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LA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AFFIDATA AGLI ANIMALI - IL CANTO DELLA BALENA ...

Lezione N.: 
9

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

La sapienza poetica e filosofica dalla seconda metà del ‘600 al secolo dei Lumi

La sapienza poetica e filosofica affidata agli animali

Prof. Giuseppe Nibbi

SETTIMO ITINERARIO [in attesa di tornare a viaggiare in presenza] ...    7 aprile 2021                           

IL CANTO DELLA BALENA  ...

     Care compagne e cari compagni di Scuola, nell’attesa di riprendere il cammino in presenza sul Percorso canonico di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura sulla via che dalla metà del Seicento porta verso il secolo dei Lumi, su consiglio di Jean de La Fontaine [che spera di poter comparire dal vivo al più presto negli spazi della nostra Scuola], abbiamo come sapete cominciato a leggere una Favola dove “la Sapienza poetica e filosofica” è affidata agli animali perché, da che mondo è mondo, “la favola”, attraverso la voce degli animali, parla degli esseri umani per invitarli a riflettere sulla loro condizione esistenziale [de te fabula narratur, ci ricorda La Fontaine], ma gli umani - a causa della loro debolezza cognitiva e del loro istinto predatorio - non hanno recepito l’insegnamento che, attraverso il genere letterario della fabula, deve contribuire a far emergere nel loro animo i valori dell’Umanesimo: l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà, la misericordia. E, in proposito, Jean de La Fontaine ci ha proposto di utilizzare il testo della Favola selvaggia [riscritta in lingua corrente] di un umanista rinascimentale di nome Filelfo. Di conseguenza, stiamo esaminando questo testo nella nostra Officina dell’apprendistato cognitivo per far emergere i riferimenti letterari in esso contenuti, in modo che questo esercizio di carattere ermeneutico ci consenta di tenere attiva nella nostra mente la funzionalità delle principali azioni mediante le quali avviene il processo di apprendimento: per andare incontro al pensiero scritto e per sostenere il carico della scrittura [tanto nelle sue forme quanto nei suoi contenuti] è necessario saper utilizzare le azioni cognitive [conoscere capire applicare analizzare sintetizzare valutare]. La lettura non è un’arte facile da praticare, e sono capaci a leggere nel vero senso della parola solo le persone che sanno conoscere il significato delle parole-chiave, che sanno capire la rilevanza delle idee-cardine, che si sanno applicare metodicamente, che sanno analizzare i pensieri che il testo contiene, che sanno sintetizzare il contenuto del testo e che sanno valutare il grado di soddisfazione che hanno provato leggendo.

     Nell’itinerario scorso, come ricorderete, abbiamo letto e commentato il sesto capitolo della Favola di Filelfo intitolata L’assemblea degli animali e abbiamo ascoltato gli intimi pensieri del cane che si è trovato davvero in difficoltà in questo consesso agguerrito a causa del suo particolare rapporto con il genere umano per cui riesce solo a pronunciare una parola - «Bau» - una parola che non ode quasi nessuno, e c’è solo un animale - un animale che la sa lunga su come ci si debba comportare con gli umani - che riesce a intercettare i suoi pensieri.

     E ora leggiamo il settimo capitolo della Favola e, nel corso della lettura, ci fermeremo per condurre alcune riflessioni perché leggere un testo corrisponde a un esercizio di ermeneutica, di interpretazione, di spiegazione, di chiarimento, di complicazione, di analisi, di sintesi, di esegesi [una competenza, l’esegesi, che in greco significa “di lettura attenta”], e un testo va sempre letto con grande attenzione portandolo nell’ambito di un’Officina di apprendistato cognitivo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo VII. Il canto della balena

L’assemblea neanche se ne accorse che MoMo, il cane, aveva detto nient’altro che: - Bau. Forse lo udì qualche gallina, qualche anatra, qualche piccione, con l’eccezione di una sottile figura diafana, invidiabilmente adagiata, a distanza dal resto degli animali, su un ciliegio fiorito, nel punto più comodo, soleggiato e con la visuale migliore. La gatta bianca, quasi invisibile tra i candidi petali, era stata in osservazione del comportamento di MoMo e ne aveva letto i pensieri: era questa una delle doti della sua specie. Quando MoMo le passò accanto mortificato, lei gli fece un gran sorriso.  - Oh be’! - ansimò MoMo. - Ho visto spesso un gatto senza sorriso, ma questo mi sembra quasi un sorriso senza gatto -.  E dal bianco scintillò un paio di occhi verdi bistrati. ...

