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NEL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI DOVE, IN PRINCIPIO, CI SI DOMANDA SE IL COMPITO DELLA RAGIONE SIA QUELLO DI RICONDURRE IL GENERE UMANO ALL’INNOCENZA PRIMITIVA ...

Lezione N.: 
14

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica sulla via che porta verso il secolo dei Lumi III

18-19 maggio 2022 a Bagno a Ripoli e Tavarnuzze

Firenze prima il 20 maggio 2022 e Firenze secondo gruppo il 27 maggio 2022

     LA VIA CHE STIAMO PERCORRENDO FA, FINALMENTE, IL SUO INGRESSO

NEL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI DOVE, IN PRINCIPIO,

CI SI DOMANDA SE IL COMPITO DELLA RAGIONE SIA QUELLO

DI RICONDURRE IL GENERE UMANO ALL’INNOCENZA PRIMITIVA ...

     Questo è il quattordicesimo e ultimo itinerario del nostro Viaggio e la strada che abbiamo percorso in questi mesi ci ha portate e portati nei pressi di un nuovo territorio: difatti, ora, davanti a noi, come abbiamo preannunciato quindici giorni fa, s’estende il vastissimo territorio della Sapienza poetica e filosofica del XVIII secolo, del Millesettecento, il secolo dei Lumi, e sono talmente tanti e variegati i paesaggi intellettuali presenti su questo vasto spazio [che inizieremo ad attraversare nel prossimo viaggio] che ci vorrebbe un anno di Scuola anche soltanto per enumerarli, e chissà, adesso, quante parole vi vengono in mente quando pensate al Settecento!

     Se dovessimo anche soltanto introdurre il XVIII secolo, il 1700, dal punto di vista storico, economico, politico, scientifico, artistico, letterario, antropologico, filosofico, dovremmo avere a disposizione molto tempo e mezzi più sofisticati di quelli che noi abbiamo, ma noi procediamo utilizzando gli strumenti didattici sperimentati nei nostri Percorsi [presenti nella nostra officina dell’Apprendistato cognitivo] mettendo il nostro pensiero a servizio dell’esercizio dell’Apprendimento [facendo funzionare le azioni cognitive: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare] e siccome vi saranno venute in mente molte parole pensando al “Settecento” è utile che vi esercitiate subito a operare una sintesi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Qual è la prima parola [il nome di un oggetto, di una persona, di un avvenimento ...] che associate al Millesettecento?...

Scrivetela [compiti per le vacanze]…

     Sul confine virtuale tra il ‘600 e il ‘700, dove adesso ci troviamo, appare davanti a noi un vasto e variegato paesaggio intellettuale assai ben illuminato [e c’è un motivo per cui lo vediamo bene] perché contiene la parola-chiave “luce”.

     Appena si entra nel territorio della Sapienza poetica e filosofica del Settecento ci si trova di fronte a un complesso paesaggio intellettuale all’ingresso del quale si può osservare un manifesto. Su questo manifesto, con parole riportate a grandi caratteri, si può leggere: «LA RAGIONE UMANA, CON LA SUA LUCE, ILLUMINA TUTTA LA REALTÀ!». Poi, scritte con caratteri molto più piccoli, si leggono ancora queste parole: «La ragione umana illumina tutta la realtà e questo permette a chi guarda di conoscere tutte le bellezze del mondo dovute al buon uso della ragione ma anche di vedere tutte le nefandezze del mondo imposte dall’abuso della ragione». Questa affermazione - che suscita in chi la legge una certa preoccupazione - è alla base di un movimento di vasta portata che, a suo tempo, prenderà il nome di Illuminismo [e anche di un fenomeno che prende il nome di “strabismo dei Lumi”].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Alla parola “luce” sono legati molti oggetti, molte metafore, molti modi di dire!...  Che cosa vi fa venire in mente, adesso, la parola “luce”?... 

Scrivete quattro righe in proposito...

     Percorrendo in questi anni le vie della Storia del Pensiero Umano ci siamo rese e resi conto che in tutta l’Europa, a partire dall’anno Mille, le persone che si dedicano allo studio e alla ricerca tendono a mettere in atto dei procedimenti [legati a quella disciplina che prende il nome di “Logica”] che possano rendere il più efficiente possibile “lo strumento della ragione” per indagare, per osservare, per far luce tanto sulla realtà fisica quanto sulla dimensione metafisica. E l’utilizzo della ragione [per conoscere, per capire e per applicarsi] permette a chi studia di affinare un metodo efficace per interpretare la mitologia, per contrastare il fatalismo e per fugare le superstizioni oscurantiste. E perché si dice che questo avviene a partire dall’anno Mille?

     Nel corso della Storia del Pensiero Umano per quanto riguarda l’utilizzo dello strumento della ragione è doveroso, in primo luogo, far riferimento [dovreste ricordarvene] all’esperienza intellettuale della Scuola di Toledo. In questa città, infatti, agli albori dell’anno Mille, sotto il governo illuminato del califfato arabo, si sono incontrati intellettuali mussulmani, ebrei e cristiani per appurare, in primo luogo, che non esiste una ragione ebraica, una ragione cristiana o una ragione mussulmana, e per ribadire il fatto che le facoltà razionali non possono essere “di parte”, e hanno affermato che esiste “un’unica ragione umana” secondo l’insegnamento contenuto nel pensiero di Platone e di Aristotele. E, difatti [se ben ricordate], gli intellettuali mussulmani, ebrei e cristiani a Toledo operano di comune accordo [con lo stesso intento razionale] per ritradurre in greco, nella loro lingua originale, le Opere di Platone e di Aristotele che, in lingua araba, facevano il loro ingresso in Europa dove erano quasi sconosciute perché, come ricorderete, l’imperatore Giustiniano, per affermare la supremazia del cristianesimo sul territorio dell’impero romano, aveva fatto chiudere, con l’Editto del 529, la Scuola filosofica di Atene. Giustiniano ha perseguitato “i filosofi neoplatonici” detti “ellenizzanti” e considerati pagani, che conservavano le Opere dell’antica cultura classica, in particolare i Dialoghi di Platone, la Fisica, la Metafisica e l’Etica Nicomachea di Aristotele.

     Di conseguenza lo scolarca Damascio, che dirigeva la Scuola di Atene, è stato costretto a fuggire insieme agli altri insegnanti della Scuola verso il territorio dell’impero persiano dove è stato accolto dall’imperatore Cosroe che ha sollecitato la traduzione in persiano delle Opere di Platone e di Aristotele. E poi quando più di un secolo e mezzo dopo l’impero persiano è stato occupato dagli Arabi, gli Scritti di Platone e di Aristotele sono, a loro volta, stati tradotti in arabo e preservati dall’oblio dagli intellettuali mussulmani e, quindi, agli albori dell’anno Mille le Opere di Platone e di Aristotele hanno fatto il loro ingresso in Europa attraverso la penisola Iberica occupata dagli Arabi [nel corso della loro espansione verso Occidente] e, di conseguenza, con la Scuola di Toledo fiorisce una nuova stagione di studi d’impronta razionalista.

