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SULLA VIA CHE PORTA VERSO IL SECOLO DEI LUMI CON IL GENERE LETTERARIO DELLA FAVOLA EMERGE IL TEMA DELLA CONDIZIONE UMANA DOMINATA DALLA CRUDELTÀ ...

Lezione N.: 
3

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA  È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica sulla via che porta verso il secolo dei Lumi III

Tavarnuzze 11 novembre 2021 – Bagno a Ripoli 17 novembre 2021

Firenze prima il 12 novembre 2021 e Firenze seconda il 19 novembre 2021

SULLA VIA CHE PORTA VERSO IL SECOLO DEI LUMI 

CON IL GENERE LETTERARIO DELLA FAVOLA EMERGE IL TEMA

DELLA CONDIZIONE UMANA DOMINATA DALLA CRUDELTÀ ...

     Questo è il terzo itinerario del nostro viaggio sulla via che conduce dalla seconda metà del Seicento al secolo dei Lumi, il ‘700. Nell’itinerario scorso abbiamo incontrato Jean de La Fontaine e abbiamo sottolineato i tratti fondamentali della sua formazione culturale, che corrisponde a quella di tutta una generazione di intellettuali.

     La Fontaine è autore di molte Opere ma quando lo si nomina la mente è attratta inevitabilmente da un termine: la parola-chiave “favola”, e La Fontaine è passato alla Storia della Letteratura in quanto autore di Favole in versi.

     Quando, nel 1668, Jean de La Fontaine fa pubblicare la sua prima raccolta di Favole la intitola Favole scelte messe in versi [Fables choisis mises en vers] e, con questo titolo, vuole dichiarare che il suo intento è quello di far combaciare strettamente la poesia alla favola, per dare la maggior evidenza possibile alla poesia, in modo così facendo da poter superare quello che lui considera il blando pedagogismo che obbliga gli autori di favole antiche [greche e latine] a far risaltare “una morale un po’ scontata”. Per La Fontaine scrivere in versi [così come per Pascal ragionare in termini matematici e per Montaigne riflettere sulle cose della vita] è un’operazione del tutto naturale, tanto che spesso anche le sue Lettere sono scritte in versi, quindi, prima di essere un satirico o un moralista La Fontaine vuole essere definito: un lirico [un poeta lirico]. E, di conseguenza, si sente in obbligo di concludere le sue composizioni con “una formula di carattere morale” solo per rendere omaggio alla tradizione antica del genere letterario della Favola [una tradizione alla quale La Fontaine si avvicina con il dovuto rispetto], anche se, per lui, “la morale della favola” non ha mai propriamente un carattere “moralistico”: difatti, solo ventiquattro Favole [tra le 124 della prima raccolta] si concludono con una sorta di insegnamento morale. Di solito le Favole di La Fontaine si chiudono mettendo in evidenza “la crudeltà”, ed è con questo tema che l’autore - il creatore della favola moderna, come è stato definito - vuole spronare la persona che legge a riflettere sulla natura dell’etica [perché c’è il male, perché c’è la sofferenza, perché c’è l’ingiustizia?], e vuole esortare la persona che legge a considerare il fatto che il tema annoso e drammatico della “crudeltà” necessita [afferma La Fontaine] di essere urgentemente circoscritto nei suoi confini perché comprende un’area molto vasta data da un ampio ventaglio di termini che ne rafforzano la negativa efficacia e ne aumentano la potenza tanto da rendere facilmente succubi gli esseri umani: la crudeltà è durezza, spietatezza, disumanità, insensibilità, cattiveria, malvagità, ferocia, brutalità, atrocità, efferatezza. E come si può accettare [si domanda La Fontaine, così come se lo domandano Montaigne e Pascal] che “la crudeltà” sia il carattere predominante di una società [il ‘600 è il secolo del trionfo della cristianità!] che si definisce “a identità cristiana”?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di questi termini - durezza, spietatezza, disumanità, insensibilità, cattiveria, malvagità, ferocia, brutalità, atrocità, efferatezza - mettereste per primo accanto alla parola “crudeltà” e in relazione a quale situazione o a quale episodio avete scelto questo termine?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Sono stati scritti molti saggi che trattano il tema de “la crudeltà” nelle Favole di La Fontaine, un argomento che colpisce la lettrice e il lettore fin dalla prima famosissima favola della raccolta: La cicala e la formica.

     Leggiamo il testo di questa favola, nella classica traduzione di Emilio De Marchi.

Jean de La Fontaine, Favole

La cicala e la formica

La Cicala che imprudente tutto estate al sol cantò,

provveduta di niente nell’inverno si trovò,

senza più un granello e senza una mosca in la credenza.

Affamata e piagnolosa va a cercar della Formica

e le chiede qualche cosa, qualche cosa in cortesia,

per poter fino alla prossima primavera tirar via:

promettendo per l’agosto, in coscienza d’animale, interessi e capitale.

La Formica che ha il difetto di prestar malvolentieri, le dimanda chiaro e netto:

«Che hai tu fatto fino a ieri?» … «Cara amica, a dire il giusto non ho fatto

che cantare tutto il tempo». … «Brava, ho gusto; balla adesso, se ti pare». …

     Ci sono diversi motivi di riflessione riguardo a questa famosa favola.

