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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI KANT STUDIA IL PENSIERO DEL NATURALISMO E DELL’EMPIRISMO …

Lezione N.: 
8

ASSOCIAZIONE ARTICOLO  34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

Un secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi

7-8-9 e 16 febbraio 2024

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI

KANT STUDIA IL PENSIERO DEL NATURALISMO E DELL’EMPIRISMO …

     Questo è l’ottavo itinerario del nostro secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi e come sapete ci troviamo a Königsberg in compagnia di Immanuel Kant con il quale quindici giorni fa abbiamo riflettuto sulle parole-chiave: ragione, esperienza e critica.

     Il giovane studente ventiduenne Immanuel Kant scrive, nel 1746, una tesi [la sua tesi di laurea] intitolata Pensieri sulla valutazione delle forze vive, e nell’incipit di questo saggio che abbiamo letto quindici giorni fa, enuncia un programma di studio e di ricerca che lui segue in modo graduale e sempre più rigoroso e che, a suo tempo, darà i suoi frutti. In questo brano il giovane studente Immanuel Kant elenca come ricorderete le questioni che il filosofo deve affrontare: garantire la validità delle scienze, escludere che con la ragione si possano risolvere le questioni metafisiche e fondare la Legge morale sulla ragione umana.

     L’indagine [lo studio e la ricerca] che Kant conduce è molto laboriosa e assai accurata, e prima che lui possa «vedere un po’ di luce » come ha scritto, passano più di vent’anni. Dal 1746 al 1769 Kant, sperimentando l’utilizzo dello strumento della critica [tanto che questa fase della formazione di Kant viene chiamata “precritica”, anche se questo strumento lo utilizza già al meglio], con lo strumento della critica [che nell’itinerario scorso abbiamo avuto modo di descrivere partendo dall’analisi filologica del termine di derivazione greca], il giovane Kant si occupa di studiare il tema del rapporto tra la ragione e l’esperienza conducendo la sua esplorazione seguendo la scia delle parole-chiave e delle idee-cardine delle due grandi correnti filosofiche che, in questo momento, vanno per la maggiore: “il razionalismo” proposto da Christian Wolff e “l’empirismo” esposto da Isaac Newton: come corollario, per dare corpo alla sua ricerca, Kant studia con impegno tutte le opere di Cartesio, di Locke, di Berkeley, di Leibniz, di Hume e di Rousseau.

     Adesso noi cercheremo di percorrere l’itinerario di studio e di ricerca di Kant concentrando la nostra attenzione sugli elementi più significativi che emergono dal suo impegno intellettuale e sugli avvenimenti che caratterizzano questo periodo della sua vita, il cosiddetto periodo precritico dal 1746 al 1769, e procediamo quindi con ordine ripetendo anche, in funzione didattica, per mantenere un filo conduttore, parole e concetti già espressi.

     Questo periodo di studio e di ricerca [come sappiamo, ma è utile ripetere] ha inizio con la presentazione ai docenti dell’Università di Königsberg della sua tesi di laurea che è da considerarsi la prima opera di Kant: si tratta [come sappiamo, ma è bene ripeterlo ancora una volta] di un saggio intitolato Pensieri sulla valutazione delle forze vive scritto nel 1746, ed è il testo composto da uno studente di 22 anni che, di conseguenza, presenta anche una serie di lacune ma, nel suo complesso, viene considerato, soprattutto dal suo insegnante di Filosofia, il professor Martin Knutzen, molto interessante. Kant, dopo aver dissertato sul pensiero di Cartesio e di Leibniz, conduce una riflessione su come si possa, secondo lui, far conciliare le idee del pensiero di Wolff sul tema della ragione con le idee del pensiero di Newton sul tema dell’esperienza; Kant si adopera intellettualmente per capire in che rapporto stanno i ragionamenti che la persona fa nella sua mente con le esperienze che realizza nella vita pratica, ma l’aspetto più importante di questa prima opera composta dal giovane Kant sta [come sappiamo, ma è bene ripeterlo ancora una volta] nelle parole dell’incipit [che abbiamo letto la volta scorsa e ripetuto questa sera] che enunciano un programma che Kant, spirito metodico, segue, negli anni, in modo rigoroso e che, attraverso le sue riflessioni, anche noi dobbiamo seguire.

     Nel 1746 Immanuel Kant termina gli studi universitari e si laurea a pieni voti all’Università di Königsberg chiamata con il soprannome di Albertina perché fondata nel 1544 da Alberto I di Prussia: questo ateneo ha cessato la sua attività nel 1945 [la città era distrutta] e il personale superstite si è trasferito all’Università di Gottinga in Bassa Sassonia.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando la rete trovate un sito che mostra immagini del grande edificio dell’Università Albertina di Königsberg e dell’omonimo osservatorio astronomico che era collegato all’ateneo...

Incuriositevi perché la curiosità stimola la mente a investire in intelligenza...