     E adesso ci fermiamo subito a riflettere sulla citazione contenuta nelle parole che il cane MoMo pronuncia di rimando al sorriso della gatta bianca: «Ho visto spesso un gatto senza sorriso, ma questo mi sembra quasi un sorriso senza gatto ... »: questa citazione proviene dal capitolo VI di Alice nel paese delle Meraviglie. Quest’opera, pubblicata nel 1865, è stata composta come certamente sapete dallo scrittore inglese Lewis Carroll [1832-1898]. Il cinema poi [come è successo per molte opere letterarie] ha contribuito, con la sua capacità fantasmagorica, a rendere famosissimo il personaggio di Alice ma, secondo le ricerche condotte sul fenomeno della lettura, con il risultato di tenere molte persone [sebbene sappiano leggere] lontano dal testo di quest’opera.

     Alice nel paese delle Meraviglie è un Libro nato per caso dai racconti che l’autore [che di mestiere non faceva lo scrittore ma l’autorevole e stimato professore di matematica a Oxford] inventava per tre bambine, le sorelline Liddel, a una delle quali, Alice, è dedicato il Libro che racconta la storia di un sogno: Alice, seguendo un Coniglio bianco che le è apparso mentre sedeva nel bosco con sua sorella, precipita fino al centro della terra, dove cade su un mucchio di foglie secche, qui le capita di cambiare dimensioni con facilità sorprendente a seconda che mangi una torta trovata per caso o beva un liquore in casa del Coniglio dove, per incarico di lui, è andata a prendere i guanti e il ventaglio che lui aveva dimenticato. Poi Alice fa conoscenza con un Gatto molto speciale, il quale può apparire e scomparire a poco a poco cominciando dal sorriso e finendo nel sorriso che, per un attimo, resta sospeso in aria [secondo la citazione di MoMo]. Partecipa poi al tè della Lepre Marzolina, alla partita a croquet della Regina di cuori, ed è chiamata a testimoniare al processo di un Fante accusato per un furto di tortellini, e rischia anche di trovarsi nei guai quando tutte le Carte da gioco, dei cui personaggi ha fatto conoscenza, si agitano e turbinano attorno a lei, ed è allora che si sveglia e si trova ancora nel bosco.

     Nel 1871 Carroll fa pubblicare, con il titolo Attraverso lo specchio, una continuazione delle avventure di Alice, la quale compie un viaggio in un paese fatto a forma di scacchiera che si stende dentro uno specchio: Alice passa al di là della lastra di vetro e, fra molti personaggi strani e tra i fiori che parlano, incontra due esseri singolari: Tuidledì e Tuidledum. Quando Tuidledum si addormenta, Tuidledì dice ad Alice: «Sai che sta sognando di te? E se cessasse di sognare di te, tu dove credi che saresti?». «Sarei dove sono ora, naturalmente!» risponde Alice ... «Niente affatto, non saresti in nessuna parte, perché tu sei solamente un’idea nel suo sogno» risponde Tuidledì. Questo è uno dei tanti strani dialoghi - o giochi di parole - presenti nel testo di questo Libro che possono sembrare sconclusionati ma che sono stati predisposti [e si capisce che l’autore è un matematico] per far riflettere [ed esercitare] le lettrici e i lettori sul senso logico che certi discorsi, apparentemente assurdi, posseggono, come quando la Regina promette sempre «la marmellata per ogni domani» oppure quando il Re si rallegra con Alice perché lei «riesce a veder Nessuno, a questa distanza!». Quando Alice arriva nell’ottava casella della scacchiera lei stessa diventa Regina e presiede a un banchetto in cui gli invitati vanno a finire nei piatti e le vivande prendono il loro posto.