    Il senso della prima delle Favole di La Fonatine, intitolata La cicala e la formica, si può cogliere solo se si tiene conto de “la caduta in disgrazia” del sovrintendente Nicolas Fouquet ad opera del suo rivale politico Jean-Baptiste Colbert [e la storia e il conflitto tra questi due personaggi, non a caso, lo abbiamo messo in evidenza nel corso dell’itinerario precedente]. Questa favola, che inaugura la raccolta, mette subito in risalto il tema de “la crudeltà” su cui La Fontaine vuole far riflettere le sue lettrici e i suoi lettori [una società che dichiara la propria identità cristiana può tollerare un uso diffuso della crudeltà? Si domanda il poeta]. E il testo di questa favola ha messo in crisi anche il filosofo Jean Jacques Rousseau [1712-1778] perché non lo può far leggere al suo Emilio [Emilio è il nome del ragazzo protagonista del più famoso romanzo pedagogico di Rousseau intitolato Emilio o dell’educazione, 1762]: infatti il noto teorizzatore de “l’educazione naturale” [che abbiamo incontrato qualche anno fa e che rincontreremo a suo tempo] non può certo proporre, come modello, “il comportamento imprevedibile e irresponsabile della cicala” ma neppure “la presunta virtù della formica” perché, come paziente accumulatrice di beni, cade nell’avarizia e perde il senso della carità più elementare, fino ad assumere un atteggiamento cinico, che risulta francamente odioso, e la favola è, di conseguenza, inservibile a livello educativo: e La Fontaine desidera che le sue Favole non propongano “una morale accomodante” che non può essere considerata uno strumento edificante se non da ipocriti precettori e, quindi, Rousseau non può prescrivere la lettura della favola di La Fontaine ad Emilio se non quando, raggiunta la maggiore età, comincerà a riflettere sul delicato tema de “la crudeltà umana”.

     Questa favola di La Fontaine è stata anche spiritosamente commentata in chiave scientifica - entomologica, per la precisione - da l’entomologo Jean Henri Fabre [1823-1915] il quale è noto per le sue pazienti osservazioni sul mondo degli insetti che ha saputo descrivere in uno stile pittoresco e colorito nell’opera in dieci volumi intitolata Ricordi entomologici nella quale, parlando delle cicale, scrive: «Non vi sono cicale in inverno, le cicale non mangiano grano né moscerini o vermicelli come le onnivore formiche, ma La Fontaine non vuole fare l’entomologo, e il suo bestiario è in realtà un campionario dell’umanità sotto forma animale, e gli insetti reali sono al di là del bene e del male».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Chi vuole saperne di più sugli insetti può sfogliare, in biblioteca, l’opera di Jean Henri Fabre intitolata Ricordi entomologici...     Qual è l’insetto più interessante per voi, perché?...    

Scrivete due righe in proposito...

     Per comprendere le composizioni di La Fontaine non bisogna puntare l’attenzione né sulla morale [a detta di Jean Jacques Rousseau] né sulla scienza [a detta di Jean Henri Fabre], ma bisogna piuttosto tenere conto delle circostanze storiche e, nel caso de La cicala e la formica, non si può prescindere come abbiamo detto da “l’affare Fouquet”: la cicala è Nicolas Fouquet, accusato di imprevidenza da Jean-Baptiste Colbert, probabilmente invidioso della piccola ma brillante corte di cui il sovrintendente alle Finanze [come sapete] si è circondato a Vaux-le-Vicomte nel suo castello, dando feste che fanno molto ingelosire il Re-Sole, che - a proposito di favole - si comporta da leone che finge di essere ferito. La corte di Fouquet è animata dalla presenza di scrittori e di artisti come lo stesso La Fontaine [e la cicala è, per tradizione, un’incarnazione del canto e della poesia] mentre la formica è Colbert, che gestisce le finanze pubbliche con rigore risparmiando fino all’osso sullo stato sociale in modo che il re possa spendere quasi tutti i soldi pubblici per la sua lussuosa vita privata, e lui stesso [Colbert] possa accumulare un’immensa fortuna. Quindi, la formica - simbolo tradizionale di prudenza e di economia - diventa, nella favola di La Fontaine, l’emblema del cinico accaparramento dei beni, e il tema della crudeltà [della malvagità umana] è direttamente legato a quello della morte che, come abbiamo già detto, diventa [così come nei Saggi di Montaigne e nei Pensieri di Pascal] l’argomento predominante nelle Favole di La Fontaine, dove muoiono o si uccidono fra loro più persone che in tutte le tragedie classiche.

     E, a questo proposito, una delle favole più pessimistiche s’intitola L’uomo e il serpente [o L’uomo e la serpe o L’uomo e la biscia] nel cui testo l’autore scrive che l’essere umano è più malvagio e più ingrato di un serpente che è “l’animale perverso” per definizione il quale, però, ha buon gioco a ribattere l’accusa di ingratitudine rinfacciando all’essere umano il suo comportamento egoistico: «La tua giustizia [dice il serpente all’uomo] consiste in ciò che per te è utilità, è piacere, è capriccio [ta justice / c’est ton utilité, ton plaisir, ton caprice]».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un volume contenente le Favole di La Fontaine [che potrebbe essere nella vostra biblioteca domestica] e navigando in rete leggete il testo de  L’uomo e il serpente [o L’uomo e la serpe o L’uomo e la biscia]…

     Nel testo della favola in cui il serpente rinfaccia all’essere umano il suo comportamento egoistico emerge anche il tema, oggi di grande attualità, che riguarda le accuse rivolte dalla Natura all’uomo, un tema che fa di La Fontaine un anticipatore nel denunciare le forsennate distruzioni operate dall’umana follia che, a lungo andare, stanno minando la salute del Pianeta.