     La fine degli studi coincide per Kant con la morte di suo padre Georg, mentre sua madre Anna era già scomparsa nel 1737 quando lui aveva tredici anni.

     Per il giovane Kant, dopo aver acquisito la laurea, iniziano anni molto duri: la sua famiglia, come sapete, di profonda fede pietista [e della corrente religiosa del Pietismo ne abbiamo parlato nello scorso itinerario], conduce un’esistenza - soprattutto sua madre, Anna Reuter - davvero animata da uno spirito pauperista; il Vangelo dispone «di non accumulare beni sulla Terra» e i genitori di Immanuel, coerentemente, non hanno accumulato beni; hanno però prima di tutto, con i loro risparmi, provveduto a far studiare i figli [le tre femmine e i due maschi sopravissuti su undici], e poi hanno sempre ridistribuito il poco che rimaneva in favore delle persone più bisognose di loro. Entrambi i genitori di Immanuel [Anna, morta nel 1737 e Georg, morto nel 1746] sono stati sepolti nella zona del cimitero di Königsberg riservata ai nulla-tenenti, e questo è “il posto privilegiato” a cui i pietisti ambiscono in linea con l’esortazione evangelica: beati gli ultimi!

     Kant, quindi, terminati gli studi, deve trovarsi un lavoro e, per una decina d’anni, svolge l’attività di precettore presso le dimore [i castelli] delle nobili famiglie dell’aristocrazia terriera dislocate nella provincia prussiana e, di conseguenza, deve allontanarsi da Königsberg per vivere in zone di campagna.

     Kant si dedica con impegno a questo lavoro - a volte umiliante e che lo isola dalle attività culturali che si svolgono in città - profondendo le sue idee umanistiche ai suoi discepoli e, non è senza significato il fatto che quasi tutti i suoi nobili studenti di quel tempo abbiano, poi, sostenuto con convinzione le lotte contadine che andavano sviluppandosi in quegli anni per l’abolizione della servitù della gleba: di questo aspetto della sua prima attività d’insegnante Kant è stato sempre orgoglioso.

     Oltre a insegnare Immanuel studia e scrive, e la prima fase della sua attività di ricerca viene chiamata “naturalistica”, e ora dobbiamo seguirlo su questa strada.

     Immanuel è affascinato soprattutto dal pensiero di Newton e dal suo metodo sperimentale con il quale il grande scienziato inglese codifica le Leggi che fanno funzionare la Natura e l’Universo [si parla di “naturalismo di Newton”], e Kant, in proposito, dopo aver scritto una serie di articoli, compone due brevi trattati sul tema del naturalismo, che vengono pubblicati da una rivista nel 1754, intitolati Sulla questione se la Terra abbia subito modificazioni nel movimento di rivoluzione intorno al proprio asse e Sulla questione se la Terra invecchi da un punto di vista fisico. Poi, nel 1755, Kant fa stampare, usando i pochi soldi che è riuscito a risparmiare, in forma anonima, la sua prima opera impegnativa a carattere naturalistico intitolata Storia universale e teoria dei cieli. Nella prefazione Kant presenta questo suo saggio come una ricerca - condotta secondo i Principi di Newton - sull’origine del Mondo e su come si è formato l’Universo: Kant tenta di andare ben oltre la fisica di Newton perché si propone di spiegare l’origine dell’Universo con le Leggi generali della natura senza però chiamare in causa [se non nel primissimo atto originario] la potenza del Creatore che Newton chiama, con un atto di fede, a sostegno del suo sistema. Kant vuole compiere, rispetto a Newton, un passo in avanti sulla via della laicizzazione della scienza per liberare la scienza dall’influsso della religione: Kant vuole dare delle spiegazioni scientifiche che non facciano appello alla metafisica, vuole trovare risposte che non debbano essere avvalorate dall’intervento della potenza di Dio.

     In quest’opera Kant sostiene che «l’Universo è un sistema di sistemi, i cui confini si estendono all’infinito, sorpassando ogni potere degli umani concetti» e, di conseguenza, non è facile farsi un’idea di come è fatto l’Universo senza un programma di sperimentazione: e non basta, afferma Kant, per la conoscenza, l’utilizzazione del buon senso comune o di un atto di fede in Dio creatore.

     Kant sostiene che i sistemi dell’Universo - compreso naturalmente quello solare che è solo uno dei tanti sistemi cosmici - dipendono da una sola Legge meccanica di gravitazione, ma la scoperta di questa Legge da parte di Newton non ha ancora permesso di dare una risposta a due quesiti fondamentali: come si è formato e come funziona l’Universo? Kant, in proposito, formula un’ipotesi.

