Autorizzazione all'uso dei cookies

SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI SI COLTIVANO ESPERIENZE CHE PRENDONO SPUNTO DAL PENSIERO DEI PADRI DEL DESERTO ...

Lezione N.: 
10

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi  

La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi  22-23-24  gennaio  2020

SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI

SI COLTIVANO ESPERIENZE CHE PRENDONO SPUNTO

DAL PENSIERO DEI PADRI DEL DESERTO  ...

     Questo è il decimo itinerario del nostro viaggio sulla via che porta dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700] e vi ricordo che la prossima settimana, come da calendario, faremo una pausa utile per bilanciare il ritmo con cui gli itinerari si susseguono.

     Come ormai ben sapete, stiamo viaggiando dal mese di ottobre in compagnia di Blaise Pascal il quale, come abbiamo studiato con una certa dovizia di particolari, a un certo punto della sua esistenza [a trent’anni, quando viene considerato il più esperto matematico europeo], dopo aver letto con grande emozione l’Epistolario di Paolo di Tarso commentato da padre Mersenne, e dopo aver vissuto un’esperienza appassionante, quella che lui chiama  “la notte di fuoco” [il 23 novembre 1654], che racconta con queste parole [che abbiamo più volte dovuto ripetere per tessere la nostra trama, e questa sera, finalmente, giungeremo alla fonte]: «Non so se ho sognato, ma non credo di aver sognato: ho vissuto in modo drammatico un incontro fiammeggiante col Dio di Gesù Cristo [Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non il dio dei saccenti], che mi diceva di seguire le indicazioni dei Vangeli», ebbene, in relazione a questi due avvenimenti, Pascal decide di frequentare regolarmente l’abbazia di Port-Royal che già frequentava periodicamente per far visita alla sorella monaca. In realtà, è soprattutto in ragione di una approfondita riflessione interiore che Pascal decide di frequentare Port-Royal [e di Port-Royal, nel corso degli ultimi itinerari da noi percorsi, abbiamo studiato la storia medioevale e moderna oltre al senso - di carattere riformatore - della metafora contenuta in questo nome: perché dire “Port-Royal” significa “voler risalire al Vangelo”]. Frequentare Port-Royal significa: studiare, meditare e lavorare per attuare programmi di solidarietà verso il prossimo, e questo è il programma dei “solitari di Port-Royal”, il gruppo di intellettuali che, alla ricerca di spiritualità e di impegno evangelico, si riunisce intorno alla badessa Mère Angélique [che ha rilanciato lo spirito ildegardiano della regola benedettina a Port-Royal] e all’abate di Saint-Cyran, due personaggi che conosciamo bene.

     L’abate di Saint-Cyran, l’animatore spirituale di Port-Royal fino al 1643, è un sostenitore del pensiero di Giansenio, di cui è stato collega all’Università di Lovanio e di Parigi, e quando, dopo la pubblicazione nel 1640 dell’opera Augustinus di Giansenio, i Gesuiti denunciano il pensiero giansenista per incompatibilità con la dottrina cattolica, anche l’esperienza di Port.Royal viene messa all’Indice; poi, quando nel 1653 papa Innocenzo X [Giovan Battista Pamphili] condanna il giansenismo con la bolla Cum occasione, inizia nei confronti di Port-Royal una vera e propria persecuzione: il primo atto è la chiusura d’autorità delle “Piccole Scuole di Port-Royal”, aperte a tutti, e fondate da Antoine Arnauld e Pierre Nicole, i due intellettuali che hanno raccolto i programmi delle “Piccole Scuole” in un’opera intitolata Arte di pensare o Logica di Port-Royal [e sapete che la persecuzione si conclude con la distruzione delle due abbazie, la medioevale di Port-Royal des Champs e la moderna di Port-Royal de Paris, ordinata da Luigi XIV nel 1710].

     Ma ora, dopo questo riepilogo introduttivo, dobbiamo prendere il passo sull’itinerario di questa sera e dobbiamo ripartire da quando, dopo la condanna papale di Port-Royal, Pascal decide di entrare a far parte del gruppo de “i solitari”, e questa condanna non solo non lo scoraggia ma fa aumentare il suo convincimento e la sua volontà di aderire pienamente all’esperienza di Port-Royal.

