ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
In viaggio sul territorio del Romanticismo titanico
19-20-21 febbraio 2025
SUL TERRITORIO DEL ROMANTICISMO TITANICO
SI ASSISTE A UN RINNOVAMENTO DELLO SPIRITO
IN SENSO DIONISIACO …
Questo è il nono itinerario del nostro viaggio sul territorio del Romanticismo titanico e la volta scorsa, come ricorderete, abbiamo accompagnato Goethe nel suo viaggio in Italia, e per poterlo fare abbiamo utilizzato il testo del Libro [diventato celebre, che Goethe ha scritto in base a questa esperienza] intitolato Viaggio in Italia.
Quando Goethe torna a Weimar dal suo viaggio in Italia il 18 giugno 1788 afferma di essere cambiato e, difatti, inizia a comportarsi in modo scostante e schivo rispetto all’ambiente sociale, aristocratico e alto borghese, che lo circonda e che era solito frequentare: si presenta al granduca Carlo Augusto e gli comunica che rinuncia a tutti gli incarichi di governo perché vuole dedicarsi allo studio e alla ricerca a tempo pieno. Poi va a trovare Charlotte von Stein [1742-1827], la signora sua consigliera che Goethe ha considerato per tutta la vita la sua amica migliore e la compagna più fidata: come sappiamo, con la von Stein ha tenuto una corrispondenza dall’Italia e solo a lei confida le sue esperienze, ed è a lei, per prima, che ha spiegato come questo viaggio abbia contribuito a espandere la sua vitalità con la scoperta, in Italia, del senso pagano, mitico e dionisiaco della vita che lo ha fatto avvicinare ancor di più alla Natura e all’idea di quanto sia importante acquisire la conoscenza della Natura.
Goethe si è convinto del fatto, come confida alla von Stein, che esiste una relazione strutturale tra la scienza, impegnata a conoscere i fenomeni della Natura, e la dimensione esistenziale ed interiore della persona. Goethe, che scrive: «Più conosco la Natura e più conosco me stesso», riprende con ardore a dedicarsi allo studio dei processi creativi della Natura [quindi la svolta dionisiaca di Goethe ha un risvolto di carattere scientifico (o pseudoscientifico a detta dei suoi critici)] e si concentra soprattutto sugli studi botanici per mostrare “l’armoniosa appartenenza dell’essere umano al mondo naturale”. Come abbiamo detto nell’itinerario scorso, Goethe nel 1790 porta a termine l’opera che ha cominciato a scrivere in Italia, intitolata La metamorfosi delle piante, prendendo spunto dalla visita fatta da lui il 27 settembre 1786 al Giardino botanico di Padova [operante dal 1545] dove avanza l’ipotesi secondo cui le piante deriverebbero da una sola pianta originaria, Urpfianze, che poi scrive di aver identificato in Sicilia. Ma questa sua considerazione travalica come abbiamo già detto il piano botanico-scientifico per collocarsi su quello filosofico e metafisico, e Goethe scrive che «la Natura avvolge l’Ego della persona e lo spossessa della sua astrattezza restituendolo come corpo vivo, e sorge così per la persona la possibilità di cogliere l’eterno nel divenire, il divino nella Natura » [e qui si rifà alle opere di Spinoza coltivando una visione filosofica di tipo panteista, tipica della coltura dionisiaca]. Goethe, quindi, critica la visione naturalistica molto accreditata di Carl Nilsson Linnaeus, 1707-1778, il medico, botanico e naturalista svedese autore del Systema Naturae in cui classifica scientificamente tutti gli organismi viventi animali e vegetali allora conosciuti. «Se non conosci i nomi - afferma Linneo - muore anche la conoscenza delle cose». Goethe critica l’operato di Linneo affermando che «non si può applicare un sistema alla Natura perché la Natura non ha sistema ma vita, vita in continuo mutamento » [e questa è una visione orfico-dionisiaca della realtà].
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
È vero che la Natura è vita in continuo movimento ma è altrettanto interessante l’opera di catalogazione degli oggetti naturali: avete visitato il Museo di Storia Naturale, La Specola?...
Sarebbe piaciuto anche a Goethe...
Quali oggetti naturali [animali, vegetali, minerali] voi avete raccolto e catalogato?...
Scrivete quattro righe in proposito ...
Il rinnovamento dello Spirito in senso pagano, mitico, dionisiaco, che Goethe attribuisce al suo viaggio in Italia, è un fenomeno che si verifica su larga scala sul territorio del Romanticismo titanico.
Il rinnovamento dello Spirito in senso pagano, mitico, dionisiaco è un fenomeno che sul territorio del Romanticismo titanico si verifica per tutta una serie di significative circostanze, in primis per via del nuovo interesse per la civiltà greca e anche romana ed etrusca, dato tra il ‘700 e l’’800 dallo sviluppo dell’Archeologia, che diventa una vera e propria disciplina, e poi dalla scoperta della Letteratura norrena dell’Edda attraverso la rivista Il Mercurio tedesco [diretta da Wieland, che conosciamo]; inoltre la riscoperta della figura mitica di Dioniso, con le sue caratteristiche, avviene anche perché si presenta sulla scena della Storia un nuovo soggetto sociale: il popolo, al quale vengono attribuite nel bene e nel male delle virtù che hanno una valenza dionisiaca.