     In origine tutto ha avuto inizio, sostiene Kant, da una nebulosa originaria composta di particelle di densità diversa e, proprio a causa della densità ineguale delle particelle, sono andati auto-generandosi diversi punti di attrazione e di repulsione e, intorno a questi punti aggreganti e disgreganti, si sono formati i sistemi di cui si compone l’Universo. Cartesio, scrive Kant, pensava che l’Universo [che, come sappiamo, Cartesio chiama “res extensa”] si espandesse in modo omogeneo senza essere animato da nessuna forza interna. Kant modifica totalmente la visione cartesiana sulla natura e l’origine dell’Universo rifacendosi alla Legge della gravitazione universale di Newton: le particelle della nebulosa iniziale, scrive Kant, si espandono ma, non avendo tutte la stessa densità, succede che quelle più dense - come sperimentato in laboratorio da Newton - possiedono la caratteristica di avvicinarsi al centro del sistema molto di più di quelle meno dense: ecco perché, sostiene Kant, nel nostro sistema solare, come d’altronde in tutti gli altri, c’è una gerarchia di corpi celesti che procede dai più densi, e perciò più vicini al sole, più vicini al centro come Mercurio, ai più rarefatti e perciò più remoti, come Saturno. La Terra, afferma Kant, si è venuta a trovare a metà strada tra il centro e la periferia del sistema e, quindi, si trova ad avere un giusto equilibrio tra la densità e la rarefazione. Questo fatto meccanico ha permesso lo sviluppo delle varie forme di vita e l’esistenza dei “terricoli” che, afferma Kant in modo distaccato, sono composti da una miscela di materialità [densa] e di spiritualità [rarefatta]: questo giustifica il fatto, ribadisce Kant, che ogni persona - vivendo in equilibrio tra la densità e la rarefazione, tra la materia e lo spirito - fa esperienza del conflitto esistenziale tra il Bene e il Male e, di conseguenza, ogni persona è soggetta e connaturata al sistema universale perché ne fa parte ed è chiamata quindi a compiere inevitabilmente “la scelta morale”. Se ci fosse gente su Mercurio, scrive Kant, dove regna la densità gli individui sarebbero “tutta materia” e, quindi, anche sgravati da responsabilità morali, mentre se ci fosse gente su Saturno dove regna la rarefazione gli individui sarebbero “tutto spirito”, di conseguenza, anche loro vivrebbero al di là del Bene e del Male sgravati da responsabilità morali. Tutto questo [afferma Kant, che tira le conclusioni della sua riflessione in chiave naturalista] dimostra che l’Universo si è formato, così com’è, a causa di una Legge meccanica naturale e, quindi, l’intervento della potenza di Dio creatore è escluso: e allora, si domanda Kant, anche la Legge morale scaturisce da un principio meccanico naturale?

     Il ragionamento in chiave naturalista condotto dal giovane Kant nella sua opera intitolata Storia universale e teoria dei cieli, a parte le simpatiche divagazioni un po’ fantastiche sui mercuriani e i saturniani, contiene una innegabile verità scientifica: la formazione dell’Universo prevede l’esistenza di una nebulosa iniziale composta da particelle di densità diversa. Il fatto è che di questa ipotesi, sviluppata da Kant nel 1755, nessuno se n’è accorto [Kant è un emerito sconosciuto] e, per giunta, l’editore di questo trattato fallisce, e questo testo diventa introvabile.

     Quarant’anni dopo, nel 1796, il famoso matematico, astronomo e fisico francese Pierre Simon de Laplace [1749-1827] nel trattato Esposizione del sistema del mondo formula, in modo più dettagliato, l’ipotesi di Kant sulla formazione del sistema solare da una nebulosa iniziale composta da particelle di densità diversa, ed è giusto dire che Laplace era del tutto ignaro del trattato di Kant e, quando vent’anni dopo ne viene a conoscenza, vuole che, questa scoperta, passi alla storia della scienza con il nome di “ipotesi Kant-Laplace”.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Pierre Simon de Laplace è un eccentrico personaggio che si è distinto nella Storia della scienza e della politica del suo tempo [cambiando spesso bandiera] a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo... Utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete andate a fare la sua conoscenza…

Incuriositevi perché la curiosità invoglia la mente a fare ricerca, e se c’è qualcosa che vi ha colpito di questo personaggio comunicatelo scrivendo quattro righe in proposito...

     Nel 1755 Kant ritorna a vivere a Königsberg perché ha la possibilità di trovare lavoro in città, ma procediamo con ordine.

