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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI, DOPO AVER CONSULTATO L’ENCYCLOPÉDIE, SI VA A CENA DAL BARONE D’HOLBACH A GUSTARE LE PRIME IDEALI PORTATE …

Lezione N.: 
6

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi

11-12-13  e 20  gennaio 2023

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI,

DOPO AVER CONSULTATO L’ENCYCLOPÉDIE,

SI VA A CENA DAL BARONE D’HOLBACH

A GUSTARE LE PRIME IDEALI PORTATE …

     Ben tornate e ben tornati a Scuola: buon anno di studio a tutte e a tutti voi che rendete possibile attraverso l’Associazione “Articolo 34” la presenza della Scuola pubblica degli Adulti su questo territorio. Inizia, con il sesto itinerario, la seconda parte di questo viaggio che comprende tutta la stagione invernale fino alla prossima primavera e, quindi, riprendiamo il nostro cammino sul territorio del secolo dei Lumi.

     Questa sera [come dovreste ricordare] ci troviamo in compagnia di Diderot e d’Alembert che ci metteranno al corrente del loro progetto che prevede la realizzazione dell’Encyclopédie, e poi come sapete siamo, insieme a Diderot e d’Alembert, invitate e invitati a cena dal barone d’Holbach, una cena che c’impegnerà per più di in itinerario e non tanto per ciò che si mangia ma per ciò che si dice. E, quindi, procediamo con ordine.

     Denis Diderot nel 1750 scrive un saggio intitolato Prospectus Encyclopediae [La prospettiva lungimirante dell’Enciclopedia] e nel 1751 Jean Baptiste d’Alembert compone un’opera intitolata Discorso preliminare su l’Encyclopédie. In queste due opere - nelle quali si delinea concretamente il progetto che hanno in mente di realizzare - gli autori affermano che la Ragione è uno strumento di difesa di cui la persona dispone per far valere i propri diritti e per prendere coscienza dei propri doveri. In queste due opere gli autori, codificando i principi dell’Illuminismo, affermano che la Ragione umana esprime dei bisogni irrinunciabili per la persona come quello all’indipendenza [nessuna persona può essere ridotta in schiavitù], all’uguaglianza [tutte le persone sono state create uguali], all’universalità [la persona è cittadina del Mondo, e devono cadere i confini], al contratto [nessuna persona deve lavorare senza contratto], alla tolleranza [tra le persone deve valere la regola dell’altruismo].

     In queste due opere gli autori affermano che la Ragione sa interpretare la Storia del Pensiero Umano nella sua evoluzione e sa far emergere i concetti-cardine necessari alla costruzione di un mondo diverso e di un ambiente migliore, e questi concetti, patrimonio dell’età dei Lumi, corrispondono alle parole: progresso, civilizzazione [civilisation], umanità, benevolenza [bienfaisance], filantropia, cosmopolitismo, utilità, felicità [bonheur]. Queste due opere - nelle quali gli autori delineano concretamente il progetto che hanno in mente di realizzare - fanno nascere un fruttuoso dibattito al quale partecipano [sebbene si tratti di un’esigua minoranza] personalità provenienti da settori diversi della società; e questo fa sì che si formi un produttivo laboratorio di integrazione culturale e, quindi, si ritrovano insieme a discutere e a studiare aristocratici, borghesi ed ecclesiastici: difatti tanto per fare alcuni nomi, si riconoscono nelle idee messe in circolazione da Diderot e d’Alembert degli aristocratici come Montesquieu, Turgot, Buffon, Helvètius, Condorcet, d’Holbach, e dei borghesi come Voltaire, Rousseau, gli stessi Diderot e d’Alembert, e degli ecclesiastici come Condillac, Morelly, Meslier, Mably, Raynal. Questa sorta di integrazione sociale tra intellettuali [ai quali viene dato il nome generico di “nuovi filosofi”] costituisce la miscela esplosiva del movimento illuminista perché personalità provenienti da aree culturali diverse decidono, per usare una metafora, di mettere a dimora le radici del loro pensiero nello stesso terreno [arato e concimato allo stesso modo]. Così succede che il confronto di idee tra le varie correnti culturali che si sono sviluppate nel secolo precedente [sul territorio del Seicento sul quale abbiamo viaggiato negli ultimi tre anni] come il meccanicismo, il giusnaturalismo, l’empirismo, il cristianesimo fedele alla Letteratura dei Vangeli e critico nei confronti del clericalismo integralista, ebbene, succede che il confronto tra queste tendenze e concezioni diverse che si manifesta all’interno di uno stesso perimetro di riferimento, alla luce della Ragione, fa nascere, nella mente di chi dibatte, la volontà di acquisire nuovi apprendimenti che incentivino il funzionamento delle azioni cognitive [per conoscere, per capire, per applicarsi ancora di più e per analizzare, sintetizzare e valutare ancora meglio] E allora…

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di queste parole-chiave che costituiscono il patrimonio intellettuale dell’età dei Lumi - progresso, civilizzazione, umanità, benevolenza, filantropia, cosmopolitismo, utilità, felicità - scegliereste per prima?... La scelta di un termine - in un elenco di parole tutte ricche di valore come queste - è un esercizio utile perché obbliga la ragione a discernere, e il discernimento fa muovere la mente della persona sulla via che conduce alla saggezza...     

     La situazione che abbiamo descritto produce, tanto per usare ancora una metafora, l’effetto della pietra,per quanto piccola possa essere, buttata nello stagno: questo gesto come sapete genera un movimento concentrico sull’acqua e, potrebbe sembrare paradossale ma non lo è, l’onda dalla circonferenza più ampia è quella che coinvolge la corrente riformista del mondo ecclesiale [quella che ha ereditato lo spirito di Port-Royal alla quale aderiscono molti intellettuali laici e la quasi totalità del basso clero] che sente la necessità di essere fedele in modo rigoroso al Vangelo, che tiene le distanze dal potere assoluto e che opera per la crescita economica e culturale delle fasce più deboli della popolazione, e si deve constatare che i lettori più numerosi e attenti, anche perché sanno leggere, dello opere di Diderot e di d’Alembert si trovano nel basso clero, che condivide la vita della classi popolari. E per esempio delle quaranta copie de l’Encyclopédie esistenti nella regione del Perigord, ventiquattro appartengono a parroci, anche se, nel 1759, l’Encyclopédie è sta messa all’Indice dal Sant’Uffizio.