     La condanna papale del giansenismo, con la bolla Cum occasione del 1653, è un ulteriore motivo che porta Blaise Pascal a entrare a far parte in modo organico del gruppo dei “solitari di Port-Royal” e, dal dicembre del 1654, comincia a frequentare le Lezioni tenute all’abbazia di Port-Royal de Paris da vari esperti. Pascal si appassiona nello studio della Letteratura Patristica e dei Detti dei Padri del deserto [due argomenti che, in questi anni, abbiamo affrontato in molti viaggi] e, dopo essere diventato un esperto esegeta [soprattutto sui testi delle Opere dei Padri Apologisti: Giustino di Efeso (†165), Tertulliano di Cartagine (†240), Clemente Alessandrino di Atene (†216), Origene di Alessandria (†254)], si mette al lavoro e, dal 1656, sul Bollettino di Port-Royal cominciano ad essere pubblicate una serie di Lettere che - raccolte poi tutte insieme - diventano un’opera apologetica [a chi scrive Pascal?].

     La parola greca “apologia” significa “difesa” e Pascal decide di operare, investendo in intelligenza, per difendere il pensiero giansenista e l’attività spirituale, materiale e politica di Port-Royal dall’attacco dei Gesuiti [i Gesuiti - in questo momento della loro storia, tranne una minoranza critica - guardano soprattutto “ai primi”, mentre i solitari di Port-Royal vogliono stare dalla parte degli “ultimi”, secondo l’affermazione evangelica per cui «gli ultimi saranno i primi»]. Pascal matura una competenza da apologeta perché si dedica con impegno allo studio di argomenti che non conosceva se non superficialmente, e vuole che la sua mente si uniformi allo spirito dei “solitari di Port-Royal”.

     La prima domanda che Pascal si pone [e anche noi ce la dobbiamo porre questa domanda] è come mai “i solitari di Port-Royal” hanno preso questo nome visto che vivono sostanzialmente in modo comunitario? I “solitari di Port-Royal” hanno assunto questo nome perché, ascoltando le Lezioni dell’abate di Saint-Cyran fino al 1643, hanno voluto imitare lo stile di vita e coltivare il pensiero dei Padri del deserto [l’abate di Saint-Cyran ha tenuto una serie di Lezioni sui Detti dei Padri del deserto che erano stati raccolti dagli Umanisti dalla metà del Quattrocento].

     Chi sono “i Padri del deserto”? Sono figure di grande rilevanza che in questi anni abbiamo incontrato più volte nei nostri viaggi e che hanno dato vita a un fenomeno materiale, spirituale, intellettuale e politico che ha lasciato il segno nella Storia del Pensiero Umano e, quindi, per capire lo spirito dei “solitari di Port-Royal” e in particolare quello di Blaise Pascal, dobbiamo ristudiare questo fenomeno nel contesto di questa esperienza [sul Percorso di questo viaggio] perché senza conoscere il retroterra culturale di Pascal [la lettura dell’Epistolario di Paolo di Tarso, dell’Augustinus di Giansenio, delle Opere dei Padri Apologisti e del fenomeno dei Padri del deserto] risulta difficile poter leggere le sue opere: come si fa a dire “leggete i Pensieri di Pascal”, un opera, di non facile lettura, alla quale ci stiamo avvicinando “festina lente”: affrettandoci con lentezza, senza avere le chiavi necessarie per far aprire nella nostra mente gli sportelli della comprensione?

     Ma, prima di occuparci delle opere del Pascal apologeta e, prima ancora,  di  ristudiare il pensiero dei Padri del deserto dobbiamo ribadire ancora una volta che, oltre a studiare e a meditare, i solitari di Port-Royal, insieme alle monache del convento governato da Mère Angélique, devono lavorare [siamo in un monastero benedettino e vige la regola per ciascuna e per ciascuno di quattro ore di lavoro manuale, oltre a quattro ore di studio, a quattro ore di riflessione e preghiera, e a quattro ore di cura propria e del prossimo]. Qual è l’attività manuale [quali sono i lavori] che devono sostenere, con le monache, i solitari di Port-Royal de Paris, Pascal compreso naturalmente? Il monastero di Port-Royal de Paris si trova nel faubourg Saint-Jacques che, sebbene sia alla periferia di Parigi, è comunque in aperta campagna e le attività principali dell’abbazia - per il suo sostentamento e per il sostegno agli indigenti [alle molte persone che non hanno protezione sociale] - sono l’allevamento delle pecore e delle oche. Quotidianamente, come abbiamo già detto alla fine dell’itinerario della scorsa settimana, c’è un lunga fila di persone all’ingresso del monastero di Port-Royal de Paris [e la scena ve la potete immaginare] dove vengono distribuiti: il latte e i formaggi, e i formaggi, la scorsa settimana, ci hanno portato a incontrare il signor Palomar [del quale stiamo leggendo le riflessioni] e, con lui siamo entrate ed entrati in “una formaggeria”: in un vero e proprio “museo dei formaggi”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale formaggio vorreste assaggiare dopo aver riletto le due pagine del racconto intitolato “Il museo dei formaggi” contenuto in Palomar di Italo Calvino?...