     Nel 1755 Kant ritorna a vivere a Königsberg e partecipa al concorso universitario per il dottorato di ricerca e lo ottiene con una dissertazione, scritta in latino e sempre di carattere naturalistico, intitolata De igne [Sul fuoco], e nello stesso anno ottiene anche la libera docenza universitaria con la dissertazione, sempre redatta in latino, intitolata Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova delucidatio [Nuova spiegazione della conoscenza metafisica dei Principi primi su Dio, sulla creazione del Mondo, sulla natura dell’Anima]. Al di là dei titoli di queste opere, che non è necessario ricordare, dobbiamo prendere atto che, nel 1755, Kant viene invitato a insegnare all’Università di Königsberg e inizia a tenere Corsi di varie discipline però non in veste di “insegnante ordinario” a tempo indeterminato retribuito dall’istituzione scolastica con uno stipendio degno di un cattedratico, ma come un semplice “libero docente” pagato dagli studenti iscritti ai suoi Corsi, e soggetto a un contratto da rinnovare anno per anno, ma lui, anche in questa condizione di precarietà che durerà per quindici anni, è soddisfatto di questa sua nuova attività perché il pur misero salario che riceve [è stato calcolato che la paga in talleri di Kant corrispondeva mediamente a circa 650 €. mensili; per sua fortuna di anno in anno il numero dei suoi studenti aumenta perché è un bravo insegnate e, di conseguenza, riesce a racimolare qualcosa in più, ma non molto di più], gli permette comunque di mantenersi dignitosamente sebbene debba condurre una vita modesta [ma lui è abituato alle ristrettezze, essendo cresciuto in ambiente pietista] e poi, soprattutto, questo incarico gli permette di affrancarsi dal lavoro di precettore, un’attività ancor più precaria e troppo servilistica per il suo carattere. Come libero docente Kant, annualmente, tiene Lezioni di matematica, di fisica, di logica, di filosofia morale, di geografia fisica, di diritto naturale, di storia della filosofia, di antropologia e di pedagogia, e un certo numero di studenti di cui ha curato la formazione si è distinto sul piano intellettuale: ricordiamone uno tra tutti, Johann Gottfried Herder, alunno di Kant dal 1762 al 1764, che incontreremo, probabilmente, al termine di questo Percorso.

     In questi anni, dal 1755 al 1760, mentre si dedica all’insegnamento, Kant continua a studiare, e compone cinque opere ancora di carattere naturalistico: I terremoti [del 1756, sapete che nel 1755 c’è stato il terribile terremoto di Lisbona, e anche Kant resta colpito da questo evento catastrofico, e lo studia], Teoria dei venti [del 1756, una riflessione sugli Studi di d’Alembert sull’origine dei venti], Monadologia fisica [del 1756, un’esposizione sul tema delle monadi nel pensiero di Leibniz], Progetti di un collegio di geografia fisica [del 1757, un saggio sul concetto di paesaggio e sul suo valore] e Sull’ottimismo [del 1759, una riflessione analitica sui concetti illuministi di “ottimismo ragionevole” e di “ragionevole scetticismo”].

     Poi in questo periodo, oltre che dalle idee di Newton, viene influenzato dal pensiero di David Hume, e Kant, venticinque anni dopo, scriverà: «La lettura delle Opere di Hume mi ha svegliato da un profondo sonno dogmatico nel quale ero immerso facendomi riconsiderare in termini nuovi il tema della conoscenza e il ruolo delle idee». David Hume [1711-1776] lo abbiamo incontrato nel secondo itinerario del viaggio dello scorso anno e adesso, per entrare in sintonia con il percorso intellettuale compiuto da Kant, dobbiamo riprendere contatto con questa figura per capire che cosa ha imparato Kant dalla lettura delle Opere di Hume e dalla corrente dell’empirismo.

     David Hume, come ricorderete, è nato a Edimburgo nel 1711 in una famiglia della piccola nobiltà terriera scozzese e, dopo essersi laureato all’Università di Edimburgo, ha scritto due opere importanti: Ricerca sull’intelletto umano, pubblicata nel 1748, e Ricerca sui principi della morale, pubblicata nel 1751: questi due trattati vengono bersagliati dalla critica e Hume viene perseguito e condannato con l’accusa di materialismo e ateismo [se la cava con una serie di ritrattazioni e di precisazioni].

     Quando Kant legge il testo di queste due opere che sono state tradotte in tedesco nel 1756, viene subito stimolato a riflettere. I manuali di filosofia etichettano Hume come “un empirista”, e che cosa significa essere “un empirista”? Un empirista, come sapete, è uno studioso che colloca, alla base della conoscenza, l’esperienza umana [in greco il termine “esperienza” si traduce “peira” da cui il termine “empirico”].

     La persona, secondo Hume, acquisisce la conoscenza della realtà [del mondo e delle cose] attraverso l’esperienza sensibile, e l’esperienza sensibile è data dalle impressioni, che corrispondono alle sensazioni, e dalle idee che si formano nella mente della persona attraverso il ricordo delle impressioni ricevute. Le impressioni, sostiene Hume, sono efficaci sul piano della conoscenza [sono sensazioni vere e proprie] se possiedono due caratteristiche fondamentali: la freschezza e la vivacità. Quando la persona, scrive Hume, avverte “l’impressione fresca e vivace” che scaturisce da un oggetto prova una sensazione illuminante, chiarificante, esplicativa che corrisponde alla conoscenza di questa realtà.