     E questo tema viene ripreso da La Fontaine nel testo della favola intitolata I compagni di Ulisse nel cui testo l’autore si spinge fino a sostenere che la condizione degli animali è da preferire a quella umana. I compagni di Ulisse [come ricorderete dal testo dell’Odissea] sono stati trasformati in bestie dalla maga Circe [in porci, ma La Fontaine diversifica], solo Ulisse è stato risparmiato, e quando lui con la sua capacità di mediazione, riesce a ottenere che i suoi compagni riacquistino la loro condizione umana ecco che loro rinunciano perché lo status degli animali [del leone che è re, dell’orso che gode di tutto, del lupo di cui tutti hanno paura] è da preferire a quello umano:  La Fontaine mette soprattutto in evidenza il discorso del lupo [del compagno di Ulisse trasformato in lupo e tornato uomo malvolentieri] il quale sostiene che è inutile tornare alla condizione umana dal momento che gli uomini si comportano né più né meno come i lupi. E qui La Fontaine fa echeggiare la celebre frase del filosofo Thomas Hobbes [1588-1679, che rincontreremo strada facendo]: «homo homini lupus » [l’uomo - scrive Hobbes - è un lupo per l’altro uomo] e l’unica differenza è che, mentre gli animali lottano tra di loro per necessità, gli uomini si uccidono tra di loro per il solo piacere di uccidere e, in modo ineccepibile il lupo-filosofo conclude il suo ragionamento affermando: «Siccome, tutto sommato, scellerato vale scellerato, preferivo restare Lupo piuttosto che Uomo esser tornato», e questa è una condanna senza appello che La Fontaine fa pronunciare all’animale che passa come la più crudele delle bestie carnivore. Il poeta Paul Éluard [1895-1952] critica l’eccessivo secondo lui pessimismo di La Fontaine e per questa ragione lo ha escluso dalla sua Antologia viva della poesia del passato [pubblicata nel 1951] perché, secondo lui [Éluard è stato un grande cantore dell’amore e della fraternità umana], La Fontaine è colpevole «di essersi allontanato dalle rive della speranza umana, e non si può e non si deve mai perdere la speranza».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un volume contenente le Favole di La Fontaine, che sarà pure nella vostra biblioteca domestica, e navigando in rete leggete il testo de  I compagni di Ulisse...

     La Fontaine [oltre che dal poeta Paul Éluard] è stato criticato da molti commentatori contemporanei che gli hanno rinfacciato di aver voluto cinicamente sostenere “l’ineluttabilità del diritto del più forte”, ma molte e molti studiosi fanno rimarcare il fatto che La Fontaine evidenzia l’impossibilità di coltivare speranze finché la società accetta di essere fondata sulla malvagità, e la malvagità genera malvagità, e questo fatto provoca la perdita della fiducia, come succede alla pernice nel testo della favola La pernice e i galli che ora leggiamo nella traduzione di Maria Vidale.

Jean de La Fontaine, Favole

La pernice e i galli

Fra certi galli violenti e poco urbani, sempre in rissa tra loro e turbolenti,

viveva una pernice. Lei, femminile, dai modi delicati,

pensava che, essendo una signora, e per di più straniera,

i galli, che all’amore son portati, l’avrebbero trattata con affetto.

E invece quelli, rissosi, scalmanati, non le portavano un filo di rispetto,

anzi, godevano a prenderla a beccate. Lei, sulle prime, ci rimase male,

ma poi, vedendo che anche tra di loro era tutto un beccarsi e uno spennarsi,

dopo un po’ finì per consolarsi e si disse: «È vero,

io deploro la loro inciviltà, ma non è colpa loro, poveracci!

Loro usano così, niente da dire. Non tutte le creature

sono forgiate sullo stesso stampo. Chi nasce gallo, e chi nasce pernice.

Dipendesse da me, sarei felice di avere una più onesta compagnia.

Però il padrone della fattoria ha deciso altrimenti. Ci cattura, ci taglia le ali

e poi ci mette in gabbia insieme con i galli, senza scampo.

E non degli animali, solo dell’uomo bisogna aver paura». …

     L’argomento che domina le Favole di La Fontaine è, come abbiamo detto,  quello della denuncia della crudeltà e della malvagità umana, ma non si può dimenticare che questo tema è accompagnato dalla commossa partecipazione, dalla solidarietà e dalla pietà verso gli infelici e questi tre elementi percorrono da un capo all’altro l’opera di La Fontaine: nella favola La pernice e i galli [che abbiamo appena letto] la pernice, che subisce spesso le beccate dei galli, li commisera comunque affermando che sono «dei poveracci incolpevoli » [vittime del fatto che l’inciviltà genera inciviltà], e perfino il lupo che, fidatosi delle parole degli uomini, finisce accoppato è “una povera bestia, come è scritto nella favola Il lupo, la madre e il bambino [leggetela], e “la povera infortunata” è la leonessa che ha perduto il suo nato, come è scritto nella favola La leonessa e l’orsa [leggetela], e perfino i ladri ingannati da un loro socio sono “i poveri ladri”, come è scritto nella favola I ladri e l’asino [leggetela], e quando il lupo affamato e randagio si sente proporre dal cane le gioie eccezionali della vita domestica, anche il poeta si commuove insieme “al povero animale” che sogna una realtà per lui di impossibile realizzazione [chi è quella persona che si mette un lupo in casa? come è scritto nella favola Il lupo e il cane [leggetela].