     Le idee dell’Illuminismo [e dobbiamo dirlo subito] non hanno cambiato il mondo come le protagoniste e i protagonisti di questa stagione avrebbero voluto: il pianeta è solo diventato in minima parte, e teoricamente, più umano, più pacifico e più cosmopolita ma nel laboratorio culturale che abbiamo descritto hanno preso forma degli oggetti di valore che hanno arricchito la Storia del Pensiero Umano a cominciare da quel prodotto dell’intelligenza che si chiama Encyclopédie, e che cos’è l’Encyclopédie? L’Encyclopédie è un dizionario che raccoglie più di 60.000 voci e, difatti, questo particolare viene evidenziato nel sottotitolo: Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. La costruzione di questo dizionario è stata diretta [e lo sappiamo] da Denis Diderot e Jean Baptist d’Alembert e prossimamente questi due personaggi li conosceremo meglio.

     L’Encyclopédie è stata pubblicata a Parigi - in diciassette volumi di testo più undici tomi di tavole contenenti delle illustrazioni - tra il 1751 e il 1772, e il termine “enciclopedia” deriva dal greco e, letteralmente, significa “istruzione circolare” [per far circolare l’istruzione]. Noi sappiamo, e abbiamo affrontato più di una volta questo tema in questi anni, che l’idea di ordinare sistematicamente i vari rami del sapere era già presente nel mondo greco e in quello latino e, in seguito, durante il Medioevo, sono state composte molte raccolte enciclopediche chiamate “summae, tresors, specula”. Il primo grande rinnovatore di questo genere letterario è stato Francesco Bacone [1561-1626] con la sua opera intitolata Novum Organum e, per tutto il ‘600, si assiste alla creazione di dizionari eruditi che mettono in ordine alfabetico le conoscenze acquisite.

     In Francia l’idea di costruire un’Encyclopédie scaturisce da due atteggiamenti: uno di carattere culturale e scientifico e l’altro di carattere commerciale. L’editore Le Breton vuole stampare una traduzione dall’inglese di un’opera che s’intitola Cyclopaedia, un dizionario scritto tra il 1738 e il 1750 che raccoglie molte voci del sapere, con l’intento di fare un bilancio del passato in modo da poter progettare meglio il futuro, e l’editore Le Breton affida il lavoro di traduzione al letterato Diderot affiancato dallo scienziato d’Alembert. Ma nell’ottobre del 1747 Diderot e d’Alembert abbandonano questo lavoro di traduzione perché come sappiamo hanno in mente qualcosa di nuovo, vogliono produrre un oggetto che sia “opera di una società di studiosi”, che sia il frutto collettivo di una collaborazione tra specialisti e, per realizzare questo progetto corale, chiamano a collaborare i più illustri intellettuali del momento: Montesquieu, Voltaire, Buffon, Quesnay, Turgot, Rousseau, d’Holbach, de Jancourt. Ne abbiamo citato solo alcuni perché alla realizzazione de l’Encyclopédie hanno lavorato più di centosessanta collaboratori, e i primi due volumi escono nel 1751 e nel 1752 suscitando vivaci reazioni polemiche: quella più caustica è la reazione dei Gesuiti che si sentono espropriati del monopolio del sapere che detengono. La Corte reale, istigata dai conservatori e dagli oscurantisti, decide di sopprimere l’iniziativa ma - con la mediazione di un magistrato illuminato, Malesherbes, e di alcuni autorevoli cortigiani dotati di spirito innovatore, tra cui madame Pompadour - si permette la pubblicazione nel novembre del 1753 anche del terzo volume e poi dei volumi successivi fino al settimo pubblicato nel 1758. Ma è da questo momento che gli enciclopedisti subiscono gli attacchi più violenti: vengono accusati di empietà e di materialismo e, di conseguenza, il gruppo che coordina i lavori del progetto è costretto a sciogliersi; d’Alembert abbandona l’impresa stanco di polemiche e dei pochi guadagni, Rousseau, in disaccordo da tempo con i nuovi filosofi, si defila.

     Nel 1759 l’Encyclopédie viene condannata dalle autorità civili ed ecclesiastiche e Diderot, clandestinamente, con alcuni collaboratori, prosegue l’opera redazionale e nel 1765 escono, con un titolo modificato, gli ultimi dieci volumi di testo, e nel 1772 vengono completati anche gli undici volumi delle tavole. I volumi delle tavole de l’Encyclopédie realizzate da abili disegnatori sono una vera novità perché creano quella che si può chiamare una filosofia dell’oggetto in quanto non sono delle semplici illustrazioni legate alla spiegazione scritta dell’oggetto ma rappresentano una forma autonoma di iconografia, un libero esercizio estetico: ogni tavola è un capolavoro indipendente e le potete osservare in rete cercando “tavole dell’Encyclopédie”.

     Che ruolo ha l’Encyclopédie nella Storia del Pensiero Umano? Agli autori interessa relativamente fornire un quadro unitario del sapere, delle scienze e delle arti perché questo intento, come abbiamo detto, lo avevano avuto anche altri prima di loro nel corso dei secoli. L’obiettivo che si propongono gli autori de l’Encyclopédie è quello di far sì che la persona, consultando l’opera, diventi più capace di entrare in rapporto con la natura e con gli altri esseri umani. Per questo motivo, coloro i quali hanno lavorato per realizzare questa impresa ritengono che il risultato della loro attività debba servire per incrementare - e questa è la ragione per cui è utile l’Encyclopédie - tre fondamentali facoltà del pensiero umano: la memoria da cui derivano le discipline storiche, la ragione che è all’origine di ogni filosofia e di ogni scienza e l’immaginazione che ha il suo grado più elevato nella produzione della poesia.

     La memoria [che genera storia], la ragione [che dà vita a filosofia e scienza] e l’immaginazione [che crea poesia] sono le facoltà che permettono alla persona di vivere esperienze di carattere associativo, di natura collettiva, di condivisione comune perché è in questo contesto di partecipazione che nascono le tecniche che portano allo sviluppo delle scienze naturali e morali in modo che cresca l’attività di studio e si abbia un incremento dell’intelligenza umana: a Diderot e d’Alembert non interessa trasmettere una documentazione integrale ed esaustiva del passato ma selezionano in funzione e in base alle esigenze del presente e puntano la loro attenzione sui pensatori moderni dei secoli XVI e XVII: vogliono che chi utilizza l’Encyclopédie colga la lezione di Bacone, di Cartesio, di Montaigne, di Galileo, di Leibniz, di Locke, di Newton. «L’obiettivo de l’Encyclopédie [scrive Diderot] è quello di cambiare il modo di pensare comune. Il sapere non è un catalogo di conoscenze acquisite per sempre ma è un processo in continuo e progressivo cammino che si sviluppa come un’opera aperta, in cui s’incontrano e si scontrano i diversi punti di vista delle persone che studiano».