Goethe, in Italia, come sappiamo, si è immerso in quella che anche Wieland e Herder chiamano “la coltura popolare” che è caratterizzata da qualità come la spontaneità, la gaiezza, la passione, il delirio, l’esaltazione, l’immediatezza nei rapporti, la spregiudicatezza soprattutto femminile; e queste qualità etichettate come “dionisiache” diventano più importanti delle doti “apollinee” come l’euritmia, l’armonia, l’equilibrio che, spesso, proprio attraverso l’astuzia della ragione, debordano in ipocrisia, in falsità [«Apollo utilizza l’astuzia della ragione, Dioniso la schiettezza della passione», scrive Saffo]: il popolo, nella visione delle pensatrici e dei pensatori “romantici”, diventa un soggetto depositario d’uno slancio irrazionale, disarmonico, squilibrato che, però, lo rende un’entità collettiva dotata di minore ipocrisia e falsità. Goethe, appena tornato a Weimar, trova difficoltà ad avere gli stessi rapporti che aveva prima con l’ambiente di corte che trova falso e ipocrita, e scopre di trovarsi più a suo agio nei quartieri popolari della città, ed è lì che incontra, nell’estate del 1788, una ragazza del popolo di professione fioraia, bella e sensuale, Christiane Vulpius [1765-1816] e inizia a convivere con lei [e poi, in seguito, la sposerà anche]. Naturalmente il comportamento di Goethe scatena pesanti pettegolezzi nella cerchia del bel mondo di Weimar, ma lui non ci bada e vive con grande partecipazione emotiva questa relazione dalla quale nascono cinque figli dei quali, uno solo, Augusto, il primogenito, nato nel 1789, è diventato adulto e muore a Roma nel 1830, due anni prima di suo padre, per cui nessun figlio di Goethe è sopravissuto a lui.
Christiane [ci si domanda] ricorda a Goethe una ragazza del popolo, una delle tante, probabilmente, che ha incontrato a Roma, una certa Faustina [sulle tracce della quale si sono messe le studiose e gli studiosi dando adito a una serie di ricerche]: e chi sarebbe questa Faustina che assomiglia a Christiane? Faustina sarebbe una persona reale oppure è un nome simbolico [(Faust)ina], un’allegoria poetica utilizzata da Goethe per esaltare il fascino di Christiane?
Il personaggio di Faustina caratterizza l’opera poetica, intitolata Elegie romane, che Goethe scrive appena torna a Weimar, subito dopo aver conosciuto Christiane. Nei versi di Elegie romane Goethe non parla del suo viaggio ma dal tono e dal contenuto esplicitamente erotico si capisce che è stato influenzato dal clima dionisiaco presente nell’ambiente romano: difatti, nei versi con cui inizia la VII Elegia scrive: «Oh! Come mi sento lieto, aperto, spontaneo qui a Roma se penso ai tempi, quando, una luce grigia, lassù nel Nord, mi avvolgeva!». Nel momento in cui ha incontrato Christiane, sta continuando a immaginare di essere in Italia e, quindi, utilizza il nome di Faustina per giustificare in senso poetico, e anche mitico, il suo incontro appassionante [e deprecato dall’opinione pubblica di Weimar] con Christiane? Ebbene, le studiose e gli studiosi si sono comunque occupati di Faustina perché è anche certo il fatto che, Goethe, a Roma, ha senz’altro vissuto più di una avventura amorosa con le ragazze trasteverine o di Campo Marzio. In proposito, le studiose e gli studiosi hanno scoperto che, sebbene non sia certa l’esistenza di Faustina, però, qualche traccia, seppur labile, ci sarebbe, perché in un registro parrocchiale della Chiesa di Sant’Agata in Trastevere [allora i parroci, eseguendo gli ordini del Concilio di Trento, trascrivevano tutto di tutti] sono stati scoperti i dati anagrafici di una certa «Faustina Antonini, terza figlia dell’oste Agostino Di Giovanni, nipote di Augusto Di Giovanni, vignaiolo e proprietario di una vigna (fratello di Agostino e padrino di battesimo di Faustina), nata nel 1764, maritata nel 1784 con un Antonini, ha partorito e poi è rimasta vedova.» Così si legge nel registro parrocchiale. Sta di fatto che Goethe nei versi di Elegie romane fa davvero parlare Faustina come se fosse vedova e le fa prendere anche in braccio un bambino probabilmente suo: sono dati di fatto oppure sono licenze poetiche? [Si sa - scrive Fernando Pessoa - che “il poeta è un fingitore”, che è il titolo di un libretto, una breve antologia poetica, che potete richiedere in biblioteca]. E poi c’è il testo della XVI Elegia, della quale stiamo per leggere un frammento, dove Goethe cita “la vigna dello zio”, un dato che combacia con ciò che riporta il registro parrocchiale della Chiesa di Sant’Agata in Trastevere dove si legge che Faustina è la nipote di Augusto Di Giovanni, proprietario di una vigna a Trastevere e padrino di battesimo di Faustina e, quindi, anche custode della sua moralità, della sua virtù [di cui Goethe si prende gioco].