     Il valore particolare di questo Libro, che è considerato un capolavoro della Letteratura non destinato solo all’infanzia ma consigliato soprattutto a un pubblico adulto, sta nel grande estro bizzarro con cui vengono descritti i paesaggi, gli animali, le persone e le cose. Lo scrittore, buon conoscitore della psicologia umana, suggerisce alla persona di sforzarsi in modo da guardare la realtà con una mentalità spregiudicata, libera, scevra dai convenzionalismi, dai pregiudizi, dai riti ipocriti delle tradizioni, ed è così che osserva la realtà Alice, la spregiudicata bambina nella quale l’autore si identifica divertendosi a usare un provocatorio umorismo per delineare la caricatura dei personaggi deformandoli come in uno specchio, ora lievemente concavo e, subito dopo, convesso. Gli animali che Carroll fa incontrare ad Alice nel paese del sogno sono gli stessi [in particolare cani e gatti] che la circondano, e nei quali lei riconosce il fascino esotico che l’addomesticamento ha fatto perdere loro e Alice, che è entrata nella Favola che stiamo leggendo, non può che domandarsi insieme a MoMo  «se sia più facile vedere un gatto senza sorriso o un sorriso senza gatto».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

E, di fronte a questo interrogativo, è doveroso leggere o rileggere almeno il capitolo VI di Alice nel paese delle Meraviglie e penso che questa bambina, curiosa e spregiudicata, stia acquattata, piccola piccola, nella vostra biblioteca domestica...   

     E ora proseguiamo nella lettura del testo del Capitolo VII della Favola di Filelfo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo VII. Il canto della balena

Dal bianco scintillarono gli occhi verdi bistrati della gatta: - Guai al canarino indifeso caduto dalla gabbia, | guai al pechinese viziato che ha affrontato la mia rabbia. Guai all’ispido topo nascosto su una nave in mezzo al mare | e guai a qualsiasi cane si proponga di parlare! - miagolò in filastrocca la gatta bianca. E aggiunse: - La prossima volta dovrò parlare io -.   MoMo, alzando lo sguardo sotto le palpebre pesanti, rispose triste: - Non ci sarà una prossima volta -.   La gatta drizzò le orecchie perché il giaguaro, moderatore dell’assemblea, aveva ripreso la parola. ...

     E adesso ci dobbiamo già fermare perché la gatta bianca dagli occhi verdi nel vedere MoMo - mortificato per non essere stato capace di trasformare in parole i suoi, pur sublimi e meditati, pensieri - gli risponde con una filastrocca liberamente ispirata a una delle stravaganti poesie, intitolata L’ultima resistenza di Sandogàtt [e il testo originale dice: «Povero il canarino che frulla dalla gabbia e il pechinese viziato, costretto a affrontar la rabbia di Sandogàtt; | e povero il topo muschiato | che si nasconde tremante su navi straniere, | come qualsiasi Gatto che incontri il Bucaniere!»]. Questa poesia fa parte della raccolta Il libro dei gatti tuttofare pubblicata nel 1939 dal noto scrittore Thomas S. Eliot, premio Nobel per la Letteratura nel 1948. Eliot [1888-1965] ha composto, nel corso del 1930, queste bizzarre ed estrose filastrocche [illustrandole con disegni di sua mano] riguardanti il comportamento e la psicologia sociale dei gatti - gatti che, nel bene e nel male, assomigliano molto agli umani - per includerle nelle Lettere che inviava ai suoi nipoti firmandosi con lo pseudonimo di Vecchio Opussum.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete potete conoscere meglio la figura di Thomas S. Eliot...  Da Il libro dei gatti tuttofare - che potete richiedere in biblioteca e divertivi a leggere - si è sviluppato il famoso musical intitolato Cats del quale esiste pure una versione cinematografica che potete vedere anche in rete...

Scrivete quattro righe per descrivere la vostra gatta o il vostro gatto [fatelo anche se non possedete né gatte né gatti: date spazio all’immaginazione...], e fatelo con la dovuta cura e con la maggior attenzione possibile perché le gatte e i gatti sono molto suscettibili di carattere come si legge ne “le poesie feline” di Thomas S. Eliot! ...