     Le impressioni colte dalla persona nelle sue esperienze di vita quotidiana non sono tutte dotate di freschezza e di vivacità perché quando si ripetono, afferma Hume, perdono la prerogativa di essere “illuminanti, chiarificanti, esplicative” in quanto la mente della persona “se n’è già fatta un’idea” e, difatti, le idee sono il ricordo delle impressioni oppure sono l’anticipazione d’impressioni di cui la persona ha già fatto esperienza: quindi le idee sono copie, sono “immagini sbiadite” delle impressioni, e sono composte da ricordi più o meno frammentari; di conseguenza, le impressioni, afferma Hume, sono conoscenze allo stato forte a cui la persona crede, alle quali dà il suo consenso in virtù della loro freschezza e vivacità e, infatti, le impressioni che risultano “illuminanti, chiarificanti ed esplicative” non danno adito a discussioni ma a prese d’atto. Le idee invece sono “conoscenze sbiadite nel ricordo” quindi sono, afferma Hume, “conoscenze allo stato debole” e danno adito a molte discussioni per quanto riguarda l’accertamento della conoscenza della realtà [e qui ci troviamo alle origini del concetto moderno di “ideologia” e di “pensiero forte e di pensiero debole”, temi trattati dalla filosofia contemporanea che noi, se continueremo a viaggiare, studieremo a suo tempo].

     Hume afferma che «le impressioni sono una forma di conoscenza forte e le idee sono un tipo di conoscenza debole» per cui sostiene che la realtà colta dalle idee e intesa dal pensiero è di grado inferiore e meno attendibile della realtà concretamente sentita in modo empirico con i sensi e, di conseguenza, scrive Hume: «La mia conoscenza di un oggetto impressionato dai sensi è superiore alla conoscenza che ho di questo oggetto quando lo penso con la mente».

     Kant, leggendo le Opere di Hume, riflette sul fatto che le correnti di stampo “razionalista”, dal pensiero di Cartesio a quello di Leibniz, hanno sempre sostenuto dogmaticamente che la mente della persona contiene dalla nascita le idee che sono state poste lì da Dio e che sono quindi “innate” nel pensiero umano e, per questo motivo, precedono l’esperienza [prima ci sono le idee chiare e distinte e poi c’è l’esperienza]: è attraverso di loro che, con la ragione, la persona conosce la realtà [e questa affermazione cartesiana era diventata un dogma e contraddirla risultava un gesto blasfemo, e questo è “il profondo sonno dogmatico” dal quale Kant dice di essersi risvegliato]. Hume dimostra che può esistere un tipo di conoscenza alternativo all’innatismo cartesiano e afferma che è attraverso l’esperienza sensibile che la persona conosce la realtà, e le idee sono solo il ricordo slavato delle impressioni avute, quindi, l’esperienza sensibile è l’elemento forte della conoscenza mentre l’idea è l’elemento debole.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Qual è un’impressione che – osservando, ascoltando, annusando, toccando, gustando - ha prodotto in voi una sensazione particolarmente “fresca e vivace [illuminante, chiarificante, esplicativa]”?... 

Scrivete quattro righe in proposito…

     Kant, studiando le Opere di Hume, prende atto che il concetto di “idea” e quello di “ragione” vanno ripensati completamente [per andare anche oltre il pensiero di Hume]. Leggiamo un frammento tratto dal saggio Ricerca sull’intelletto umano: gli interrogativi che Hume pone a sé stesso stimolano Kant sulla necessità di dedicarsi alla ricerca senza dare nulla per scontato.     

David Hume,  Ricerca sull’intelletto umano

Io non voglio pormi nemmeno il problema dell’origine delle impressioni. Che importanza ha stabilire se le impressioni provengono dagli oggetti stessi o siano prodotte dalla nostra mente o dal nostro spirito oppure derivino da un eventuale Creatore? L’importante è capire che le impressioni sono dati originari, sono istinti fondamentali, sono elementi necessari del conoscere e limiti precisi degli atti della mente. Non possiamo pensare una cosa senza averla prima vista fuori di noi o sentita nella nostra mente. Mentre è importante sapere che queste conoscenze semplici - le impressioni e le idee - ubbidiscono a determinate regole che possiamo chiamare Leggi di associazioni e, in base a queste norme, le impressioni e le idee si associano dando luogo a conoscenze più complesse. …

     Hume [come abbiamo già ricordato nel viaggio dello scorso anno] vorrebbe fare in campo psichico ciò che Newton ha fatto sul terreno della fisica scoprendo la Legge di gravitazione universale che regola i fenomeni del mondo fisico e, quindi, Hume agisce di conseguenza.

     Hume vorrebbe scoprire le Leggi che regolano il mondo psichico [così come Newton ha scoperto la Legge di gravitazione universale che regola il mondo fisico], vorrebbe identificare le regole che, nella mente, sovrintendono al rapporto che s’instaura tra le impressioni sensoriali [forti] e le idee [deboli], e codifica tre norme che chiama “Leggi di associazioni” [e Kant - studiando il trattato di Hume intitolato Ricerca sull’intelletto umano - riflette in proposito].