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con una guida di Roma e navigando in rete fate una visita alle chiese di Trastevere che hanno tutte una storia interessante, in particolare puntate l’attenzione sulla Chiesa di Sant’Agata in Trastevere dove si venera la Beata Vergine del Carmelo e dove si celebra dal 1535 “la Festa de Noantri”, e Goethe era attirato da queste feste liturgiche... Incuriositevi...
E ora, dopo aver acquisito questi dati, leggiamo il testo della XVI Elegia romana, e si capisce che Goethe, con le sue allusioni erotiche che non hanno bisogno di spiegazioni, vuole anche rispondere alle critiche del bel mondo di Weimar da cui si è allontanato.
Johann Wolfgang Goethe, Elegie romane XVI
«Perché non sei venuto oggi alla vigna, mio caro? Ti aspettavo da sola, lassù».
«Tesoro mio, ero già dentro ai filari quando ho visto lo zio che, tra le viti,
girava col volto per nulla sereno. E sono scappato in un battibaleno».
«Ah, ma come hai fatto a prender un tale abbaglio? Era lo spaventapasseri, amor mio!
e chi t’ha cacciato via, con la faccia adirata, non era lo zio. Abbiamo cucito
quello spauracchio con vecchi abiti e canne; e ce l’ho messa tutta anch’io
per farmi un bel danno, amor mio». Bene, allora il babau sarebbe contento:
oggi ha messo paura all’uccello più canaglia che ci sia, che gli saccheggia
non, della vigna e dell’orto, la dote, ma la virtù della bella nipote. …
La traduzione non rende rispetto alla lingua originale, tuttavia la lettura di questo brano è sufficiente per illustrare le caratteristiche della poesia di Elegie romane.
Goethe, nel comporre i versi dei 24 brani della raccolta Elegie romane, utilizza prima di tutto la Lezione dei satiri greci e latini oltre a quella di Torquato Tasso e, quindi, con abilità fonde insieme il motivo erotico, privilegiando il senso dell’attesa che fa aumentare il desiderio d’amore [perché il desiderio sta nell’attesa], con il motivo esistenziale dovuto al tema del rapporto tra l’Io individuale e la Natura, spesso correlato a un tono malinconico, unendoli con la riflessione ironica e con la ricerca degli aspetti comici della vita quotidiana. La miscela poetica data dall’amalgama del tema erotico, con quello naturale, malinconico e ironico, diventa un modello su cui Goethe ha sperimentato.
Il genere della poesia d’amore è andato evolvendosi e nel ‘900, tanto p er fare alcuni nomi riguardanti la cosiddetta “poesia d’amore dei poeti maledetti”, abbiamo avuto soprattutto in Francia autori come Apollinaire [1880-1918], Verlaine [1844-1896], Baudelaire [1821-1867], Prévert [1900-1977] che hanno dato lustro a questo modello che lega insieme erotismo, natura, malinconia e ironia.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca potete richiedere - per leggerne qualche brano - le raccolte poetiche di Apollinaire Alcools, di Verlaine, Feste galanti, di Baudelaire I fiori del male, di Prévert Parole... Voi conoscete senz’altro un testo poetico di vostro gradimento che lega insieme erotismo, natura, malinconia e ironia: indicatelo... Magari avete scritto voi stesse e voi stessi un brano poetico, anche molto semplice, con queste caratteristiche che desiderate far leggere: trascrivetelo...
Naturalmente in biblioteca trovate la raccolta Elegie romane di Geothe nella traduzione di Luigi Pirandello [Arbor Sapientiae Editore]... La poesia è patrimonio di ogni persona…
Nel marzo 1790 la duchessa Anna Amalia desidera anch’essa fare un viaggio in Italia soprattutto per visitare Venezia, Firenze e Roma, e prega Goethe di unirsi a lei e ai suoi accompagnatori. Goethe non può rifiutare [lui vorrebbe restarsene a casa con Christiane] e non è affatto entusiasta di viaggiare come lo era stato quattro anni prima: si dimostra scorbutico e scocciato e senza alcuna attrazione verso l’Italia, e questo suo atteggiamento lo mette per iscritto, e da questo viaggio forzato, che dura quattro mesi dal marzo al giugno 1790, nascono gli Epigrammi veneziani, un’opera poetica dettata dal malumore. Goethe è infastidito dal carattere degli Italiani, dalla pompa della Chiesa cattolica, dal bigottismo del popolo, dall’arretratezza del Sud, dagli italici governanti: tutte cose che aveva esaltato come positive quattro anni prima; è comunque doveroso tener conto del fatto che Goethe cerca e trova sempre l’occasione per rifarsi ai Classici e, in questo caso, assume a modello il poeta latino Marziale [e abbiamo studiato a suo tempo gli Epigrammi di Marziale e il suo stile irriverente e provocatorio].
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca potete richiedere - per leggerne qualche pagina - il volume di una delle tante edizioni di Epigrammi veneziani di Goethe... Incuriositevi...
Leggiamo il testo del IV Epigramma in cui per Goethe in Italia - anche se il Paese è sempre bello - tutto va male, e solo di una persona sente la nostalgia: ascoltate.
Johann Wolfgang Goethe, Epigrammi veneziani IV
Questa è ancor l’Italia? Tutte polverose le vie; pur sempre spennato lo straniero.