     Quindi la prima scintilla del “movimento illuministico” si sprigiona nella Scuola di Toledo agli albori dell’anno Mille e da lì, dopo un lungo e complesso processo intellettuale, che abbiamo seguito negli anni attraverso i nostri Percorsi, questo movimento prende sempre più forma fino a giungere allo sviluppo scientifico del Seicento, il secolo della Scienza, quando con l’ausilio dello strumento della ragione, la realtà, la natura, il mondo e l’universo hanno rivelato alle studiose e agli studiosi molti aspetti che fino a quel momento erano sconosciuti. E anche “la morale” [se pensiamo a Montaigne] - così come l’educazione [se pensiamo ai programmi delle Piccole Scuole di Port Royal] - ha trovato ne “la ragionevolezza” un punto di riferimento per affinare la propria autonomia. Copernico, Galileo, Keplero, Newton sono stati capaci di dare, con ragionevolezza, un ordine all’Universo, e poi Cartesio, Pascal, Spinoza, Leibniz [e li abbiamo tutti incontrati di recente] fanno una scoperta significativa: scoprono che la ragione umana ha molti limiti e, utilizzando la ragione stessa [come se la ragione si guardasse allo specchio], s’impegnano a comporre “il catalogo dei limiti della ragione” affermando che solo prendendo atto dei limiti che la ragione ha si possono stabilire quali sono le sue reali potenzialità. Per i personaggi che abbiamo citato [Copernico, Galileo, Keplero, Newton, Cartesio, Pascal, Spinosa, Leibniz] la ragione è “una signora”! Affermano che “la ragione è la signora della scienza e della filosofia!”.

     E in ragione [per giocare con le parole] di che cosa si sostiene questa affermazione? In età moderna, nell’ambito della Storia del Pensiero, si acquisisce il fatto che la ragione s’identifichi con la natura umana della persona e che, quindi, abbia acquisito un valore universale perché ogni essere umano ne è partecipe [pur essendo tutte persone diverse c’è, tuttavia, qualcosa di universale che ci unisce!]. E quindi si sostiene che la ragione sia “una e intera” e che possa «identificare [come scrive Pascal] ogni singola persona presso tutti i popoli della Terra in tutte le epoche passate, presenti e future »[quindi, in ragione di ciò, potrebbe essere proclamata la pace universale!]. E si sostiene che, come scrive Cartesio, «ciò che vale per un singolo individuo, se è effettivamente razionale, deve essere valido per tutti e per sempre »[quindi ogni persona dovrebbe avere gli stessi diritti!].

     Ma, dopo aver sottoscritto e condiviso queste affermazioni, tutte e tutti i pensatori della modernità, una volta ammessa l’universalità della ragione, non hanno potuto non porsi una serie di interrogativi che mettono in evidenza i limiti dello strumento. Ci si chiede: se la ragione è universale come possono continuare a sussistere le differenze e le varietà di pensiero? E se la ragione è una e intera e s’identifica con la natura umana di ogni singola persona significa che anche la verità è una e, quindi, la mente di ogni persona è costretta a uniformarsi a questa unica verità? E le tradizioni a cui le persone e i popoli fanno riferimento - che si basano su un insieme di credenze fondate su elementi di natura irrazionale - devono essere sottoposte all’analisi spietata della ragione e, di conseguenza, devono scomparire? E la storia - con tutte le sue istituzioni sociali, politiche, economiche, giuridiche - deve essere sottoposta a revisione critica in nome della ragione, e la ragione è davvero in grado di garantire l’oggettività, l’obiettività, l’imparzialità della verità storica? E, in nome della ragione, si deve eliminare dalla vita delle persone ogni traccia che possa avervi impresso l’istinto e il sentimento perché sono due elementi alternativi alla ragione? E qual è, dunque [si sono domandate generazioni di studiose e di studiosi], il compito primario della ragione? È forse quello di indicare alla singola persona e all’intera Umanità la via del progresso indefinito? Ma il progresso indefinito - per definizione senza punto di arrivo - può creare le condizioni per dare la felicità alla singola persona, ed è questa la maggior aspirazione della ragione umana: far sì che la singola persona raggiunga la felicità?

     Ma ora interrompiamo questa catena di interrogativi [che è formata da molti altri anelli] per dire che la ragione diventa davvero “una signora” nel momento in cui dà la possibilità alla mente umana di porsi degli interrogativi di carattere esistenziale, e la strada che attraversa il territorio del Settecento [del secolo del Lumi] è ragionevolmente una via lastricata di numerosi punti interrogativi di natura esistenziale.

     Ora, per prendere il passo, dobbiamo porci un interrogativo di natura funzionale: da dove parte la via che ci porta in viaggo sul territorio della Sapienza poetica e filosofica del secolo dei Lumi? Il nostro viaggio prende le mosse da una città molto interessante: Dublino, la capitale dell’Irlanda [conoscete questa città?]. Il nome “Dubh linn”, in gaelico, l’antica lingua irlandese, significa “palude nera” ed è stato usato dai Vichinghi quando nel IX secolo sono approdati in questa zona della costa orientale irlandese, zona paludosa e inospitale, mentre per i Celti Dublino era “Baile Átha Cliath” [una dicitura che si trova sempre sulle carte geografiche] cioè “Città del guado di graticci” per via degli intrecci di canne buttate per consolidare il terreno paludoso. Dublino è una città portuale che occupa per intero il territorio che sta intorno alla foce a estuario di un fiume, il Liffey, e che costituisce un buon approdo naturale. La città si è sviluppata attorno a un insediamento vichingo [danese] del IX secolo ed è stata occupata dagli inglesi nel 1170 e Dublino è diventata la capitale della Repubblica d’Irlanda il 6 dicembre 1921 dopo una lunghissima e assai travagliata lotta per l’indipendenza.

     Ma noi ci troviamo a Dublino perché siamo interessate e interessati, in particolare, al Trinity College, vale a dire all’Università di Dublino istituita nel 1592 dalla regina Elisabetta I d’Inghilterra. Perché c’interessa questa istituzione dublinese? Perché in questa Università, a suo tempo, ha studiato e insegnato un certo George Berkeley che dobbiamo incontrare a breve.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per conoscere le caratteristiche peculiari della città di Dublino si possono percorrere cinque tradizionali itinerari… Con una guida dell’Irlanda e navigando in rete fate una visita a questa città… [compiti per le vacanze]...

     Ai cinque tradizionali itinerari da percorrere per visitare la citta di Dublino se ne aggiunge un sesto, e si tratta di un celebre tragitto tematico di carattere letterario sul quale  non possiamo non puntare seppur brevemente la nostra attenzione per aprire un varco in funzione della didattica della lettura e della scrittura.

