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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI KANT PRESENTA “LA CRITICA DELLA RAGION PURA” …

Lezione N.: 
11

ASSOCIAZIONE ARTICOLO  34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

Un secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi

3-4-5 e 12 aprile 2024     

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI

KANT PRESENTA “LA CRITICA DELLA RAGION PURA” …

     Questo è l’undicesimo itinerario del nostro secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi [ed è il primo itinerario della stagione primaverile] e, come sapete, ci troviamo sempre a Königsberg in compagnia di Immanuel Kant, il quale, come abbiamo studiato nel corso dei quattro itinerari precedenti, si è impegnato per affrontare un tema di importanza fondamentale: come può la persona acquisire una conoscenza non fondata sui dogmi [del razionalismo, dell’empirismo, della metafisica] ma valida all’interno dei confini della ragione? E allora, afferma Kant, diventa necessario studiare la ragione stessa, la ragione “pura”, per capire quali sono le sue caratteristiche e le sue possibilità in funzione dell’acquisizione del sapere.

     Nel settembre 1771 Kant, con una Lettera, informa il suo collega Johann Heinrich Lambert [1728-1777, professore di matematica all’Università di Lipsia], che si sta dedicando a scrivere un trattato per chiarire quali sono i limiti e le possibilità della ragione, e lo informa che lo farà pubblicare, con il titolo di Critica della ragion pura, entro circa tre mesi; dunque, entro il dicembre del 1771 quest’opera, secondo le intenzioni di Kant, avrebbe dovuto essere pronta, ma quei tre mesi sono durati circa nove anni: infatti, la Critica della ragion pura è stata stampata nel 1781 presso l’editore Hartknock di Riga. Quindi, la Critica della ragion pura viene stampata in una città che si trova sulla riva nord-orientale del Mar Baltico [e con un Atlante geografico potete visualizzare la sua posizione]. Riga è, nella seconda metà del ‘700, un centro editoriale molto importante: perché, ci dobbiamo domandare, in questa città prospera una fiorente industria editoriale? Perché, prima di tutto, c’è la materia prima: la carta, l’inchiostro, il pellame e, naturalmente, il prodotto intellettuale, la scrittura.

     Oggi Riga, la capitale della Repubblica baltica di Lettonia [che è indipendente dal 1991 e faceva parte dell’Unione Sovietica con le altre due repubbliche baltiche: l’Estonia e la Lituania], è una città di circa 670 mila abitanti e vanta un porto importante sulla costa baltica nord-orientale, e geograficamente si trova al centro del golfo omonimo, il golfo di Riga, dove sfocia anche il fiume Dvina che attraversa la città. Riga è sempre stata un’importante città commerciale che ha fatto parte, dal 1282, della Lega Anseatica, una delle più grandi e potenti organizzazioni del capitalismo mercantile dell’età medioevale. La ricchezza di questa città è derivata sempre dal commercio di molti prodotti [alimentari, cantieristici, tessili] ma soprattutto dal commercio del legname e, quindi, della cellulosa e della carta: ecco perché in questa città è prosperata una fiorente industria editoriale, e molti Libri importanti che hanno caratterizzato la Storia del Pensiero Umano del XVIII secolo sono stati stampati proprio a Riga. Nel Cinquecento, precisamente dopo l’affissione delle 95 Tesi di Lutero sul portone del Duomo di Wittemberg il 31 ottobre 1517, molti abitanti di Riga aderiscono alla Riforma luterana. Nel 1561 Riga entra a far parte del regno di Polonia, e nel 1621 viene conquistata dagli Svedesi ed entra a far parte del regno di Svezia, e poi dal 1721, con il Trattato di Nystad, passa sotto il controllo dell’Impero russo, ed è una città russa, quando, nel 1781, viene stampata la Critica della ragion pura. Quindi questa città conserva i segni di molte culture: quella tedesca, quella polacca, quella svedese, quella russa, molte culture che danno a Riga un fascino particolare [che ci deve incuriosire]. Riga mostra monumenti appartenenti a vari periodi: al periodo medioevale come la Cattedrale romanica di San Pietro [del Duecento] e il Castello in stile teutonico [del Trecento],  all’Età barocca come la Casa delle Teste nere [un edificio del Trecento in stile gotico baltico poi restaurato in stravagante stile barocco, e ricostruito dopo la seconda guerra mondiale] e appartenenti all’Età moderna come la Chiesa neoclassica di San Pietro e Paolo [del Settecento], e come la Casa del gatto e la Sinagoga Peitav [due edifici del Novecento in stile Art Nouveau].

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Andate a osservare in primo luogo la posizione di Riga sull’Atlante geografico in modo da metterla in relazione con Königsberg [con Kaliningrad], e poi navigando in rete potete completare la vostra escursione visitando i monumenti di questa città, incuriositevi …

     E allora  torniamo all’evento editoriale di cui ci stiamo occupando.