     Le Leggi di associazioni [secondo Hume, come ricorderete] sono: “la Legge della contiguità nel tempo e nello spazio”, “la Legge della somiglianza” e “la Legge del rapporto di causa”. Per esempio [e questo esempio lo abbiamo già fatto in proposito, ma è calzante], se tra di noi ci fosse una persona, sempre la stessa persona che, prima dell’inizio della Lezione, raccoglie le firme di presenza sull’apposito foglio, secondo “la Legge della contiguità nel tempo e nello spazio” ogni volta che questa persona appare [cioè che si produce l’impressione della sua figura] nasce nella nostra mente l’idea del foglio delle firme che è resa percepibile dalla analogia con questa persona. Mentre secondo “la Legge della somiglianza” se noi vediamo una persona che assomiglia a quella che raccoglie le firme o sentiamo che si chiama come lei, non solo abbiamo un’idea di lei ma associamo a questa anche l’idea del foglio delle firme. Poi secondo “la Legge del rapporto di causa” quando vediamo il foglio delle firme ci aspettiamo di vedere anche la persona che le raccoglie e, in ogni caso, ce la rappresentiamo, però dobbiamo sapere chi è perché solo l’esperienza ci permette di avere di questa persona un’impressione forte.

     In definitiva, che cosa c’insegnano [scrive Hume in modo interlocutorio] queste regole elementari, o meglio, che cosa generano queste norme? Le Leggi di associazioni, scrive Hume, generano “l’abitudine” e l’abitudine genera “la fiducia”, e la fiducia è capace di far nascere “l’aspettativa che l’impressione si riproduca”: questo meccanismo psicologico, scrive Hume, è quello che genera “la fede”, ed è la fede che crea le forme più complesse di conoscenza, le idee oggettive [considerate erroneamente - sostiene Hume - conoscenze forti perché, in realtà, come tutte le idee, sono acquisizioni deboli], come l’idea di causa, di sostanza, di spazio, di tempo; e se l’idea è l’elemento debole del sistema esistono davvero in modo oggettivo, si domanda Hume, queste idee [di causa, di sostanza, di spazio, di tempo] oppure esistono soltanto perché la persona le considera tali per abitudine, come aspettativa della propria fede nell’esistenza?

     Con questa critica graffiante e originale [che ha spaventato i membri di tutti gli apparati di potere] Hume, rischiando gravi ritorsioni, mette in discussione l’esistenza delle idee oggettive sulle quali si basa soprattutto l’impalcatura della Religione. Se si considera l’idea di causa [scrive Hume, e Kant segue la sua riflessione con interesse] quando una persona vede il lampo precedere il tuono pensa che tale successione sia sempre stata così e lo sarà anche in futuro, e inoltre pensa che tra il lampo e il tuono non ci sia solo un rapporto cronologico ma che esista anche tra questi due fenomeni un rapporto intimo, metafisico, come se il lampo producesse il tuono e non si limitasse solo a precederlo mentre in realtà, scrive Hume, questi due fenomeni [il lampo e il tuono esaminati in termini scientifici], così come tutti i fenomeni naturali, avvengono in quanto tali quando ci sono le condizioni adatte al loro manifestarsi [“iuxta propria principia”, secondo le Leggi proprie della Natura] e non uno come causa dell’altro, il lampo non causa il tuono ma lo precede soltanto: e allora, si domanda Hume, da dove nasce il concetto di causa? A forza di vedere il lampo precedere il tuono, scrive Hume,  la persona si abitua a pensare questa successione e se l’aspetta, e ogni volta che vede questo ha fiducia di sentire anche quello e, di conseguenza, è l’associazione tra questo e quello, tra il lampo e il tuono, che crea l’abitudine e, quindi, genera la fiducia, provoca l’aspettativa e fa nascere la fede. Lo stesso, scrive Hume, vale per le idee di sostanza, di spazio e di tempo che, in chiave oggettiva, sono illusorie perché è l’abitudine ad aver creato un pensiero debole che ha fatto esistere oggettivamente queste idee facendole apparire forti mentre tutta la realtà materiale e spirituale si dissolve in impressioni forti e idee deboli.

     Per queste sue affermazioni, documentate nei testi delle sue Opere, Hume subisce violenti attacchi da parte dei conservatori [viene denunciato per materialismo, scetticismo e ateismo] e lui, quindi, in modo ironico, scrive: «Che cosa ci suggerisce la ragione? Ci consiglia che se vogliamo vivere senza disperarci e se vogliamo sperare di salvarci è meglio ingannarsi e dire di credere, è meglio manifestare di aver fede perché non sarà la ragione a salvarci la vita ma bensì la nostra dichiarazione di fedeltà all’autorità costituita». Lo scetticismo ragionevole di Hume ha un obiettivo costruttivo che riguarda la morale, e Kant è molto interessato a riflettere su questo tema.