     Il tragitto tematico di carattere letterario che riguarda la città di Dublino si riferisce a uno dei romanzi più noti e poco letti per la complessità del testo della Storia della Letteratura universale intitolato Ulisse e scritto dal celebre scrittore irlandese James Joyce [1882-1941]. Essendo il nostro Percorso in funzione della didattica della lettura e della scrittura è doveroso acquisire una serie di informazioni sul romanzo Ulisse di Joyce che possano servire nell’immediato per fare visita, con maggior consapevolezza, alla città di Dublino [come si è consigliato di fare] e, in seconda istanza, possano essere utili a predisporre la mente alla lettura di un’opera piuttosto complessa perché, prima di intraprendere la lettura di determinate opere [le cosiddette “cattedrali letterarie del novecento”] bisogna entrare nell’ordine di idee di doverlo fare oltre a mettere a punto gli strumenti idonei per poterlo fare. Ulisse di Joyce è l’opera che, al suo apparire nel 1922, ha completamente trasformato e rinnovato i moduli della prosa narrativa non soltanto inglese.

     Perché in quest’opera Joyce a partire dal titolo ricalca l’Odissea? Perché vuole dimostrare che la forma del romanzo in epoca moderna può essere l’equivalente e può diventare l’erede dell’epica classica, con in più l’inserimento di un costante e disincantato elemento umoristico che ridimensiona il mito adeguandolo alla concezione attuale, moderna, della condizione umana. Per quanto riguarda il contenuto: chi è l’Ulisse del romanzo di Joyce? L’Ulisse di cui si narra è l’agente di pubblicità Leopold Bloom, e la sua Odissea è la storia delle sue peregrinazioni e dei suoi incontri per le strade, nei locali pubblici e in quelli equivoci di Dublino, fra le 8 del mattino e le 2 di notte del 16 giugno 1904. Nella giornata, non diversa da tante altre, qualcuno muore, qualcuno nasce, la moglie di Bloom - la Penelope della sua Odissea - ha un amante e lo incontra, mentre Leopold incontra il giovane Stephen Dedalus - già protagonista del romanzo autobiografico di Joyce intitolato Ritratto dell’artista da giovane - per il quale sente un affetto e una cura paterna. Ma Bloom diventa l’allegoria dell’umanità intera, diventa Ognuno, e Dublino, descritta con amorosa minuzia in ogni suo angolo e nei suoi abitanti, diventa il Mondo.

     Per quanto riguarda la forma, l’autore utilizza una straordinaria varietà di tecniche narrative - dal monologo interiore al linguaggio liturgico del catechismo, dal flusso di coscienza alla parodia degli stili più vari - che contribuiscono a rendere vitale il romanzo. Ma quel che più conta è che il testo dell’Ulisse è pervaso da una profonda umanità che scaturisce dai personaggi - Bloom [in rappresentanza di Ulisse], sua moglie Molly [in rappresentanza di Penelope], Stephen Dedalus [in rapprentanza di Telemaco] e la folla dei dublinesi con molti personaggi collaterali - che sono davvero descritti a tutto tondo, e spiccano per essere i personaggi più veri, credibili, completi della narrativa contemporanea.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

L’esercizio che per ora si consiglia di fare in relazione a quest’opera - in attesa di affrontare a suo tempo questo argomento in modo più esaustivo - è quello di richiedere in biblioteca il volume di Ulisse di Joyce e di osservarne la struttura leggendo l’indice: il romanzo è formato da 18 capitoli o episodi dei quali potete leggere i titoli [compiti per le vacanze]…

     Ma come abbiamo detto, ci troviamo a Dublino perché nell’Università di questa città [il Trinity College istituito nel 1592 dalla regina Elisabetta I d’Inghilterra] ha studiato e insegnato un certo George Berkeley che dobbiamo incontrare: ed è il primo personaggio che ci viene incontro sul confine tra il ‘600 e il ‘700. Chi è George Berkeley?

     George Berkeley, di nobile famiglia di origine inglese, è nato a Dysert in Irlanda il 12 marzo1685 [sta per compiere 337 anni], ha studiato e insegnato al Trinity College di Dublino e nel 1710 è stato ordinato prete della chiesa anglicana. Ha conosciuto e intrattenuto rapporti culturali con Locke, Cartesio, Malebranche, e non ha vissuto sempre a Dublino ma ha abitato anche a Parigi dove ha frequentato il circolo Mersenne completando la sua formazione intellettuale. Dal 1714 al 1720, in due riprese, ha soggiornato in Italia e ha tenuto anche un diario di questa sua esperienza dove scrive pensieri molto significativi sull’arte italiana, e pensieri molto ironici sulle superstizioni di quelli che lui chiama “i cattolici papisti”. Poi si trasferisce a Londra e frequenta i circoli culturali della capitale inglese, scrive sulle “gazzette” [i giornali dell’epoca], studia, insegna, e compone numerose opere di carattere scientifico e filosofico. Progetta anche di fondare alle isole Bermude una Scuola per giovani indigeni per rifondare l’Umanità ormai secondo lui in stato di decadenza.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Bermuda è un arcipelago comprendente circa trecento isolotti corallini, venti dei quali sono abitati [detti, appunto, le Bermude]… Queste isole atlantiche [ultimamente note per la leggenda del Triangolo delle Bermude] hanno preso il nome dal loro scopritore, il navigatore spagnolo Juan de Bermùdez prima di essere colonizzate dagli inglesi… Utilizzando l’Atlante geografico e navigando in rete andate a fare visita al più vecchio e popoloso dei territori britannici d’oltremare, buon viaggio [compiti per le vacanze]…

     Berkeley era convinto che l’Inghilterra e l’Europa fossero ormai irrimediabilmente corrotte, e destinate alla decadenza, era convinto che il futuro dell’Umanità era da cercare presso “i selvaggi”, era da ricostruire nell’ambito dei puri e incontaminati abitanti del Nuovo Mondo.

     Ed ecco profilarsi uno dei temi emergenti nel corso del secolo dei Lumi, durante il quale ci si domanda se il compito della ragione sia quello di “ricondurre il genere umano all’innocenza primitiva e quindi alla felicità”, e vedremo come si svilupperà questa idea. Intanto Berkeley nel 1729 parte per l’America per realizzare il suo progetto: compra una fattoria a Bermuda e lavora per costruire la Scuola che ha in mente, ma nessun aiuto promesso gli arriva né dalla corona né dal parlamento. La monarchia e il governo inglese sostengono “i colonizzatori” che sbarcano nel Nuovo Mondo per attuare una sistematica opera di “sfruttamento” e non certo per realizzare progetti di “civilizzazione” e, tanto meno, per sperimentare - secondo il progetto di Berkeley - la costruzione della nuova Umanità. Abbandonato da tutti, dopo tre anni [e dopo aver esaurito tutte le risorse di cui disponeva], nel 1732, torna a Londra senza aver potuto realizzare il suo progetto. Nel 1734 viene nominato vescovo di Cloyne in Irlanda, e svolge la sua missione - oltre che a dedicarsi allo studio e all’insegnamneto all’Università di Dublino - per un decennio.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Cloyne [Cluain in irlandese] è un piccolo villaggio posto nella parte occidentale della contea di Cork e nonostante le sue piccole dimensioni questo centro ha una grande tradizione tanto sul piano religioso che culturale… Con una guida dell’Irlanda e navigando in rete andate a fare visita a questo luogo, incuriositevi [compiti per le vacanze]…

     Nel 1744 Berkeley lascia l’episcopato e si ritrasferisce in Inghilterra, a Oxford, dove insegna in questa Università tenendo corsi di materie scientifiche e sul pensiero [sui Dialoghi] di Platone. Berkeley muore nel 1753 lasciando in eredità alla Storia del Pensiero Umano una serie di opere significative: Saggio su una nuova teoria della visione [1709], Trattato sui principi della conoscenza umana [1710], Tre dialoghi tra Hylas e Philonous [1713], Alcifrone [1732], Siris [1744].