     L’Encyclopédie, nonostante le condanne, ha avuto un successo straordinario, le persone che hanno prenotato la prima edizione sono state ben 4255 e oggi, forse, questo dato ci fa un po’ sorridere ma allora questo numero ha rappresentato [e lo diciamo con un ossimoro] una vasta minoranza che ha anticipato il fatto che, poi, via via, le Enciclopedie sono entrate in tutte le case. Prima della Rivoluzione francese l’Encyclopédie ha avuto cinque ristampe e traduzioni integrali: a Parigi, a Ginevra, a Lucca, a Livorno e a Losanna. Tra il 1974 e il 1979 l’editore parmense Franco Maria Ricci [1937-2020] ha ripubblicato in 18 volumi la versione originale de l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert,

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Le statistiche dicono che in tutte le case c’è un’enciclopedia...

Scrivete quattro righe in proposito sulla vostra o le vostre enciclopedie...

     E adesso, in compagnia di Diderot e d’Alembert, raggiungiamo il numero 16 di Place de Vosges, nel quartiere parigino de le Marais dove, in uno dei 36 palazzi del ‘600 che circondano questa storica piazza, abita il barone Paul-Henry d’Holbach dal quale  abbiamo avuto il privilegio di essere invitate e invitati a cena.

     Come mai abbiamo avuto questo privilegio? Il barone [anticipa i tempi] sa che frequentiamo la Scuola e stiamo [precorrendo i tempi] applicando l’Articolo 34 della Costituzione: siamo, quindi, secondo lui, cittadine e cittadini esemplari che meritano di essere invitate e invitati a una cena di studio. Ma, prima di varcare la soglia del palazzo del barone d’Holbach, non possiamo non fare due passi per le vie e per le piazze dello storico quartiere parigino in cui ci troviamo.

     Il barone Paul-Henry d’Holbach abita [ha anche una seconda residenza] nello storico quartiere parigino de le Marais che significa “la palude” per il fatto che, fin dal Medioevo, le alluvioni della Senna hanno reso questa zona della città un autentico acquitrino fino a quando, a cominciare dalla metà del Seicento, dopo una lunga operazione di bonifica, quest’area ha ospitato un nuovo moderno quartiere sul cui territorio, dopo che è stato lottizzato, sono sorti i palazzi secenteschi dell’aristocrazia come quelli che circondano Place de Vosges dove, in un palazzo che ha ereditato dallo zio, risiede il barone d’Holbach.

     Utilizzando una carta di Parigi - che trovate su una guida della città e sulla rete - potete fare una passeggiata in questo quartiere: si parte da la Place de l’Hôtel de Ville, il Municipio, una vasta area che, nel Medioevo, si chiamava Place de Grève, cioè Piazza del greto della Senna, dove c’era anche un porto fluviale, e questo è diventato un luogo di raduno per le cittadine e i cittadini parigini: da qui sono partite tutte le sommosse popolari, e quando il popolo vi si radunava si diceva che “faceva la grève”, e questo modo di dire ha assunto un senso lessicale particolare e se andate a consultare un dizionario di francese scoprite che la parola “grève”, prima ancora che “greto”, significa “sciopero”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Nel quartiere de le Marais ci sono molti monumenti interessanti da visitare: le Piazze, le Chiese, i Palazzi, i Musei… E da un monumento in particolare potete cominciare la vostra visita: dall’Hôtel Carnavalet [considerato uno degli edifici più belli di Parigi]… Buona passeggiata…

     E ora varchiamo la soglia del palazzo del barone d’Holbach ed entriamo nella sala da pranzo per prendere posto [La nostra partecipazione è sostanzialmente di carattere intellettuale, ed è una cena corposa da questo punto di vista]. Siamo entrate ed entrati nel palazzo alla chetichella per non allarmare la gendarmeria perché, come abbiamo ricordato prima della vacanza, oltre al padrone di casa, i commensali [tra gli invitati c’è anche David Hume che abbiamo incontrato alla fine di ottobre e ai primi di novembre] sono considerati individui pericolosi. Uno degli ospiti, che viene da lontano, dal sud d’Italia, arriverà più tardi e si comincia anche senza di lui, e mentre viene portato in tavola il consommè [un brodino, e spero abbiate già cenato o fatto merenda] ci domandiamo quale sia la causa della pericolosità di questi studiosi.

     I partecipanti alla cena a casa del barone d’Holbach sono considerati pericolosi perché si occupano di un tema scottante: la questione religiosa. Ma perché direte voi si considera pericoloso questo tema se dai secoli precedenti non si fa altro che parlarne? Ebbene, non si considera pericoloso il tema in se stesso ma il modo in cui viene posto: e come viene posta la questione religiosa nel gennaio del 1765 a casa del barone d’Holbach durante la cena che ha organizzato per commemorare Montesquieu a dieci anni dalla morte? Quando tutti hanno preso posto a tavola il barone d’Holbach dà inizio alla commemorazione pronunciando un discorso nel quale sottolinea come Montesquieu abbia trattato in modo critico il tema religioso in quanto, secondo lui, la religione influisce negativamente sullo spirito delle leggi. Il barone d’Holbach afferma che Montesquieu ha raccomandato nelle sue opere di non considerare le leggi come se fossero sacre e immutabili, e ha dimostrato - soprattutto nelle Lettere persiane - di non avere molta fiducia nei legislatori perché nella maggior parte dei casi «sono stati uomini limitati» i quali hanno permesso che le leggi conservassero la sacralità, la continuità e l’intoccabilità, tre caratteri che [secondo Montesquieu, ribadisce il barone d’Holbach] dimostrano l’insorgenza, in campo legislativo, del vecchio nemico della ragione: la teologia, in quanto l’idea teologica della fede assoluta in Dio e nelle sue leggi divine, assurte a dogmi, fa sì che l’essere umano non pensi in alcun modo di poter regolare autonomamente la propria esistenza come ogni persona ragionevole dovrebbe essere in grado di fare. E, in proposito, il barone d’Holbach legge un frammento dalle Lettere persiane [dalla LXXXIII]: «Così [scrive Montesquieu], anche se Dio non esistesse, dovremmo comunque amare la giustizia, cioè fare ogni sforzo per assomigliare a quell’essere di cui abbiamo un’idea così bella e che, se esistesse, sarebbe necessariamente giusto» e, quindi, le leggi, [conclude il barone d’Holbach citando Montesquieu] - che sono gli unici strumenti necessari a regolamentare la condizione umana - è doveroso che possiedano un’impronta naturale e non un’indole divina di carattere dogmatico se si vuole che la legislazione sia permeata da un autentico afflato morale perché «la Giustizia esiste anche se Dio non esiste». [A questo punto il barone d’Holbach invita i suoi ospiti a osservare un momento di silenzio per onorare la memoria di Montesquieu].

