Autorizzazione all'uso dei cookies

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI L’IDEA DELL’EDUCAZIONE NATURALE S’INTRECCIA AL COMPLESSO DELLE RELAZIONI UMANE CHE SI SVILUPPA TRA SIMPATIA ED EGOISMO ...

Lezione N.: 
5

ASSOCIAZIONE ARTICOLO  34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

Un secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi

13-14 e 15 dicembre 2023

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI L’IDEA DELL’EDUCAZIONE NATURALE

S’INTRECCIA AL COMPLESSO DELLE RELAZIONI UMANE

CHE SI SVILUPPA TRA SIMPATIA ED EGOISMO ...

     Questo è il quinto itinerario del nostro viaggio sul territorio del Settecento ed è anche l’ultimo itinerario prima della vacanza natalizia e l’ultimo di quest’anno solare, e quindici giorni fa abbiamo fatto conoscenza con Jean Jacques Rousseau. Ebbene, questa sera, in partenza come abbiamo annunciato al termine dell’itinerario scorso, ci dobbiamo occupare delle due opere che oggi vengono considerate le più significative di Rousseau: Emilio o dell’educazione e Il contratto sociale. La pubblicazione nel 1761 e 1762 di queste due opere scatena violente reazioni da parte delle autorità politiche ed ecclesiastiche di Parigi e di Ginevra per cui Rousseau è obbligato a rifugiarsi dove non possa subire ritorsioni. Per fortuna trova sempre [lui e Thérèse] qualche persona disposta a ospitarlo ma, essendo un ospite scomodo, è costretto a un continuo vagabondaggio.

     Emilio o dell’educazione è un trattato di pedagogia pubblicato da Jean Jacques Rousseau nel 1762. L’educazione, secondo Rousseau, serve per salvaguardare ciò che, nella persona, vi è di “naturale”, e serve per contrastare ciò che la persona ha interiorizzato di “artificioso”. Con la formula “educazione naturale”, che è entrata nel linguaggio pedagogico, Rousseau condanna l’artificiosità e la corruzione della vita civile e contemporaneamente esalta il ruolo che l’educazione svolge nella formazione autonoma del corpo, dell’intelletto, dello spirito della persona nell’ambito del suo sviluppo spontaneo. Il processo educativo, scrive Rousseau, è, e deve essere, “naturale” in quanto deve avvenire in modo autonomo e spontaneo e, detto così, afferma Rousseau, tutto potrebbe sembrare molto facile se, in realtà, un percorso educativo di carattere “spontaneo” non presentasse molte difficoltà perché una cosa è la spontaneità, altra cosa è lo stato brado.

     Per affrontare queste difficoltà Rousseau ritiene sia necessario imbastire una riflessione sul concetto di “educazione naturale” che si deve basare, scrive Rousseau, su un punto fermo, su un dato oggettivo. Di conseguenza, il trattato intitolato Emilio o dell’educazione ha inizio con l’enunciazione di un postulato così come avviene per i teoremi di matematica, come avviene nel Discorso del metodo di Cartesio. Quindi, il testo del trattato intitolato Emilio o dell’educazione inizia con un assunto non dimostrato e non dimostrabile: «La persona [scrive Rousseau] per sua natura è buona e ciò che in lei si riscontra di negativo nasce dall’influsso della società». Secondo Rousseau la natura umana, in origine, è buona, e su questo principio fonda la sua pedagogia.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il tema riguardante le caratteristiche della natura umana ha da sempre suscitato vivaci discussioni... Voi come definireste, con una parola, la natura umana?...  

È sufficiente scrivere una riga in proposito…

     Chi formula per la prima volta nella Storia del Pensiero la dottrina della bontà della natura umana?

     La dottrina della bontà della natura umana la si incontra per la prima volta ben codificata nel pensiero di un intellettuale cinese di tendenza confuciana che si chiama Meng-tzu. Il padre gesuita Matteo Ricci [che ben conosciamo], nelle sue Memorie sulla Cina, opera arrivata a Parigi nel 1620, ha fatto conoscere il pensiero di Meng-tzu [che lui chiama, in latino, Mencius (Mencio)] e il Mondo cinese, così come il Mondo mussulmano, suscita gran curiosità negli Illuministi [e Rousseau poi è curiosissimo in proposito]. Meng-tzu è vissuto dal 371 al 288 a.C. in un momento in cui, in Cina, c’è un grande fervore culturale: è il periodo chiamato delle Cento Scuole [băi-Chia]. Ebbene, in questo periodo, tra il IV e il III secolo a.C., nell’Ellade, in parallelo, nascono l’Accademia platonica, il Liceo aristotelico, il Giardino di  Epicuro, la Stoà [il portico] di Zenone di Cizio: si forma un asse comune nel Mondo sul quale c’è, in atto, un grande fervore colturale: fiorisce l’Età assiale della Storia. Meng-tzu è il più noto tra i pensatori confuciani e la sua Scuola ha un posto importante nella Storia del Pensiero perché coltiva la dottrina sulla bontà della natura umana. Il male, scrive Meng-tzu, nasce a causa della violenza esterna che la natura umana subisce. Meng-tzu come pensa di dimostrare che la natura umana è buona?  La natura umana è buona, scrive Meng-tzu, perché nella persona si manifestano alcuni sentimenti fondamentali, riconducibili a quattro principi [tuan] che sono innati nell’individuo.

     Il primo sentimento è “la simpatia” che deriva dal principio innato della compassione: la persona è compassionevole per natura, e questo è bene.

     Il secondo sentimento è “l’equità” che deriva dalla sensibilità al rimorso e alla vergogna: la persona sente rimorso e vergogna per natura, e questo è bene.

     Il terzo sentimento è “il senso delle regole di comportamento” che deriva dalla modestia: la persona umana per natura è modesta, e questo è bene.