     Noi adesso riflettiamo su quella che è sempre stata considerata l’opera più graffiante e previdente di Berkeley: l’opera che ha scritto in America e che ha pubblicato al suo ritorno a Londra nel 1732, un’opera molto polemica nei confronti di coloro i quali non lo hanno aiutato ma si sono fatti burla di lui e della sua utopia: “fare dei selvaggi l’Umanità nuova!”. Il titolo completo di quest’opera è Alcifrone, ovvero sette dialoghi contenenti un’apologia del cristianesimo contro i cosiddetti liberi pensatori: se ci si ferma al titolo può sembrare si tratti di un’opera reazionaria mentre è un dialogo di tradizione platonica scritto con un intento che, oggi, potremmo definire rivoluzionario [anticapitalista] e lungimirante pensando a quanto Berkeley avesse ragione nel denunciare i pericoli di una mentalità che oggi definiamo di carattere “predatorio” e che ha responsabilità gravissime nei confronti della destabilizzazione naturale del Pianeta. I dialoganti sono due: il primo si chiama Alcifron [lo spirito forte e spregiudicato, il libero pensatore borghese-capitalista], il quale sostiene che la religione è solo un inganno dei preti, uno strumento ideologico utilizzato per finalità di potere, e che sostiene l’ideologia materialista della borghesia che sta imponendo in campo economico le spregiudicate ragioni del libero mercato. Il secondo dialogante si chiama Eufranor [il benintenzionato e coscienzioso], il quale sostiene l’utilità che ogni persona coltivi la Fede secondo il dettato evangelico, in modo che fioriscano nel suo animo i principi morali necessari alla costruzione di una politica basata sul valore della giustizia sociale. Alcifron [lo spirito forte e spregiudicato] sostiene la tesi capitalista dell’utilità dei vizi privati, perché i vizi privati - soprattutto da parte di chi può spendere - sono necessari in quanto creano un bisogno sempre più marcato di beni materiali, e il bisogno e la voglia di beni materiali, afferma Alcifron, crea lavoro, commercio, mercato, affari, reddito, e che importa se i vizi privati sono destinati ad aumentare perché con essi aumenta anche la ricchezza e se, nel frattempo, aumenta anche l’immoralità: ma che importa! Se aumenta l’immoralità la società civile, afferma Alcifron, si premunirà di regolamentarla secondo uno spirito di tolleranza [con la creazione di strutture nelle quali certe forme di immoralità vengono tollerate, facendo perdere alla parola “tolleranza” la sua valenza positiva]. Berkeley nella sua opera si oppone a questa mentalità, che si è ormai affermata, e ha vinto perché è diventata dominante. Berkeley parla con la voce di Eufranor [il benintenzionato coscienzioso] ribattendo che il progetto di Alcifron [lo spirito forte e spregiudicato] non è degno né della persona né della condizione umana [e noi siamo una generazione che ha visto l’affermarsi di questa ideologia consumistica imposta dal capitalismo predatorio, una mentalità che ha creato non pochi problemi alla salute del Pianeta]. Secondo il lungimirante Berkeley - che è animato da una costante tensione etico-religiosa e per questo viene fatto passare per un reazionario che si oppone al progresso - Dio non ha lasciato in eredità agli Umani un progetto di questo tipo. Dio, sostiene Berkeley, ha lasciato, nella Natura, molti segni indicativi, e “i segni della presenza di Dio” [i richiami teologici] vengono riconosciuti dalla persona quando impara a percepire la bellezza, la bontà, la gioia, il piacere, ma anche quando percepisce la nefandezza, la cattiveria, la disperazione, il dolore. E la percezione di questi “segni” deve far pensare alla persona che i vizi privati non sono né utili né necessari ma, al contrario, sono utili e necessarie le Virtù pubbliche. Sono le Virtù pubbliche, scrive Berkeley, a nobilitare i necessari bisogni: il lavoro quando è utile, il commercio quando è equo, il mercato quando è solidale, la politica quando opera in ragione della giustizia sociale. E il Catalogo delle Virtù pubbliche, scrive Berkeley, dove lo trova la persona? Il Catalogo delle Virtù pubbliche la persona lo evince, lo ricava, lo deduce, lo desume, afferma Berkeley, attraverso lo studio dei testi della Letteratura dei Vangeli e delle Lettere di Paolo di Tarso, ma anche dei Dialoghi di Platone.

     Dal 1732 George Berkeley dal cuore della civile Europa ribadisce che è utile e necessario educare ogni persona affinché impari ad assumere atteggiamenti virtuosi in modo che, con determinazione, sappia contrapporre alla volgarità dei vizi privati, la bellezza delle pubbliche Virtù, e fa davvero pensare il fatto che - nonostante tante belle dichiarazioni di intenti - questo ammonimento sia stato sottovalutato e i governi abbiano privilegiato la diffusione di apparati di distrazione di massa piuttosto che quella di dispositivi di apprendistato cognitivo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Scrivete almeno il nome di quattro Virtù pubbliche che ritenete necessario insegnare a praticare [a praticare le Virtù s’impara!] in quanto finalizzate alla realizzazione di una politica che possa operare in ragione della giustizia sociale [compiti per le vacanze]…

     Berkeley afferma che la persona percepisce i segni della presenza di Dio nella Natura, e si pone il problema di come giustificare questa sua affermazione e studia il modo in cui le persone possono conoscere la realtà e il mondo che le circonda.

     Premettiamo [e lo abbiamo già detto] che Berkeley è uno studioso di Platone e di Ockham, di conseguenza, il suo pensiero s’ispira al neoplatonismo in chiave “sensista” non privo, quindi, di contraddizioni. Berkeley vuole agire intellettualmente contro il materialismo borghese e, quindi, intende smaterializzare, idealizzare, spiritualizzare la realtà: è come se volesse togliere la materia dalle mani del capitalismo predatorio mettendo le Idee al centro della conoscenza umana in quanto ritiene che le Idee siano l’unica realtà che possa essere percepita dai sensi.