     Il 1° maggio 1781 l’editore Johann Friedrich Hartknock di Riga consegna a Kant la prima copia della prima edizione della Critica della ragion pura: si tratta di  un volume piuttosto pesante di 856 pagine più 24 di prefazione. Kant naturalmente è molto soddisfatto ed è convinto di aver aperto un nuovo sentiero sul territorio della Storia del Pensiero Umano, e pensa che questa sua opera avrà successo, che sarà studiata e discussa con interesse negli ambienti culturali europei. Ma le cose non sono andate così, ed è lo stesso editore Hartknock, che di Libri se ne intende, a metterlo sull’avviso: con molto tatto, dice a Kant quello che pensa: «Senta Professore, mi sembra di capire, sebbene io non sia propriamente un esperto in materia, che quest’Opera è certamente molto importante per la Storia della Filosofia, ma io mi sento in dovere di essere sincero con lei: quest’opera ha una mole che scoraggia il lettore, andrebbe ridimensionata e, mi permetta di dire che, a volte, il linguaggio che Lei usa non è molto comprensibile. Lei scrive delle cose difficili e, per giunta, con un periodare così pesante che, forse, certe parti andrebbero riscritte. Capisco che il suo pensiero produce un lavorio continuo dell’intelletto ma sinceramente temo che quest’Opera, piuttosto che far chiarezza sulle possibilità della ragione, moltiplicherà i punti oscuri sulle possibilità della ragione stessa». Kant posa il volume, diventato pesante, si siede, e cerca di superare l’imbarazzo, ma ha capito che l’editore gli sta consigliando di riscrivere quest’opera. Kant ci rimane male ma, tornato a casa, deve constatare che l’esperto editore Hartknock aveva ragione a far la critica della Critica della ragion pura.

     Tutto quello che Kant aveva scritto fino a questo momento - i suoi Saggi della fase naturalista e metafisica [di cui abbiamo parlato] in cui Kant delinea la sua teoria sulla conoscenza - erano stati letti con attenzione e presi in considerazione con interesse dal mondo della cultura, anche se erano stati in molti - tutti i razionalisti e tutti gli empiristi - a dissentire riguardo al suo pensiero. Ma questa volta tutto l’ambiente filosofico accoglie con assoluta disattenzione la Critica della ragion pura e quei pochi che l’hanno letta dichiarano di averci capito ben poco. Di fronte a questa situazione Kant non si scoraggia e si rimette pazientemente al lavoro e, in due anni, nel 1783, prepara e fa stampare un saggio scritto in modo più snello e in forma più chiara nel quale espone i concetti fondamentali contenuti nel testo della Critica della ragion pura: a questo trattato dà il titolo di Prolegomeni a ogni metafisica futura che voglia presentarsi come scienza [in greco “Prolegomena” letteralmente significa “cose dette avanti”, quindi, “Introduzione”] in cui, ancora una volta, Kant dimostra come non sia possibile per la ragione umana addentrarsi nel campo della metafisica in modo attendibile perché la ragione umana può agire solo nell’ambito dei suoi limiti che vanno ben definiti mediante lo strumento conoscitivo del giudizio sintetico a-priori.

     Tre anni dopo, nel 1786, Kant fa stampare un altro saggio a cui dà il titolo di Principi metafisici della scienza della natura dove dimostra che la sua teoria della conoscenza, basata sulle forme a-priori della coscienza, può essere applicata perfettamente alla Fisica sperimentale di Newton perché il grande scienziato, scrive Kant, non aveva bisogno di rifarsi alla metafisica [all’esistenza di Dio creatore] per comprovare la validità della Legge di gravitazione universale ma ne ha dimostrato l’efficacia rimanendo nell’ambito della ragione formulando una serie di giudizi sintetici a-priori. L’anno successivo, nel 1787, Kant fa finalmente stampare la seconda edizione della Critica della ragion pura, il cui testo risulta rimaneggiato in più parti e arricchito di una Introduzione di fondamentale importanza per far capire il percorso del suo pensiero. L’editore Hartknock si compiace, è contento, e pratica a Kant anche un bello sconto in fattura e lui se ne torna a casa veramente soddisfatto visto che il suo reddito continua [e continuerà] a essere piuttosto modesto.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A volte è necessario rifare in parte, o tutto da capo, un lavoro o un compito assegnato perché il prodotto finale non è corrispondente alle aspettative, ebbene, in quale circostanza vi è capitato?… 

Scrivete quattro righe in proposito…

     Quali sono gli obiettivi che Kant vuole raggiungere scrivendo la Critica della ragion pura?

     Kant, componendo il testo della Critica della ragion pura, si propone di applicare il sistema della conoscenza, basato sul “giudizio sintetico a-priori”, al fenomeno della ragione umana: vuole “giudicare” [e giudicare è conoscere] quali sono le possibilità di successo della ragione “pura” quando, come facoltà umana a sé stante senza dipendere dall’esperienza, deve risolvere i problemi della conoscenza.