     Il quarto sentimento è “la saggezza” che deriva dal saper riconoscere il bene e il male: la persona lo sa per natura che cos’è Bene e che cos’è Male …

     Se le persone, scrive Meng-tzu, deviano da questi sentimenti è perché hanno subito violenza dall’esterno e, quindi, è necessario che lo Stato promuova l’apprendimento de “la benevolenza” che porta gli individui a uscire dall’isolamento e a tessere relazioni basate sui quattro fondamentali sentimenti naturali: di simpatia, di equità, di rispetto delle regole e di saggezza. Il pensiero di Meng tzu è raccolto in un’opera intitolata Colloqui, scritta con uno stile vivo, estroso, molto poetico: ne leggiamo un brano per capire da dove abbia preso spunto Rousseau: «La natura della persona è portata al bene come l’acqua scorre verso il basso. Non vi è persona che non sia naturalmente retta, come non vi è acqua che non scorra naturalmente verso il basso. Tuttavia se comprimi l’acqua per farla zampillare potrai farla salire al di sopra della testa; se arresti il suo corso potrai fare in modo che si fermi sulla montagna, ma è questa la sua natura? Ciò è un effetto della violenza. Ora, che la persona possa arrivare a fare del male è una cosa analoga. Per loro natura le persone tendono al bene; ecco perché chiamo buona la natura umana; quanto al commettere il male, la colpa non è della natura».

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Probabilmente voi avete avuto la fortuna di passare l’infanzia a stretto contatto con la natura: quali erano le cose belle e buone che facevano avvicinare la vostra mente al bene?...  

Scrivete quattro righe in proposito perché è ora, da persone adulte, che possiamo rendercene meglio conto…

     Come utilizza Rousseau il pensiero di Meng-tzu per educare Emilio?

     Rousseau - partendo dal postulato che «la persona per sua natura è buona e ciò che in lei si riscontra di negativo nasce dall’influsso della società» pensa, parafrasando il pensiero di Meng-tzu, che occorra salvaguardare [Emilio] le bambine e i bambini dal contatto con la vita civile in modo che la loro naturale bontà abbia modo di svilupparsi: solo in un secondo tempo - quando ormai la loro formazione spirituale sarà al riparo da ogni sorpresa - potranno accostarsi alla società, sicure e sicuri di essere immuni dai suoi contagi e pronte e pronti ad assimilarne i lati positivi.

     Di fronte allo sviluppo naturale delle bambine e dei bambini, l’educatrice e l’educatore non possono far altro, scrive Rousseau, che assistere e lasciar fare alla Natura: ogni intervento dall’esterno da parte della persona che educa, volto ad anticipare o a costringere in qualche modo il processo naturale, è assolutamente da evitarsi. Naturalmente questo «lasciar fare alla Natura» non significa, scrive Rousseau, che la persona preposta all’educazione debba rimanere del tutto passiva ma dovrà intervenire per impedire le influenze nocive dell’ambiente, per rimuovere gli eventuali ostacoli e per favorire tutto ciò che possa concorrere allo sviluppo naturale delle bambine e dei bambini. Ma in tutte queste manifestazioni l’opera della persona che educa deve essere solo indiretta, perché in realtà, scrive Rousseau, sono le cose e non le persone a determinare l’insegnamento.

     Nel processo educativo Rousseau distingue quattro momenti: il momento iniziale, che comprende i primi sei anni, in cui le bambine e i bambini devono essere lasciate e lasciati liberi nei loro movimenti in modo che, nella loro smania di toccare tutto, possano poter fare anche quelle esperienze che procurano dolore e sofferenza in quanto solo così potranno giovarsi dell’insegnamento della Natura e l’educazione sarà una vera conquista delle bambine e dei bambini che impareranno a “sentire”, cioè a far uso dei sensi in modo sempre più corretto.

     Il secondo momento, che va dai sei ai dodici anni, è quello in cui  l’educazione dei sensi raggiunge il suo completamento e la conoscenza è ancora di natura sensibile; in questa fase del vita, afferma Rousseau, mancano ancora la fantasia, la ragione e il senso del dovere, quindi tutte le lezioni verbali [a parole] da parte di chi educa sono assolutamente inutili perché dominano ancora le forze della Natura.

     Il terzo momento, che dura dai dodici ai quindici anni, è l’età dell’intelletto che stimola la ragazza e il ragazzo a interessarsi dei fenomeni naturali, e ancora una volta la ricerca deve essere autonoma, nel senso che i problemi posti di volta in volta dal gran Libro della Natura devono essere risolti dalla ragazza e dal ragazzo senza alcun intervento da parte di chi educa, e ciò che importa in questo periodo non è tanto la somma delle conoscenze acquisite quanto la formazione del giudizio e il desiderio di acquisire conoscenze sempre nuove: le ragazze e i ragazzi in questo momento, scrive Rousseau, non hanno ancora interessi morali e non sentono il bisogno di avere rapporti con la società.

     Il quarto momento, che va dai quindici anni in poi, è quello in cui nelle giovani e nei giovani si risveglia la coscienza morale per cui cominciano ad avere interessi per i problemi etici, sociali e religiosi; in questo periodo le passioni non devono essere represse ma solo corrette e guidate in modo da mantenere il loro corso naturale; la principale passione è l’amore per se stesse e per se stessi e da questo sentimento, se si seguirà l’indirizzo della Natura, sorgeranno la pietà per la sofferenza altrui, l’amicizia e la giustizia: tre sentimenti che, se coltivati, mettono la persona in condizione di fare del Bene agli altri e, facendo il Bene, la persona diventa buona e acquista coscienza della comune umanità che la lega ai suoi simili.

     Anche l’insegnamento religioso, scrive Rousseau, rifacendosi a una visione deista della religione, scaturisce per natura dalla coscienza della persona e, per natura, la persona crederà in un Essere Assoluto: Creatore del Mondo, Giudice supremo e Fonte della Bontà a cui attingere.

     Ebbene, Rousseau presenta nel suo trattato pedagogico un quadro educativo ben strutturato, e propone un articolato catalogo di facoltà materiali e spirituali da coltivare in modo naturale dalle quali scaturiscono delle affermazioni di principio utili per formulare una buona e giusta legislazione, ma probabilmente Rousseau non si è reso conto che questo piano così schematico è in contraddizione con la spontaneità che il processo educativo che lui ha predicato deve avere. La Natura ha i suoi cicli ma non è così schematica, bensì è spesso imprevedibile e, difatti, la crescita di una persona non è uguale a quella di tutte le altre persone: gli orologi della crescita non sono tutti sincronizzati.

     Ma Rousseau vuole soprattutto affermare un principio: la natura umana è buona e, quindi, è doveroso lasciar fare alla Natura senza porre ostacoli, e alla luce di questo principio Rousseau affronta anche il tema politico - della differenza tra “la volontà di tutti” e “la volontà generale” - nell’opera Il contratto sociale, pubblicata in Olanda nel 1761 e, nel 1762, in Francia ne viene proibita la distribuzione.