Se poi volete continuare a divertirvi potete leggere – dopo averlo richiesto in biblioteca – un Libro raro, molto interessante e ironico, intitolato Il gatto, scritto nel 1845 dal medico milanese Giovanni Raiberti... Lo scrittore allude al fatto che per imparare a diventare persone “che aspirano alla propria indipendenza” dobbiamo osservare i comportamenti del gatto e della gatta e riflettere su come si manifesta il loro spirito libertario …

     E ora proseguiamo nella lettura del testo del Capitolo VII della Favola di Filelfo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo VII. Il canto della balena

La gatta drizzò le orecchie perché il giaguaro aveva ripreso la parola: - Per i poteri che mi conferisce il ruolo di moderatore di questa assemblea - scandì il giaguaro - ascoltati i pareri di più rappresentanti di ogni genere, specie, grandezza, ordine e grado, secondo i principi di pluralismo che governano il nostro parlamento; sentite le posizioni dell’ape regina, del topo, dell’aquila e del leone; raccolta la testimonianza del koala, cui si sono aggiunte quelle spontanee di molti di voi; a conclusione dei lavori e del dibattimento, mi permetto di interpretare il pensiero comune e sintetizzarlo in un solo interrogativo: è arrivato il momento di scendere in guerra contro gli umani? -.  Spostò le fessure degli occhi sul leone e sull’aquila. - Su questo sono in disaccordo i sovrani di due regni, e non dubito che lo stesso divario di opinioni sia condiviso dai loro sudditi, dagli uccelli sospesi nel cielo e dalle bestie senz’ali acquattate sulla terra e in cui è alito di vita, - concluse solenne rivolto all’intero emiciclo palesando di aver attinto, nel suo ruolo di coordinatore, allo stile talmudico.  - Perciò propongo di appellarci alla più antica e saggia delle maestà, che domina il terzo regno, le pianure liquide e salate da cui tutti proveniamo.

E fu come quando, ai tempi degli antenati, dai mari emergevano i continenti e le isole e si disegnavano sotto i loro occhi contro il cielo in un gorgogliare di schiuma. Oltre la falce bianca della baia, nel mare aperto le cui chiome canute si stavano dorando e imporporando fino a prendere il colore del vino, per primi, come araldi, zampillarono i delfini. Lungo la loro scia, a pelo d’acqua, come dervisci danzanti palpitavano le meduse. Stendardi di pesci colorati si prostravano lungo il corteo, accendendolo dei riflessi dell’iride. Infine, la guardia d’onore dei narvali, unicorni del mare, presentò le armi: le spade sguainate sotto il sole declinante descrissero un immenso cerchio argenteo al largo. Da lì si alzò prima un gran getto d’acqua, i cui spruzzi arrivarono fino in cima alla montagna, poi emerse come un’isola di calcare, lenta, titanica, la balena. ...

     Il testo della Favola sottolinea che il giaguaro, nello svolgere il suo ruolo di moderatore, aspira a rifarsi a “lo stile talmudico”, e noi ci domandiamo che significato abbia questa affermazione, e perché il genere letterario del Talmud ebraico si addica alla condotta propria del buon coordinatore il quale deve stimolare un proficuo dibattito affinché le idee dei partecipanti possano emergere con chiarezza pur nella loro relatività.

     Per riflettere su questo tema è necessario procedere con ordine, cominciando col dire che la Letteratura ebraica è di due tipi: quella “scritta” [la Letteratura beritica, che si manifesta nei Libri della Bibbia] e quella “sulla bocca”, cioè orale. Ora, come sapete, anche quella “sulla bocca” è scritta ed è raccolta nei volumi del Talmud [e “talmùd”, in ebraico, significa “studio”]. Il Talmud viene definito “un libro non libro” perché non è mai concluso [infatti non si finisce mai di imparare], ed è il risultato di secoli [dal III secolo a.C.] di discussioni di centinaia di Maestri e, quindi, contiene tutti i pareri, quelli che hanno prevalso, quelli che non hanno prevalso e anche tutti quelli che sono emersi nel corso delle ininterrotte e persistenti controversie esegetiche e, in potenza, contiene anche già i pareri che emergeranno in futuro. Il Talmud è l’unico libro “sacro” che accetti la propria rimessa in discussione, anzi che la solleciti caldamente.