     Il testo della Critica della ragion pura, ci dobbiamo domandare per prima cosa, come è strutturato nel suo complesso? Il testo della Critica della ragion pura presenta [capitolo per capitolo, in 26 parti] i risultati di un’indagine [di uno studio] che Kant svolge da oltre vent’anni per accertarsi se la ragione “pura” [come facoltà umana a sé stante indipendente dall’esperienza] possieda i requisiti per poter constatare se due discipline importanti, come la matematica e la fisica, abbiano davvero la capacità [come sostiene Cartesio per la matematica e Newton per la fisica] di far conoscere la realtà alla persona in termini scientifici, e poi nel testo della Critica della ragion pura Kant raccoglie gli esiti della sua ricerca per verificare ancora una volta se ci sia almeno una qualche circostanza in cui la metafisica possa essere considerata una scienza soggetta alla ragione umana.

     E ora [in funzione della prassi di natura didattica che stiamo seguendo per avvicinarci al testo di quest’opera importante] diciamo subito una cosa: non è che le modifiche apportate da Kant al testo della seconda edizione della Critica della ragion pura ne abbiano attenuato la complessità, resta senza dubbio un’opera di difficile lettura alla quale proveremo ad avvicinarci. Intanto il testo di quest’opera contiene concetti che abbiamo già studiato [e che dobbiamo ripetere] perché Kant nella Critica della ragion pura sviluppa e mette in ordine idee e argomenti che ha già proposto nei testi dei suoi Saggi precedenti, che abbiamo incontrato e di cui abbiamo parlato. Inoltre Kant nella Critica della ragion pura inizia ad affrontare un tema [quello delle possibilità della ragione umana] che poi continua a sviluppare nei testi delle due Critiche successive [dei quali ci occuperemo nel corso dei prossimi itinerari]: la Critica della ragion pratica e la Critica del giudizio.

     C’è un filo conduttore, ci dobbiamo poi domandare, che taglia trasversalmente il testo, ampio e complesso, di quest’opera? C’è un concetto-cardine che funge da tema fondamentale per tenere unite tra loro tutte le riflessioni che Kant sviluppa per cercare di raggiungere l’obiettivo che si è proposto, quello di conoscere e di giudicare le potenzialità e i limiti della ragion “pura”?

     Ebbene, il concetto-chiave che esercita il ruolo di guida nel percorrere il testo della Critica della ragion pura lo conosciamo già [Kant lo ha già espresso nei suoi Saggi, e ora lo dobbiamo ripetere perché dobbiamo farne tesoro come persone che si dedicano allo studio in quanto valutare le possibilità e i limiti della ragione è un esercizio propedeutico per imparare a studiare e ad apprendere e questo, oggi, è l’obiettivo di fondo più importante riguardante la Critica della ragion pura in un mondo in cui il problema più grave da affrontare è quello della debolezza cognitiva delle persone]: il filo conduttore che taglia trasversalmente il testo della Critica della ragion pura consiste nell’idea che “il conoscere e il giudicare” sono due concetti che, nella logica dell’apprendimento, risultano essere strettamente collegati tra loro. Quando Kant usa il termine come sappiamo “giudicare” fa riferimento al significato del verbo greco “kritiké” che significa “formulare un giudizio” non in termini giudiziari [in tal caso si utilizza il verbo “krìno”] ma nella direzione di “opinare, di saper creare un’opinione [questo è il compito della “critica” secondo Kant]”. Kant - per specificare meglio il significato del concetto che esprime la parola “critica” [utilizzata come strumento metodologico] - mette in evidenza il fatto che accanto al verbo “kritiké” si trova sempre il termine “téchne” [l’arte] per cui la parola “critica”, come lui la intende [e come ci ha insegnato a intenderla in modo propositivo], indica “l’arte [téchne] di giudicare” che è strettamente connessa con le azioni di pensare, stimare, ritenere, supporre, reputare e, quindi, conoscere.

     Conoscere, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, equivale a “esprimere un giudizio” e giudicare [siamo sempre in grado di giudicare, siamo sicure e sicuri di non fare danni giudicando? Si domanda Kant], a sua volta, giudicare significa “dare valore morale alla conoscenza”: quindi, afferma Kant, tutte le volte che una persona ha a che fare con il fenomeno della conoscenza [in continuazione] si trova di fronte a “un giudizio da esprimere in chiave etica” e, di conseguenza, sostiene Kant, la persona deve prendere coscienza del fatto che l’atto della conoscenza è sempre vincolato a “un imperativo morale”. Questo vuol dire, scrive Kant, che «il problema della conoscenza e il tema morale sono strettamente legati»: questo concetto ha preso il nome di “presupposto etico kantiano”, un monito che nel corso della Storia dell’Umanità viene quasi sempre disatteso perché la conoscenza è nella maggior parte dei casi asservita a una tassativa ricerca del profitto. Kant, sulla scia di questo preambolo, nel testo della Critica della ragion pura scrive che l’atto della conoscenza, che la persona compie, dipende, come abbiamo studiato, da “le forme a-priori” che determinano il modo di essere della mente: la mente umana, scrive Kant, è conformata in modo da possedere determinate forme che fungono da contenitori, da recipienti ideali, nei quali i dati provenienti dall’esperienza sensibile vengono a disporsi, vengono raccolti e prendono una forma particolare, e diventano dei modi di essere - funzionano come fossero Leggi orientate al Bene - e danno un ordine ai dati sensibili e quest’ordine li rende comprensibili, li fa diventare conoscibili e, di conseguenza, valutabili sul piano etico. Quindi possiamo dire, scrive Kant nel testo della “Critica della ragion pura, che le forme a-priori, le forme che caratterizzano la mente umana, non sono come le idee innate [e al tempo di Kant la convinzione che la conoscenza dipendesse dalle idee innate andava per la maggiore tra gli studiosi]: cioè le forme a-priori, scrive Kant, non sono delle nozioni precostituite che si adeguano a un mondo già formato e, quindi, si rifanno a una realtà così com’è, immutabile. Le idee innate secondo Cartesio, che non voleva contraddire i principi della metafisica, sarebbero, afferma Kant, come dei fari che dal di dentro illuminano la realtà esterna facendocela conoscere alla persona, ma, ribadisce Kant nel testo della Critica della ragion pura, se  ogni dato sensibile fosse rappresentato da un’idea innata, da un faro, la persona avrebbe la mente talmente intasata che verrebbe a provocarsi una paralisi del pensiero: la persona avrebbe una mente strapiena, irrigidita, cristallizzata, e non “una mente ben fatta”, ben formata, un contenitore elastico, flessibile [scrive Kant, citando e dando un senso a questa affermazione contenuta nei Saggi di Montaigne del 1588].