     Lo Stato ideale, scrive Rousseau, è quello in cui - mediante il sistema educativo [perché a diventare cittadine e cittadini s’impara] - la persona [Emilio] apprende che «obbedendo alla Legge - che, per principio, deve essere uguale per tutti - obbedisce a se stessa e, di conseguenza, intuisce di essere libera»: se la persona ubbidisce a se stessa ubbidisce alla propria coscienza. Nell’Io più profondo, scrive Rousseau, l’autorità e la libertà si conciliano e questo porta la persona a riconoscere l’invadenza del proprio egoismo personale [infatti ognuno vorrebbe che le Leggi fossero fatte solo a proprio esclusivo vantaggio]: la persona capisce che questo è un sentimento comune, un’inclinazione di tutti, per cui se prevale “la volontà di tutti”, afferma Rousseau, prende il sopravvento il marasma dato dalla somma degli egoismi particolari. Allora, di fronte a questa situazione negativa [di natura quantitativa dettata dall’individualismo], le persone devono reagire tassativamente e sono chiamate a fare “un contratto sociale” che consiste nel decidere di ubbidire alla propria coscienza e di ricusare il proprio egoismo particolare in modo che non si proclami enfaticamente “la volontà di tutti”, presupposto delle dittature - scrive Rousseau - perché poi c’è sempre qualcuno che pretende di incarnare la volontà di tutti, magari per diritto divino, ma si promulghi “la volontà generale”, che è il presupposto delle Costituzioni democratiche e che riguarda la qualità in quanto espressione dell’interesse superindividuale. Quindi le Leggi, scrive Rousseau, - in uno Stato in cui la Legge è uguale per tutti - devono essere l’espressione della “volontà generale” non della volontà di tutti perché a essere “sovrana” è la volontà generale in quanto la volontà di tutti è sinonimo di sudditanza. Quindi per Rousseau il popolo deve esprimere continuamente in modo diretto la propria sovranità: la sovranità popolare è “un patto di unione tra coscienze” e non può essere delegata ad alcuno [uno vale uno].

     La società, scrive Rousseau, trae origine da “un contratto sociale” in base al quale la persona trasferisce i suoi diritti di libertà e uguaglianza non a un gruppo o a un individuo ma a tutta la comunità che forma “un Io-comune”: il fatto è, afferma Rousseau, che è necessaria un’educazione adeguata a far sì che la persona impari a stipulare il contratto sociale in comunione con la comunità.

     Tanto il pensiero politico di Rousseau quanto quello riguardante l’educazione naturale è stato definito utopico, astratto, contraddittorio, però mette in evidenza due elementi importanti: in primo luogo valorizza le energie, le buone inclinazioni e gli istinti naturali della persona la quale deve imparare a imparare per essere capace di auto-governarsi e, in seconda istanza, il pensiero di Rousseau reagisce a una educazione troppo esteriore e autoritaria che tende a soffocare la personalità della persona rendendola succube del potere e schiava del proprio egoismo personale. La riflessione di Rousseau sui temi politici ed educativi [come abbiamo detto] propone un articolato catalogo di facoltà materiali e spirituali da coltivare in modo naturale dalle quali scaturiscono delle affermazioni di principio che sono entrate nei dettati costituzionali e sono risultate utili per formulare una buona e giusta legislazione.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quali [non più di tre] di queste affermazioni di principio scegliereste per prime: la libertà di parlare la propria lingua, la libertà di professare la propria fede religiosa, la libertà della propria persona fisica, l’inviolabilità del proprio domicilio, la libertà e la segretezza della propria corrispondenza, la libertà di circolazione sul territorio senza chiedere permessi, la libertà di varcare i confini, la libertà di riunione, la libertà di associazione, la libertà di esprimere il proprio pensiero, la possibilità di conservare la cittadinanza e il proprio nome, la garanzia di poter lavorare, la possibilità di tutelare la propria salute, la possibilità di accedere all’istruzione...   Sono sufficienti tre righe per rispondere dopo aver riflettuto...

     E ora leggiamo un frammento tratto da Emilio o dell’educazione.

Jean Jacques Rousseau,  Emilio o dell’educazione

Tutto il bene del Creato nelle mani dell’essere umano, se vuol far di testa sua, degenera. L’essere umano mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni. Tutto rovescia, tutto sfigura, niente vuole di quello che ha creato la natura, nemmeno se stesso, ma l’essere umano vuole ammaestrare il suo simile come un cavallo da maneggio e gli è necessario dargli una forma a modo suo, come per gli alberi di un giardino. Osservate invece la natura e seguite la via ch’essa vi mostra. La natura esercita continuamente i fanciulli: essa tempra la loro costituzione fisica attraverso prove di ogni specie, insegnando loro prestissimo che cosa siano la pena e il dolore. I denti che nascono danno la febbre; delle coliche danno le convulsioni; lunghi accessi di tosse li soffocano; i vermi li tormentano, quasi tutta la prima età ha malattie e pericoli e la metà dei bambini muore prima degli otto anni. Ma superate queste prove il bambino ha guadagnato delle forze. Ecco la regola della natura: perché contrastarla? Non vi accorgete che pensando di correggere la natura, ne distruggete l’opera e impedite gli effetti delle sue premure? Oserò esporre qui la regola più importante e utile di tutta l’educazione! Consiste non nel guadagnar tempo, ma nel perderlo. Lettore, perdona i miei paradossi; non se ne può fare a meno quando si riflette; e qualunque cosa tu possa dire, preferisco essere persona da paradossi, piuttosto che persona da pregiudizi. …

     Non tutti però sono convinti del principio che avvalora “la bontà della natura” come sostiene Rousseau nelle sue opere sulla scia dei Colloqui di Meng-tzu.