     Il Talmud è il risultato di uno straordinario sforzo di riflessione sulla parola scritta contenuta nei Libri canonici della Bibbia. Lo studio del Talmud deve essere positivamente polemico in senso assertivo in quanto si basa su un serrato confronto di pareri, e per questo motivo non può essere uno studio solitario ma necessita di almeno due persone che, con assillante costanza, si critichino costruttivamente per dare dinamicità al pensiero e alla ricerca perché le menti non s’irrigidiscano. Il Talmud è un esercizio che richiede la massima elasticità mentale ed è un antidoto contro il pensiero unico, ed è una disciplina capace di preservare dal delirio dell’autocompiacimento perché deve far coltivare - a chi studia, a chi interpreta, a chi ricerca, a chi riflette - un’indispensabile modestia. La disciplina talmudica serve per allontanare l’arroganza delle certezze, serve per introdurre una dimensione imprevista che stimoli a creare sempre una rinnovata fonte di pensiero che sia consapevole della propria precarietà, ed è così che nel patrimonio del Talmud confluiscono la dottrina e la morale, le sentenze e la letteratura sapienziale, le leggi, le tradizioni, l’arguzia e un persistente umorismo perché - secondo la tradizione dell’ebraismo - in tutti i momenti di precarietà il senso dell’umorismo risulta utile per non cadere nell’abisso. I due elementi presenti nel discorso del giaguaro che rimandano alla cultura talmudica - alla quale l’animale moderatore vuole rifarsi - sono due frammenti tratti dal primo capitolo [l’Inno a Dio creatore] del Libro della Genesi dove si parla di «bestie senz’ali acquattate sulla terra» e de «le pianure liquide e salate del mare»: questi due frammenti hanno stimolato fin dalle origini la riflessione degli esegeti intorno a due significativi interrogativi: «perché il Creatore non ha dotato tutti gli animali - e anche gli umani - di ali?» e «perché il Creatore ha fatto sì che l’enorme pianura liquida del mare fosse salata, perché il mare è salato?».

     Forse il giaguaro, per allentare la tensione presente in assemblea, avrebbe voluto raccontare due storie talmudiche, nate intorno agli interrogativi citati, dove l’umorismo risulta utile per riflettere sulla precarietà dovuta alle imperfezioni del creato, nei confronti delle quali gli umani, invece di lamentarsi, dovrebbero proporre degli emendamenti per migliorare la situazione, ma il Talmud ci ricorda che i correttivi proposti alla creazione potrebbero anche generare effetti controproducenti e, soprattutto, comici.

     E, a proposito del fatto che gli animali di terra non sono stati dotati di ali, si racconta che il rabbi Menakhem Mendel ascoltò un giorno le tristi parole di una canzone: - Poveri vitellini legati e tenuti stretti | condotti verso la loro amara fine | certo se avessero le ali | potrebbero fuggire liberi nel cielo -. Commosso Menakhem Mendel si ricordò di quel grande maestro che, per essere stato insensibile al richiamo di aiuto di un vitellino da latte condotto al macello, era caduto preda di una malattia gravissima. La povera bestia aveva appoggiato il muso nel grembo di quel maestro cercando protezione, ma il saggio, preso dai suoi alti pensieri, con un buffetto sulla groppa aveva sbrigativamente risposto a quel muggito di soccorso dicendo: «Su, su ... Va’ verso il tuo destino», e il rabbi Menakhem Mendel considerò una giusta punizione la malattia di quel maestro! E poi si domandò: «Ma che razza di mondo è questo dove non c’è giustizia per un vitellino indifeso e senza scampo?». E, di considerazione in considerazione, sulle iniquità della natura, Menakhem Mendel si ritrovò a pensare che, con tutto il rispetto, l’Eterno - che sia benedetto il suo Nome! - non aveva ben calibrato la fisiologia della Creazione. E rifletté: «Oltre che ai piccoli uccellini, non era meglio fare le ali anche alle mucche e ai vitellini? Se potessero volare potrebbero pure trovare pascoli più grandi per mangiare. Sì, l’Eterno doveva fare le ali alle mucche!». In quel preciso istante, come per comando, un piccione in volo lasciò cadere un bisogno sulla testa del rabbi. Menakhem Mendel non si lasciò sfuggire l’innegabile significato mistico di quella coincidenza, e dunque sentenziò: «L’Eterno - che sia benedetto il suo Nome! - sa sempre quello che fa!».