     Quindi, afferma Kant, tanto le idee innate [messe da Dio nella testa della persona, come sostengono i razionalisti] quanto le idee indotte [formatesi attraverso l’esperienza, come dicono gli empiristi] non hanno ragione di essere e, di conseguenza, contrariamente a quello che si è pensato finora, non c’è un mondo già costruito [scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura], un mondo già fatto, una realtà già predisposta che corrisponde al pensiero e che la mente della persona deve solo scoprire. Le forme a-priori, al contrario delle idee innate, afferma Kant, non riflettono il mondo così come potrebbe fare uno specchio perché altrimenti fornirebbero alla mente umana soltanto un’immagine del mondo, cioè un simulacro della realtà, mentre quando la persona vede, per esempio, un Libro [questo Libro], se avesse nella mente l’idea innata di questo oggetto, che cosa succederebbe? Succederebbe, si domanda Kant nel testo della Critica della ragion pura, che la persona vede l’oggetto e, automaticamente, lo conoscerebbe? Ma gli oggetti, anche quando sono gli stessi non sono mai tutti uguali [perché i soggetti e gli oggetti da un giorno all’altro sono destinati a cambiare aspetto] e allora, per conoscere [si domanda Kant], la persona dovrebbe avere in mente le idee innate di tutti gli oggetti che ci sono al mondo, e anche di quelli che non sono stati ancora costruiti?

     Come può [si domanda Kant nel testo della Critica della ragion pura] la persona conoscere proprio questo oggetto, ora e qui? Il fatto è, afferma Kant, che non è la ragione umana che si regola sugli oggetti ma sono gli oggetti che si regolano sul modo in cui è fatta la ragione. Non è [ribadisce Kant nel testo della Critica della ragion pura] la ragione umana che dà forma all’oggetto ma è l’oggetto che entra nelle forme della ragione. Non è la mente umana che conosce l’oggetto [afferma Kant] perché non esistono le idee innate o le idee indotte nella mente della persona ma è l’oggetto, qualunque esso sia, che attraverso i sensi entra nelle forme della mente umana, a-priori [indipendentemente dall’esperienza], e le modifica mettendo in funzione il processo della conoscenza: quindi, la persona non conosce il mondo così com’è esternamente, ma è il mondo che viene interiorizzato e modellato dal pensiero umano che possiede le forme a-priori, universali e necessarie, utili per sintetizzare i dati che la persona raccoglie attraverso le sensazioni.

     La conoscenza, scrive Kant, avviene in virtù delle forme a-priori della mente umana e, dopo aver ribadito questo concetto, Kant, in proposito, lancia un monito [rafforza l’imperativo morale] sulla necessità che le persone debbano essere messe in grado di diventare consapevoli del funzionamento del modo in cui avviene la conoscenza nella mente umana: quindi, il compito del sistema educativo [che rende una collettività davvero solidale] è quello di insegnare alle persone a imparare a imparare [a rafforzare la capacità cognitiva] per evitare che nei loro confronti abbiano buon gioco quelli che Kant chiama gli illusionisti, i cultori dell’astuzia della ragione, i quali fanno credere al prossimo che esistano le idee innate che però non sono altro che pessimi modelli ideali che l’illusionista crea e che, con la sua tossica capacità ipnotica, sa inculcare nella mente della persona ignara in maniera da modificare le forme della sua coscienza creando la sudditanza di pensiero [il torpore critico].