     Berkeley afferma che gli oggetti della nostra conoscenza non sono le cose, ma sono le Idee [come sostiene Platone], e le Idee sono prodotte dai sensi perché, come asserisce Guglielmo di Ockham, 1290-1349 circa, non sono innate nella nostra mente, come invece pensa Cartesio. La persona, sostiene Berkeley, percepisce le Idee con i sensi e quindi, esse hanno la caratteristica di “esistere in quanto sono percepite”, per cui quando la persona afferma che “una cosa esiste” non fa altro che rispondere a una percezione generata dai sensi, quindi, l’unica forma di conoscenza, afferma Berkeley, è quella sensibile e, di conseguenza, l’Essere può essere conoscuto solo nel momento in cui viene percepito [Berkeley mette in discussione l’oggettività dell’Essere perché la sua esistenza sarebbe garantita solo dalla percezione in atto], e l’esistenza di una cosa è legata, sostiene Berkeley, unicamente alla percezione dell’Idea della cosa stessa. Berkeley  nel Trattato sui princìpi della conoscenza umana [1710] riassume il suo ragionamento sul tema della conoscenza con questa espressione latina: «esse est percipi»[essere è essere percepito]. Questa formula definisce un concetto che ha delle conseguenze sul piano conoscitivo, infatti, se un oggetto esiste perché è percepito da me, è evidente che le sue qualità sussistono in ragione della mia percezione soggettiva e, di conseguenza, non si può affermare, sostiene Berkeley, che esistano qualità oggettive e si deve pensare che, scrive Berkeley: «tutto ciò che esiste, esiste in quanto è percepito come idea in modo soggettivo, e non in quanto esiste di per sé come sostanza in modo oggettivo» e allora, afferma Berkeley: «ciò che chiamiamo “materia” è solo un nome con cui indichiamo una serie di qualità sensibili, e poiché queste qualità sensibili sono tutte Idee soggettive, che cos’è la materia se non “un complesso di Idee”?».

     E se l’esistenza della sostanza materiale viene messa in discussione, scrive Berkeley, allora la realtà di che cosa è fatta? Si deve supporre, afferma Berkeley, «che la realtà sia il prodotto di Idee che esistono nel momento in cui vengono percepite dalla persona con i suoi sensi». E scrive ancora Berkeley nel Trattato sui princìpi della conoscenza umana: «Gli oggetti della conoscenza umana sono soltanto le Idee, e tutte le Idee sono semplici perché derivano dalla percezione del soggetto; la persona percepisce e agisce con strumenti che possiamo chiamare: mente, spirito, anima, io. Gli oggetti non esistono fuori di noi, perché non sono altro che Idee o collezioni di Idee che abbiamo già percepito dentro noi stessi». In definitiva, sostiene Berkeley, l’oggetto e la sensazione dell’oggetto sono la stessa identica cosa e non possono venir astratti l’uno dall’altro. L’Essere delle cose è una percezione, e non è possibile che le cose possano avere una qualche esistenza fuori dalla mente, fuori dal pensiero che le percepisce. L’Idea, sostiene Berkeley, è un concetto “concreto” perché non possono esistere idee astratte: anche quando crediamo di avere in mente un’idea astratta in realtà, afferma Berkeley, facciamo sempre riferimento a un’Idea particolare e concreta: non è possibile [per esempio] pensare a un’Idea “astratta” di uomo o di donna, come può una persona rappresentarsi un uomo o una donna astratti? La persona fa sempre riferimento a un’idea concreta e particolare di uomo o di donna. E anche quando si pensa, come fa Cartesio, alle presunte Idee astratte della Matematica e della Geometria non si può pensare, afferma Berkeley, che [per esempio] l’Idea di triangolo sia astratta perché non si può avere l’Idea di un triangolo che non sia né isoscele, né scaleno, né equilatero, in quanto, prima si percepisce ciò che è concreto, e in mente abbiamo: il triangolo della macchina, triangolo dei segnali di pericolo, il triangolo delle Bermude, il triangolo del delta del Nilo, il triangolo del delta di Venere, e via dicendo, ed è così anche per i numeri! Di conseguenza, negando le idee astratte e ribadendo la conoscenza di carattere particolare, Berkeley mette in discussione ogni conoscenza di carattere universale.

     E allora, si domanda Berkeley, che cosa c’è di universale? Di universale, afferma Berkeley, c’è solo “il nome”: il nome “uomo”, il nome “donna”, il nome “triangolo”, il nome “numero” e via dicendo e, quindi, si può parlare, afferma Berkeley, di una universalità non sostanziale ma del tutto convenzionale, accettata per motivi pratici. La realtà è fatta di Idee, le Idee sono un complesso di nomi: la realtà è fatta di nomi e Berkeley si rifà [come abbiamo già ricordato] alla concezione “nominalista” di Guglielmo di Ockham, e come il grande pensatore scolastico francescano [che abbiamo incontrato a suo tempo come uno dei principali protagonisti, tra il 1325 e il 1345, nella celebre disputa sul tema degli Universali] Berkeley sostiene che la persona percepisce attraverso “l’Io spirituale”: lo Spirito è il soggetto che nella persona percepisce le Idee. E lo Spirito è un dono di Dio che dà un senso alle idee. Difatti le Idee che danno ordine alla Natura [al Mondo creato] rivelano un’armonia che riflette la saggezza, la bontà, la misericordia del loro Autore, ed è da questa armonia che scaturiscono anche le Virtù pubbliche perché Natura e Cultura sono intimamente legate nell’economia del Mondo creato! L’esistenza di Dio, afferma Berkeley che è uomo di Fede, garantisce l’autonomia a ciascun soggetto in quanto ciascun soggetto è un’Idea prodotta da Dio e, di conseguenza, se tutta la realtà materiale consiste in un complesso di Idee prodotte da Dio, il compito della Scienza è quello di studiare le Leggi di Natura in modo che si possono cogliere i rapporti costanti con cui Dio suggerisce le Idee alla singola persona visto che le Idee [secondo la concezione neoplatonica alla quale Berkeley aderisce] emanano da Dio. Berkeley pensa che la Scienza rappresenti “la grammatica del linguaggio che Dio utilizza per emanare e per veicolare le Idee nel mondo” in modo da metterle a disposizione del sistema percettivo di ogni singola persona chiamata, per volontà divina, a dedicarsi alla conoscenza.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Percepire è “prendere coscienza di un fatto attraverso una sensazione”, attraverso un odore, un sapore, un suono, un tatto, uno sguardo… In quale occasione avete potuto percepire una bella, buona, giusta sensazione?…

Scrivete quattro righe in proposito [compiti per le vacanze]...

     Berkeley [come abbiamo studiato] ha avuto il merito di far sì che - a Londra, a Dublino, a Parigi e nelle più importanti città europee - si aprisse, tra il ‘600 e il ‘700, un serrato dibattito sul tema dei vizi privati e delle pubbliche Virtù. Nei circoli e nei salotti londinesi dove nasce e si sviluppa questo dibattito le idee di Berkeley vengono sostenute, con veemenza ironica e sarcastica, da uno scrittore, suo amico, che tutte e tutti voi avete sentito nominare: Jonathan Swift.