     E poi, a proposito del perché il mare sia salato, si racconta che il rabbi Maggid che godeva di un illimitato prestigio nella sua città si trovò un giorno a passare nella piazza del mercato dove un gran numero di suoi concittadini discuteva con insolita passione su un tema astratto ma di rilevanza centrale per la comprensione del progetto della Creazione. La folla dei questionanti cercava di dare una risposta a un angoscioso quesito: perché il mare è salato? L’arrivo del rabbi fece zittire l’assembramento: lui avanzò con lentezza, favorito nel suo incedere da un ventre di inquietante prominenza. Giunto al centro del consesso, con la supponenza derivante dal proprio sapere, domandò: «Qual è il problema di cui parlate?». Un rappresentante dei questionanti, con voce preoccupata, disse: «Sommo rabbi, ci stiamo domandando perché il mare è salato!». Il rabbi Maggid sospirò, incrociò le mani sul ventre per assumere un’aria rassicurante, e poi esclamò: «Volete proprio sapere perché il mare è salato? Esso è salato perché l’Eterno - che sia benedetto il suo Nome! - ha disposto che fosse pieno di aringhe!».

     Il Talmud raccoglie risposte creative e volutamente umoristiche su questioni spesso di vitale importanza non perché tutto si esaurisca in una risata ma per incentivare la ricerca: il pensiero ha bisogno di leggerezza per elevarsi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

L’aringa in veste di pesce è uno di quei prodotti che non può non suscitare ricordi legati alla mensa .. 

Scrivete quattro righe in proposito...

     E ora proseguiamo nella lettura del testo del Capitolo VII. della Favola di Filelfo, perché intanto è emersa come un’isola di calcare, lenta, titanica, la balena.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo VII. Il canto della balena 

La balena aveva la fronte rugosa, la mandibola storta, la coda mostrava tre colpi di arpione sulla pinna destra. Il suo canto, come quello che gli umani attribuivano alle sirene, si impadronì della mente e del cuore di ogni singolo animale, e non solo di quelli riuniti nel luogo dell’assemblea, ma anche di quelli a milioni di chilometri di distanza. Tutti, nello stesso istante, ovunque si trovassero, si immobilizzarono, in ascolto di quella vibrazione che li penetrava e risuonava dentro di loro. Ogni predatore allargò i denti e lasciò cadere la preda. Ogni mosca rimase a mezz’aria. Su per le montagne ogni mulo interruppe, a buon diritto per una volta, il suo lavoro. Ogni corteo di formiche, giù sulla nera terra, si fermò.  Intorno ai continenti il mare si gonfiava, si gonfiava senza tregua, come se le sue vaste maree fossero la sua coscienza, come se la grande anima del mondo provasse angoscia e rimorso del lungo peccato e dolore che l’essere umano aveva causato. Ma la balena, che era la custode dell’anima del mondo, era emersa dall’acqua come un grande muro bianco per fare da diga all’angoscia del mondo. ...

     Dalle citazioni presenti nel testo del brano della Favola che abbiamo appena letto possiamo risalire al nome della balena che è emersa e che [come avrete già capito] corrisponde al titolo di un famoso romanzo di Herman Melville: Moby Dick o la balena.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Herman Melville è nato a New York nel 1819, e se volete conoscere la sua vita, avventurosa come un romanzo, potete consultare l’enciclopedia e navigare in rete...  

     Nel 1844 Melville, dopo aver navigato nei mari del Sud, rientra negli Stati Uniti e a Boston trova un posto come giornalista e poi fa pubblicare una serie di romanzi “esotici” [Typee, Omoo, Mardi, Redburn] che hanno un notevole successo ed entra in contatto con i circoli letterari per cui lui pensa di poter fare lo scrittore di professione, ma nel 1851, però, con la pubblicazione di Moby Dick, la popolarità di Melville si esaurisce perché questo romanzo risulta ai critici e al pubblico troppo irto di simboli, lento nello sviluppo: di difficile lettura. Melville, sebbene continui a scrivere una serie di opere molto importanti, tutte pubblicate a sue spese, capisce che non si guadagnerà mai da vivere facendo lo scrittore e, di conseguenza, nel 1866, trova un posto da impiegato all’ispettorato delle Dogane del porto di New York. Melville muore nel 1891 e, cinquant’anni dopo, il pubblico e la critica si accorgono delle sue doti di scrittore.