Cerco invano lealtà per ogni dove; qui c’è vita e animazione, ma ordine non c’è
né disciplina; ciascuno pensa solo a sé stesso, e d’altrui diffida;
e i governanti, anche loro, pensano a sé soli. Bello è il paese, ma Faustina, ahimè,
più non ritrovo, e in questa Roma affondo senza speranza nella nostalgia. …
Quindi, anche in Epigrammi veneziani emerge il personaggio di Faustina che, in questo caso, appare davvero come una figura simbolica in quanto Goethe ha certamente nostalgia di Christiane perché è lei la sua reale ispiratrice, e lo si può capire leggendo il testo della Prefazione di Epigrammi veneziani dalla quale si traggono alcune affermazioni o confessioni significative in tal senso.
Johann Wolfgang Goethe, Epigrammi veneziani [dalla Prefazione]
Confesso che è sulla morbida e calda e liscia e carezzevole schiena di Christiane che ho scandito gli esametri delle Elegie e di questi Epigrammi. Confesso di aver disposto i versi contemplando i corti riccioli di Christiane che s’inanellano intorno al collo grazioso, alla testa dormente che riposa, piegata in sonno, sul suo braccio. [Nota. In questa posa particolare - lei che dorme appoggiata sul braccio - Goethe ha riprodotto Christiane in un noto disegno, quello che gli è riuscito meglio, cerca in rete “christiane vulpius immagini”]. L’ispirazione poetica viene spesso dall’amore quando ha le stesse caratteristiche che vengono assegnate al popolo, come quello di Christiane: un amore spontaneo, immediato, semplice, sensuale, sano, quasi fuori del bene e del male, orfico, dionisiaco, e tutto natura ma anche già casalingo e coniugale, anzi coniugato; un amore che, per quanto ex lege [fuori dalla legge] è già in certo modo, sotto un tetto, pacifico e sicuro, comodo e pratico, pronto e caldo a tutte le ore. …
Quindi, in Elegie romane e in Epigrammi veneziani si cita Faustina ma Goethe in realtà parla di Christiane, e senza il viaggio in l’Italia non ci sarebbe neppure la poesia delle Elegie e degli Epigrammi e, probabilmente, nella vita di Goethe non ci sarebbe stata neppure Christiane, né per altro verso Torquato Tasso [Torquato Tasso?].
Nel 1790 Goethe, come sembra, a Firenze [«sotto le dolci ombre delle Cascine»] termina di scrivere il testo del dramma psicologico in cinque atti dedicato a Torquato Tasso [1544-1595] la cui trama è molto semplice e s’incentra sull’amore tra Torquato e la principessa d’Este Eleonora, sorella del duca Alfonso che disapprova la relazione tra i due e fa arrestare il poeta.
Durante il suo primo viaggio, Goethe a Ferrara aveva studiato la vita e le opere di Tasso leggendo un Libro appassionante intitolato La vita di Torquato Tasso scritto dall’abate Pierantonio Serassi contenente in Appendice le Lettere dal manicomio scritte dal poeta. E anche noi come Goethe ci avvaliamo ora di quest’opera.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il filologo e letterato, specializzato in biografie, abate Pierantonio Serassi [nato a Bergamo nel 1721 e morto a Roma nel 1791] è un personaggio che merita di essere conosciuto utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete... Incuriositevi...
Goethe, leggendo La vita di Torquato Tasso di Pierantonio Serassi, rimane impressionato dalle idee morali ed estetiche di Tasso e dal racconto della sua vita, soprattutto dal dramma della sua detenzione in manicomio: scopre aspetti che non conosceva e rimane turbato da ciò che subisce questo personaggio che viene universalmente riconosciuto come uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, e Goethe capisce che la poesia di Tasso, sulla scia di quella del Petrarca, costituisce il modello formale e contenutistico per chi voglia comporre in versi in senso moderno.
Goethe prende coscienza del fatto che, in età moderna in Europa, è stato Tasso a creare la miscela poetica romantica data dalla amalgama del tema erotico, con quello naturale, malinconico e ironico e per questo Goethe decide di comporre il testo di una tragedia per rendere omaggio e giustizia a Tasso che è, di per sé, un grande personaggio tragico romantico e diventa il precursore per eccellenza del Romanticismo titanico [che affonda le sue radici nel territorio del Rinascimento, e Goethe non usa l’espressione “romantico” ma utilizza il termine “neoclassico” coniato da Wieland].
Goethe rimane soprattutto impressionato dalla detenzione di Tasso in manicomio, nell’Ospedale di S. Anna e, in Viaggio in Italia in data 16 ottobre 1786 da Ferrara, scrive: «Qui ha dimorato Tasso infelice, e noi crediamo edificarci visitando, come pellegrini, questo luogo.». Il caso di Tasso è per Goethe di interesse particolare perché scopre che Tasso, in manicomio, scrive anche per analizzare, con estrema lucidità, la sofferenza psichica che lo attanaglia e, quindi, succede che, proprio attraverso la scrittura, poco per volta, riemerge dall’abisso nel quale è precipitato.
Perché Torquato Tasso, al vertice della sua fama, è stato imprigionato nell’Ospedale psichiatrico di Sant’Anna? Che cosa scopre Goethe? Ciò che scopre serve anche a noi per riflettere.