     C’è chi sostiene che invece la natura è proprio cattiva e che l’istinto naturale della persona non è rivolto alla bontà ma è rivolto alla cattiveria e, a questo proposito, dobbiamo raccontare una favola ma, prima di poterla raccontare, [per conoscere, per capire e per applicarci] dobbiamo fare un preambolo …

     Nel 1705 viene pubblicato a Londra un volumetto anonimo che contiene il testo di una favola che s’intitola L’alveare scontento (brontolone) o i furfanti diventati onesti. All’inizio del secolo dei Lumi, nel 1705 nessuno avrebbe pensato che questa favola in versi avrebbe aperto uno dei dibattiti più vivaci dell’epoca, e questo dibattito scaturisce da una domanda: la prosperità pubblica, il benessere collettivo è favorito dai vizi privati quando questi attivano disdicevoli bisogni superflui? Se i vizi privati, che fanno nascere bisogni smodati, favoriscono lo sviluppo dell’economia, e di conseguenza producono una crescita del benessere collettivo, questo significa che un pessimo comportamento - che dal punto di vista morale è da considerarsi riprovevole - diventa buono sotto il profilo economico per cui la morale e l’economia sono elementi inconciliabili? Oggi la maggioranza delle cittadine e dei cittadini del mondo pensa che la morale e l’economia [in particolare l’economia liberista] non sono conciliabili e, di conseguenza, ci si deve anche domandare perché, contemporaneamente, la maggioranza delle persone rimane altresì estasiata davanti alle figure di San Francesco d’Assisi [dei Fioretti] e di San Benedetto da Norcia [dei Dialoghi di Gregorio Magno] che nel loro insegnamento propongono la conciliabilità tra la morale e l’economia mettendo al centro non i vizi privati [i bisogni superflui] ma le virtù pubbliche [il consumo responsabile e la gioiosa sobrietà] che hanno come conseguenza la crescita del ben-essere collettivo: tutti, almeno in teoria, sono d’accordo nel dire che questa seconda via [la via del ben-essere piuttosto che del benessere] è la migliore, ma poi, in pratica, per usare una metafora «le ghiande di Assisi quanto quelle di Norcia sono comunque considerate indigeste e difficili da digerire!».

     Ma stavamo dicendo che, nel 1705, viene pubblicato a Londra il testo di una favola intitolata L’alveare scontento (brontolone) o i furfanti diventati onesti, e l’autore di questo testo poetico è il medico Bernard de Mandeville [1670-1733], olandese di nascita, francese di origine e inglese di adozione: si saprà che è lui l’autore di quest’opera quando, nove anni dopo nel 1714, deciderà di ripubblicarla, accompagnata da un saggio introduttivo, col titolo La favola delle api o vizi privati e benefici pubblici: nel 1724 uscirà una terza edizione con un commento ancora più ampio. In Inghilterra il testo di questa favola viene definito “di pubblica pericolosità” ma, sebbene la censura lo persegua, trova un gran numero di estimatori: che cosa racconta La favola delle api di Mandeville? C’era una volta [così cominciano tutte le favole] un popoloso alveare dove le api vivevano nel lusso e nell’agiatezza [e si capisce subito che questo alveare assomiglia molto all’Inghilterra del ‘700] e questa comunità era rinomata per le sue Leggi, e per aver favorito lo sviluppo della scienza e l’operosità dei traffici, e per avere un buon governo «né brutalmente tirannico né sfacciatamente democratico» scrive ironicamente Mandeville. Ma queste api, individualmente, non erano affatto virtuose, anzi, erano piuttosto viziose, e chi tra loro aveva scorte e denaro guadagnava molto senza faticare, e chi faticava, invece, guadagnava molto poco e si accontentava delle briciole, e poi in questa società prosperava una miriade di parassiti: avvocati traviati, medici degenerati, preti depravati, ministri disonesti, giudici corrotti. Scrive Mandeville: «Così ciascuna parte sociale era piena di vizi, ma l’insieme risultava un paradiso. L’insieme delle colpe era una benedizione per lo Stato e contribuiva alla sua grandezza, e la virtù politica, guidata dall’astuzia della ragione, per questa felice influenza era diventata amica del vizio e, quindi, anche la peggiore delle api faceva qualche cosa per il bene comune.». Le api, scrive Mandeville nel testo della sua favola, erano incapaci di comprendere che i vizi e la disonestà costituivano il vero fondamento della loro prosperità e, di conseguenza, pregavano insistentemente gli dèi di essere liberate dal vizio affinché trionfasse giustamente la virtù e l’onestà nell’alveare. Alla fine, narra Mandeville nel testo della sua favola, gli dèi hanno deciso di esaudire la loro preghiera e «hanno reso onesti i loro cuori», e ogni ape ha iniziato ad accontentarsi dello stretto indispensabile e necessario: ma questa parsimonia ha portato alla rovina l’industria con il declino di tutte le arti e i mestieri e l’alveare è andato in miseria perché, scrive Mandeville nel testo della sua favola, la ricchezza si fondava sull’amore del lusso, sull’orgoglio e sul crimine. Il vizio ha abbandonato l’alveare ma, insieme al vizio, lo ha abbandonato anche la prosperità: e qual è la morale de La favola delle api?

     Mandeville conclude il testo de La favola delle api con un’esplicita affermazione permeata di cinismo: «Cessate dunque di fare i moralisti brontoloni: soltanto i pazzi si sforzano di far diventare onesto un produttivo alveare. La virtù da sola non può far vivere le Nazioni nello splendore, e coloro che vorrebbero far tornare l’Età dell’oro insieme con l’onestà devono, per sedar la loro fame, rassegnarsi a mangiar ghiande, per giunta indigeste e difficili da digerire!».

     L’obiettivo che Mandeville si propone di raggiungere componendo il testo di questa favola è quello di dimostrare che la morale è un artificio, e vuole contrastare l’idea “ottimistica” della naturale bontà e socievolezza dell’essere umano. Ciò che rende l’essere umano “un animale socievole” non consiste, scrive Mandeville, nel suo desiderio di compagnia, nella sua natura buona, nella sua pietà, ma sta nelle sue qualità più vili e più odiose: «La ragione [scrive Mandeville] è, e non può non essere, che la schiava delle passioni; non può tendere ad altro che a servire e a obbedir loro. La virtù è sterile [scrive Mandeville sulla scia di Daniel De Foe e di Jonathan Swift che hanno sostenuto questa tesi prima di lui] e sono i vizi il motore della ricchezza e della prosperità.».