     Jonathan Swift è nato a Dublino nel 1667 ed è morto, sempre a Dublino, nel 1745. Anche Swift, come Berkeley, è un pastore anglicano e, dal 1694, vive per una ventina d’anni a Londra partecipando attivamente alla vita politica della città e segnalandosi in particolare nella difesa dei diritti degli Irlandesi che aspirano all’autonomia politica, e lottano per liberarsi dal giogo della corona britannica.

     Nel 1714 Swift viene nominato decano della Cattedrale di San Patrizio a Dublino [e potrete visitare questo monumentale edificio se seguirete - su una guida dell’Irlanda e sulla rete - gli itinerari dublinesi consigliati] e, quindi Swift fa definitivamente ritorno nella sua città natale.

     I testi delle opere di Jonathan Swift contengono una feroce satira contro «certi palesi e nefasti comportamenti sociali »[ed è lui a usare questo linguaggio] diffusisi nell’epoca tra Seicento e Settecento e, come Berkeley, coltiva una forte avversione per quella che lui definisce «la meschinità della vita londinese contemporanea» e, soprattutto, fa riferimento allo stile di vita dei ricchi dediti allo sfruttamento d’ingenti quantità di risorse [matriali e umane]. «La perfida congrega [come la chiama Swift] dei ricchi sfruttatori ha un atteggiamento riprovevole» perché dà, in primo luogo, un pessimo esempio dettando regole di condotta atte a far sì che si moltiplichino i vizi privati generando la diffusione di un modello di vita negativo e deleterio per tutta la società, e purtroppo, afferma Swift, i membri del popolo - affetti da imbecillità perché tenuti nel sottosviluppo intellettuale - credono di potersi far furbi adeguandosi al sistema di immoralità imposto dalla mentalità dominante creata dalla borghesia capitalista. Non servono a niente - sostiene Swift citando anche Berkeley - i vivaci dibattiti tra intellettuali che hanno luogo nei comodi salotti dei circoli aristocratici, quello che necessita è la promozione e la diffusione della Scuola pubblica per poter contrastare il diffondersi dei vizi privati insegnando a praticare le pubbliche Virtù! [E questa rivendicazione è ancora all’ordine del giorno oggi: e sono trecento anni che trova poca udienza!]. Queste idee Swift le sostiene nei suoi testi come [e ne citiamo alcuni]: Favola della botte [1704] in cui si scaglia contro le diverse chiese cristiane che sono chiamate di comune accordo tra loro “a far Scuola di pubbliche Virtù” [secondo il dettato evangelico] e non a litigare tra loro, a colpi di scomuniche reciproche, per affermare il primato della propria congregazione nel proclamare l’autentica verità; seguono Lettere di un drappiere [1724] e Modesta proposta [1729] in cui Swift, con spietato sarcasmo, propone una serie di soluzioni di carattere educativo per alleviare le miserie della società; inoltre, una satira molto divertente sui costumi privati è contenuta nella raccolta di versi intitolata Lo spogliatoio della signora [1732]. Ma come sapete quello che viene considerato il capolavoro di Jonathan Swift è il romanzo intitolato I viaggi di Gulliver [1726]. Tutte e tutti noi conosciamo fin da bambini il paese di Lilliput in cui Jonathan Swift ambienta I viaggi di Gulliver.

     Il testo di questo romanzo non narra “la fiaba dei nani e dei giganti”, e non è un racconto da relegare tra i testi della Letteratura per l’infanzia perché in realtà si tratta di uno dei più acidi e corrosivi, se non del più acido e del più corrosivo Libro dell’età illuministica. Il testo de I viaggi di Gulliver è di straordinaria attualità, ed è carico di disprezzo per “l’animale uomo” che - nonostante sia dotato di ragione oppure proprio perché è dotato di ragione [Swift è pessimista sull’uso che viene fatto della ragione umana e pensa - contrariamente a Berkeley - che l’uomo sia cattivo per natura] - facendo cattivo uso del dono della ragione, non fa altro che arricchire di ingiustizia il suo bagaglio esistenziale. I racconti di Swift sono dei grandi quadri allegorici che prendono forma attraverso le circostanze più paradossali, e con il paradosso lo scrittore fa compiere alle sue storie le più incredibili acrobazie tanto da dare, con disinvoltura, una perfetta credibilità alle vicende raccontate e ai personaggi nonostante siano inverosimili [come i Lillipuzziani] che chi legge è tentato di mettersi alla ricerca, sull’Atlante geografico, di quelle strane e fantastiche isole di cui Swift parla così realisticamente. Anche l’umorismo, di cui il romanzo è impregnato, è paradossale perché è un umorismo che non vuole semplicemente divertire ma bensì vuol far riflettere in modo da far esplodere tutte le contraddizioni della presunta civiltà annientandone i falsi valori e gli stupidi pregiudizi. Chi legge viene via via indotto a provare disgusto come afferma Swift  per «la manìa predatoria che invade l’animo de l’uomo civilizzato in preda alla sua perenne e pazza fisima di credersi la misura di tutte le cose e il padrone di tutta la Terra». Swift [che, insieme a Berkeley, stiamo incontrando sul primo tratto della via che porta nel cuore del secolo dei Lumi] è il primo strenuo difensore di quello che oggi chiamiamo “l’ambiente” e la sua requisitoria non può che consistere  - nel momento in cui la Rivoluzione industriale, già ai suoi esordi, sta deteriorando l’aria di vaste aree metropolitane - nel denunciare sarcasticamente il comportamento del più spregiudicato animale predatore del pianeta, l’homo sapiens, che - secondo Swift - andrebbe ribattezzato: “homo insapiens”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Questo è il momento adatto di leggete o di rileggete I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift e anche i testi delle altre opere di questo autore che abbiamo citato: queste opere le potete richiedere tutte in biblioteca  [compiti per le vacanze] …

     Adesso, per concludere, leggiamo una pagina tratta da un altro graffiante scritto di Jonathan Swift intitolato Istruzioni alla servitù [1745] che si presenta come un contributo di carattere paradossale alla riflessione sul tema della servitù volontaria, un tema che abbiamo studiato incontrando, a suo tempo, Etienne de La Boétie, l’amico fraterno di Montaigne morto prematuramente e autore del celebre Discorso sulla servitù volontaria redatto intorno al 1549. Jonathan Swift affronta il tema secondo il suo stile producendo un formidabile testo ironico, sarcastico, provocatorio, in cui non vuole dedicarsi solo alla comicità ma vuole sollevare una questione di natura politica. Il messaggio che Jonathan Swift lancia a “la categoria del personale di servizio” vuol essere un’istigazione alla ribellione rivolta a tutte le persone che sottostanno, volenti o nolenti, alla condizione di servitù. I Servi devono sabotare, disubbidire, confondere, ingannare, ridicolizzare, truffare, svergognare e umiliare i Padroni perché se lo meritano! E perché se lo meritano? Perché, con il loro comportamento, col loro esempio diseducativo, provocano quelle nefandezze, quei dispetti, quelle rappresaglie che si riflettono negativamente su tutta la società.