     Gli invitati a cena dal barone d’Holbach vogliono porre la questione religiosa partendo da una domanda: la religione è il risultato dell’iniziativa di Dio oppure Dio è un risultato, è un’idea costruita in base al sentimento religioso? I qui presenti propendono per la seconda ipotesi: «il concetto di Dio [come ci ha spiegato Hume nel secondo itinerario di questo viaggio] nasce dal bisogno naturale che le persone hanno di protezione, di consolazione, di salvezza»: questa affermazione è considerata gravemente erronea e blasfema da tutti gli Apparati religiosi ed è prevista una condanna per chi la sostiene [e la fortezza della Bastiglia è vicina a Place de Vosges] e gli aristocratici, in quanto classe privilegiata, sono un po’ più protetti rispetto ai borghesi nel manifestare le proprie idee [e il borghese Diderot, poco prudente nelle sue affermazioni, ha già scontato, a suo tempo, tre mesi di galera per il reato di blasfemia].

     E ora [mentre tutti sorseggiano il consommè] puntiamo l’attenzione, in primo luogo, su alcuni personaggi importanti sebbene poco noti che hanno formulato una serie di idee significative per quanto riguarda il dibattito in corso. Il primo di questi personaggi è presente virtualmente perché è morto da quasi 15 anni: a questo proposito dobbiamo sapere che il barone d’Holbach ha organizzato questa cena oltre che per ricordare Montesquieu, anche per presentare un’opera, non sua [le sue opere non le ha mai presentate come sue], che lui ha fatto ristampare perché quando è stata pubblicata per la prima volta nel 1747 è andata subito esaurita e, avendo suscitato scandalo, non era stata più ristampata. Quest’opera è stata scritta da chi il barone d’Holbach considera uno dei suoi maestri, Julien de La Mettrie [1709-1751], e quest’opera s’intitola L’uomo macchina [L’Homme machine], e il barone ne ha fatto stampare clandestinamente ad Amsterdam ben cento copie perché vuole divulgare con circospezione questo testo. Ma chi è Julien de La Mettrie?

     La Mettrie è nato nel dicembre del 1709 a Saint-Malo, città portuale [che oggi conta circa 50mila abitanti] situata sul litorale esposto alle maree della Bretagna [Saint-Malo prende il nome dal monaco gallese Mac Low che è sbarcato qui nel VI secolo per evangelizzare questa zona della Francia]. Il suo centro storico è sorto su un’isola collegata alla costa, ed è circondato da una suggestiva cinta di bastioni con al centro la Cattedrale [la cui architettura mescola gli stili romanico e gotico ed è dedicata a San Vincenzo di Saragozza].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Francia e navigando in rete fate una visita a Saint-Malo, una città ricca di monumenti storici e di curiosità da conoscere [sui pirati, sulle isole Malvine ... fate ricerca!]...

     Il padre di La Mettrie [anche lui si chiama Julien] è un armatore e avrebbe voluto [così come la madre Marie Gaudron du Clos] che il figlio intraprendesse la carriera ecclesiastica e, quindi, da prima, Julien ha studiato teologia nel Collège di orientamento giansenista du Plessis a Parigi, ma lui rifugge da questa imposizione perché vuole studiare medicina per cui si trasferisce a Leida in Olanda dove c’è una facoltà all’avanguardia, e, dopo la specializzazione, torna a Parigi per svolgere la professione di chirurgo in particolare delle guardie della città. La Mettrie è uno studioso del pensiero di Epicuro e di Lucrezio e aderisce al determinismo [in natura nulla avviene per caso ma tutto accade secondo rapporti di causa-effetto], aderisce al sensismo [la conoscenza della realtà avviene mediante le sensazioni] e al meccanicismo [tutti gli enti hanno una natura corporea]. E se tutti gli enti hanno una natura corporea anche l’anima è materiale e muore e si decompone con il corpo e su questo argomento La Mettrie nel 1745 compone un saggio intitolato Storia naturale dell’anima che viene subito messo all’Indice per cui torna a Leida dove sviluppa più ampiamente le sue idee nell’opera L’uomo macchina il cui testo come s’è detto viene considerato così scandaloso che La Mettrie è costretto a fuggire anche da Leida, e viene ospitato da Federico II di Prussia che [anche se lo tratta con superficialità come se fosse un giullare] gli garantisce un posto all’Accademia di Berlino.

     Ma che cosa scrive di così scandaloso La Mettrie? Ne L’uomo macchina afferma, continuando gli studi fisiologici di Cartesio, che l’intera Natura deve essere considerata come una macchina complessa, affascinante e dotata, per poter funzionare, di un’eccellente qualità tecnica. Il corpo umano, scrive La Mettrie, è una macchina straordinaria che funziona in virtù di fenomeni fisici, e i fenomeni psichici [la mente, il pensiero, l’anima] derivano dai fenomeni fisici. E come si producono i fenomeni fisici? Probabilmente, scrive La Mettrie, si può supporre che la materia stessa di cui tutta la realtà è fatta abbia tra i suoi attributi essenziali la sensazione e il pensiero e, quindi, possiamo supporre, afferma La Mettrie, che la materia senta e pensi. Ma questa, scrive La Mettrie, è un’ipotesi che va dimostrata [la domanda è: in che modo il pensiero deriva dalla materia?] e, quindi, la ricerca deve continuare in questa direzione e lo studio di questa macchina complessa che è il corpo umano deve intensificarsi perché afferma La Mettrie «la persona è il suo corpo» e l’ente che viene chiamato “anima” non è altro che corpo. Il corpo è materia, scrive La Mettrie, e quando cessa di funzionare torna alla materia e se, per ipotesi, la materia sentisse e pensasse come si concilierebbe il sentire e il pensare individuale con il sentire e il pensare universale della materia? Si potrebbe ritenere, si domanda La Mettrie, che la materia dell’Universo s’impregni delle nostre sensazioni e dei nostri pensieri che sopravvivono a noi? La Mettrie lascia aperto questo problema affascinante [naturalmente La Mettrie non pensa all’esistenza né dei fantasmi né degli spiriti!]. Nell’opera del 1751 intitolata La Voluttà La Mettrie scrive che il fine della vita sta nel piacere dei sensi e la virtù consiste nell’amore che la persona ha per sé stessa, e che solo l’ateismo può assicurare la felicità al mondo perché libera l’individuo dalle sciocche imposizioni delle religioni utilizzate per abbruttire le persone. La predilezione di La Mettrie per la buona cucina è considerata la causa della sua morte precoce a 42 anni avvenuta a Postdam l’11 novembre 1751. Federico II di Prussia, in una Lettera alla sorella Guglielmina, scrive: «Ieri è morto La Mettrie. Era una persona allegra, un buon diavolo, un buon dottore e un pessimo scrittore e chi non ha letto i suoi libri può considerarsi felice. Mi hanno riferito che è morto per indigestione dopo aver mangiato un piatto, assai abbondante, a base di fagiano». Presumibilmente è morto d’infarto ma c’è chi ha ipotizzato un possibile avvelenamento e l’ultima sua opera - intitolata Il piccolo uomo dalla lunga coda - è un’ironica autodifesa in cui confessa il suo timore di essere “la vittima de la rabbia delle anime pie che vogliono sacrificare il proprio corpo per santificarlo”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il corpo di ciascuna e di ciascuno di noi è senza dubbio una macchina complessa, complicata e affascinante: qual è il maggior pregio che attribuite al vostro corpo, e qual è il difetto che non vorreste che il vostro corpo avesse?... 