Goethe scopre che Tasso certamente soffriva da tempo di una accentuata fragilità nervosa e di cadute depressive, ma la durezza del regime carcerario cui viene sottoposto [e Goethe non si raccapezza] è sproporzionata alla gravità delle sue condizioni psichiche, e questo fatto rimane oggetto di discussione ancora oggi. Tasso viene segregato in manicomio dal duca Alfonso II d’Este alla cui corte ferrarese aveva vissuto dal 1572 al 1577, tra onori e riconoscimenti, durante il periodo più felice e appagato della sua vita, anche se una certa forma fobico-ossessiva lo opprimeva, spingendolo tra l’altro a dubitare morbosamente della perfetta integrità morale e religiosa del testo della Gerusalemme Liberata.
Eravamo in tempo di Controriforma e la censura ecclesiastica era piuttosto soffocante e, per Tasso, la preoccupazione di risultare ortodosso nei confronti della dottrina della Chiesa cattolica lo esasperava: temeva di essere sanzionato dal tribunale dell’Inquisizione. Nel giugno del 1577 il suo delicato equilibrio mentale mostra un vistoso cedimento quando, ossessionato dall’idea di essere controllato e spiato, aggredisce un maggiordomo con un coltello ma non lo colpisce, lo minaccia solo verbalmente; però il duca Alfonso [era lui che giudicava] ne dispone la reclusione immediata [per motivi precauzionali, disse] in una stanza del castello estense dalla quale Tasso riesce dopo pochi giorni a fuggire travestito dando inizio a un inquieto vagabondaggio che lo porta in diverse città italiane. Ma due anni dopo, nel 1579, non riesce a vincere il desiderio di tornare a Ferrara nella speranza di riottenere alla corte estense il favore di cui aveva goduto, ma si trova a fronteggiare una realtà ben diversa.
Un celebre avvenimento della vita di Tasso, avvolto in un alone di mistero, riguarda il presunto rapporto [amoroso e corrisposto?] tra Torquato ed Eleonora d’Este [1537-1581], la sorella del duca, il quale ha altri progetti su di lei [difatti utilizza il matrimonio della sorella per stipulare un’alleanza politica e militare]. Questa storia, avvolta nel mistero, appassiona particolarmente Goethe e la sua tragedia s’incentra proprio su questo avvenimento.
Se Tasso torna a Ferrara per rivedere Eleonora ha scelto il momento sbagliato, intanto il duca Alfonso, dopo la fuga del poeta, è diffidente e maldisposto nei suoi confronti e tra l’altro sono i giorni della celebrazione delle sue terze nozze con Margherita Gonzaga e, quindi, nel fervore dei preparativi Tasso riceve da Alfonso una fredda accoglienza e ciò fa vacillare la sua stabilità nervosa: si sente umiliato dall’indifferenza del duca e viene colto da un attacco collerico e, proprio durante la cerimonia delle nozze, grida, in chiesa, alcune frasi ingiuriose e questo fatto scatena l’ira di Alfonso II che lo fa arrestare e rinchiudere nel manicomio di Sant’Anna, una punizione, ancora una volta, sproporzionata anche perché Tasso viene recluso nel reparto riservato ai pazzi furiosi. Per le prime settimane viene tenuto persino in catene, quindi, a colui che, in questo momento, è considerato il più celebre poeta europeo viene riservato il peggior trattamento manicomiale, una condizione che subisce per diversi anni. Il caso è così singolare e ingiustificato da sollevare l’indignazione di molti ambienti politici e culturali italiani ed europei: anche Montaigne [se ben ricordate] nel suo viaggio in Italia va a trovare Tasso nel 1580 ricevendone una terribile impressione.Tutto questo ha spinto la corte estense a far circolare una versione falsa degli avvenimenti e, per ordine del duca, è stata fatta trapelare la notizia che Tasso era afflitto da una forma gravissima di pazzia, pericolosa per sé e per gli altri, e che, in considerazione di questo, era rinchiuso per il suo bene all’Ospedale di Sant’Anna. La versione data dalla propaganda estense, sebbene falsa, riscuote un certo credito ma la realtà è ben diversa ed era già documentata al tempo del viaggio in Italia di Goethe, e Goethe rimane sconcertato e il suo sconcerto nel conoscere queste cose stimola la sua vena di autore tragico.