     Mandeville è un acuto osservatore della società e denuncia con la forza della satira e del paradosso le ipocrisie sociali, le contraddizioni e la durezza delle Leggi economiche liberiste, compresi i rapporti di sfruttamento che accompagnano lo sviluppo di una società mercantile che sta per diventare industriale con lo sfruttamento di una manodopera ridotta allo schiavismo. Le nozioni di virtù e di vizio, scrive Mandeville, sono finzioni sociali, e a instaurare le categorie di vizio e di virtù è stata la logica del dominio che ha permesso «a un insieme di animali egoisti di costituirsi in società attribuendosi il titolo di esseri umani quando in loro è la disumanità a farla da padrona». Per Mandeville l’essere umano non è buono per natura, il suo istinto naturale non è rivolto alla virtù: gli esseri umani, scrive Mandeville parafrasando Machiavelli, fanno finta di essere virtuosi, per poter meglio dominare. L’istinto naturale dell’essere umano, scrive Mandeville, è rivolto al vizio e, di conseguenza, la sua natura è cattiva e, quindi, l’attività economica è del tutto indipendente dalla vita morale: paradossalmente, afferma Mandeville, in una società rigorosamente etica, l’economia è destinata a fallire mentre in una società viziosa, disonesta, criminale, l’economia prospera! Le ghiande di Assisi e di Norcia sono indigeste.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Assisi e Norcia sono due belle città che meritano - anche se molto note - di essere visitate e rivisitate: fatelo, per il momento, navigando in rete...

Mandeville utilizza il termine “ghiande” in chiave negativa, ma penso che voi possiate rivalutare questi frutti per più di un motivo e, quindi, scrivete quattro righe in proposito...  

     Il pessimismo di Mandeville sulla natura umana ha degli estimatori ma anche dei detrattori.

     All’Università di Glasgow, in Scozia, si costituisce una corrente di pensiero detta “dell’autonomia del senso morale” che contrasta il pessimismo di Mandeville. Gli appartenenti a questa corrente affermano che la persona, per istinto, tende alla socialità, tende ad aggregarsi con le altre persone e, attraverso questo processo di aggregazione, è andato sviluppandosi - con la formazione di un equilibrio tra le richieste e le rinunce - quello che si chiama «il senso morale” [la capacità di fare il bene] che ha trovato la sua sede nel cuore della persona mediante un atto riflessivo [intuitivo e immediato] del sentimento che consente alla persona stessa di percepire ciò che è onesto e ciò che è deprecabile in relazione al bene pubblico e al bene della specie: quindi sostengono all’Università di Glasgow, la morale [la capacità di fare il bene o il male] è autonoma rispetto alla religione e a tutti i regolamenti istituzionali. «Abbiamo osservato, scrivono all’Università di Glasgow, che le persone zelanti sul piano religioso spesso si rivelano sommamente degenerate e corrotte, ed altre invece, ritenute libertine, atee, materialiste agiscono con così puri intenti e affetti verso l’Umanità da dimostrare per natura tutta la loro virtù.». Di conseguenza, affermano all’Università di Glasgow, non è la ragione il luogo d’origine della morale - anche se è la ragione a giudicare come la persona debba comportarsi - ma il luogo d’origine della morale va cercato nel sentimento: è con il sentimento che la persona intuisce se una cosa è buona o cattiva e poi, con la ragione, la persona giudica e sceglie secondo convenienza, e non sempre sceglie la cosa buona perché spesso scegliere il bene non conviene. «La morale, scrivono all’Università di Glasgow, è più sentita che giudicata, ed è il sentimento a dire che cos’è il bene e il male, poi la ragione giudica che cosa sia conveniente fare. Le sensazioni o i sentimenti morali sono di solito dolci e delicati perché le impressioni che sorgono dalla virtù sono piacevoli e le impressioni che sorgono dal vizio sono comunque penose.».

     Il rappresentante più autorevole della Scuola di Glasgow si chiama Adam Smith. Adam Smith è nato nel 1723 [prima del 5 giugno] in Scozia, studia a Oxford dal 1740 al 1746,  nel 1748 inizia la sua lunga carriera di insegnamento a Edimburgo; poi nel 1751 gli viene assegnata la cattedra di Logica all’Università di Glasgow e l’anno dopo quella di Filosofia morale.

     Nel 1759 Smith pubblica la sua prima opera importante intitolata Teoria dei sentimenti morali e, nel 1764, come precettore di un giovane duca, viaggia in Europa: a Parigi incontra Hume che lo introduce negli ambienti dove si studia la disciplina economica della quale diventa un esperto. Nel 1766 torna in Scozia e lavora per dieci anni all’opera che viene considerata il suo capolavoro: Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni. Nel 1778 viene nominato commissario per le dogane scozzesi a Edimburgo, dove muore nel 1790.

     Adam Smith nel testo di Teoria dei sentimenti morali scrive che la morale è più sentita che giudicata - cioè la morale ha come suo fondamento il sentimento e non la ragione - e, di conseguenza, i comportamenti morali della persona derivano non dalla logica ma dalla “simpatia” [syn-pàthos in greco significa “con sentimento”] e, quindi, i comportamenti morali sono vissuti dalla persona non con la ragione ma con la passione, ed è con la simpatia, scrive Smith, che la persona s’immedesima nelle altre persone e “sente”, insieme a loro, ciò che di piacevole o di doloroso esse sentono: in pratica, attraverso la simpatia, la persona esce dalla sua individualità empirica e diventa “umana” nella sua essenza, un’essenza che risulta comune a quella delle altre persone [l’essenza del genere umano], e il sistema delle reciproche simpatie, che lega le persone tra loro, diventa un fattore importante e determinante in quanto è il valore delle relazioni che rende migliore la società: scrive Smith: «Virtù non è essere persone amabili o meritevoli di per sé, ma significa suscitare buoni sentimenti nelle altre persone.».

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Tra le persone che conoscete e che avete conosciuto nella vostra vita qual è quella che ricordate come la più simpatica? ... Scrivete quattro righe in proposito…

     Quindi Smith non cerca e non dà risposte circa la natura della persona [se sia buona o cattiva per natura] ma preferisce cercar di capire non “chi è” la persona ma “come si comporta” la persona: preferisce cercar di capire il gioco delle relazioni [il rapporto tra  l’altruismo, l’egoismo e la simpatia] perché è in questo intreccio che si svolge la vita della società, ed è questo ciò che conta. La società è data dall’insieme delle relazioni, e in ogni paese, scrive Smith, il bene corrisponde a ciò che è utile e il male a ciò che è nocivo alla società, e la virtù vissuta dalle persone nel proprio individualismo è asfittica perché della virtù ne ha bisogno la società intera. La Teoria dei sentimenti morali, formulata da Smith nel 1759, sintetizza le idee di un dibattito, sviluppatosi nel corso del secolo dei Lumi, riguardante il rapporto tra la felicità pubblica e quella privata: è avanzata nel ‘700 l’idea che l’esistenza umana ha un carattere sociale, la vita ha senso se vissuta in società, e sta avanzando la convinzione che, nel campo dell’educazione e nelle Leggi, deve prevalere la pratica della solidarietà di ciascuna persona con tutte le altre persone, una pratica finalizzata alla comune impresa di trasformare il mondo.