     Forse “la vera morale” delle Favole è quella di accettare fino in fondo, in tutte le sue contraddizioni, la realtà della natura umana, godendo quando è possibile e imparando a soffrire il meno possibile, e questa è una morale tipicamente epicurea, improntata a una visione concretamente realistica della vita, una morale che incoraggia la persona a imparare come si possa attenuare il più possibile l’invadenza del dolore. La Fontaine non vuol certo dare ragione al lupo della celebre favola Il lupo e l’agnello [rileggetela] ma dichiara solo l’impossibilità di salvare l’agnello vittima della propria ingenuità, e ammonisce chi, volendo sconvolgere l’ordine della natura, finisce per naufragare nel mare della propria imbecillità come accade alla rana che si gonfia grottescamente fino a scoppiare, come si legge nella favola Il bue e la rana [rileggetela] e invece sembra giustificare la volpe che non riesce a raggiungere l’uva pur saltando più in alto che può, la quale, per non cadere nel ridicolo, trova una scusa anche non plausibile, come si legge nella favola La volpe e l’uva [rileggetela], mentre il ridicolo travolge gli ipocriti e i falsi devoti, che La Fontaine non sopporta come è scritto nella favola Il topo eremita [leggetela] ed è in linea con lo stesso pensiero espresso da Molière nella commedia Tartufo: e il genere della favola così come lo ha interpretato La Fontaine è molto vicino al genere teatrale perché le Favole, in tutta la loro ampiezza, mettono in scena la grande commedia della vita, e ogni favola è come se fosse un atto unico [scrive La Fontaine: «Le favole sono un’ampia commedia con cento atti, uno dall’altro diverso, in cui la scena è l’intero Universo»].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un volume contenente le Favole di La Fontaine [che sarà pure nella vostra biblioteca domestica] e navigando in rete leggete e rileggete i testi delle composizioni che abbiamo citato come esempio...

     I principali protagonisti delle Favole di La Fontaine sono animali che secondo la tradizione risultano essere funzionali a questo genere letterario come il leone, la volpe, il lupo, il topo e l’asino. Prima di occuparci delle caratteristiche di questi animali ascoltiamo la voce di Adriana Zarri, nostra compagna di viaggio che racconta, facendoci riflettere, la sua vita da eremita nella cascina del Molinasso, e in una cascina non possono certo mancare gli animali.

Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca

Il Molinasso è qui da secoli. Dal Seicento, forse da prima. E le mie duemila albe non sono che le ultime - per ora - di una serie lunghissima: milioni di albe, milioni di tramonti, milioni di notti e di meriggi che ne hanno scolorito la facciata, scrostati i muri e patinati di tempo: quella patina vecchia, preziosa e inimitabile che è come il blasone nobiliare degli edifici antichi e che io mi rifiuto di distruggere, con un restauro. Forse, se anche potessi, non oserei metterci mano.  Qui la mia vita è molto semplice; e il lavoro si alterna alla preghiera. … Una cascina che si rispetti è piena di animali; e la mia non fa certo eccezione.

... continua la lettura ...

     Il genere della favola [come ben sappiamo] segue un codice codificato dall’antichità tanto nella Letteratura greca e romana quanto in quella orientale, che consiste nel rappresentare i vizi e le virtù degli individui trasferendo allegoricamente la condizione umana nel mondo animale, e La Fontaine segue la tradizione che vede protagonisti in particolare un certo numero di animali.

    Nelle Favole di La Fontaine [così come nel genere letterario della favola in generale] c’è un gruppo di animali i quali risultano essere maggiormente protagonisti in quanto più funzionali alla narrazione come il leone, la volpe, il lupo, il topo e l’asino.

     Dobbiamo, tuttavia, ancora riflettere sul fatto che la bontà universalmente riconosciuta all’opera di La Fontaine non è da collegarsi alla narrazione, vale a dire al contenuto, ma bensì riguarda la forma: è la forma [il modo in cui scrive], nell’opera di La Fontaine, che valorizza il contenuto e, di conseguenza, è questo elemento che, soprattutto con “la musicalità del verso”, esalta il ruolo allegorico degli animali protagonisti. Le Favole di La Fontaine è un’opera che viene universalmente considerata come “perfetta”, di rara freschezza e di attualità, ma voi direte: perché questo giudizio così favorevole se “le favole” sono già state scritte nell’Antichità, nel Medioevo, durante il Rinascimento da molti altri autori? L’apologo in forma di favola, voi direte, non lo ha mica creato lui! E allora qual è il merito di La Fontaine? Il merito di La Fontaine è quello di aver dato dignità formale a un genere letterario considerato “minore” mettendo in versi, in modo geniale, un materiale grezzo che, tradotto in poesia, si arricchisce di vitalità e di misura.