La reclusione di Tasso, soprattutto nel primo periodo, non ha avuto nessuna finalità curativa e non ha giovato al suo bene: lui non era pazzo, e tanto meno pazzo furioso, soffriva di un umore malinconico, incline alla depressione, con qualche fobia e con sporadici attacchi d’ira durante i quali urlava minacce e invettive ma è documentato che non ha mai fatto male ad alcuno e, quindi, non era pericoloso né per sé né per altri e, soprattutto, era perfettamente in grado di ragionare; l’intelligenza, la sapienza e la capacità artistica di Tasso non erano minimamente compromessi e la persona rinchiusa a Sant’Anna era quindi in possesso di tutte le sue facoltà mentali, ed era in grado di svolgere la sua attività poetica. A Tasso è stato riservato il trattamento che all’epoca si usava per i pazzi furiosi: è stato per almeno tre anni in una cella immonda, in condizioni igieniche spaventose, con scarsità di cibo e di acqua, privo di ogni comodità, senza quasi alcun contatto con l’esterno e questa era la prassi comune dell’epoca, durata fino a tempi recenti, una prassi non curativa, non preventiva non profilattica ma solo reclusiva, non ospedaliera ma carceraria. Le condizioni dell’internamento erano tali che non avevano alcun intento terapeutico ma innescavano un circolo vizioso per cui la malattia mentale si alimentava e diventava cronica, e questo accade anche a Tasso che, rinchiuso in cella quando ancora disponeva di tutte le sue facoltà, dopo qualche mese ha iniziato a manifestare i primi segni di pazzia reale: le condizioni inumane, le terribili suggestioni del luogo, le grida degli altri pazzi che riecheggiavano giorno e notte nei corridoi, l’insonnia e l’isolamento strettissimo hanno prostrato la sua mente fin quasi alla follia: questo paradosso è storicamente accertato [Goethe ne prende atto e vuole reagire], e si poteva entrare in manicomio sani di mente e se ne usciva [e in genere non se ne usciva più] completamente pazzi.
Ma in cella Tasso chiede di poter scrivere e questa è stata la sua salvezza [e prendere l’abitudine a scrivere, almeno per dieci minuti al giorno, è utile per tanti motivi: non si sa mai! Permettetemi questo paradosso, ma la pensa così anche Goethe]. Tasso scrive poesie e pagine di prosa, e poi scrive numerosissime Lettere in cui, in genere, chiede aiuto a personaggi influenti, mendicando la libertà e piccoli favori oppure tenta di riallacciare discussioni e scambi culturali; queste Lettere sono state per molto tempo l’unico collegamento di Tasso col mondo esterno e questo esercizio epistolare gli è servito per mantenere e per potenziare l’equilibrio della sua mente. Goethe, come noi, acquisisce tutte queste informazioni leggendo La vita di Torquato Tasso dell’abate Pierantonio Serassi.
Nelle prime Lettere Tasso descrive, con perfetta lucidità mentale, il suo stato miserevole, soffermandosi sulle condizioni igieniche, sulla scarsezza del cibo e dell’acqua e sul suo costante deperimento fisico, e queste Lettere sono la testimonianza inequivocabile tanto della sua perfetta integrità psichica quanto della sua fierezza di filosofo e di scrittore. Egli spera di poter dimostrare la sua sanità attraverso le Opere di poesia che sta scrivendo perché l’arte poetica è per lui il segno qualificante dell’intelligenza e il mezzo salvifico con cui recuperare la sua dignità compromessa.
Le Lettere dal manicomio di Torquato Tasso sono da considerarsi un capolavoro [Goethe le legge e prende atto di questo] perché il poeta è stato capace, con straordinaria lucidità e precisione mentale, a descrivere le sue allucinazioni, le sue farneticazioni, i suoi incubi e le sue fantasie e a rievocare la sua ossessione di essere avvelenato e derubato durante le visite notturne di un folletto; nei testi delle sue Lettere parla di fantasmi, di incubi, di malìe, di incantesimi e la moderna medicina, al riguardo, ha parlato di “allucinosi” ovvero di uno stato di insistente allucinazione in cui però il paziente mantiene la lucidità di coscienza e la dolorosa consapevolezza della propria condizione e denuncia con metafore [finte allucinazioni] ciò che succede in manicomio [“il folletto” è un carceriere che ruba].
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca potete richiedere Lettere dal manicomio di Torquato Tasso e potete leggerne il testo di qualcuna... Incuriositevi...
Leggiamo tre brani tratte dalle Lettere dal manicomio di Torquato Tasso che Goethe ha sottolineato per evidenziare la lucidità di Tasso.
Torquato Tasso, Lettere dal manicomio
Di Sant'Anna, li 9 di dicembre del 1585.
A Scipione Gonzaga. Roma
Mandai a Vostra Signoria illustrissima, queste settimane passate, cinquanta scudi d’oro e moneta, perché io non li posso tenere; e credo che il signor Luca Scalabrino, al quale io li diedi, li manderà a buon recapito. Non dico altro se non che in questa camera c’è un folletto che apre le casse e toglie i denari, benché non in gran quantità, ma non così piccola che non possa scomodare un povero come son io. Se Vostra Signoria vuol farmi la grazia di serbarmeli, me ne dia avviso. Le bacio le mani.
Di Ferrara, 25 dicembre 1585.
A Maurizio Cattaneo, Rom
...Del folletto voglio scrivere alcuna cosa ancora. Il ladroncello mi ha rubati molti scudi di moneta; né so quanti siano, perché non ne tengo il conto come gli avari; ma forse arrivano a venti: mi mette tutti i libri sottosopra; apre le casse; ruba le chiavi, che io non me ne posso guardare. Sono infelice d'ogni tempo, ma più la notte; né so se il mio male sia di frenesia o d'altro: digiuno spesso; e spesso, senza digiuno fatto per devozione, digiuno perché sento lo stomaco pieno e quelle volte non dormo. Abbiatemo compassione, e sappiate che io sono misero perché il mondo è ingusto
Di Ferrara, 30 dicembre 1585.