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In relazione a questo monito lanciato da Kant [in funzione della didattica della lettura e della scrittura] è significativo leggere o rileggere l’interessante e celebre racconto o romanzo-breve di Thomas Mann intitolato  Mario e il mago, pubblicato nel 1930, e composto dallo scrittore tedesco dopo un soggiorno estivo con la famiglia sulla costa tirrenica a Forte dei Marmi, in un’Italia sommersa dall’ondata di propaganda condotta da “un illusionista” che riesce a incantare gli italiani inculcando nella loro mente tre idee che contrabbanda come innate: credere ubbidire combattere… Tre anni dopo anche ai tedeschi - i quali più degli italiani avrebbero dovuto conoscere l’ammonimento di Kant - è toccata la stessa sorte per opera di un altro “illusionista” … Il testo di Mario e il mago lo potete richiedere in biblioteca, ora non facciamo alcun accenno alla trama e tanto meno al finale, ma questo racconto è di stringente attualità, quindi, incuriositevi perché la curiosità stimola la mente a investire in intelligenza…

     Come, si domanda Kant, nella mente umana sono comparse le forme a-priori? Qual è l’origine delle forme-a priori che corredano la mente umana, si domanda Kant nel testo della Critica della ragion pura? L’essere umano, scrive Kant, è un prodotto dell’Universo, e tutti gli elementi dell’Universo hanno le loro forme e anche la mente umana possiede le proprie: come il sistema solare ha una sua conformazione che conosciamo attraverso le Leggi universali della Fisica, così la mente umana, la coscienza umana, il pensiero umano hanno le proprie forme a-priori che non dipendono dall’esperienza ma rendono possibile l’esperienza stessa: Kant, facendo tesoro della riflessione di Tommaso d’Aquino, come abbiamo studiato, le definisce “forme trascendentali” in quanto non hanno un carattere trascendente [non sono state create da Dio] ma sono frutto del naturale processo evolutivo. Kant ribadisce [nel testo della Critica della ragion pura] che le forme a-priori della mente non sussistono come strutture rigide ma sono contenitori flessibili che si adattano ai dati percepiti dai sensi, pertanto non possono rispecchiare un mondo già costruito ma, adattandosi e plasmando le esperienze sensibili, contribuiscono a costruire e a formare il mondo, dandogli ordine; quindi, ribadisce Kant, il mondo è frutto della cooperazione intellettuale tra le persone che, nel momento in cui s’impegnano nell’esercizio dell’apprendimento per conoscere il mondo, lo costruiscono.

     Kant nel testo della Critica della ragion pura porta la lettrice e il lettore a puntare l’attenzione su un argomento fondamentale: il tema della responsabilità della conoscenza. Ebbene, Kant chiama questa presa di coscienza “la rivoluzione copernicana” e questo fatto [che abbiamo già citato, come ricorderete] costituisce una chiave di volta nella Storia del Pensiero Umano: come Nicolò Copernico, rovesciando la concezione astronomica di Tolomeo, ha posto il Sole al centro del nostro sistema planetario al posto della Terra, così è necessario [scrive Kant] rovesciare le concezioni filosofiche precedenti sul tema della conoscenza per considerare la persona non più soggetto passivo e, al massimo, fedele osservatrice di un mondo già costruito, perché la persona - in virtù delle forme a-priori [di natura trascendentale] della propria mente - ha la possibilità di essere ordinatrice e ha l’opportunità di poter, anzi, di dover costruire il mondo: di conseguenza, sulla coscienza della persona pesa la responsabilità di essere protagonista della propria esperienza conoscitiva perché la Filosofia non serve, afferma Kant, per osservare come è fatto il mondo ma per cambiare il mondo in meglio. L’atto del conoscere, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, non è più da considerarsi solamente un fenomeno di natura scientifica ma è principalmente un evento di carattere morale e, quindi, «la persona [afferma Kant] si avvicina sempre di più all’essenza della propria umanità quanto più sente la responsabilità di conoscere. In quanto conoscere è giudicare e giudicare è mettere in ordine i dati sensibili perché l’ordinamento naturale e sociale si forma nel pensiero della persona e, il pensiero umano, mediante le forme a-priori, che sono Leggi universali, necessarie e indipendenti dall’esperienza, dopo aver sintetizzato i dati che riceve attraverso il sistema sensoriale, ha la facoltà e il dovere di costruire il mondo nel modo migliore possibile.».

     Il pensiero umano, scrive Kant, se vuole veramente conoscere a pieno la realtà non può limitarsi a guardare il mondo, a osservare le cose così come sembrano: certo, la mente umana deve anche saper svolgere l’analisi di una situazione, deve dedicarsi a fare ricerca, ad analizzare la realtà mettendo in atto un ragionamento analitico a-posteriori, di natura empirica, basato sull’esperienza soggettiva della persona e, quindi, ancora incompleto e poco consistente sotto il profilo conoscitivo.

     Ma il pensiero umano, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, è preordinato per conoscere in un modo più completo perché è in grado di dare forma alla realtà nel momento in cui la conosce, in quanto, mentre conosce, giudica e, mentre giudica, costruisce il mondo: questa operazione avviene, ribadisce Kant, perché la mente umana - oltre al ragionamento analitico a-posteriori, motivato dall’esperienza soggettiva - è predisposta per valersi del ragionamento sintetico a-priori che è universale e necessario.