Scrivete quattro righe in proposito…

     Il barone d’Holbach ricorda ai suoi commensali [e anche a noi] che La Mettrie ha composto nel 1751 anche un breve compendio [un opuscolo] sull’etica epicurea intitolato Antiseneca, ovvero Discorso sulla felicità, che è da ritenersi uno dei testi più eloquenti della Letteratura illuministica, e ora ne leggiamo l’incipit.

Julien de La Mettrie,  Antiseneca, ovvero Discorso sulla felicità

Come ci sentiamo contrari a tutti i filosofi che vogliono apparire severi, tristi e duri così noi saremo dolci, allegri e compiacenti. I filosofi austeri pretendono di essere tutti anima ed esigono di prescindere dal loro corpo; noi invece ci rallegriamo di essere tutti corpo e desideriamo prescindere dalla nostra anima. Essi si mostrano inaccessibili al piacere e al dolore noi, viceversa, ci gloriamo di sentire tanto il piacere quanto il dolore. …

     E adesso mentre vengono portati in tavola i formaggi e vengono stappate le bottiglie di Bordeaux [de La Brède, la tenuta di Montesqueau, annata 1761] facciamo conoscenza con il padrone di casa, con il barone Paul-Henry d’Holbach: un personaggio davvero interessante.

     Paul-Henry d’Holbach, come si deduce dal nome, è di origine tedesca e, infatti, è nato l’8 dicembre 1723 a Edeshaim, un piccolo comune [oggi conta circa 2300 abitanti] della Renania-Palatinato, regione del sud-ovest della Germania, che, alla nascita di Paul-Henry, era un piccolo Stato ubicato sulla riva sinistra del Reno.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Germania e navigando in rete [dove trovate molte fotografie] fate una visita a Edeshaim e alla regione del Palatinato...  

     Paul-Henry d’Holbach nasce in una modesta famiglia borghese e dei suoi genitori abbiamo scarse notizie, sappiamo che per il suo avvenire è stato decisivo lo zio Franz-Adam von Holbach che, emigrato in Francia, si è arricchito con fortunate speculazioni finanziarie riuscendo nel 1720 a entrare nei ranghi della nobiltà fino ad acquisire il titolo di barone. Lo zio Franz-Adam accoglie il nipote dodicenne a Parigi nel 1735 e si occupa della sua educazione, e affinché completi la sua formazione in modo eccellente lo manda a studiare in Olanda alla facoltà di giurisprudenza della rinomata Università di Leida dove Paul-Henry respira l’aria progressista di quel paese, e infine lo zio, non avendo figli, alla sua morte,avvenuta nel 1753, gli lascia quasi tutto il suo patrimonio e il titolo nobiliare per cui Paul-Henry, naturalizzato francese, diventa il barone d’Holbach e apre il salotto della sua casa [la sua seconda casa] in rue Saint-Roc [oggi al n.8 di rue des Moulins]. Questa casa diventa ben presto il più vivace ritrovo intellettuale parigino frequentato [è aperto il giovedì e la domenica] dalle personalità più in vista del suo tempo, diplomatici e intellettuali di stanza o di passaggio da Parigi, e la cosa più interessante è che questo salotto parigino [che ospita quella che è stata chiamata la “Coterie holbachique”, la consorteria d’Holbach, e il termine consorteria richiama la segretezza] è l’unico a essere diretto da un uomo [i salotti sono, in tutta Europa, gestiti dalle signore]. Il barone d’Holbach si avvale della collaborazione di un intellettuale [pittore, scultore, scrittore] che si chiana Jacques-André Naigeon [1738-1810] che lo assiste nel far funzionare una rete segreta utile a favorire la stampa e la diffusione di opere soggette alla censura dando vita, come abbiamo potuto constatare per l’opera di La Mettrie, al più importante canale europeo di “Letteratura clandestina” di quest’epoca: giovandosi della complicità di persone fidate, si tratta di far arrivare segretamente ai tipografi olandesi [in Olanda non c’è censura] i manoscritti che, una volta stampati, vengono fatti rientrare in Francia principalmente da Sedan ricorrendo agli espedienti più vari: di solito i libri sono nascosti nei carichi di derrate alimentari e Diderot, scherzando, allude al fatto che per poter leggere certi Libri «bisogna rifornirsi alla panetteria (boulangérie) holbachiana», e sussurra queste parole con circospezione perché chi viene scoperto in questo traffico subisce pesanti condanne.