A Maurizio Cataneo. Roma
…Vi sono molti spaventi notturni, perché, essendo io desto, mi è parso di vedere alcune fiammette nell’aria, ed alcuna volta gli occhi mi sono scintillati in modo che io ho temuto di perdere la vista, e me ne sono uscite faville visibilmente. Ho veduto ancora nel mezzo lo sparviero e le ombre dei topi, che per ragione naturale non potevano farsi in quel luogo; ho udito strepiti spaventosi, e ho sentito fischi, tintinnii, campanelle, e rumore come d’orologi a corda; e spesso è battuta un’ora. …
Goethe legge i testi delle Lettere dal manicomio di Torquato Tasso [riportate in Appendice nella biografia dell’abate Serassi] ed è colpito dalla capacità che ha il poeta, sebbene malato turbato e angosciato, di analizzare la propria malattia, il proprio turbamento, la propria angoscia, i propri sentimenti, e nella Prefazione alla tragedia intitolata Torquato Tasso, Goethe scrive un’apologia della persona che scrive poesie [perché la poetica amorosa (romantica, neoclassica come direbbe Goethe) è pericolosa per i potenti?].
Johann Wolfgang Goethe, Torquato Tasso [dalla Prefazione]
Destano compassione le Lettere scritte dal grande poeta dall’Ospedale di S. Anna, perché si vede in esse una persona in preda a un malinconico umore, ma pure con ancor tanto senno per cui conosce troppo bene l’infelice suo stato. Le Lettere scritte da Tasso dal manicomio formano il testo di un vero e proprio romanzo sentimentale [romantico]. Nella compresenza di follia e lucidità si intravede una continua tensione sentimentale: è la battaglia dell’intelligenza per non soccombere all’influsso maligno del luogo, la battaglia del poeta offeso che ricorre a ogni vigore intellettuale per il recupero della propria dignità. Per il poeta lo scrivere è il modo per esorcizzare le tenebre circostanti, è un atto riabilitativo; nella alienazione della cella manicomiale che riduce il recluso a uno stato poco più che animale, la scrittura è l’affermazione e la dimostrazione che, quel ritenuto pazzo, è un essere umano e, infine, il processo di decadenza psichica del poeta si arresta e regredisce, e le sue condizioni migliorano. Se al momento della reclusione il poeta non era pazzo, e se le notizie sulla sua pazzia furiosa sono state create e alimentate ad arte dalla corte estense come cinica giustificazione per poterlo carcerare, ebbene, a che cosa deve il poeta sette anni di orribile trattamento? E se i suoi comportamenti imprevedibili non erano realmente pericolosi è mai possibile che sia stato recluso per il rancore vendicativo di un duca borioso e crudele perché sua sorella si era innamorata di un poeta? È tanta la paura che riesce a ispirare un poeta ai potenti con i suoi versi d’amore? …
A Torquato Tasso, dopo circa tre anni di carcere nel reparto dei forsennati, viene concessa una sistemazione più umana nell’Ospedale di S. Anna e nel 1586, dopo sette anni, viene dimesso per essere accolto dal principe Vincenzo Gonzaga di Mantova; naturalmente è un uomo stanco e prostrato, compromesso nel fisico e precocemente invecchiato che non trova pace da nessuna parte: né a Sorrento dove è nato, né a Napoli né a Firenze né a Roma dove muore il 25 aprile 1595.
Il dramma di Goethe intitolato Torquato Tasso ha un’azione scenica molto ridotta perché Goethe, utilizzando la figura di Tasso, vuole sviluppare un tema di carattere filosofico e, quindi, non cerca la spettacolarità teatrale ma vuole proporre una riflessione: di conseguenza questo dramma è stato accolto con molta freddezza dal pubblico quando è stato rappresentato al teatro di Weimar nel 1790. L’intreccio narrativo ruota attorno al rapporto tra Torquato ed Eleonora: Torquato s’innamora di Eleonora d’Este, la sorella del duca Alfonso II, e a lui Eleonora piace non per il ruolo e la posizione sociale che ha ma l’ama come persona per la sua intelligenza e la sua bontà d’animo, ma alla corte ferrarese si pensa che il sentimento di Torquato sia animato da una convenienza: Eleonora è la sorella del duca ed è, quindi, un buon partito.
Naturalmente il testo di Goethe lascia trasparire anche un motivo autobiografico: c’è una risposta di Goethe all’opinione pubblica di Weimar che critica la sua relazione con Christiane Vulpius.
L’altro personaggio-chiave del dramma è l’antagonista di Torquato: Antonio di Montecatino, il segretario di Stato estense che ha ben difeso gli interessi politici, economici e diplomatici del duca Alfonso e rappresenta il realismo dell’uomo di corte. Antonio di Montecatino richiama un personaggio reale, un uomo di Stato della corte estense, poeta, intellettuale e diplomatico, Battista Guarini: il personaggio di Antonio non rappresenta un nemico di Torquato, così come non lo era stato il Guarini, ma i due sono solo antagonisti nelle idee e nel dibattito culturale. Antonio ridicolizza l’idealismo di Torquato portando il suo animo, già turbato, all’irrequietezza.