Quali formaggi acquistate di solito in formaggeria?...  

Scrivete quattro righe in proposito...

     E l’allevamento delle oche dove ci conduce? L’allevamento e la macellazione delle oche a Port-Royal de Paris [che, quando è il suo turno, Pascal porta al pascolo] serve per la produzione e la distribuzione di alcuni prodotti di grande utilità: le penne [nel ‘600 si scrive ancora con penne d’oca], il piumino [per la confezione dei piumoni] e il grasso [da usare in cucina come condimento e come conservante]. Sapete che l’Europa, dal punto di vista dei prodotti ad uso del condimento, si divide in tre fasce: procedendo da sud verso nord c’è la fascia mediterranea dell’olio d’oliva, c’è poi quella mitteleuropea del burro e quella nordica del grasso d’oca. Quotidianamente l’abbazia di Port.Royal de Paris distribuisce latte e formaggi e, periodicamente distribuisce lana, piumino e grasso d’oca, e anche le oche con il loro vivace starnazzare ci portano all’esperienza del signor Palomar, il protagonista del Libro dal titolo omonimo di Italo Calvino pubblicato nel 1983. Adesso il signor Palomar [il cui nome richiama un potente telescopio] è intenzionato a puntare la sua meticolosa attenzione “sul grasso d’oca” perché questo prodotto fa parte delle “cose utili e buone della vita”, come direbbe Montaigne, e Palomar lo vuole osservare scrutandolo nei minimi particolari nel tentativo [sulla scia di Pascal] di entrare, anche per mezzo “del grasso d’oca”, in rapporto con l’universo; ma questo tentativo presenta molte difficoltà perché, trovandosi in un ben fornito negozio di gastronomica [una charcuterie] la sua mente finisce per spaziare ben oltre il sobrio clima di Port-Royal, ma qualcosa del carattere di Port-Royal deve esserci nel cuore [direbbe Pascal] del signor Palomar se le sue riflessioni lo portano sempre nel dubbio, ma il dubbio è utile perché stimola la riflessione e la volontà di imparare [e anche di condire i propri piatti e la propria mente con cognizione di causa]. Leggiamo.

LEGERE MULTUM….

Italo Calvino, Palomar

Un chilo e mezzo di grasso d’oca.

Il grasso d’oca si presenta in flaconi di vetro, contenenti ognuno, a quanto dice un’etichetta scritta a mano: «due membra d’oca grassa (una zampa e un’ala), grasso d’oca, sale e pepe. Peso netto: un chilo e cinquecento». Nello spesso e soffice biancore che colma i flaconi s’attutisce lo stridore del mondo: un’ombra bruna sale dal fondo e come nella nebbia del ricordo lascia trasparire le sparse membra dell’oca, svanita nel suo grasso.   Il signor Palomar fa la coda in una charcuterie di Parigi. Sono i giorni delle feste, ma qui la ressa dei clienti è abituale anche in epoche meno canoniche, perché è uno dei buoni negozi gastronomici della metropoli, miracolosamente sopravvissuto in un quartiere dove l’appiattimento del commercio di massa, le tasse, il basso reddito dei consumatori, e ora la crisi, hanno smantellato a una a una le vecchie botteghe sostituendole con anonimi supermagazzini. 

continua la lettura ...