     La competenza di La Fontaine come verseggiatore è il frutto di una lunga e laboriosa incubazione che inizia dagli anni della sua giovinezza [fin da bambino] quando scopre di «amare di un amore intenso le parole» con le quali comincia a giocare fino a farle diventare vive, mobili e colorate, e anche esatte e necessarie, donando loro un’ineguagliabile musicalità: un esercizio da cui trae piacere, un piacere che lui trasforma in “una vocazione” e, di conseguenza, fin da ragazzo, Jean pensa e scrive in versi. E [come abbiamo già studiato] la sua vocazione versificatoria si misura con tutti i generi in auge nel suo tempo: il poema, l’elegia, il romanzo, il teatro, il racconto, la novella, il libretto d’opera, dando vita come sappiamo a una produzione ricca e varia, dagli esiti spesso felici, finché, in età già matura, non trova finalmente il genere che sente come il più congeniale alla sua natura, l’apologo in forma di favola: ogni favola di La Fontaine, come abbiamo già detto, è un minuscolo atto unico, ogni favola di La Fontaine è teatro, è poesia parlata, una poesia che si caratterizza per repentini cambi di ritmo e di tono, tipici dell’oralità, e con chiuse dalla folgorante sinteticità. La “favola” di La Fontaine è stata definita “teatro poetico”, e la voce recitante è sempre la sua perché lui non esce mai di scena, e da bravo primo attore fa parlare “le sue bestie dotate di maschere umane” passando con disinvoltura, e con piacere, dallo stile eroicomico [di tradizione letteraria] al parlato più semplice [di tradizione popolare], e così la persona che legge si sente chiamata in causa e, di volta in volta, è un corvo vanitoso, o una volpe avida e astuta, o un lupo ingordo e spesso anche ingenuo, o un gallo furbo o un tacchino ottuso, o una lepre meditabonda o una rana filosofa: chi legge s’immedesima inevitabilmente nella favola di La Fontaine.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Leggendo le Favole di La Fontaine viene spontaneo chiedersi: «In quale animale favoloso preferirei o desidererei immedesimarmi?»...  Come si fa a non scrivere due righe in proposito visto che tutti gli atteggiamenti umani rientrano nel genere letterario della favola?… 

     Nell’opera di La Fontaine, come abbiamo gia detto, secondo la tradizione gli animali che hanno un ruolo maggiore da protagonisti sono il leone, la volpe, il lupo, il topo e l’asino.

     Nelle Favole di La Fontaine il sovrano degli animali è il leone che lui presenta in modo maestoso malgrado la sua innata ferocia, e il poeta mostra sempre la figura del leone in un’aura di grandezza [anche quando il re degli animali fa delle brutte figure]; e sappiamo che La Fontaine fa sì che il suo re-leone si comporti sempre in modo dignitoso perché vuole criticare il re-sole [Luigi XIV], con il quale è in contrasto, il quale, come sovrano e come uomo, si comporta spesso in modo poco dignitoso: La Fontaine allude al fatto che se fosse una bestia, forse, il re-sole si comporterebbe più dignitosamente («L’accoppiata del termine “re” con il termine “leone” non può che suggerire un giudizio feroce», afferma sarcastico La Fontaine che mette sempre certe sue dichiarazioni, per prudenza, ben chiuse tra parentesi)]. Se il leone ha, nelle Favole, un posto di riguardo, gli animali dai quali si impara di più sono la volpe, il lupo e il topo: infatti, avendo tutti gli altri animali contro, essi devono valersi della dabbenaggine, dell’imbecillità o della vanagloria delle bestie più mansuete e più ingenue.

     Il personaggio della volpe assume un’importanza particolare perché è il ritratto vivente dell’astuzia [la metafora dell’astuzia della ragione] e riesce quasi sempre a cavarsi d’impaccio e a giocare tiri mancini agli altri animali meno provvisti d’intelligenza, ed è una presenza familiare nelle Favole di La Fontaine come lo è stata nella tradizione medioevale quando la fama della volpe raggiunge l’apice in una celebre opera che la vede protagonista.

     E a questo punto, non possiamo fare a meno, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, di presentare quest’opera [e magari a qualcuna e a qualcuno di voi viene voglia di leggerla visto che è La Fontaine stesso a suggerircela perché la utilizza spesso per dare un tono ai testi delle sue Favole e, quindi, non la possiamo ignorare] e, di conseguenza, procediamo con ordine.

     L’opera di cui stiamo parlando s’intitola Il romanzo della volpe e si configura in una raccolta di narrazioni, scritte in versi francesi, composte tra il XII e il XIV secolo. Queste narrazioni non sono legate le une alle altre ma si riferiscono tutte a un personaggio principale: Renart [o Renard], le goupil in francese antico, cioè la volpe [o il volpone perché è un personaggio maschile]. La figura di Renart è stata creata per mettere in guardia e per far riflettere sulla “renardite” cioè sull’astuzia [l’astuzia della ragione] e sull’ipocrisia dominanti nel mondo, e l’immagine che rappresenta questa astuta tendenza è quella della volpe.

     Questa caratteristica, già nota nella Letteratura antica, è stata messa, inizialmente, ben in rilievo in un poema epico [in 6500 versi latini] dal titolo Ysengrimus, in italiano Isengrino, scritto nelle Fiandre dal chierico fiammingo Nivardo da Gand tra il 1149 e il 1151. In questo poema, per la prima volta, gli animali sono dei veri protagonisti e portano dei nomi propri significativi di tradizione germanica in funzione del loro aspetto o del loro carattere: c’è Bruno che è l’orso, c’è Ìsengrim [che significa Elmo di ferro] che è il lupo, c’è Reinhart [il Furbo matricolato, il Volpone] che è la volpe [il nome Reinhart deriva da “ragin, il consiglio” e “hart, duro”], poi c’è Vrevel [il Tracotante] che è il leone. Il poema Isengrino [raccontato dal Cinghiale-Beaucent e scritto dall’Orso-Brun o Bruin] si apre con un tipico motivo medioevale: la Capra intraprende un pellegrinaggio a Roma e a lei si uniscono il Cervo, il Caprone, il Montone, l’Asino, il Volpone [Reinardus], l’Oca e il Gallo. A sera la comitiva si ferma in un’osteria in mezzo ai boschi per passarvi la notte ma, a un certo punto, sopraggiunge anche il Lupo [Isengrino] e, dopo un primo momento di preoccupazione, consigliati da Reinardus, gli animali pellegrini pensano di sbarazzarsi di lui, e Isengrino viene invitato a tavola, e qui ha inizio il racconto delle avventure in cui la [il] Volpe Reinardus e il Lupo Isengrino cercano di eliminarsi a vicenda coinvolgendo tutti gli altri animali nella storia, e il pellegrinaggio assume un tono tutto diverso da quello che dovrebbe essere.