     L’attività della ragione “pura” che porta la persona alla conoscenza più completa della realtà e del mondo, afferma Kant, non può che essere “sintetica a-priori” perché la sintesi è quel procedimento del pensiero che porta la persona a capire che l’esperienza in quanto tale non dà ancora una conoscenza completa perché per avere una conoscenza ben strutturata è necessario che l’esperienza venga messa in ordine dalle forme a-priori della mente umana.

     Kant, nei capitoli del testo della Critica della ragion pura, continua a riproporre questi concetti perché è consapevole del fatto che non sono di facile comprensione [gli accademici del suo tempo sono ancora abituati a ragionare in termini cartesiani attribuendo la conoscenza alle idee innate o in termini empirici attribuendo la conoscenza alle idee indotte dall’esperienza] per cui Kant, dopo aver ribadito, in teoria, la questione della conoscenza, ritiene doveroso esemplificarne i concetti [e probabilmente questo esercizio di esemplificazione - che risulta anch’esso piuttosto complesso - lo ha fatto in classe di fronte ai suoi studenti durante il corso di Logica, ma forse è più calzante oggi questa esemplificazione sul tema dell’acqua di quanto fosse all’epoca di Kant]: «Se ora, spiega Kant, sento il bisogno di lavarmi le mani, che faccio? Scendo in cortile e, per esperienza, tolgo il tappo della fontana e mi lavo secondo il bisogno senza domandarmi quanta acqua ci vuole, se cinque o sei litri. Ma, in fondo, che m’importa? Posso, forse, preoccuparmi del valore dell’acqua in relazione al bisogno che devo soddisfare? No, afferma Kant, io mi occupo dell’utilità dell’acqua e, se ragiono secondo la mia esperienza, in modo empirico, analitico a-posteriori, io so che tutte le volte che apro il tappo della fontana arriva l’acqua e, secondo la mia esperienza, arriva sempre. Ebbene, scrive Kant, se io ragiono in modo empirico, analitico a-posteriori, secondo la mia esperienza soggettiva, ne deduco che per me l’acqua è utile ma relativamente preziosa perché ne ho a volontà, ma il mio pensiero non si limita all’analisi di natura soggettiva perché, quando il concetto dell’acqua entra nelle forme della mia mente, diventa oggetto del giudizio sintetico a-priori perché conoscere è giudicare e il problema della conoscenza è direttamente collegato al tema morale. E ciò significa che quando io, senza farne esperienza, vengo a sapere che un alto numero di contadini prussiani non ha sufficiente accesso all’acqua [oggi Kant nel suo scritto avrebbe aggiunto: che milioni di persone nel mondo non hanno l’acqua in casa e che la siccità è un grave problema planetario e che l’acqua potabile è esauribile e che ci saranno guerre per l’acqua e che circa due miliardi di persone hanno a disposizione solo quindici litri di acqua al giorno … Kant queste cose non le sapeva ma noi sì, e le sappiamo senza averne fatto esperienza diretta], allora ho capito che l’acqua è preziosa [ha un valore etico] prima di essere utile [di avere una funzione pratica], e che questa affermazione è derivata dal fatto che la mia mente ha dato un giudizio sintetico a-priori perché questo è l’atto più completo della conoscenza: la conoscenza e l’etica sono sullo stesso piano e la Filosofia serve per cambiare il mondo in meglio. Ebbene, fate attenzione [dice Kant ai suoi studenti di Logica], ciò che ho compreso l’ho conosciuto attraverso la mia esperienza, cioè l’ho capito attraverso un ragionamento empirico, analitico a posteriori? No, perché se io mi baso sulla mia esperienza soggettiva [ribadisce Kant] l’acqua per me, ora, risulta utile per lavarmi le mani e non preziosa a-priori e, quindi, guardo la realtà così com’è e, difatti, nella mia esperienza quotidiana, io spreco l’acqua senza farci caso. E allora io devo darmi un imperativo morale per impormi di imparare a ragionare in modo sintetico a-priori perché è questo tipo di conoscenza che mi fornisce una visione della realtà di carattere universale e necessario. Se io seguo la mia esperienza soggettiva, particolare, egoistica, empirica, orchestrata dall’astuzia della ragione, e non avvalorata dalla ragion-pura, io mi posso anche permettere di sprecare l’acqua e, senza adeguati correttivi di natura etica, domani anch’io morirò di sete. E ora, conclude Kant, se proprio non è strettamente necessario - dopo aver fatto un ragionamento sintetico a-priori - posso anche fare a meno, per adesso, di lavarmi le mani.». Possiamo continuare a fare questo esercizio per conto nostro: se quando ci laviamo le mani [e questa circostanza può sembrare una banalità, ma «la realtà quotidiana - direbbe Kant - è fatta di cose semplici, spesso banali, non di imprese leggendarie, e il mondo lo si cambia più con i gesti semplici che con gli eventi straordinari»], cerchiamo di consumare meno acqua possibile stiamo emettendo un giudizio, e siamo consapevoli, entro i limiti della “ragion-pura”, che giudicare è conoscere e che la conoscenza porta con sé una responsabilità morale: quindi, se quando ci laviamo le mani [ma sono tanti i gesti banali che possono diventare virtuosi!] cerchiamo di consumare meno acqua possibile è perché la nostra mente ha assunto nelle sue forme il concetto di acqua in modo da poter emettere “un giudizio sintetico a-priori necessario e universale”. Quindi il gesto di lavarci le mani [ma quanti altri esempi potremmo fare!] cessa di essere un fatto banale ma diventa, afferma Kant, l’atto con cui ci assumiamo la responsabilità di conoscere la realtà in modo determinante per far cambiare il mondo in meglio.