     Il disagio esistenziale del signor Palomar - persona che vive in epoca contemporanea - è, tuttavia, simile a quello di molti intellettuali rinascimentali e secenteschi. E sulle cause che provocano l’inquietudine che attanaglia le menti di molte persone in età rinascimentale e secentesca ci ha già spiegato tutto Montaigne nei testi dei suoi Saggi quando descrive la stupidità e la scaltrezza di chi si dedica alla vita di corte, l’imbecillità e l’ignoranza di chi detiene il potere in ambiente accademico, la subdola violenza di chi specula sulle guerre civili di religione tra cristiani, lo scarso decoro che emerge dagli ambienti ecclesiastici. Il malessere esistenziale del signor Palomar è analogo a quello dei membri del quel gruppo di intellettuali che, nauseati dalla società che li circonda, hanno deciso di cambiar vita alla ricerca di spiritualità, di misticismo e di impegno evangelico, e il terreno dove potersi realizzare lo hanno trovato a Port-Royal perché questo spazio offre un’area intellettuale conforme anche a quella del “deserto”. In che senso Port-Royal presenta, sul piano culturale [a livello concettuale], caratteristiche simili a quelle del “deserto”? E da questo momento sono molti i monasteri che uniscono al loro nome il termine di “deserto” pur trovandosi a poca distanza o nel cuore dei centri urbani: perché avviene questo? Questo avviene perché Port-Royal, oltre ad essere il principale centro del giansenismo in Europa, diventa anche la sede dove [1635] si coltiva il pensiero e l’esperienza dei “Padri del deserto”, e i “solitari di Port-Royal”, stimolati dalle Lezioni dell’abate di Saint-Cyran, aderiscono con entusiasmo [e così come fa pure Pascal dal 1654] a questo pensiero e a questa esperienza.

     L’esperienza spirituale, mistica e politica dei “solitari di Port-Royal dal 1635”, stimolati dalle Lezioni dell’abate di Saint-Cyran, e quella di Pascal dal 1654 nasce e si sviluppa in linea con il pensiero dei “Padri del deserto”. Chi sono “i Padri del deserto” e in base a quale pensiero agiscono? L’abate di Saint-Cyran tiene a Port-Royal una serie di Lezioni prendendo spunto da un volume che, dalla metà del ‘400, ha preso forma per opera del lavoro filologico degli Umanisti [e, anche in questo caso, c’è lo zampino di Lorenzo Valla], una antologia che raccoglie i Detti dei Padri del deserto. Quest’opera è stata via via stampata in molte edizioni sempre più approfondite fino ai giorni nostri e se ne consiglia la lettura non soltanto a chi vuole dedicarsi allo studio dell’ascetismo o del monachesimo, o a chi coltiva una particolare passione per il sacro, ma anche a chi non prova interessi religiosi, perché dal III al V secolo, nei deserti intorno a noi - il Sahara per esempio - i monaci hanno dato forma a una sottile e delicata scienza psicologica d’impronta laica e materiale, ed è per questo motivo che diventano dei veri, dolcissimi e durissimi contemporaneamente, Padri spirituali: proprio perché, paradossalmente, non vivono “campati per l’aria”, e “i solitari di Port-Royal”, Pascal compreso, non vogliono vivere “campati per aria” né col corpo né con la mente. Pur vivendo la maggior parte del loro tempo in solitudine assoluta, i Padri del deserto hanno tuttavia uno sguardo assai lucido sulla realtà delle cose terrene e sono coscienti della “complessità del cuore umano” [che, come già sappiamo, diventa un tema particolarmente caro a Pascal], e hanno una grande capacità di analisi per quanto riguarda il concetto di “peccato”:  è proprio dalla riflessione dei Padri del deserto che Pascal mutua il suo pensiero di carattere antropologico sulla natura del “peccato originale” perché intuisce che - indipendentemente dalle narrazioni mitiche presenti in tutti i grandi apparati dell’Età assiale su questo tema [dai Libri mesopotamici dell’epopea di Gilgamesh e dell’Emuma Elish, al Libro della Genesi, dai Libri indiani dei Veda, agli Avesta di Zaratustra, dal Tao te Ching cinese, ai poemi teogoniaci e orfico-dionisiaci del greco Esiodo, tanto per fare alcuni esempi] - l’essere umano compare, come soggetto privilegiato della creazione perché dotato di ragione, su una Terra che si presenta come un Giardino di delizie e usa il dono del “libero arbitrio” per trasformarsi nel più feroce animale del Pianeta, un animale che deve anche lottare per la sopravvivenza ma che vuole tutto il potere e non sa dire altro che “questo è mio, io sono Dio”. Ecco l’essenza antropologica del “peccato originale” già registrata dai Padri del deserto che Pascal codifica nei Pensieri con queste parole: «L’essere umano [scrive Pascal nei Frammenti polemici] è schiavo del peccato originale e, nonostante il sacrificio di Gesù Cristo la cui agonia continua a durare, siamo bestie in via di lentissima umanizzazione». I Padri del deserto, proprio in ragione della loro visione del peccato, sono molto ironici rispetto a qualsiasi teoria morale prefabbricata da chi detiene i poteri, e pensano che soltanto fuori da ogni società, quindi nel deserto, si possa mettere alla prova e studiare perfettamente l’anima umana. I Padri del deserto della prima generazione sono quelli che vivono nel deserto Egiziano e Libico tra il III e il V secolo, e il modello, l’esempio classico di “Padre del deserto” è quello di Antonio, Santo, abate [251circa-356], protettore degli animali domestici così come noi lo conosciamo.