     La fonte di questo poema [attiva dalla notte dei tempi] è la ricca tradizione orale popolare e Ysengrìmus non ha, quindi, un’origine dotta e letteraria ma diventa Letteratura perché un chierico [un intellettuale medioevale che studia e lavora in biblioteca] si diverte a comporlo: Nivardo da Gand possiede un sofisticato gusto satirico e con la sua “zoepica” [cioè “la Letteratura che parla degli esseri umani utilizzando gli animali”] costruisce un’opera in cui, in modo pacato e austero, dà, però, libero sfogo al sarcasmo verso la Chiesa e verso lo Stato, due grandi istituzioni che spesso nelle loro diverse manifestazioni non si comportano con coerenza rispetto a ciò che predicano.

     La creazione del genere zoepico [l’invenzione di far parlare gli animali] è piaciuta molto nei secoli alle scrittrici e agli scrittori [e qui potremmo aprire una parentesi molto ampia ma ci dobbiamo contenere] e quando George Orwell per esempio ha scritto nel 1945 il romanzo La fattoria degli animali ha utilizzato, per comporre la sua celebre opera, il genere letterario “zoepico” con maestria.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Leggete o rileggete La fattoria degli animali di George Orwell, un romanzo che continua a descrivere bene certe anomalie dei tempi presenti…

     Sull’esempio del poema Ysengrìmus prende forma successivamente il Romanzo di Renart [della Volpe], un’opera composta da molti racconti, raccolti e assemblati insieme da vari autori [compilatori redazionali come Pierre de Saint-Cloud e Richard de Lison] i cui nomi non compaiono in copertina: dove accanto a Renart il volpone, a Isengrino il lupo, a Nobile il leone, a Bruno l’orso e al gallo Chantecler compaiono numerosi altri animali: il corvo [Tiécelin], il cane [Roonel], il gatto [Tibert] e molti altri, tutti contraddistinti da un nome, i quali formano, tutti insieme, una società [con le stesse contraddizioni] simile a quella degli umani. Questi animali hanno anche ognuno una moglie: il volpone Renart ha per moglie la volpe Ermellina, Isengrino ha la lupa Hersent, Nobile ha la leonessa Fiera, e il nome proprio dato a ciascuna di queste figure conferisce una vita letteraria individuale e autonoma a questi singoli personaggi.

     Il romanzo di Renart [della Volpe] si compone di tante parti staccate tra loro dette branches [ramificazioni] che presentano una società di tipo monarchico sotto il governo del Leone, e l’azione fondamentale è costituita dalle lotte tra il Volpone Renart e Isengrino il Lupo e tutto il regno è diviso in due partiti: l’uno favorevole alla Volpe e l’altro al Lupo. Il Volpone-Renart è astuto, malvagio, inesauribile, sempre minacciato e in pericolo, ed è quello che tiene in movimento tutto il regno [è il genio stesso dell’avventura, per lui l’avventura è un istinto naturale e, quindi, è il modello di tutte le avventuriere e gli avventurieri che stanno sul palcoscenico della Letteratura] e finisce quasi sempre con l’avere la meglio; mentre le altre bestie vivono in pace e d’accordo alla corte del loro re, solo Renart, imprudente e ingordo, trama ai loro danni, e si fa beffe di alcune di loro, cerca scappatoie quando è incolpato, invoca l’aiuto degli altri animali quando ne ha bisogno, ma poi una volta che si ritrova libero di agire tradisce subito cinicamente il suo stesso salvatore.

     I racconti contenuti ne Il romanzo della volpe sono molto significativi, e hanno molte cose da insegnare su come non comportarsi e su come comportarsi nella società contemporanea. Il romanzo della volpe in età medioevale circola in tutta Europa e durante l’Umanesimo e il Rinascimento è fonte di ispirazione per molti autori, e in epoca moderna  La Fontaine, come abbiamo detto, si è spesso giovato di quest’opera nelle sue composizioni.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Un ulteriore motivo per dedicarsi alla lettura de Il romanzo della volpe sta nel fatto che, strada facendo, quando, fra qualche anno, attraverseremo nuovamente i territori del Romanticismo avremo modo di rincontrare quest’opera [per esempio in compagnia del signor Johann Wolfgang Goethe] ma questa è un’altra storia della quale, mi auguro, ci occuperemo a suo tempo, per ora Il romanzo della volpe lo potete richiedere in biblioteca, leggetelo…

     Secondo la tradizione del genere letterario della favola, come abbiamo detto, oltre al leone e alla volpe, i maggiori protagonisti sono il lupo, il topo e l’asino.