     È facile dire: “leggete Moby Dick”, il fatto è che non si tratta di una lettura facile [e, difatti, sono state pubblicate molte riduzioni del romanzo che lo trasformano in un libro di avventure collocato nelle collane di Letteratura per ragazze e ragazzi].

     Per giovarsi della sapienza di questo romanzo è necessario possedere delle “chiavi”. Intanto si tratta anche di un diario di bordo che celebra le avventure della vita marinara ed esalta l’epopea di un’attività considerata poco nobile [soprattutto oggi] - l’andar per mare a uccidere balene -, ma in quest’opera Melville mette soprattutto in evidenza i suoi turbamenti e le sue angosce esistenziali, e il fascino di questo romanzo sta principalmente in questo: la figura “spaventosa” di Moby Dick ci fa capire che le inquietudini che agitano la nostra mente dipendono dai troppi misteri irrisolti che riguardano l’esistenza umana perché noi, in realtà, sostiene Melville, non sappiamo chi siamo, perché siamo qui, da dove veniamo, dove andiamo: noi facciamo finta di saperlo, siamo come Ismaele, figli illegittimi in cerca di identità [come recita l’incipit di quest’opera]. E la balena bianca Moby Dick, nel drammatico e preannunciato finale, s’inabissa trascinando con sé i suoi temerari cacciatori, per portare nel profondo, sostiene Melville, il suo segreto insondabile e tutti gli interrogativi irrisolti: qual è la verità sull’esistenza del mondo, del bene, del male, perché c’è la sofferenza, l’orgoglio, l’ambizione, il destino e la fine? Che senso hanno la vita e la morte, la sfida e la sconfitta: c’è un significato e una ragione nell’esistenza o tutto è casuale e assurdo? Il capitano Achab - che non è un eroe ma è un folle che tiranneggia sul suo equipaggio formato da gente raccogliticcia, coraggiosa e influenzabile per disperazione - cerca una ragione, vuole guardare in faccia la verità, vuole uccidere Moby Dick che l’ha mutilato e umiliato, vuole sapere perché gli è toccata questa sorte, ma, sostiene Melville, non è dato sapere, e Moby Dick [metafora della Natura, del Fato] è invincibile, mentre l’essere umano è deperibile.

     Moby Dick è un romanzo “sapienziale” perché Melville coltiva “la sapienza poetica e filosofica”, e si dilunga a comporre cataloghi scientifici [che bisogna avere la pazienza di leggere perché istruttivi e ricchi di allegorie], e riporta in continuazione citazioni classiche e mitologiche [delle quali bisogna risalire alla fonte], e introduce personaggi straordinari che sono diventati dei modelli letterari, e mescola i generi letterari: quello realistico con quello fantastico, quello narrativo con quello teatrale. Il personaggio ideale del romanzo è Ismaele, un marinaio che può remare coi colleghi illetterati mezza giornata dietro a un capodoglio e che poi si ritira sulla testa d’albero a meditare sui Dialoghi di Platone, ed è un bianco che simpatizza per i negri e gli indiani, è un cattolico che accetta tranquillamente l’idolatria del suo amico cannibale, è un newyorkese che ritiene le altre culture [le fantasie presenti in tutte le culture] assolutamente pari alla sua.

     L’incipit di Moby Dick o la balena è come sapete fra i più semplici e tra i più spettacolari della Storia della Letteratura: «Chiamatemi Ismaele.» e il primo capitolo s’intitola Miraggi. Di quali “miraggi” si tratta? La parola “miraggio” richiama il deserto, il deserto richiama l’acqua, l’acqua sgorga da una fonte e la fonte richiama Ismaele, e il personaggio di Ismaele, dall’incipit di Moby Dick, richiama il Libro della Genesi che, a sua volta, rimanda all’inizio: alla narrazione sulle origini.

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Dopo aver letto l’incipit di Moby Dick bisogna fermarsi e bisogna andare a leggere il capitolo 16 del Libro della Genesi facendo appello al volume della Bibbia che tutte e tutti voi custodite nella vostra biblioteca domestica: fate questo esercizio...   