     Conoscere la formula chimica dell’acqua [visto che è dell’acqua che stiamo parlando] H2O, aggiunge qualcosa alla nostra conoscenza? Apprendere la formula chimica dell’acqua, scrive Kant, è acquisire una competenza prodotta da un ragionamento empirico, analitico a-posteriori che aggiunge qualcosa in più alla nostra esperienza, ma se vogliamo “conoscere la preziosità” dell’acqua, e non solo farne esperienza, c’è bisogno di un valore aggiunto, di un valore “a-priori”, di carattere trascendentale, sublime, superiore, che si manifesta nell’ambito della ragion-pura, perché è attraverso i valori trascendentali a-priori che l’atto del conoscere diventa lo strumento per cambiare il mondo in meglio. Quindi, la persona, scrive Kant, non deve solo imparare a ragionare ma deve imparare a ragionare in modo trascendentale secondo valori indipendenti dall’esperienza e nell’ambito dei limiti della ragione. Ecco che [insegna Kant] il problema della conoscenza è legato intimamente al tema morale: conoscere è giudicare, giudicare è scegliere a-priori secondo valori trascendentali e, di conseguenza, nessun potere [in particolare il potere gestito dal capitalismo] ha mai amato Kant, e la disciplina necessaria per formulare giudizi sintetici a-priori è stata sempre osteggiata da chi gestisce i poteri, soprattutto quelli economici.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Oggi a questi valori trascendentali - il rispetto per la Natura, l’onestà, la socialità, la professionalità, la gentilezza, la forza d’animo, la costanza, tanto per citarne alcuni - quali altri [almeno tre] vorreste aggiungere alla lista?… 

     E ora, per concludere, leggiamo un brano dalla Critica della ragion pura: chi potrebbe credere, lì per lì, che questo testo è datato 1787? …[E compare ancora l’acqua a irrorare il cammino di Kant tenendo conto che, in qualunque modo funzioni la mente, senza produrre un ragionamento sintetico a-priori dove “l’a-priori” è dato dai valori trascendentali possiamo parlare di conoscenza?].

Immanuel Kant, Critica della ragion pura

Già Machiavelli insegna che l’esercizio del potere trova difficoltà a svolgersi dentro un contesto morale. Se io affermo che l’acqua è preziosa formulo un ragionamento trascendentale sintetico a-priori che ha un valore morale perché implica la scelta responsabile che richiama il libero arbitrio, e l’affermazione a-priori che l’acqua è preziosa può essere interpretata dall’astuzia della ragione di certuni in termini contingenti, e capita che costoro, eludendo le direttive etiche della ragion-pura, possano benissimo pensare che di questo bene prezioso sia conveniente impossessarsene e, quindi, si possano affittare i pozzi a caro prezzo, come del resto già avviene nelle campagne, ai ricchi padroni dei castelli, mentre i loro servi della gleba possono pure morire di sete perché gli affari sono affari e chi mercanteggia afferma di essere libero e, per esperienza, sappiamo che più si è forti e più si è liberi.

Quando affermo, con un ragionamento sintetico a-priori che l’acqua ha un valore trascendentale universale e necessario, affermo anche che è un bene comune dell’Umanità e la Legge deve garantirne l’utilizzo equanime. Conoscere è giudicare a-priori e, quindi, sono più libero se posso decidere di consumare tutta l’acqua che voglio oppure sono più libero se posso decidere di misurarmi l’acqua in modo che sia distribuita equamente? E se io sono libero di risparmiare l’acqua e il mio vicino è libero di sprecarne più di quanta io ne risparmi allora a che cosa serve che io risparmi l’acqua? Tanto le buone intenzioni individuali quanto le libertà soggettive sono contingenti e allora io devo domandarmi: come la utilizzo la mia libertà? Ebbene, anche la libertà deve essere utilizzata a-priori, nel quadro dei valori trascendentali universali e necessari, e la libertà è un valore a-priori perché nasce dal rispetto della Legge e il mio Io razionale deve sentirsi sottoposto, in modo incondizionato, alla Legge, e non mi riferisco tanto alla Legge gestita dai tribunali e dalle confessioni religiose, quanto alla Legge del dovere, del dovere a-priori. Se si fa derivare la Legge morale dalla metafisica, e dai dogmi della metafisica, la mia ragione trova facilmente un alibi, trova un punto d’appoggio per esercitare la sua astuzia. Faccio un esempio: se uno dei dogmi costitutivi della natura di Dio dice che Dio è infinitamente buono e, quindi, che è sempre disposto a perdonarmi, ecco che la ragione trova un punto d’appoggio per la sua astuzia e ne approfitta. Se Dio è sempre disposto a perdonarmi allora perché non eludere sempre la Legge? La ragione, con i suoi limiti, nei limiti tuttavia riconosce in coscienza che è immorale l’abuso della bontà di Dio, ma tant’è trova nel dogma un possibile elemento giustificatorio, ma il primato della coscienza emerge sul dogmatismo. I dogmi sono il frutto dell’astuzia della ragione e si deve anche ammettere che non vengono da Dio ma dal mondo degli affari perché Dio parla alla mia coscienza e la ragione, ascoltando la coscienza, sa quello che deve fare, a-priori. …