     I risultati di questa pratica, nel corso del secolo, si sono manifestati, e si deve ricordare che nel giugno del 1717 si è tenuta a Londra la grande assemblea internazionale organizzativa della massoneria [“massone” è il muratore che vuole costruire un mondo nuovo]: le idee di questa associazione [che raccoglie aristocratici, borghesi e persone del popolo] si diffondono in tutta l’Europa e vengono considerate “pericolose” da molti governi per cui i membri di questa organizzazione sono costretti, per precauzione, a operare in clandestinità. Le idee laiche e riformiste della massoneria, come abbiamo già ricordato nel viaggio dello scorso anno, sono state raccolte nel testo del Libretto d’opera scritto da Emanuel Schikaneder intitolato Il flauto magico e musicato da Wolfgang Amadeus Mozart, la cui prima rappresentazione è avvenuta a Vienna il 30 settembre 1791.

     Quali sono le idee “sovversive” contenute nel testo de Il flauto magico? La virtù somma che la persona deve coltivare consiste ne “l’agire per amore dell’Umanità” e il sentimento dell’Umanità implica la compassione e la simpatia [ecco la parola-chiave che Smith utilizza per formulare la sua Teoria dei sentimenti morali]: una simpatia amorevole, attiva nel combattere tutti i mali che affliggono la specie umana. La simpatia, accompagnata dalla compassione, fa crescere una solidarietà generalizzata verso tutte le persone, senza distinzione di razza, sesso, religione, istituzioni politiche, con particolare riguardo alla miseria, alla schiavitù e all’oppressione, e questa dirittura morale è sorretta dalle parole: umanità, filantropia, beneficenza.

     Il Documento finale dell’assemblea di Londra delle associazioni massoniche del giugno 1717 si conclude con queste parole: «Quando siamo radunati in assemblea siamo affratellati e capiamo che tutte le persone sono state create uguali, e il principe e il cittadino, il gentiluomo e l’artigiano, il mercante e il contadino, la casalinga e la dama sono mescolati e nulla più li distingue, nulla li separa: sono persone unite in una comune simpatia.». Se poi apriamo il Dizionario filosofico di Voltaire, un’opera del 1764 che abbiamo analizzato nel viaggio dello scorso anno, e cerchiamo la definizione della parola “virtù”  possiamo leggere: «Che cos’è la virtù? È far del bene al prossimo. Che importa che tu sia temperante (che ti astenga dai vizi)? È un precetto di salute che tu osservi, te ne troverai meglio e io mi felicito con te. Tu hai la fede e la speranza, e io me ne felicito ancor più: ti guadagnerai così la vita eterna. Ma noi viviamo in società, dunque non c’è nulla che sia veramente bene per noi, se non è bene per la società. Un solitario potrà essere sobrio e pio e vestirsi con un cilicio: vuol dire che sarà santo; ma io non lo chiamerò virtuoso se non quando avrà fatto qualche atto di virtù di cui il suo prossimo avrà profittato. Finché egli è solo non è né benefico né malefico, non è niente per noi. La virtù fra le persone è un rapporto di buone azioni. La persona che non prende parte a questo scambio non deve essere tenuta nel conto.». Per completare questa riflessione non è possibile non riproporre la lettura o la rilettura del breve romanzo di Leone Tolstoj, che trovate in biblioteca, intitolato Padre Sergio, pubblicato nel 1912. Scrive Tolstoj: «La virtù fra le persone è un rapporto di buone azioni, non di miracoli: meglio saper fare tante piccole buone azioni al villaggio, che i miracoli nel proprio eremo».

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Sui miracoli è bene soprassedere e tacere, mentre invece alla domanda: «Quale è stata l’ultima piccola buona azione che avete fatto al villaggio?» ebbene, a questa domanda è possibile dare una risposta! E, di conseguenza, scrivete quattro righe in proposito perché la virtù fra le persone è un rapporto di buone azioni, non di miracoli...   

     Ma l’opera più importante di Adam Smith s’intitola La ricchezza delle nazioni.

     L’opera più importante di Adam Smith s’intitola Indagine sulla natura e cause della ricchezza delle nazioni, oggi pubblicata come La ricchezza delle nazioni. Questo trattato di teoria economica è stato ben accolto fin dalla sua uscita nel 1776 e ha avuto molto successo soprattutto nell’800 quando è diventato il manifesto del liberalismo democratico fondato sul principio virtuoso del libero mercato.

     Quest’opera fonda la moderna scienza economica prima ancora dell’avvento della rivoluzione industriale e presenta le principali categorie su cui si fonda l’economia: la divisione del lavoro, la definizione delle classi sociali, il valore del lavoro. Smith, osservando con attenzione le relazioni sociali [come abbiamo studiato], fa una constatazione molto semplice: è vero che il fondamento della vita morale è la simpatia però quando entrano in gioco gli affari e il denaro succede che il riferimento della vita morale diventa inevitabilmente l’egoismo e, difatti, in campo economico, scrive Smith, la morale presuppone l’egoismo. Che cosa si può fare di fronte a questo fatto [si domanda Smith] in modo che un’economia di libero mercato possa comunque assicurare vantaggi in modo diffuso? Si deve dare per scontato, scrive Smith, che il libero mercato è una forma economica socialmente virtuosa rispetto al feudalesimo [un apparato ingiusto basato sulla forza e la servitù], ma per garantire il buon funzionamento e la libertà del mercato è necessario che sia regolamentato per attenuare il presupposto egoistico su cui tutti i sistemi economici si fondano. La cosa fondamentale da evitare con la regolamentazione, scrive Smith, è che gli imprenditori e i mercanti operino per creare un apparato monopolistico come l’egoismo li porterebbe a fare, perché se il potere economico si concentra nelle mani di poche persone sparisce il mercato stesso che, per sua natura, deve essere un’area nella quale avvengono vaste relazioni fondate anche sulla simpatia. Scrive Smith: «Il regime di monopolio è un retaggio feudale e fa sparire il libero mercato, per questo - tenendo conto della miscela di egoismo e simpatia su cui si fonda l’economia e la società - è necessaria una regolamentazione che colpisca i monopoli e favorisca il libero gioco dei singoli piccoli interessi egoistici perché la rete dei piccoli singoli interessi egoistici crea un equilibrio necessario per sostenere, nel modo più diffuso possibile, il concetto di libero mercato. Se il libero mercato funziona davvero come una rete equilibrata, tesa tra l’egoismo e la simpatia, potrà generare profitti contenuti, salari giusti in relazione a prezzi equi in modo che tutte le persone coinvolte nel sistema ne traggano un vantaggio ben definito».