     La trama avventurosa di Moby Dick o la balena [anche senza aver letto il Libro] la conoscono tutti [magari con la mediazione del cinema, del teatro e delle arti in generale] ma la lettura di questo romanzo è consigliata soprattutto [come abbiamo detto] per le riflessioni di carattere esistenziale che l’autore suggerisce a chi legge, a cominciare dal fatto, sostiene Melville, che la vastità è un elemento che terrorizza, sia la vastità del deserto di sabbia che quella del mare: anche il mare è un deserto, un deserto d’acqua nel quale, paradossalmente, si muore di sete allo stesso modo che nel deserto di sabbia e sassi. Gli umani, sostiene Melville, sentono di poter spadroneggiare su ciò che è piccolo, su ciò che è “a grandezza d’uomo”, ma ciò che è mastodontico crea spavento, e le balene, semplicemente esistendo, scrive Melville, fanno vacillare l’identità auto-compiaciuta degli umani che le guardano con un atteggiamento in cui lo sgomento si mescola al dubbio, all’ammirazione e allo stupore. «Vedere una balena [sostiene Melville] non è come vedere un passero sull’albero di una città o un gatto per la strada. Le balene esistono al di là del normale e possiedono una qualità non tanto animale quanto geografica; se non si muovessero sarebbe addirittura difficile credere che siano vive». Gli antichi racconti, scrive Melville, narrano di isole che si rivelano essere balene che divorano imbarcazioni e viaggiatori e Ludovico Ariosto, ci ricorda Melville, ne L’Orlando furioso [1532] rievoca quest’incubo e racconta di una balena così enorme «ch’ella sia una isoletta ci credemo | Così distante ha l’un dall’altro estremo».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura

Per entrare in contatto con Moby Dick o la balena potete, dopo aver richiesto il Libro in biblioteca, leggere le due parole dell’incipit e la pagina dell’epilogo finale...

Se poi sfogliate il Libro potete capire che forma ha quest’opera, di quanti capitoli è composta e che titolo hanno questi capitoli …  Poi – dopo questi esercizi preliminari – potete pensare di mettere il Libro in lettura al ritmo di quattro pagine al giorno o di un capitolo al giorno, visto che i capitoli sono brevi... Leggendo fate attenzione al fatto che Melville scrive con uno stile che dà al testo un carattere “ondivago”, un movimento fluttuante e un’oscillazione periodica, per cui la lettura di quest’opera sembra avere delle caratteristiche simili a quelle della navigazione e, di conseguenza, mettetevi in viaggio con Herman Melville cercando di dar vento alle vele...

     E adesso concludiamo la lettura del testo del Capitolo VII. della Favola di Filelfo- 

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo VII. Il canto della balena

Tutti gli animali tradussero simultaneamente, ciascuno nella sua lingua, le parole melodiose e severe dell’oracolo che cantava: - Quelli che servono idoli falsi e abbandonano l’amore della natura siano gettati nell’abisso, nel cuore del mare, le correnti li circondino, le onde passino sopra di loro, l’alga si avvinghi al loro capo. La terra spranghi i suoi cancelli per sempre dietro a loro, dal profondo degli inferi gridino. Ma se con voce struggente canteranno, e impareranno dalla sventura, e adempiranno il voto fatto alla natura, che si salvino e siano rigettati sulla terra -.

Tutti gli animali sprofondarono in meditazione al ritmo del canto della balena. ...

     Dopo la meditazione, condotta al ritmo del canto della balena, gli animali dovranno prendere una decisione: che fare per dare una lezione agli umani? A questo interrogativo dovranno dare una risposta. Quale tesi prevarrà tra quelle esposte finora in assemblea? ... 

     Non perdete la prossima tappa di questo Percorso.

     Vi invito ad esercitarvi rileggendo il testo del settimo capitolo della Favola di Filelfo, e poi vi esorto a fare il compito come è richiesto da ogni punto del REPERTORIO ...  perché il desiderio di apprendere stimola il sistema immunitario e corrobora, rinfranca e ritempra lo spirito.

     Ci risentiamo [fra quindici giorni] per compiere l’ottavo itinerario di questo Percorso in modo da continuare a studiare insieme in attesa di poter riprendere a viaggiare in presenza perché lo studio è cura.

     E, infine, un abbraccio a tutte e a tutti voi, nell’ambito di quel significativo paradosso che consiste nel mantenere le distanze restando uniti…

 

 

 

Lezione del: 
Mercoledì, Aprile 7, 2021