     A Port-Royal l’abate di Saint-Cyran illustra e spiega un testo fondamentale per la conoscenza di “Sant’Antonio del deserto” che s’intitola Vita di Antonio ed è una delle più significative “agiografie” [la narrazione della vita di un Santo o di una Santa] scritta verso la metà del IV secolo da Atanasio di Alessandria [295 circa-373]. Quest’opera, oggi edita in primis dalla fondazione Lorenzo Valla, viene considerata come se fosse il Vangelo [il documento ufficiale] del monachesimo e ha avuto un grande successo di pubblico sia religioso che laico.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quest’opera la potete richiedere in biblioteca in modo da poterla sfogliare e da poterne leggere qualche pagina un po’ per volta, incuriositevi...

     Atanasio racconta che Antonio si isola nel deserto seguendo l’esempio di alcuni monaci del III secolo: leggiamo un brano da Vita di Antonio di Atanasio di Alessandria per capire [in funzione della didattica della lettura e della scrittura, praticata anche dalle Piccole Scuole di Port-Royal] come sia possibile dedicarsi alla lettura di certe opere che possono dare l’impressione di essere oggetti astrusi come un’agiografia del IV secolo.

LEGERE MULTUM….

Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio

Antonio ha abbandonato le città e le campagne e si è inoltrato nel deserto egiziano: il deserto della Tebaide. Abita in grotte, in cimiteri, in fortificazioni diroccate e, penetrando sempre più profondamente nel territorio interno della Tebaide, trova una piccola oasi, con un ruscello limpido e un boschetto di palme. Lì vive come se fosse sempre altrove, senza luogo, o (se volete) in un non-luogo [u-topos]”: senza una patria, né una cella, straniero a tutti i pensieri e a tutte le cose, come un cane che, quando è cacciato, se ne va, e, quando è chiamato, viene. Si lascia dietro quelli che vengono considerati i valori umani: la casa, la patria, la famiglia, il possesso, e anche senza neppure un coltello o una zappa; si lascia dietro soprattutto se stesso e persino la Scrittura, alla quale deve rinunciare come a tutti i libri, andando sempre più oltre, sempre più in là, senza più niente, nel vuoto e nel nudo, toccando l’assoluta solitudine. Lì, è solo come Dio. Lui e Dio, sono soli al mondo: solitudine contro solitudine, silenzio contro silenzio, comunione contro comunione. E se Dio qualche volta ha parlato nella storia: la voce del monaco non rompe mai il silenzio del deserto. Se è assalito dal dolore, tace; se è assalito dalla tentazione, tace; se è assalito dalla gioia, tace; se la stuoia che è sotto di lui non parla, neanche lui parlerà.

     Pascal, così come è successo prima di lui ai solitari di Port-Royal in seguito alle Lezioni dell’abate di Saint-Cyran, si appassiona a leggere quest’opera, Vita di Antonio di Atanasio di Alessandria, e s’immedesima nella figura del protagonista, e mutua anche dallo stile agiografico di Atanasio alcune caratteristiche formali che poi utilizza nel suo modo di scrivere. Il significativo brano che abbiamo letto meriterebbe di essere commentato in profondità, noi ora facciamo solo un’osservazione [e lo abbiamo letto appositamente per questo] che risulta fondamentale nel contesto in cui stiamo osservando il fenomeno dei “Padri del deserto”, cioè per capire quanto e come il pensiero di questo movimento abbia inciso sull’esperienza dei solitari di Port-Royal e in particolare di Pascal.