Jonathan Swift, Istruzioni alla servitù

Quando il padrone o la padrona chiamano un servo per nome, se quel servo non è a portata di voce, nessuno di voi risponda, altrimenti non ci saranno più limiti alla vostra oppressione. E i padroni stessi ammettano che, se un servitore viene, quando è chiamato, basta. Quando hai fatto un danno, sii sempre spavaldo e insolente, e comportati come se fossi tu il danneggiato: questo toglierà immediatamente al tuo padrone o padrona la sua boria.  Se vedi il tuo padrone danneggiato da qualcuno dei servi tuoi colleghi, tienilo ben nascosto, per non farti la fama di spia. C’è però un’eccezione, nel caso di un favorito, che è giustamente odiato dal resto della servitù, la quale è perciò costretta a cautelarsi facendo ricadere ogni possibile colpa sul favorito. La cuoca, il maggiordomo, lo stalliere, chi fa le compere al mercato, e ogni altro servitore interessato alle spese della casa, si comporti come se l’intero patrimonio del suo padrone fosse destinato alla particolare attività di quel servitore. Per esempio, se la cuoca stima che le rendite del suo padrone siano mille sterline l’anno, ne trarrà la logica conseguenza che mille sterline all’anno sono più che sufficienti per la carne, quindi non c’è bisogno che lei faccia economia. Lo stesso ragionamento farà il maggiordomo per la cantina, e così pure lo stalliere e il cocchiere. E in questo modo ogni capitolo di spesa sarà gonfiato al massimo in onore del padrone. Quando sei rimproverato in presenza d’altri (il che, con tutto il rispetto per il signore e la signora, è una maleducazione), succede spesso che qualche estraneo abbia il boncuore di mettere una parola a tua scusa. In tal caso hai un buon titolo per giustificarti, e puoi giustamente concludere che anche in seguito, per qualsiasi motivo qualcuno ti rimproveri, potrebbe esser lui dalla parte del torto. Accade spesso che i servitori incaricati di qualche commissione, abbiano tendenza a restar fuori un po’ più a lungo di quanto la commissione richieda, magari due, quattro, sei, otto ore, o simili inezie: perché la tentazione certo era grande, e la carne non sempre può resistere. Al ritorno il padrone va su tutte le furie, la padrona strèpita: in parole povere, ti ritrovi nudo, bastonato e licenziato. È in questi momenti che bisogna aver pronta una serie di scuse adatte per ogni occasione: per esempio, che tuo zio è arrivato in città stamattina, facendo ottanta miglia apposta per venirti a trovare, e riparte domani all’alba; che un servitore tuo amico, al quale avevi in passato prestato del denaro quand’era disoccupato, stava per fuggire in Irlanda; che sei stato a salutare un vecchio collega che s’imbarca per le Barbados; che tuo padre ti ha mandato una vacca da vendere, ma non sei riuscito a trovare un mediatore fino alle nove di sera; che sei andato a salutare un tuo caro cugino, il quale sarà impiccato sabato prossimo; che ti sei slogato un piede contro un sasso, e sei stato costretto a restare tre ore in una bottega prima di riuscire a muovere un passo; che ti è caduta addosso della porcheria gettata da una mansarda, e ti vergognavi di tornare a casa prima di esserti ripulito e tolto il puzzo; che ti volevano arruolare per forza in Marina, e ti hanno trascinato davanti a un Giudice di Pace che ti ha tenuto lì tre ore prima di esaminarti, e c’è voluto del bello e del buono per farti rilasciare; che un ufficiale giudiziario ti ha arrestato scambiandoti per un debitore, e ti ha tenuto per tutto il pomeriggio in guardina; che ti avevano detto che il padrone era andato all’osteria e gli era successa una disgrazia, e che la tua angoscia era così grande che avevi cercato notizie di Sua Signoria in un centinaio di locali.  Prendi sempre le parti dei negozianti contro il tuo padrone, e quando ti mandano a comprare qualcosa non tirar mai sul prezzo, ma paga generosamente e interamente quello richiesto. Ciò porterà grande onore al tuo padrone; e forse qualche scellino in tasca a te; e devi considerare che, se il tuo padrone ha pagato troppo, può sopportare la perdita meglio di un povero negoziante. Non prestarti mai a muovere un dito fuorché per lo specifico lavoro per cui sei stato assunto. Per esempio, se lo stalliere fosse ubriaco o assente, e al maggiordomo si ordinasse di chiudere la porta della stalla, ecco la risposta: col permesso di Sua Signoria, non m’intendo di cavalli. O se un angolo di tappezzeria richiedesse un solo chiodo per essere fissato, e se l’incarico di inchiodarlo fosse dato al valletto, lui può dire che non è pratico di questo tipo di lavoro, ma che Sua Signoria può far chiamare il tappezziere. Signori e signore se la prendono sempre con i servi perché non richiudono le porte, ma né i signori né le signore considerano che quelle stesse porte debbano essere aperte prima di poterle richiudere, e che aprire e chiudere porte è fatica doppia; per cui la soluzione migliore, più rapida e più comoda è non fare né l’una né l’altra cosa. Ma se ti ripetono di chiudere la porta in modo così assillante che non puoi facilmente ignorarlo, allora sbatti la porta, quando esci, con un colpo tale da far tremare tutta la stanza e tintinnare tutti gli oggetti, per far ben capire al signore e alla signora che tu segui le loro istruzioni. Se ti accorgi che padrone o padrona ti stanno prendendo in simpatia, quando si presenta l’occasione digli, in modo molto gentile, che ti vuoi licenziare; e quando te ne chiedono il motivo e si dimostrano maldisposti a separarsi da te, rispondi che vorresti vivere con loro più che con qualsiasi altra persona, ma che un povero servitore non può essere biasimato se cerca di migliorare; che servire non è vivere di rendita, che di lavoro ne hai tanto e di salario molto poco; al che, se il tuo padrone ha un minimo di generosità, aumenterà di cinque o dieci scellini il tuo trimestre piuttosto che lasciarti andare. Se però non ci casca, e non hai intenzione di andartene, trova uno dei tuoi colleghi che dica al padrone di averti persuaso a restare. I bocconcini di qualsiasi genere che riesci a rubacchiare di giorno, conservali per far bisboccia con gli altri servi di sera, e invita il maggiordomo, a condizione che porti da bere. Scrivi il tuo nome e quello della tua bella col fumo di una candela sulla volta della cucina o del tinello, per dimostrare la tua erudizione. Se sei un giovane di aspetto gradevole, quando devi sussurrare qualcosa alla tua padrona a tavola, spingi avanti il naso fino a toccarle la guancia, o se il tuo alito è buono, àlita dritto sulla sua faccia: so che questo ha portato ottimi risultati in alcune famiglie. Quando giù al pianterreno avrete rotto tutti i recipienti di terracotta (per farlo basta generalmente una settimana) si può usare benissimo la brocca di rame: serve per bollire il latte, per scaldare la minestra, per metterci la birra, e in caso di necessità sostituisce il pitale. Perciò adibitela indifferentemente a tutti questi usi, ma senza mai lavarla o strofinarla, per timore che venga via la stagnatura. Non accorrere mai finché non sei stato chiamato tre o quattro volte, perché solo i cani corrono al primo fischio. E quando il padrone grida: «C’è qualcuno?» nessun servitore è tenuto a rispondere, perché “C’è qualcuno” non è il nome di nessuno. …

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Prima di concludere è doveroso fare brevemente un bilancio [dando un po’ di numeri]

per quanto riguarda il “patrimonio” dell’Associazione: abbiamo raccolto complessivamente 3183 € e 26 Cent.