     È doveroso ricordare che il 2 febbraio 1750 Paul-Henry ha sposato Basile-Geneviève d’Aine che è la figlia di una cugina dello zio Franz-Adam e appartiene a una ricca famiglia borghese: è un matrimonio combinato ma è anche un matrimonio d’amore, e quando purtroppo, a soli venticinque anni nel 1754, Basile-Geneviève [dopo che l’anno precedente aveva partorito un bambino, François] muore dopo una straziante agonia a causa di un’improvvisa malattia, il neo-barone d’Holbach subisce una crisi profonda. A questo proposito, Alessandro Verri, in una Lettera al fratello Pietro [i fratelli Verri li incontreremo a suo tempo] s’interroga scrivendo: «Sarà per aver assistito alla morte della amata moglie tra atroci tormenti che il barone d’Holbach è divenuto un ateista ancor più furioso dichiarando che se Dio esistesse sarebbe un essere crudele e, di conseguenza, il buon senso induce all’ateismo?». E il buon senso non fa perdere al barone d’Holbach la volontà di combattere, pur rimanendo sempre nell’anonimato, per affermare il diritto alla libera circolazione delle idee e per creare le condizioni perché, in una società civile, ci possa essere la libertà di parola e la libertà di stampa.

     Il barone d’Holbach è stato, innanzitutto, un valido collaboratore de l’Encyclopédie per la quale ha curato, mantenendo l’anonimato, un alto numero di voci, e si è distinto per aver scritto molti Opuscoli ateisti [che hanno circolato clandestinamente, e il più celebre s’intitola Il buon senso dell’ateismo] utilizzando lo pseudonimo di Nicolas-Antoine Boulanger [un ingegnere e un filosofo scettico morto nel 1759].

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Con l’enciclopedia e navigando in rete andate a conoscere un po’ meglio Nicolas-Antoine Boulanger [del quale il barone d’Holbach usa il nome come pseudonimo] che è stato un pensatore originale immeritatamente trascurato dalle storiche e dagli storici della filosofia...

     L’opera più famosa del barone d’Holbach - che per prudenza ha preferito circolasse manoscritta e firmata con lo pseudonimo di Jean-Baptiste Mirabaud [uno scrittore e ottimo traduttore morto nel 1760] - s’intitola Sistema della natura, che, per volontà del barone, è stata pubblicata ad Amsterdam nel 1790, l’anno successivo alla sua morte.

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Con l’enciclopedia e navigando in rete andate a scoprire che cosa ha tradotto, in onore alla Letteratura italiana, Jean-Baptiste Mirabaud [altro pseudonimo utilizzato dal barone d’Holbach]...

     Il trattato Sistema della natura ha favorito la nascita di una corrente di pensiero soprannominata della “filosofia morale materialista”. Nel testo di questo scritto d’Holbach sostiene che la Natura è formata da una materia capace di auto-generarsi  e di auto-aggregarsi, e questo processo di auto-generazione è, scrive d’Holbach, costante ed eterno, ed è causato dal movimento planetario che è, afferma d’Holbach, un fenomeno idoneo a creare l’energia necessaria per il processo di generazione. L’essere umano, scrive d’Holbach, è un prodotto della Natura e solo nella Natura può trovare la spiegazione della sua esistenza e dell’esistenza del mondo.

     Il pensiero umano, afferma d’Holbach, deve rinunciare al tentativo di andare al di là della fisica perché questo tentativo - il mistificante inganno metafisico - non riesce a far altro che produrre miti, superstizioni e religioni che hanno ostacolato e ostacolano la ricerca nel campo dei fenomeni fisici, psichici e spirituali.

     Il compito dell’Educazione, scrive d’Holbach, è quello di liberare la persona dai fantasmi generati dalla superstizione e dalla religione che causano le sofferenze dell’umanità perché, se si postula l’esistenza di una divinità, afferma d’Holbach, si costringe la mente della persona a produrre false immagini per cui la persona viene distolta dal suo fine ultimo che consiste nel tentativo di costruire i presupposti necessari per la diffusione della felicità terrena [le persone hanno il diritto a essere felici]; di conseguenza, ribadisce d’Holbach,, la condizione preliminare per fondare una autentica morale umana è rappresentata dall’ateismo, e la persona trova conforto, consolazione e felicità se cerca il contatto fisico e intellettuale non con il mondo-creato, che è un artificio letterario, ma con la Natura, esistente di per sé, da sempre.

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Dove andate voi solitamente a cercare un contatto [fisico e intellettuale] con la Natura? ...

Scrivete quattro righe in proposito…

     Mentre la cena procede, la conversazione s’incentra sul tema dell’ateismo, e Hume [che abbiamo incontrato a suo tempo] interviene e ironicamente dichiara che in Inghilterra nessuno di sua conoscenza ha mai fatto una professione pubblica di ateismo, e rivolto al padrone di casa, di cui conosce il pensiero, afferma di essere questa la prima volta che incontra un ateo dichiarato in vita sua! E il barone d’Holbach risponde dicendo: «Caro Hume, non so se per voi incontrare un ateo è un desiderio o solo una curiosità, ebbene, avete fatto un bel colpo questa sera, siete circondato da persone che, quasi tutte e a livello internazionale, si dichiarano atee e, visto che non farete indigestione di cibo, fate attenzione a non fare indigestione di ateismo!» Questa cena ha, infatti, un carattere internazionale: ci sono i francesi, c’è Hume che è inglese, ci sono i tedeschi e si attende un italiano, o meglio, un napoletano!

     I pensatori tedeschi invitati a cena dal barone d’Holbach non si dichiarano atei, e allora perché sono considerati oltremodo pericolosi: di che cosa si occupano? Intanto diciamo che sono stati accompagnati dal barone Melchior Grimm [che conoscete per il suo strabismo intellettuale]: fondatore e redattore, con Diderot, della rivista Correspondance littéraire che sui temi religiosi è sempre pronto a ironizzare.

     I pensatori tedeschi presenti alla cena del barone d’Holbach sono il luterano Johann Salomon Semler [nato in Turingia nel 1725 e morto a Halle nel 1791], professore all’Università di Halle e fondatore della Scuola neologica di teologia scientifica, il quale sostiene che ci vuole un nuovo pensiero per affrontare in modo razionale lo studio dei testi della Bibbia [e i luterani tradizionalisti non lo vedono di buon occhio].

     Accanto a lui c’è Friedrich Wilhelm Jerusalem, nato in Bassa Sassonia nel 1709 e morto a Brunswick nel 1789, ebreo tedesco, teologo e fondatore della Scuola dianoetica [termine aristotelico che definisce il pensiero discorsivo] che vuole educare mediante un programma che dia impulso alle facoltà della ragion pratica [promuovendo l’arte e la scienza, ispirando la saggezza, infondendo la sapienza, curando l’intelletto] per impegnare la mente soprattutto nello studio scientifico dei testi biblici.