     Nel brano, tratto da Vita di Antonio di Atanasio di Alessandria, si afferma che il monaco cerca la solitudine per un motivo di carattere teologico che si ripercuote sull’Io della persona e si manifesta nei due lapidari enunciati: «Sono solo come Dio. Io e Dio siamo soli al mondo». È riflettendo su queste affermazioni apparentemente paradossali che Pascal, in modo da dare un giusto valore al proprio Io [che lui tende a disprezzare perché l’Io è molto spesso succube dell’astuzia della ragione], viene stimolato “a giocare con Dio e con l’Infinito” riflettendo sul fatto che se Dio si sente solo al mondo e, di conseguenza, concepisce le creature per amarle, così è bene che anche l’Io personale impari a sentirsi solo al mondo per poter essere capace di rapportarsi con la realtà umana, con l’Alterità [Atanasio usa il termine greco “éteròtes (in latino “alteritas”)” che è l’opposto di “identità” mutuandolo dal dialogo Sofista in cui Platone dimostra che la categoria della “alterità” garantisce l’esistenza non solo dell’Essere ma anche del Non-essere]. La ricerca della solitudine, del “monologos”, scrive Atanasio, equivale alla ricerca del Dio-Unico, e corrisponde alla profonda riflessione sul tema del “monoteismo” che in questi secoli [dal III al V] sta avvenendo all’interno della cristianità all’epoca del primo concilio, quello di Nicea del 325 [un argomento che in questi anni abbiamo trattato in tutti i suoi aspetti, un argomento che torna in continuazione nella dialettica della Storia del Pensiero Umano]: il dibattito, assai conflittuale, che si svolge a Nicea riguarda proprio il tema della natura [o della forma] da dare al Dio cristiano [si tratta di trovare una mediazione tra i diversi caratteri del Dio protagonista dei Libri dell’Antico Testamento e la figura che Gesù Cristo chiama il Padre]. Questa spinosa questione - la grande polemica sulla natura di Dio - riguarda anche l’esistenza dei Padri del deserto, e ci sono, quindi, due ragioni fondamentali per cui nasce questo fenomeno, due ragioni che s’intersecano tra loro ma che dobbiamo trattare in modo distinto per motivi di studio: una di carattere mistico, mitico e psicologico e una seconda di carattere teologico e politico. Noi ora procediamo nella nostra analisi così come l’ha condotta l’abate di Saint-Cyran nelle sue Lezioni quando dal 1635 ha inteso fornire ai membri del primo gruppo dei “solitari di Port-Royal” le basi necessarie perché potessero definire un programma utile a dare un senso alla loro esistenza, lo stesso programma che ha abbracciato qualche anno dopo Pascal. Da una parte [spiega l’abate di Sant-Cyran], nella nascita del movimento dei Padri del deserto, c’è una ragione di carattere mistico, mitico e psicologico che Atanasio, nella Vita di Antonio, chiama «il criterio per combattere i demòni » [fate attenzione all’accento perché determina due oggetti diversi: i demòni, non vanno confusi con i dèmoni! Il dèmone è “la coscienza”, i demòni sono “le forze del male”]. Antonio [racconta Atanasio] abita il deserto soprattutto per combattere i demòni perché «dopo che la Parola di Gesù Cristo [dichiara Antonio, e Atanasio lo riporta] ha conquistato le città e le campagne, i demòni si sono rifugiati in folla nei deserti: li hanno posseduti, vi si sono arroccati, e Antonio e i suoi seguaci penetrano sempre più profondamente nei deserti per combattere le potenze del male e le vincono, per cui, il deserto diventa “un spazio libero dal male” nel quale è conveniente abitare». Sulla scia dell’analisi dell’abate di Saint-Cyran, dobbiamo dire che nell’opera Vita di Antonio di Atanasio l’onnipresenza del male si manifesta con straordinarie e pittoresche descrizioni che non angosciano la lettrice e il lettore: le descrizioni di Atanasio sono molto “pittoriche” e provviste di una forte valenza simbolica [e quante opere d’arte, in tutte le epoche, sono state prodotte sotto l’influenza di queste descrizioni!]. I demòni descritti magistralmente da Atanasio prendono tutte le forme [forme che hanno fatto la gioia dei miniatori di tutti i tempi]: leoni, leopardi, serpenti, tori, aspidi, scorpioni, donne e uomini bestiali, animali triplici [tre animali incrociati insieme]. Come sottolinea l’abate di Saint-Cyran, Atanasio spiega bene che i Padri del deserto sono perfettamente consapevoli che i demòni esteriori non esistono e che la visione degli animali feroci, disgustosi e rampanti, ha una precisa e significativa caratteristica che Atanasio mette bene in  evidenza: questi animali sono dotati di uno sguardo rivelatore, uno sguardo umano ricco di attenzione e di tristezza, in quanto, un altro essere è nascosto sotto le loro parvenze, ed è la stessa creatura che li sta guardando, perché i demòni vivono nel profondo del cuore della persona che guarda negli occhi la bestia che sta credendo di vedere, per la semplice ragione che i demòni sono tutti nella mente umana sotto forma di sentimenti, di sentimenti devastati dalle passioni. Persino il sentimento della “devozione religiosa”, scrive Atanasio riportando il pensiero di Antonio, può essere demoniaco, se dietro c’è l’orgoglio e il compiacimento della virtù [e su questo concetto l’abate di Saint-Cyran insiste nelle sue Lezioni polemizzando con i Gesuiti]. Di conseguenza, la lotta contro i demòni è una battaglia per portare le passioni alla luce della coscienza e le tentazioni alla luce del sole: le passioni [secondo i Padri del deserto] vanno affrontate e “vanno descritte” [messe per iscritto], e le tentazioni sono necessarie. Leggiamo dai Detti dei Padri del deserto, un frammento significativo: «Dice un Padre: - Ho trascorso ottant’anni nella vita monastica e non ho trovato pace un solo giorno. Le tentazioni sono necessarie: nessuno, se non avrà conosciuto la tentazione, potrà entrare nel Regno dei cieli. Togli le tentazioni e nessuno sarà salvato.».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Voi, a volte, che cosa siete tentate e tentati di dire e di fare?...  Perché poi spesso le vostre tentazioni non vanno a buon fine, che cosa vi frena?...