     Nelle Favole di La Fontaine il lupo [lupus in fabula] si presenta come un personaggio crudele e malvagio e ha l’aspetto terribile dei racconti di paura della tradizione, e gli sono tutti contro: le pecore, i cani, i pastori, tanto che, a volte, suscita perfino compassione. Il topo è il personaggio più impegnato nella lotta per sopravvivere, perché sa che, se perde nella perpetua gara di furbizia con il gatto, lui paga con la morte. L’asino, insieme con la volpe, è il personaggio più legato alla tradizione medievale e, a differenza di Esopo, che mette sullo stesso piano tutti gli animali, la Letteratura del Medioevo ha sviluppato il simbolismo animale dando alla volpe il simbolo dell’astuzia [come abbiamo potuto constatare incontrando Il Romanzo della Volpe] e all’asino quello della sciocchezza, creando, quindi, una coppia in contrasto che, a causa delle due qualità simboleggiate, raramente si trova a convivere nello stesso racconto, perché esiste, parallelamente, una tradizione della volpe e una tradizione dell’asino.

     Nelle Favole l’atteggiamento di La Fontaine nei confronti dell’asino è oscillante: ci sono situazioni dove viene confermata in pieno la tradizione del somaro simbolo di sciocchezza, dove emerge il concetto di “asinità” come simbolo di stupidità, come è scritto nella favola Il leone, la scimmia e i due asini [leggetela]. Diversa è la situazione nella favola molto conosciuta Il mugnaio, suo figlio e l’asino volta a dimostrare l’impossibilità di accontentare tutti perché se, strada facendo, il mugnaio fa montare sull’asino il figlio, i mercanti di passaggio rimproverano il fanciullo perché fa andare a piedi il suo genitore, quando poi è il padre a montare sull’asino, una ragazza si scandalizza perché il povero figliuolo è costretto ad arrancare mentre il mugnaio fa il suo comodo e se, infine, il mugnaio fa montare in groppa anche il figlio, un gruppo di persone compiange il povero asino costretto a sopportare un duplice peso, e quando smontano ambedue un tale osserva malignamente che, se l’asino cammina senza peso addosso, gli asini [gli sciocchi] sono il mugnaio e suo figlio. La scelta dell’asino in questa favola non è occasionale: l’asino è fatto per portar qualcuno, ma uno alla volta [anche se rimane aperto il problema di chi debba portare] e questo testo ha un evidente significato sociale: non è forse il popolo [afferma La Fontaine] l’eterno asino, condannato a portare pesi insopportabili? Leggendo questa favola si pensa alle caricature del 1789 che rappresentano “il popolo-asino” oppresso sotto il peso dei due ordini privilegiati [i nobili e il clero] e, se si riflette, si scopre che l’asino è l’animale da cui si impara di più nelle Favole.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un volume contenente le Favole di La Fontaine [che sarà pure nella vostra biblioteca domestica] e navigando in rete leggete o rileggete il testo de  Il mugnaio, suo figlio e l’asino...

     La Fontaine, in relazione al tema del “popolo oppresso”, è stato un precursore sulla via che conduce al secolo dei Lumi [il secolo delle Rivoluzioni] e di questo argomento ce ne occuperemo nel prossimo itinerario perché adesso dobbiamo mettere in evidenza un altro aspetto riguardante la figura dell’asino nelle Favole di La Fontaine.

     La Fontaine utilizza spesso la figura dell’asino per mettere in evidenza quanto sia deleteria, e sinonimo di crudeltà, la superbia quando si annida nell’animo umano, e poi la utilizza per rimarcare quanto sia dannoso non perseguire lo spirito di solidarietà e, in questi casi, a fare da contro-altare dell’asino è il cavallo che funge da metafora dell’uomo che si sente superiore e che, a volte, paga lo scotto della sua superiorità. La Fontaine si dimostra sensibile al fatto che «è necessario aiutarci gli uni con gli altri» e, a questo proposito, si capisce che è attento all’eco che proviene da Port-Royal, ed è per questo che anche La Fontaine comincia ad andare, ogni tanto, a bussare alla porta di questo luogo.

     E, a questo proposito - sul tema della superbia che porta a escludere lo spirito di solidarietà - leggiamo una composizione esemplare di La Fontaine: la favola intitolata Il cavallo e l’asino, nella traduzione di Emilio De Marchi che ama, traducendo, citare la Divina Commedia.

Jean de La Fontaine, Favole

Il cavallo e l’asino

Chi muore lascia spesso il suo fardello di guai a chi resta: ebbene

aiutarci l’un l’altro è necessario ed esser solidali ci conviene.

Un Asino faceva da scorta ad un Cavallo,

che era superbo e alquanto egoista di natura,

e mentre l’uno crepava sotto il peso del suo grosso fardello

l’altro non aveva da portare che la sua bella bardatura.

«Aiutami fratello» disse l’Asino «o qui casco disteso

prima ancora di giungere alla mèta.

La preghiera non è troppo indiscreta,

perché metà per uno non fa male a nessuno».

Il Cavallo, del cul fatta trombetta [verso di Dante, Inferno XXI, 139],

non si degna neppure di rispondere ma bensì s’affretta.

E l’Asino morì, povera bestia!

Il Superbo comprese il suo gran torto,

quand’ebbe la molestia di portare egli solo,

insieme al carico, la pelle anche del morto.

     Non c’è scampo per gli animali così come per le persone più umili e questo accadeva nel Seicento così come continua a succedere in Età contemporanea, e il genere letterario della favola continua a tenere alta l’attenzione su questo fatto, e in proposito possiamo leggere due “favole moderne” scritte da Carlo Alberto Salustri detto Trilussa [1871-1950, che tutte e tutti voi conoscete], il quale, emulo di La Fontaine, con il suo linguaggio arguto, ci fa riflettere sul personaggio dell’asino su cui abbiamo puntando la nostra attenzione.