E, quindi, Goethe mette in scena lo scontro tra l’idealismo che aspira al piacere della bellezza e il realismo che cerca la convenienza materiale. Questo dibattito intellettuale e filosofico sulla bellezza [sull’estetica] è, come sappiamo, in corso anche perché a Weimar è arrivato Friedrich Schiller, reduce da un grande successo teatrale, e Goethe non vorrebbe essere da meno e, di conseguenza, trova opportuno porre, attraverso la figura di Torquato Tasso, gli interrogativi intorno ai quali si sta sviluppando la cosiddetta “questione estetica”: è lecito ciò che piace oppure è lecito ciò che conviene, e un’opera ha valore quando crea piacere o perché crea reddito, e perché le due cose non possono stare insieme?
Ma il richiamo a questa riflessione lascia freddo il pubblico di Weimar e Goethe è come se l’avesse previsto, e il finale del dramma Torquato Tasso è particolarmente significativo: il poeta dichiara la sua sconfitta perché in questo mondo non c’è posto per l’ idealismo [per la sincerità, la schiettezza, la purezza, l’autenticità] e conclude facendo un’affermazione di carattere tragico che rende titanico come Prometeo lo sconfitto; Goethe affida a Torquato, in quanto artefice della poetica del Romanticismo, un messaggio contenuto nell’ultimo verso del suo dramma: «Se l’essere umano ammutolisce nel dolore, a me concesse un dio di dire come soffro!».
Ebbene, Goethe afferma che nei momenti più drammatici solo la persona che scrive poesia, assumendo il ruolo di Dioniso e di Orfeo, è capace di parlare, e di far emergere, attraverso la sua voce e per mezzo della sua penna, la realtà; nei momenti drammatici solo la persona che scrive poesia sa rappresentare la realtà effettiva perché la poesia diventa, ed è, uno straordinario strumento di conoscenza.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In rete trovate il testo della tragedia Torquato Tasso di Goethe e potete leggerne qualche passo, incuriositevi...
Richiedete in biblioteca [se non è già nella vostra biblioteca domestica] il romanzo Ultime Lettere di Jacopo Ortis” scritto nel 1802 da Ugo Foscolo: se leggete l’incipit [le prime venti righe] capite come lo scrittore abbia interpretato l’affermazione finale contenuta nell’ultimo verso del dramma Torquato Tasso di Goethe: «Se l’essere umano ammutolisce nel dolore, a me concesse un dio di dire come soffro!»… Esercitatevi nella prassi di comparazione...
E ora per concludere leggiamo una composizione tratta dalle Rime d’amore di Torquato Tasso: sono circa duemila i brani poetici che Torquato Tasso ha scritto nell’arco di tutta la sua travagliata vita, e solo nella poesia, come lui dice, ha trovato consolazione. Allora diamo voce al poeta anche per avvalorare la tesi sostenuta da Goethe e da Schiller che, in età moderna in Europa, è stato Torquato Tasso a creare la miscela poetica romantica data dalla amalgama del tema erotico, con quello naturale, insieme a quello malinconico e ironico per cui Torquato Tasso diventa il precursore per eccellenza del Romanticismo titanico [e noi che parliamo in italiano dovremmo essere fiere e fieri].
Torquato Tasso, Rime d’amore
Qual rugiada o qual pianto;
quali lagrime eran quelle che sparger vidi dal notturno manto [dal cielo]
e dal candido volto de le stelle?
[che appare come un manto notturno sopra la terra]
E perché seminò la bianca luna di cristalline stelle un puro nembo
a l’erba fresca in grembo?
[gocce di rugiada sparse come una pioggia sull’erba fresca]
Perché nell’aria bruna s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir [passare] l’aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita [partenza], vita de la mia vita?
Nell’aria i vaghi spirti, han l’onde in mar quïete,
ogni fiume è più tacito di Lete [il mitico fiume dell’oblio];
profonda valle, alto monte o verde selva non ode augello o belva;
sol io con vaghi accenti spargo il mio duolo [dolore] al cielo, all’onde, ai venti.
Tacciono i boschi e i fiumi, e il mar tranquillo giace,
e negli anfratti i venti han tregua e pace,
e ne la notte bruna alto silenzio fa la bianca luna:
e noi teniamo ascose le dolcezze amorose:
amor non parli, amore non respiri; sìan muti i baci e muti i miei sospiri. …
Torquato Tasso non è mai stato pazzo, tanto meno “pazzo furioso”, bensì è un grande poeta, e come sostengono Goethe e Schiller, il più grande poeta “romantico” insieme a Petrarca di tutti i tempi.
E, come abbiamo detto, anche Schiller, che stringe amicizia con Goethe, inizia a frequentare Weimar portandosi dietro la fama e il successo ottenuto, nel 1782, con la prima opera teatrale che ha scritto e pubblicato e lo incontreremo presto.
Nel prossimo itinerario avremo ancora a che fare con Goethe il quale capisce che la tragedia non è forse il genere letterario migliore per veicolare delle idee sulla poesia, sull’arte, sull’estetica e sull’etica [a teatro vanno gli aristocratici e gli alto borghesi che sono benpensanti e non amano si ragioni sulla stupidità umana ma vogliono che il popolo rimanga nell’ignoranza] e allora Goethe decide di scrivere utilizzando generi più accattivanti e più accessibili alle classi popolari, e quali conseguenze ha questa scelta di Goethe sul piano letterario?
Per rispondere a questa e a molte altre domande dobbiamo procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, per questo la Scuola è qui, e il viaggio continua…