Lasciatevi prendere dalla tentazione di scrivere quattro righe in proposito e cedete...

     Prima di continuare a riflettere sul fatto che i Padri del deserto “non amano la virtù che si compiace di se stessa” [un’idea particolarmente gradita all’abate di Saint-Cyran, ai solitari di Port-Royal e a Pascal] dobbiamo sapere che anche il signor Palomar [avrà letto anche lui - ci domandiamo - Vita di Antonio di Atanasio?] ha intuito che certi animali particolari, come le iguane [che può incontrare in un rettilario a Parigi], sono dotati di «un occhio “evoluto” [scrive Italo Calvino] dotato di sguardo, di attenzione e di tristezza, a dar l’idea che un altro essere, a noi somigliante, sia nascosto sotto quelle parvenze di drago». Leggiamo quindi L’ordine degli squamati, un testo da rileggere con calma per riflettere sull’idea -  insostenibile? -  dell’esistenza di un tempo fuori della nostra esperienza.

LEGERE MULTUM….

Italo Calvino, Palomar

L’ordine degli squamati.

Il signor Palomar vorrebbe capire perché le iguane lo attirano; a Parigi va di tanto in tanto a visitare il rettilario del Jardin des Plantes; non ne resta mai deluso; quello che la vista dell'iguana ha in sé di straordinario anzi d’unico, gli è ben chiaro; ma sente che è qualcosa in più e non sa dire cosa sia.    L’Iguana iguana è ricoperta d'una pelle verde come tessuta di minutissime scaglie picchiettate. Di questa pelle ce n’è troppa: sul collo, sulle zampe forma pieghe, borse, sbuffi, come un vestito che dovrebbe stare aderente al corpo e invece va giù da tutte le parti. Lungo la spina dorsale s’innalza una cresta dentata che continua fin sulla coda; la coda è anch’essa verde fino a un certo punto, poi più s’allunga più sbiadisce e si segmenta in anelli di colore alternato: bruno chiaro e bruno scuro. Sul muso a squame verdi l’occhio s’apre e si chiude, ed è quest’occhio «evoluto» dotato di sguardo, di attenzione, di tristezza, a dar l’idea che un altro essere sia nascosto sotto quelle parvenze di drago: un animale più simile a quelli con cui abbiamo confidenza, una presenza vivente meno distante da noi di quanto sembra

... continua la lettura ...