     Su queste basi, scrive Hume, è possibile definire una concreta prospettiva di carattere morale: nell’Europa di oggi, afferma Hume, la singola persona attende ai propri vizi privati, è ripiegata sull’individualismo e sull’egoismo, però la persona è anche capace di provare il sentimento della simpatia [“sin pathos”, in greco, è la partecipazione “con passione, in modo compassionevole” alle necessità altrui] cioè capisce che i beni materiali fondamentali che toccano a lei dovrebbero toccare anche a tutte le altre persone. Che cos’è di conseguenza, si domanda Hume, il Bene? Il Bene, scrive Hume, è ciò che la persona stima sia utile e necessario per lei e per le altre persone, così il Male è ciò che la persona ritiene dannoso per lei e per le altre persone: è, quindi, su queste semplici ma forti impressioni, corrispettive di altrettante idee deboli, scrive Hume, che deve fondarsi la politica delle Istituzioni che sono chiamate a promuovere in primo luogo un sistema di Educazione pubblica per insegnare, insieme a tutte le materie, a coltivare, con appositi percorsi didattici, le virtù pubbliche. La morale pubblica, afferma Hume, è laica [non può e non deve avere risvolti confessionali perché sfociano sempre nel dogmatismo], e i valori tradizionali della morale [l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà e la compassione] sono stati predisposti dal pensiero dell’Umanesimo, un pensiero che ha cercato ragionevolmente di temperare gli individualismi e gli egoismi. Oggi, scrive Hume, è mediante il sistema educativo pubblico che la persona può e deve imparare a trasformare in virtù concrete, sensibili, fresche, vivaci e forti le proprie impressioni [le conoscenze sensibili] perché non basta approvare le virtù sul piano ideale poiché, se restano allo stato di idee, le virtù sono deboli come lo sono le idee per cui è facile per la persona lodare idealmente il Bene e biasimare il Male, ma poi, in pratica, siccome l’idealità è aleatoria in quanto le idee sono deboli [sono conoscenze sbiadite], succede che ogni progetto etico rischia sempre di fallire perché la morale necessità non di “un progetto da vaneggiare mentalmente” ma di “un programma empirico [frutto dell’esperienza che nasce sulla scorta delle impressioni forti] da poter e da dover realizzare concretamente e praticamente”. Kant, leggendo le Opere di Hume, comprende che il tema della morale va affrontato con una riflessione che parte dal basso, dalla condizione umana, basata sulle impressioni date dall’esperienza, e non con la proclamazione di dogmi, condizionati da false idee oggettive, che piovono all’alto.

     Hume non può ammettere che ci siano delle entità che sfuggano alla conoscenza sensibile e, quindi, Dio, che è fuori dalla portata dei sensi, sfugge alla conoscenza: esiste però, scrive Hume, un fenomeno religioso generalizzato nel Mondo, e la religiosità è alla base dell’esperienza umana. E che cos’è la religiosità, si domanda Hume? Il fenomeno religioso [svincolato dagli apparati di potere, scrive Hume] è un importante fatto naturale dello spirito umano che nasce dal bisogno pratico di protezione e di aiuto: l’homo [prima faber e poi sapiens] è vissuto, afferma Hume, in un continuo timore nei confronti delle forze della Natura e ha constatato la propria miseria e la propria imperfezione cercando un rifugio e un conforto, e trovando una consolazione al di sopra delle proprie possibilità: si è verificata una grande e potente operazione culturale riguardante la costruzione dell’idea di Dio, ma, afferma Hume, questo concetto, essendo un’idea è, comunque e di per sé, un concetto debole. La religione, scrive Hume, non ha valore in se stessa ma può essere uno stimolo positivo per la vita sociale della persona se gli apparati religiosi, invece di porre solo dei divieti, fossero in grado di presentare programmi che potrebbero esaltare il valore delle virtù pubbliche come propone la Letteratura dei Vangeli che invita la persona, inequivocabilmente, a scegliere le impressioni forti volte praticamente a realizzare il Bene piuttosto che limitarsi a manifestare la propria credenza in idee di principio che risultano deboli e inconcludenti.

     Nel trattato intitolato Ricerca sui principi della morale Hume, a questo proposito, fa una citazione tratta dal testo del Vangelo secondo Matteo con la quale vuole mettere in evidenza che il giorno del giudizio ogni persona verrà giudicata non in base alle sue idee per quanto belle possano essere perché le idee, se restano tali, sono deboli e inconcludenti, ma in base alle impressioni forti che hanno provato e che hanno generato in loro un comportamento [simpatico] compassionevole verso le necessità altrui.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

David Hume trae spunto dal testo del Vangelo secondo Matteo per avvalorare il suo pensiero: per evidenziare che le idee sono un tipo di conoscenza debole e sbiadita mentre le impressioni sono una forma di conoscenza forte dotata di potere salvifico…

Leggete, in proposito, dal versetto 31 al versetto 46 del capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo...

     I ragionamenti contenuti nelle Opere di Hume fanno riflettere Kant. E ora leggiamo  le parole con cui David Hume termina il trattato intitolato Dialoghi sulla religione naturale, un’opera pubblicata, come lui ha voluto che avvenisse, nel 1776 subito dopo la sua morte.