     Adam Smith intende l’economia politica come scienza sociale e storica con intenti pratici ma, soprattutto, con obiettivi morali ed educativi. Scrive Smith: «Nella società del libero mercato  prima di tutto è necessario che la persona impari a ben misurare il proprio egoismo e a comunicare in modo adeguato la propria simpatia».

     Ma le raccomandazioni di Adam Smith [il fondatore del liberalismo democratico moderno] - ricche di saggezza umanistica - non sono state debitamente prese in considerazione per cui abbiamo assistito al trionfo dei monopoli, al concentramento degli egoismi e alla spersonalizzazione del mercato sulla cui area globale non c’è pietà e il valore della simpatia, elogiato da Adam Smith, è stato affossato per sempre. Le opere di Adam Smith contengono idee che suonano come una forte condanna del capitalismo liberista in nome dei valori pratici del liberalismo democratico: profitti contenuti, salari giusti in relazione a prezzi equi in modo che tutte le persone coinvolte nel sistema ne traggano un vantaggio ben definito.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Adam Smith nel trattato La ricchezza delle nazioni analizza anche quali possono essere i modi per definire il lavoro... Il lavoro – a seconda delle condizioni - può essere considerato: un male necessario, un’occasione per legare con le altre persone, una necessità psicologica, un’imposizione, un pericolo, una frustrazione, un logoramento, un mezzo per arricchire la personalità, un modo di esprimere la solidarietà umana, un mezzo per contribuire al bene della società, una possibilità per cambiare la società, una necessità economica, un modo per essere indipendenti...  Voi quali [non più di tre] di queste affermazioni scegliereste?... Scrivetele...

     E ora torniamo alla domanda che ci siamo poste e posti all’inizio: la natura umana è buona o è cattiva? Si sa che non è facile rispondere a questo quesito esistenziale che però ci dobbiamo porre perché l’obiettivo è quello di riflettere in proposito.

     In relazione alla domanda, alla quale non è facile rispondere, se la natura umana sia buona o cattiva, ora [in funzione della didattica della lettura e della scrittura] puntiamo la nostra attenzione su un romanzo epistolare famoso, per il successo che ha avuto, intitolato [Les liaisons dangereuses] Le relazioni pericolose scritto da Pierre Choderlos de Laclos il quale ha tenuto conto di ciò che ha scritto Adam Smith: «La società è fatta di relazioni in equilibrio tra l’egoismo e la simpatia.».

     Pierre Choderlos de Laclos è nato il 18 ottobre 1741 ad Amiens in una famiglia di estrazione borghese.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quando ci si trova ad Amiens, città capitale della Piccardia, di circa 140mila abitanti nella regione dell’Alta Francia, non si può fare a meno di fare una visita - con la guida della Francia e navigando in rete - alla Cattedrale di Notre-Dame che, fedele ai canoni del gotico classico, è la più grande cattedrale di Francia... Incuriositevi...    

     Laclos, dopo aver frequentato l’Accademia di belle Arti, decide di dedicarsi alla carriera militare e, in divisa da ufficiale, partecipa agli avvenimenti di questo periodo storico: è tenente nel 1759 nell’esercito della monarchia francese, è colonnello durante la Rivoluzione nel 1792, è generale di brigata nell’esercito di Napoleone di stanza a Napoli e poi a Taranto dove il 5 settembre 1803 muore di malaria e disidratato dalla dissenteria.

     Ma Laclos ha nutrito per tutta la vita una grande passione per la Letteratura e ha sempre scritto: libretti per opere, poesie, brevi trattati, editoriali per i giornali e poi, è passato alla storia, per aver scritto nel 1782, il romanzo epistolare [formato da 175 Lettere] di cui stiamo parlando.

     Le relazioni pericolose [Les liaisons dangereuses] è un’opera morale che ha suscitato scandalo [e che ha ispirato numerosi film, testi teatrali e opere l’arte di vario genere]. L’autore vuole rappresentare la depravazione morale [vuole che si esclami: ma quanto può essere cattiva la natura umana!] e mette in scena la corruzione dell’ambiente aristocratico dell’Ancien régime. I due protagonisti della vicenda narrata sono due rispettabili aristocratici: il visconte di Valmont e la marchesa di Merteuil, ex amanti, e ora complici nel tessere un giuoco pericoloso attuato per sedurre e umiliare alcune persone, e la loro nefasta attività è preparata e raccontata attraverso una fitta corrispondenza. La marchesa di Merteuil è senza dubbio il personaggio chiave dell’opera, la quale, apparentemente irreprensibile, è la regista degli intrighi e di tutte le perfide situazioni in cui, in modo avvincente, si dirama la trama. La marchesa è un’intelligente cultrice della malizia, del cinismo, della corruzione.