     Poi è presente Hermann Samuel Reimarus [Amburgo, 1694-1768], rinomato studioso di filologia, di matematica, di storia, di economia, di scienze naturali, di storia naturale, ed esperto orientalista, seguace e attento lettore delle opere di Christian Wolff. Reimarus ha soggiornato, per motivi di studio, in Inghilterra e nei Paesi Bassi, e ha insegnato linguistica ebraica e orientale all’Università di Wittenberg e poi nel liceo di Amburgo dove risiederà stabilmente. Reimarus sta scrivendo un’opera monumentale intitolata Apologia di coloro che adorano Dio secondo ragione, che vene pubblicata anonima a frammenti. In quest’opera - che viene considerata il manifesto del pensiero deista - l’autore rifiuta l’idea che esista una religione rivelata, e afferma che le tracce della perfezione divina non si trovano nei testi della Sacra Scrittura ma sono rintracciabili nel linguaggio umano universale e leggibili nel libro della Natura, e queste tracce di carattere ultraterreno si mostrano a tutti, in tutti i luoghi e in tutti i tempi e le orme divine sono decifrabili con la ragione che va educata in proposito. Lo studio accurato dei testi della Letteratura biblica, scrive Reimarus, ci rivela tutte le contraddizioni presenti in essi, perché ci si trova di fronte a una mescolanza - ben orchestrata da sapienti scrivani - di argomenti riguardanti la legislazione e la storia sacra e profana, e si capisce, mediante l’analisi filologica, che una rivelazione soprannaturale non è contenuta in nessuna parte della Scrittura nella quale la figura di Dio, riproposta in varie forme, rischia di risultare svilita. Il messaggio morale contenuto nella Letteratura biblica, afferma  Reimarus, coincide con l’etica naturale, e i Comandamenti sono la risposta naturale che gli scrivani biblici hanno saggiamente dato per contrastare il disordine sociale, e hanno saputo dare una risposta importante sul piano etico e non su quello religioso. Reimarus è un deista e, in quanto tale, ritiene che un Essere divino esiste ma non ha ispirato alcuna religione: Gesù di Nazareth, per esempio, è stato un profeta apocalittico che ha predicato l’avvento del regno di Dio sulla terra ma il suo pensiero è stato distorto perché il cristianesimo è una fabbricazione dovuta al raziocinio di Paolo di Tarso che intende rinnovare l’ebraismo. La casa di Reimarus ad Amburgo diventa un importante centro culturale dove si riuniscono gli intellettuali illuministi tedeschi per discutere sui principi della filosofia della religione che Reimarus sta elaborando, e noi capiamo che, fra le novità culturali che prendono forma nel corso del secolo dei Lumi, c’è lo studio delle Scienze religiose, e la Storia delle religioni e l’esegesi biblica ricevono [come studieremo strada facendo] un grande impulso.

     Con i personaggi che abbiamo citato [Semler, Jerusalem, Reimarus] il discorso sulla religione si è desacralizzato [«è uscito dai templi»] e non sono solo i teologi e gli ecclesiastici che si occupano di questo tema ma sono soprattutto gli intellettuali laici che si sentono in dovere di spiegare l’atteggiamento religioso come atto naturale della coscienza umana. L’incontro con i popoli del cosiddetto Nuovo mondo offre tante utili informazioni, e gli studiosi europei vengono a contatto con numerosi diversi sistemi sociali, culturali e religiosi. Gli stessi missionari cattolici in India, in Cina, in Giappone hanno scoperto e attestato il valore della spiritualità e delle tradizioni morali delle grandi civiltà asiatiche e, entrando in polemica con Roma, hanno sostenuto la necessità di adottare il linguaggio rituale di questi popoli [ricordate, per esempio, il gesuita Matteo Ricci in Cina]. Per gli intellettuali laici illuministi diventa chiaro il fatto che nessuna religione può arrogarsi il diritto di giudicare le altre, e spetta alla ragione scoprire l’essenza della religione, e l’essenza della religione risulta inequivocabilmente mitologica [nasce dall’immaginario]. Nel secolo dei Lumi lo studio della mitologia coinvolge anche il cristianesimo in quanto “religione del Libro” e, quindi, entrano nell’indagine mitologica i testi dei Vangeli, il concetto dell’ispirazione divina, e tutta la Letteratura biblica diventa materia di attento studio filologico, di indagine storica e di analisi esegetica.

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A volte succede che durante una cena capiti di intavolare una discussione su un tema interessante e si sviluppi una riflessione produttiva...  Vi è capitato di fare questa esperienza, e in relazione a quale argomento di conversazione?... 

Scrivete quattro righe in proposito…

     Il fatto importante è che questi pensatori tedeschi hanno accettato l’invito del barone d’Holbach per poter incontrare altri studiosi e per visionare materiali che vogliono conoscere. Ma procediamo con circospezione, così come procede la cena [Viene portata in tavola un’insalata di verdure lesse - patate, piselli, zucchine, carote, cipolle, barbabietole - condita con una salsa in agro dolce e uova sode: siamo sulla strada che porterà alla creazione, nel 1860, da parte del cuoco belga Lucien Olivier, proprietario del ristorante Hermitage nel centro di Mosca, di quella che si chiamerà “Insalata Olivier” che conosciamo come insalata russa?]. I pensatori francesi hanno degli interessanti materiali [commestibili intellettualmente] da presentare ai colleghi tedeschi, a Hume e a tutti gli altri. Chi sono questi francesi e che documenti hanno da presentare?

     L’invitato più anziano [ha 81 anni] alla cena dal barone d’Holbach è il medico francese, professore di medicina all’Università di Montpellier e Parigi, Jean Astruc [nato a Sauve in Occitania nel 1684 e morto a Parigi nel 1766], e i tre intellettuali tedeschi e Hume sono qui soprattutto per incontrare lui [Astruc morirà l’anno dopo] perché ha scritto [ci lavora dal 1753] un saggio intitolato Congetture sui documenti che Mosé sembra aver usato nella composizione del Libro della Genesi. Con questo studio Astruc smentisce che Mosé sia l’autore della Genesi come voleva la tradizione, e ne dà dimostrazione perché ha individuato nella struttura del testo del Libro della Genesi la presenza di due diversi codici che gli scrivani biblici, i veri autori appartenenti alla Scuola di scrittura detta “canonico-sacerdotale”, hanno utilizzato, fondendoli insieme, per comporre quello che è diventato il primo Libro della Letteratura biblica. Astruc ha estrapolato i testi dei due codici, li ha analizzati filologicamente, li ha commentati e ha dedotto [utilizza il termine “congetturato” per cercare di evitare le ire dei tradizionalisti] che il primo codice, scritto in prosa, è più antico dell’altro e lo ha chiamato “codice jahwista” perché ha come protagonista un Dio, chiamato Jahvé, il quale opera materialmente [è un Dio più arcaico (faber) che crea l’Uomo e la Donna con le mani modellando l’argilla] mentre il secondo codice, che Astruc ha chiamato “elohista”, risulta più recente rispetto al primo, è scritto in forma poetica, e decanta una divinità, chiamata Rūha ‘elohīm [vento impetuoso], che opera intellettualmente [crea con la parola]. Il testo del primo capitolo e metà del secondo capitolo del Libro della Genesi dove  viene narrata la creazione in forma poetica appartiene al secondo codice [l’elohista], mentre dalla metà del secondo capitolo entra in scena il testo del primo codice [jahwista] che narra una seconda volta la creazione in forma prosastica.

