Il sentiero nel bosco del 1845 che, nel contenuto, richiama, ma con meno enfasi e più ironia, il poema Arminio e Dorotea di Goethe, incuriositevi…

     Terminiamo leggendo un frammento da Il sentiero nel bosco di Adalbert Stifter.

Adalbert Stifter, Il sentiero nel bosco

Certo, a questo punto, devo ammettere anch’io che non frequentare altro luogo all’infuori di quel sentiero nel bosco era cosa quanto meno bizzarra.

Sino allora Tiburius non aveva mai incontrato, cammin facendo, creatura umana: quando finalmente gli accadde, fu l’incontro risolutivo dell’intera sua esistenza.

A lato del sentiero c’era un bel masso oblungo, a circa metà del cammino fra la parete rocciosa e il prato della Campana. Su quella pietra Tiburius si era seduto spesso: si trovava infatti in un luogo leggiadro e asciutto, e da lì si vedevano un gran numero di tronchi slanciati, macchie di sole occhieggianti e mutevoli sequenze di ombre sfumate. Un pomeriggio, muovendo verso la pietra per mettersi a sedere e disegnare, Tiburius si accorse che già qualcuno vi sedeva. Da lontano gli parve una vecchia, una di quelle che nei modelli da copiare siedono sempre nei boschi - più che altro perché, appoggiato sul sentiero, scorse qualcosa di bianco che scambiò per un fagotto. Si avvicinò lentamente a quella figura. Quando già era a pochi passi da lei riconobbe il proprio errore. Non era una vecchia, bensì una fanciulla e, a giudicare dall’abbigliamento, una giovane contadina del posto. …

     Il racconto è semplice, lineare, leggero, e prenderà un tono idillico e ironico, ma bisogna leggere il testo nella sua interezza perché ora abbiamo colto soltanto che il protagonista è il signor Tiburius [che di nome si chiama Theodor e al quale piace disegnare, ed è benestante come Arminio ma in realtà è una sorta di profugo (in che senso? Incuriositevi)] mentre della giovane contadina del posto [che gli cambia la vita perché, a suo modo, è ardimentosa come Dorotea e domani è l’8 marzo, la Giornata internazionale della donna lavoratrice e studiosa] non conosciamo ancora il nome, incuriositevi.

     A partire dal 1794 Goethe e Schiller, a Weimar, diventano grandi amici anche se il loro rapporto, proficuo e decisivo per entrambi, non è mai stato facile. La forza del loro legame sta nel fatto che erano antitetici con un carattere quasi uno l’opposto dell’altro ma, proprio per questo, si completavano.

     Che cosa ha da insegnare Schiller a Goethe e che cosa ha da insegnare Goethe Schiller e, di conseguenza, che cosa hanno da insegnare a noi in funzione della didattica della lettura e della scrittura?

     Per rispondere a questa e a molte altre domande dobbiamo procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, per questo la Scuola è qui e, per metterci in marcia sulla strada tracciata dall’art.34 della Costituzione fondata sui valori dell’Umanesimo, il viaggio continua…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Marzo 7, 2025