     Laclos sa utilizzare la scrittura in modo molto efficace e riesce a intessere una fittissima rete costituita da progetti, manovre, contromanovre, azioni clandestine, confessioni, ipocrisie ben studiate e, con un linguaggio sempre pervaso da un finissimo erotismo, e con in più una capacità di analisi psicologica davvero sorprendente, fa sì che la lettura di una Lettera susciti l’interesse per il testo della successiva [quindi una Lettera tira l’altra, come le ciliegie]. Il testo de Le relazioni pericolose [Les liaisons dangereuses] presenta un quadro realistico di una società moralmente dissoluta e crudele che, come scrive Laclos, sta precipitando verso l’inesorabile autodistruzione nel momento in cui si compiace del proprio potere e del proprio dominio, perché la cattiveria [ed è questo che vuole mettere in evidenza Laclos] non paga, e le persone cattive sono destinate a finir male: difatti, ne Le relazioni pericolose, alla fine, le persone cattive subiscono la giusta punizione, ma non è un tribunale terreno a condannarli ma bensì la Provvidenza divina, anche perché, il visconte e la marchesa, in quanto aristocratici, avevano mille possibilità di farla franca e, quindi, l’autore fa intervenire una giustizia superiore a quella umana.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il testo di questo famoso romanzo epistolare lo trovate in biblioteca e, quindi, leggete Le relazioni pericolose al ritmo di una Lettera al giorno perché questo esercizio stimola la memoria, la ragione e l’immaginazione…

     Siccome le Lettere de Le relazioni pericolose si capiscono nella loro avvincente concatenazione adesso non possiamo leggere il testo di una Lettera e allora leggiamo l’Avvertenza dell’editore che è stata scritta da Laclos stesso in chiave ironica per dire: «Dubito che queste Lettere siano autentiche come ci vorrebbe far credere l’autore, questo è un romanzo, e poi, non succedono mica le cose che l’autore racconta nel nostro meraviglioso paese, ma ci mancherebbe!»

Choderlos de Laclos,   Le relazioni pericolose

AVVERTENZA DELL’EDITORE

Pensiamo che sia nostro dovere informare il pubblico che, malgrado il titolo di questo Libro e quello che ne dice il redattore nella sua prefazione, non garantiamo l’autenticità della raccolta, e abbiamo anzi forti motivi di credere che si tratti di un romanzo. Ci sembra inoltre che l’autore, anche se attento alla verosimiglianza, l’abbia distrutta lui stesso e assai goffamente con la scelta dell’epoca in cui avvengono i fatti; poiché molti dei suoi personaggi sono così corrotti che è impossibile supporre che siano vissuti nel nostro secolo; in questo secolo di filosofia, dove i Lumi, diffusi in ogni dove, hanno, come ognuno sa, reso tutti gli uomini probi e tutte le donne modeste e riservate. Il nostro parere è quindi che, se le vicende riferite in questo Libro hanno un fondo di verità, non siano potute accadere che in altri luoghi o in altri tempi; e biasimiamo altamente l’autore che, sedotto a quel che sembra, dalla speranza di suscitare maggior interesse per mezzo di riferimenti più vicini al suo secolo e al suo paese, ha avuto l’ardire di rappresentare nel quadro dei nostri usi e costumi una morale che ci è tanto lontana. Al fine di mettere in guardia la lettrice e il lettore troppo creduloni, appoggiamo la nostra opinione con un ragionamento molto convincente: secondo voi, oggi, una damigella con sessantamila franchi di rendita, si fa monaca? E una presidentessa, giovane e graziosa, muore di crepacuore per amore? …

     Abbiamo detto che il visconte e la marchesa, in quanto aristocratici, avevano mille possibilità di farla franca di fronte a un tribunale, mentre le streghe, in quanto donne proletarie, avevano mille possibilità di finire sul rogo. Nel 1712 vicino a Londra, viene processata e condannata al rogo una strega: è l’ultimo processo contro una strega in Europa perché il giudice di questo tribunale che è un garantista, un illuminista, un appartenente alla Massoneria e impugna la sentenza, la smonta e fa sì che questa povera donna venga riabilitata e liberata. Il secolo dei Lumi propone un tema importante: quello delle garanzie individuali che lo Stato deve riconoscere alla persona chiamata in giudizio.

     E questo tema ci porta a Milano, e l’appuntamento è per mercoledì 10 gennaio a Bagno a Ripoli, per giovedì 11 gennaio a Tavarnuzze, per venerdì 12 gennaio con il primo gruppo e per venerdì 19 gennaio con il secondo gruppo a Firenze. Quindi ci ritroviamo a Milano nel gennaio dell’anno 1764 [e invece di avere un anno in più: ringiovaniremo di 260 anni come lo studio ci permette di fare in modo diacronico!].

     Siamo a Natale, e il significato di questa festività sta nella parola stessa: il verbo “nascere” rimanda all’atto del prendersi cura e del dispensare accoglienza e, secondo l’etimologia, quindi, a Natale ogni persona dovrebbe essere buona per natura.

     Secondo il Prologo del Vangelo secondo Giovanni la Parola [il Logos] di un Dio clemente e misericordioso s’incarna in un bambino [nell’oggetto più fragile e indifeso che ci sia] che viene alla luce in viaggio [nella situazione più precaria che ci sia] e questo bambino “divino e regale” [che viene in una grotta al freddo e al gelo] compare sotto traccia, non si presenta sotto i riflettori, tuttavia dovrebbe essere accolto ma non tutti sono buoni con Lui. I testi dei primi due capitoli del Vangelo secondo Matteo e dei primi due capitoli del Vangelo secondo Luca [rileggeteli] ci presentano da una parte «le persone [buone] della speranza [la giovane Maria, il giusto Giuseppe, i pastori, i vecchi Simeone e Anna, i Magi]» dall’altra «gli uomini del diniego [i cattivi: il re Erode, i dottori del Tempio, gli affaristi senza scrupoli]». Ebbene, «le persone della speranza» rispondono generosamente, mentre «gli uomini del diniego» ostentano un comportamento repressivo e discriminatorio. «Le persone della speranza» sono capaci, con le loro scelte, di introdurre nella storia la pace, la gioia e l’amore solidale mentre il comportamento «degli uomini del diniego» provoca la morte e la sofferenza.

     Oggi, come allora, bisogna fare una scelta perché la bontà della natura umana dipende dalla volontà e dall’educazione! Ed è sulla scia di questa affermazione, nella quale si concentra l’essenza del Natale, che il nostro viaggio continua, e per questo, anche nel prossimo anno, la Scuola è qui per garantire alle cittadine e ai cittadini di questo territorio il diritto all’Apprendimento permanente!

     E ora, per concludere, ancora una volta [per il 40° anno] auspico che possa scendere su di noi un augurio: l’augurio di un buon Natale di studio, in quanto la bontà della natura umana dipende anche dalla cura, e si origina anche con lo studio perché lo studio è cura per il corpo, l’intelletto e lo spirito! Auguri a tutte e a tutti voi!...

 

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Dicembre 15, 2023