     Con questa lettura ci siamo già inoltrate e inoltrati nel territorio della ragion-pratica, ma nel prossimo itinerario c’è ancora un po’ di strada da fare sul campo della ragion-pura. Kant ha ragione quando afferma che, già al suo tempo, i dogmi non vengono da Dio ma dal sistema che ha preso il posto di Dio, quello degli affari che potrebbe funzionare bene se tenesse in considerazione i valori trascendentali.

     Kant viene considerato un pensatore difficoltoso da capire, e lo si studia in modo catechetico [per formule dottrinali da imparare a memoria, e così il suo pensiero viene imbalsamato come se non potesse produrre degli effetti pratici]; Kant viene additato come un moralista, e molti sconsigliano la lettura, considerata inutile, dei suoi testi, e i suoi detrattori - che temono il suo rigore intellettuale - lo accusano dicendo: «Kant è un utopista che coltiva dei sogni!» perché le cose che dice sono sì giuste ed eticamente corrette in teoria ma sconvenienti in pratica. L’individuo [si domandano i suoi detrattori] deve sempre fare quel che “è giusto a-priori” oppure deve sempre fare quello che “a-posteriori conviene di più”? Ma Kant dimostra, inequivocabilmente, che le vie di mezzo tra ciò “che si deve” e ciò “che conviene” finiscono sempre per essere lastricate da cattive intenzioni che non permettono il passaggio né della dignità né della coerenza.

     E per concludere leggiamo in proposito ancora una metaforica Novella da un minuto dello scrittore ungherese István Örkény [che conosciamo] che potrebbe essere intitolata Un dignitoso kant-portamento professionale. I dignitosi e coerenti comportamenti spesso non vengono riconosciuti ma la dignità e la coerenza regalano una grande leggerezza che è una virtù sublime, una virtù trascendentale [ben descritta nelle Lezioni americane di Italo Calvino che trovate in biblioteca].

István Örkény, Novelle da un minuto

UN DIGNITOSO KANT-PORTAMENTO PROFESSIONALE

Io sono un osso duro! So dominarmi. Esteriormente non la davo a vedere, ma erano in gioco il lavoro assiduo di lunghi anni, il riconoscimento del mio talento, tutto il mio futuro. 

- Sono un artista zoologo, - dissi.

- Che cosa sa fare? - chiese il direttore. 

- Imito le voci degli uccelli.

- Purtroppo, - disse con un cenno di diniego, - è roba fuori moda.

- Ma come? Il tubare della tortora? Lo zirlìo dell’ortolano? Il canto della quaglia? Lo squittire del gabbiano? La melodia dell’allodola? 

- Roba vecchia, - disse annoiato il direttore. 

Mi fece male. Ma credo di non averlo dato assolutamente a vedere.

- Arrivederci, - dissi cortesemente, e volai via dalla finestra aperta. …

     Kant solleva la questione morale e risponde [ai suoi detrattori] con una famosa battuta: «Io sarei un utopista che coltiva dei sogni? Guardate che io non ho sogni nel cassetto, nel cassetto ci tengo solo le mutande»: che cosa ha inteso dire? Nella Critica della ragion pratica Kant fa riflettere su come funziona la Legge del dovere che è un argomento molto concreto, ed è questo il senso che ha la battuta di Kant [nel cassetto ci tengo solo le mutande]. Ma prima dobbiamo occuparci della seconda parte della Critica della ragion pura dove Kant disegna tre significativi paesaggi intellettuali: quello dell’Estetica, dell’Analitica e della Dialettica trascendentale, in quanto Kant vuole chiarire nei particolari come si sviluppa l’attività conoscitiva che Kant definisce come abbiamo studiato “sintetica a-priori”.

     Qual è la funzione dell’Estetica, dell’Analitica e della Dialettica trascendentale?

     Per rispondere a questa domanda [piuttosto complessa] è bene procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare.

     E poi, guardando il Calendario, dobbiamo dire che senza la Legge del dovere non c’è convivenza civile, non c’è democrazia e non c’è libertà, e la data del 25 aprile non può diventare “una festa della libertà [o delle libertà]” intesa in senso generico perché la libertà conta solo quando la si esplicita come un valore trascendentale a-priori corroborato dai valori a-priori dell’Umanesimo che hanno animato in tutta Europa la Resistenza: l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà, la misericordia. E, quindi, in primis facciamo gli auguri a Kant che il 22 aprile compie 300 anni, e poi, in nome di questi valori: Viva il 25 aprile!

     La Scuola è qui, e - anche in ora legale - il viaggio continua…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Aprile 12, 2024