Abbiamo versato: 700 € alla Scuola Redi per la stampa dei REPERTORI ...

Abbiamo devoluto:         1000 € all’Associazione Il Cuore si scioglie della Coop

350 € all’Associazione AISLA

                                         250 € all’Associazione delle Donne messicane dei forni

Per un totale di 2300 €, per cui rimangono in cassa 883 € e 26 Cent.

Dei quali 700 € saranno necessari a settembre per coprire la spesa dell’Assicurazione obbligatoria dell’Associazione Art.34,

per cui restano in cassa ben 183 € e 26 Cent.

Questo “patrimonio” viene accantonato perché [bisogna essere previdenti] non possiamo sapere

se il prossimo anno ci sarà un numero consistente di donatrici e di donatori come quest’anno,

però, sappiamo che anche il prossimo anno ci saranno spese da fare e contributi da elargire.

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     A ottobre, sperando di poter viaggiare, dopo aver fatto una breve ma significativa sosta a Barbiana, ci rimetteremo in cammino spostandoci da Dublino [dove ora è terminato il nostro viaggio] a Edimburgo in Scozia, poi andremo a Halle in Germania e, sempre in partenza, navigheremo in gondola sui canali di Venezia prima di raggiungere Parigi. Chi dobbiamo incontrare, in partenza, a Edimburgo, a Halle, a Venezia e a Parigi, e su quali temi dobbiamo cominciare a riflettere nel momento in cui inizieremo ad attraversare il territorio del secolo dei Lumi? [Belle domande a cui rispondere!].

     La doverosa pausa estiva deve servire per rafforzare e per far crescere in noi la convinzione che “non bisogna mai perdere la volontà d’imparare” e, per soddisfare questa necessità costitutiva della persona, a ottobre [salvo imprevisti, secondo il Calendario che avete ricevuto, il 12-13-14 -21 ottobre] ripartiremo per la 39esima volta.

     E con questo auspicio vi ringrazio perché senza di voi non ci sarebbe stata la Scuola e senza la Scuola non avrei potuto esercitarmi costantemente nell’esercizio dell’Apprendimento, e non avrei imparato, anche quest’anno, un certo numero di cose [di parole-chiave e di idee-cardine]. Quindi, è bene che la Scuola ci sia, che i compiti delle vacanze siano stati assegnati e che, ancora una volta io possa per il 38esimo anno augurare a tutte e a tutti voi: una buona vacanza di studio!

     A ottobre [perché i viaggi di studio devono continuare]...

 

ANNO SCOLASTICO 2022 2023

Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura

La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi …

Calendario delle Lezioni         prof. Giuseppe Nibbi

 

Lezione prima                         Bagno a Ripoli e Tavarnuzze  il  12-13 ottobre 2022   ore 21-23

                                               Firenze primo gruppo              il  14 ottobre 2022         ore 17-19

                                               Firenze secondo gruppo           il  21 ottobre 2022         ore 17-19

 

Lezione seconda                    Bagno a Ripoli e Tavarnuzze   il  26-27 ottobre 2022       

                                              Firenze primo gruppo               il  28 ottobre 2022

                                              Firenze secondo gruppo            il  04 novembre 2022

                    

Lezione terza                         Bagno a Ripoli e Tavarnuzze   il  09-10 novembre 2022  

                                              Firenze primo gruppo               il  11 novembre 2022

                                              Firenze secondo gruppo            il  18 novembre 2022             

                        

 Lezione quarta                      Bagno a Ripoli e Tavarnuzze   il  23-24 novembre 2022   

                                              Firenze primo gruppo              il  25 novembre 2022

                                              Firenze secondo gruppo           il  02 dicembre  2022                        

                                 

Lezione quinta                       Firenze primo gruppo               il  09 dicembre 2022

                                             Bagno a Ripoli e Tavarnuzze   il  14-15 dicembre 2022    

                                             Firenze secondo gruppo            il  16 dicembre  2022

pausa natalizia                      

Lezione sesta                        Bagno a Ripoli e Tavarnuzze   il  11-12 gennaio  2023           

                                             Firenze primo gruppo               il  13 gennaio 2023

                                             Firenze secondo gruppo            il  20 gennaio  2023

 

Lezione settima                     Bagno a Ripoli e Tavarnuzze   il  25-26 gennaio 2023           

                                             Firenze primo gruppo               il  27 gennaio 2023

                                             Firenze secondo gruppo            il  03 febbraio 2023

 

Lezione ottava                       Bagno a Ripoli e Tavarnuzze   il  08-09 febbraio 2023            

                                             Firenze primo gruppo               il 10 febbraio 2023   

                                             Firenze secondo gruppo            il 17 febbraio 2023                                     

 

Lezione nona                        Bagno a Ripoli e Tavarnuzze   il  22-23 febbraio 2023            

                                             Firenze primo gruppo               il  24 febbraio 2023

                                             Firenze secondo gruppo            il  03 marzo 2023

 

Lezione decima                     Bagno a Ripoli e Tavarnuzze    il  08-09 marzo 2023                

                                             Firenze primo gruppo                il  10 marzo 2023   

                                             Firenze secondo gruppo             il  17 marzo 2022

 

Lezione undicesima               Bagno a Ripoli e Tavarnuzze    il  22-23 marzo 2023

                                             Firenze primo gruppo                il  24 marzo 2023                     

                                             Firenze secondo gruppo             il  31 marzo 2023

pausa pasquale

Lezione dodicesima               Bagno a Ripoli e Tavarnuzze    il  12-13 aprile 2023           

                                             Firenze primo gruppo                il  14 aprile 2023

                                             Firenze secondo gruppo             il  21 aprile 2023

 

Lezione tredicesima              Bagno a Ripoli e Tavarnuzze    il   26-27 aprile 2023        

                                             Firenze primo gruppo                il   28 aprile 2023

                                             Firenze secondo gruppo             il   05 maggio 2023                                           

 

Lezione quattordicesima        Bagno a Ripoli e Tavarnuzze     il   10-11 maggio 2023  

                                             Firenze primo                              il   12 maggio 2023

                                             Firenze secondo gruppo              il   19 maggio 2023





 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 27, 2022