Trilussa, Le favole moderne  

L’Automobile e l’Asino

- Rottadicollo! - disse un Asinello nel vedere un Automobile a benzina

- Dove passi tu nasce un macello! Hai sbudellato un cane, una gallina,

un porco, un’oca, un pollo - Povere bestie! Che carneficina!

Che sfracello che fai! Rottadicollo!  

- Non sparlar tanto, faccia da impunito! - rispose inviperito l’Automobile -   

Si vede che la polvere e lo sbuffo dello stantuffo t’hanno intontonito!  

Non sai che quando corro io ho la forza di cento e più cavalli? E cosa credi

che chi vuol far carriera si fa scrupolo di quelli che si trova in mezzo ai piedi?

Io corro e me n’infischio, e non permetto che una bestiaccia ignobile

s’azzardi di mancarmi di rispetto! -

E nel dir queste parole l’Automobile ci mise dentro tanto mai calore

che il motore, infuocato, gli scoppiò. Allora cambiò tono. Dice: - E ora?

Chi mi rimorchierà fino al deposito. Amico mio, tu capiti a proposito,

tu solo puoi salvar la situazione … - Vengo, - gli disse l’Asino - e mi consolo

che cento e più cavalli a l’occasione hanno bisogno d’un Somaro solo! …

Il maiale e l’Asino

Una mattina un povero Asinello,

nel vedere un maiale amico suo andare al macello,

sbottò in un pianto e disse: - Addio, fratello:

non ci vedremo più, non c’è riparo!

- Bisogna essere filosofi, bisogna: - disse il maiale -

 via, non far lo scemo,

che forse un giorno ci ritroveremo

in qualche mortadella di Bologna!

     Non c’è scampo per gli animali così come per le persone più umili, e anche la vita di La Fontaine termina in umiltà. Quando nel 1693, come sappiamo, muore Mme de La Sablière che lo ospitava, La Fontaine, vecchio e malandato, viene accolto dal signor D’Hervart [un ricco benefattore protestante] che gli mette a disposizione una cameriera [una badante] e inizia a dedicarsi a edificanti pratiche religiose e, per questo, una volta alla settimana, va a bussare anche alla porta del monastero di Port-Royal [il “bel mondo” parigino ride di La Fontaine ma a lui del “bel mondo” non importa più nulla, ha ormai imboccato un’altra strada] e, a coloro che lo cercano nella casa che lo ospita la cameriera risponde che lo possono trovare nella chiesa di Saint-Étienne-du-Mont dove sta pregando e meditando sulla tomba di Pascal! Il 13 aprile 1695 La Fontaine muore e il miglior commento alla sua esistenza appena conclusa è sicuramente quello della sua cameriera: «Dio non può essere così crudele da condannare quest’uomo perché ci ha fatto ridere e, facendoci ridere, ci ha fatto pensare».

    E La Fontaine continuerà anche nel prossimo itinerario a farci pensare e a donarci la possibilità di riflettere su tre argomenti riguardanti: un asino, un farmaco e due polemiche.

     E ora ascoltiamo la voce di Adriana Zarri sul tema del dono, un tema su cui è sempre bene riflettere anche se a Natale c’è ancora tempo.

Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca

Temo proprio di avere una venatura consumistica; e il peggio è che non riesco a pentirmene. Forse non è un grosso peccato, forse non è un peccato per niente. Peccato è venir posseduti dalle cose, non già liberamente possederle. È ben vero che col termine «consumismo» intendiamo, di solito, proprio il venire posseduti; e questo - è chiaro - è una grave mancanza di povertà e di libertà; ma consumismo viene da «consumare» che è un verbo nobile e denso. Ed è in questo senso che dovremmo offrire e «consumare» le cose.  So bene che sto facendo un discorso rischioso e che si presta a tutti gli alibi. Ma, fatto da qui, forse è un discorso non sospetto, poiché qui di ricchezze non ne ho molte e sperimento un po’ di libertà: quel saper fare a meno delle cose che è più importante del fare a meno di fatto, quando la privazione fosse imposta e non scelta, dato obiettivo e non espressione di un valore. E anche qui la trappola del ricco, che si contenta della povertà «affettiva», scialando a scapito del povero, è dietro all’angolo, pronta a scattare; lo so bene. E per questo un discorso del genere - per non puzzare di giustificazione - può venir fatto, in maniera credibile, solo da un povero: da uno, cioè, che, oltre al saper fare a meno, sperimenta quel fare a meno di fatto che, di quel primo, è la riprova.

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     Ebbene, Adriana Zarri c’invita a ragionare sul tema del dono, e sull’azione del donare, e La Fontaine, con le sue Favole in versi, ci dona molti spunti su cui riflettere: perché La Fontaine, sulla via che conduce al secolo dei Lumi [il secolo delle Rivoluzioni], è stato un precursore a riguardo del tema del “popolo oppresso”? E perché [ci domandiamo in linea con il ragionamento di La Fontaine] il diritto-dovere all’Apprendimento permanente non viene rivendicato dalle cittadine e dai cittadini del Pianeta se, come è stato dimostrato, l’ignoranza è la principale causa di oppressione?

     Per rispondere a queste domande dobbiamo procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, e per questo la Scuola è qui e - per rivendicare il nostro diritto-dovere all’Apprendimento permanente - il viaggio continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 19, 2021