     Semler, Jerusalem e Reimarus sono venuti a incontrare Astruc perché hanno intenzione di tradurre in tedesco il testo delle sue Congetture. Astruc ringrazia e ritiene doveroso far conoscere ai tre tedeschi, a Hume e a tutti i commensali un’opera fondamentale per gli studi esegetici, della quale vuole curare la divulgazione: quest’opera s’intitola Storia critica del Vecchio Testamento ed è stata scritta nel 1678, circa novant’anni prima, dal monaco oratoriano Richard Simon [1638-1712] vissuto a Dieppe nell’Alta Normandia.

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Con una guida della Francia e navigando in rete andate a far visita a Dieppe anche per vedere un’immagine del collegio degli oratoriani e, soprattutto, del famoso castello...

     Jean Astruc dichiara che non avrebbe mai potuto dar forma alle sue Congetture se non avesse studiato l’opera esegetica di Richard Simon, il quale ha pagato per il suo lavoro di studioso: il suo trattato è stato ritenuto scandaloso, è stato messo all’Indice e lui ha subito la riduzione allo stato laicale anche se Richard Simon [monaco dalla salda vocazione, afferma Jean Astruc] non solo non voleva produrre scandalo ma riteneva che gettare le basi di una moderna esegesi avrebbe dato linfa alla fede delle persone credenti e motivo di riflessione a quelle non credenti. Ma purtroppo [dichiara rattristato Jean Astruc] a questo grande studioso non è mai stata resa giustizia!

     Richard Simon dimostra, con uno studio molto attento delle forme lessicali, che il testo biblico è il risultato di stratificazioni e di fonti diverse, il risultato del lavoro di generazioni di scrivani organizzati in Scuole di scrittura, quindi, dal punto di vista storico, il testo biblico non lo si può attribuire a uno scrittore solo, a Mosé, che, come dimostra lo studio di Richard Simon, risulta essere un personaggio letterario costruito con grande maestria per rappresentare una forma, un’immagine, un tipo, e una metafora efficace e rappresentativa di tutta una tradizione legislativa funzionale per il governo dello Stato d’Israele da parte della casta sacerdotale. Quindi, sostiene Simon, l’ispirazione divina non è letterale: Dio non ha dettato come si detta a un dattilografo, ma l’ispirazione è relativa alla sostanza del messaggio [queste sono le stesse idee che ha coltivato Spinoza, e che Simon dimostra con lo studio filologico]. Il monaco Richard Simon ha lavorato in buona fede [in nome dell’ortodossia dottrinaria, afferma Astruc] per dimostrare che, se l’ispirazione riguarda la sostanza del messaggio e se il messaggio non è alla lettera, allora è giusto che il messaggio venga interpretato, e di conseguenza la Chiesa, il magistero della Chiesa, ha il compito, ha il dovere, ha il potere di interpretare il messaggio biblico alla luce dei valori del Vangelo [uguaglianza, giustizia, pace, solidarietà, misericordia]. Il monaco oratoriano Richard Simon [ribadisce Jean Astruc rivolto ai colleghi tedeschi, a Hume, al padrone di casa e a tutti gli altri invitati] ha studiato i testi biblici con grande competenza filologica a vantaggio del magistero della Chiesa e, di conseguenza [afferma stizzito Jean Astruc], i membri del tribunale ecclesiastico che lo hanno condannato non hanno compreso [per ignoranza e arroganza di potere] che l’esegesi biblica è diventata una scienza e Richard Simon, agli albori del secolo dei Lumi, ha gettato le basi di questa disciplina fondata sulla ragione [confermata dal Concilio Ecumenico Vaticano II].

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“Gettare le basi” è un’espressione che indica l’inizio concreto di qualcosa da realizzare, e tutte e tutti noi abbiamo gettato le basi di qualche opera, piccola o grande che sia...

Voi avete gettato le basi di qualcosa che poi altre persone hanno portato a termine? ..  

Scrivete quattro righe in proposito…

     La cena procede e vengono portati in tavola i vassoi contenenti l’insalata condita in agro [con olio e aceto] di erbette di campo raccolte sulle balze della Senna [ma sì che le conoscete le erbette di campo raccolte sulle balze in riva alla Senna perché sono le stesse che si raccolgono sulle rive dell’Arno, della Greve, dell’Ema: radicchio rosso, radicchio dolce, attugacci, terratrepoli, ceciarini, orecchie di lepre, rosolacci, cicerbite, piedduccelli, strigoli, rapi, spraggine, e sappiate e ricordatevi che non c’è cultura senza coltura!]. E queste prime portate sono davvero bizzarre e, probabilmente, servono per far digerire l’abbondante cibo intellettuale che è stato servito, ma siamo appena all’inizio, e il barone d’Holbach sta per dare la parola a uno studioso che deve, anche lui, presentare delle opere, ma la nostra attenzione cade su altri due personaggi che stanno in silenzio un po’ appartati: chi sono? Uno è un monaco benedettino e l’altro è un abate al servizio della diplomazia, e noi ora, nel gennaio del 1765, non potremmo dire nulla di loro perché non hanno ancora scritto le opere che hanno in mente di produrre, e chissà quali e quanti pensieri ci sono in queste teste! Lo sapremo presto perché la cena procede.

     A cena dal barone d’Holbach si mangia poco, tuttavia ci si nutre molto di spirito utopico, dello spirito utopico che lo studio porta con sé, e questo [come ben sapete] ci rende consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, e per questo motivo: la cena procede, la tavola è comunque imbandita [prendete l’insalata di erbette di campo - ricche in vitamine e sali minerali - in attesa delle seconde portate], sapendo che la Scuola è qui e che il viaggio continua…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Gennaio 20, 2023