David Hume,  Dialoghi sulla religione naturale

Mi sento di affermare che noi non siamo altro che collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità in un perpetuo flusso e movimento.

La nostra mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. E non si fraintenda il paragone del teatro: a costruire la mente non c’è altro che le percezioni successive, noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono rappresentate o del materiale di cui, la mente, è composta. …

     In quest’opera Hume cerca di compiere uno sforzo quasi commovente per non costruire nulla di metafisico in modo da lasciare aperta la porta della ricerca, della sperimentazione, dello studio, tuttavia non si può negare che, in queste parole di Hume [«Noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene (il balletto delle percezioni fornite dalle impressioni e dalle idee) vengono rappresentate o del materiale di cui, la mente, è composta»], ci sia, comunque, un forte anelito verso l’Assoluto: Kant lo coglie e capisce che Hume si sforza di ignorare questa sua aspirazione perché non ha strumenti per affrontare un grande e complesso problema che, però, pensa Kant, non andrebbe evitato perché, inevitabilmente, la persona [e Kant lo sperimenta su di sé] tende a domandarsi: come mai aspiro ad avere una conoscenza che vada oltre le sensazioni e che non si fermi alle impressioni, e da dove deriva questa aspirazione a superare l’esperienza, e che cos’è che fa scaturire questo anelito verso l’Assoluto? Kant riflette, e comincia a sentirsi attratto oltre che dal naturalismo e dall’empirismo anche dal tema che riguarda il mistero dell’esistenza umana e così, con metodica diligenza, come è solito fare, comincia a studiare quel vasto argomento che è la metafisica, e dove lo porta questo studio?

     Inoltre, in questi anni, 1756 al 1762, Kant può leggere, tradotte in tedesco, le Opere di Jean Jacques Rousseau e anche questo incontro diventa determinante nel percorso di formazione di Kant che, leggendo le Opere di Rousseau, fa delle importanti scoperte: quali scoperte? Non si può certo rispondere con una battuta a questa domanda.

     Ma ora, per concludere [e sempre per rimanere in tema], ci dedichiamo alla lettura di un breve brano poetico molto significativo composto dalla scrittrice polacca, premio Nobel per la Letteratura nel 1996, Wislawa Szymborska, una figura che probabilmente conoscete e che abbiamo già incontrato in altri contesti. Wislawa Szymborska è nata nel 1923 a Bnin [in Polonia], ha studiato Lettere e Sociologia nella bella città di Cracovia dove ha risieduto, e dove dal 1953 ha collaborato con la rivista Vita letteraria, e nel 1980 ha partecipato alla fondazione delle riviste Arka e Kultura e, sempre a Cracovia è morta nel 2012 [sulla rete potete fare una conoscenza più approfondita con questo personaggio]. Wislawa Szymborska ha sempre dichiarato che Immanuel Kant è stato uno dei suoi principali referenti intellettuali.

     E ora leggiamo L’ode della cattiva considerazione di sé tratta dalla raccolta, pubblicata nel 1998, intitolata Vista con granello di sabbia [la trovate in biblioteca].

Wislawa Szymborska,  Vista con granello di sabbia

L’ode della cattiva considerazione di sé

La poiana non ha nulla da rimproverarsi.

Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera.

I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni.

Il serpente a sonagli si accetta senza riserve.

Uno sciacallo autocritico non esiste.

La locusta, l’alligatore, lo scarabeo e il tafano

vivono come vivono e ne sono contenti.

Non c’è nulla di più animale della coscienza pulita,

sul terzo pianeta del Sole. …

     Se siamo persone libere per Natura - si domanda Wislawa Szymborska così come prima di lei se lo è domandato Kant e prima ancora Rousseau - non dovrebbe essere la Natura stessa a definire lo spazio e l’ambito della nostra libertà? L’homo sapiens è l’unico animale in grado di essere scontento di sé stesso e, quindi, l’unico capace di pentirsi, ma se siamo persone naturalmente libere come possiamo pentirci di ciò che facciamo usando la nostra libertà naturale? Com’è possibile che quello che facciamo per Natura possa comportare dei conflitti interiori. E allora, forse, è necessario chiarire quale sia la nostra natura, e che senso abbia la nozione di natura umana per noi, gli unici animali capaci di avere la coscienza sporca?

     Che cosa scopre Kant di utile per la sua formazione intellettuale leggendo le Opere di Rousseau? E la natura umana, si domanda Kant, è buona, è cattiva oppure è istintiva? E, si domanda Kant, in che relazione stanno la bontà, la cattiveria e l’istinto?

     Per rispondere a queste e a molte altre domande è bene procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, per questo la Scuola è qui e sapendo che «Non c’è nulla di più animale della coscienza pulita, sul terzo pianeta del Sole.», il viaggio continua…

 

Lezione del: 
Venerdì, Febbraio 16, 2024