     I Padri del deserto sono consapevoli del fatto che i demòni vivono nel profondo del cuore della persona: i demòni sono tutti nella mente umana sotto forma di sentimenti, e persino il sentimento della “devozione religiosa” [scrive Atanasio riportando il pensiero di Antonio] può essere demoniaco, se dietro c’è l’orgoglio e il compiacimento della virtù [e questa è un’idea particolarmente gradita all’abate di Saint-Cyran, ai solitari di Port-Royal e a Pascal che sono in polemica con i Gesuiti].

     I Padri del deserto non amano “la virtù che si compiace di se stessa”, non amano l’orgoglio delle opere: peccare è, per i Padri, paradossalmente, meno grave che esaltare se stesse e se stessi gloriandosi della propria virtù, della propria forza di volontà, della propria energia produttiva, della propria presunta sapienza, della bontà della propria morale personale. Leggiamo dai Detti dei Padri del deserto che cosa dice Padre Poimen in proposito: «Dice Padre Poimen: “L’arrogante volontà della persona è un muro di bronzo tra lei e Dio, è una pietra d’inciampo, se vedi un giovane salire al cielo con la sua superba volontà, prendilo per un piede e gettalo a terra. Gli conviene.”». L’unica virtù che i Padri del deserto vogliono praticare [ed è un esempio che i solitari di Port-Royal intendono seguire] è “caricare tacitamente sulla propria anima la responsabilità di ogni peccato del mondo”, ma - sebbene si macerino nell’ascesi - i monaci hanno sempre deriso con una deliziosa ironia il loro stesso ascetismo, i digiuni, le veglie, persino le preghiere. In proposito, leggiamo questo frammento dai Detti dei Padri del deserto: «Quando alcuni anziani chiesero a Padre Poimen: - Se vediamo dei fratelli presi dal sonno durante la preghiera comune, vuoi che li scuotiamo perché rimangano desti durante la veglia?  Ed egli rispose: - Io, se vedo un fratello vinto dal sonno, metto la sua testa sulle mie ginocchia e lo lascio riposare. - ». I Padri del deserto non si considerano né angeli, né eletti, ma persone che amano la contraddizione, il paradosso e l’ironia: non vogliono essere un modello per altre persone anche se molti di loro, per tutta la vita, hanno insegnato, commentando i Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento e dando un esempio coerente di vita ascetica, eppure predicano che “niente è più pericoloso del desiderio di insegnare”. Dice Padre Alonio nei Detti dei Padri del deserto: «Non insegnare prima del tempo, altrimenti, per tutta la vita, la tua intelligenza resterà limitata. Se una persona abitua se stessa a insegnare, questo gli causerà pena. Insegnare, sia pure il Bene, è una corruzione dello spirito: il monaco può soltanto alludere, raccontare piccole storie, brevi parabole, essenziali apologhi e velocissimi aforismi, dopo arriva il compiacimento e con il compiacimento l’orgoglio, e con l’orgoglio, il maligno. ». Questo ammonimento deve essere tenuto in considerazione da tutte le persone che si dedicano a insegnare, e riguarda ciascuna e ciascuno di noi perché tutti abbiamo qualcosa da insegnare in quanto tutti abbiamo sempre qualcosa da imparare.

     Dove abita dunque la saggezza per i Padri del deserto? La risposta che danno è paradossale [e piace all’abate di Saint-Cyran, ai solitari di Port-Royal e a Pascal]: la saggezza abita dove non esiste nessuna regola, nel deserto, perché entrare nel deserto significa uscire dai vincoli imposti dai poteri dominanti e rifiutare di ricorrere alle molte ipocrisie per raggirare la Legge, perché il potere autoritario è demoniaco e la Legge è diabolica perché “fatta la Legge, trovato l’inganno!”. Il monaco del deserto si considera “monotropos”, cioè “con un solo volto” [è uno che ci mette la faccia] e, di conseguenza, il loro stile di vita [“la scienza dei Padri del deserto”, come la chiama l’abate di Saint-Cyran]” è multiforme perché nasce da un sottilissimo equilibrio di affermazioni opposte; appena un Padre conia un precetto, un altro - per la paura che si sedimentino delle regole e nascano atteggiamenti conformistici - ne presenta subito uno opposto: se uno insegna, l’altro dice che non bisogna mai insegnare, se uno dice che il cuore della vita è la misura, l’altro propone che dobbiamo essere smisurati, se uno afferma che ogni preghiera è una lotta, l’altro sostiene che bisogna soltanto tendere le mani e attendere, se uno insegna a tacere, l’altro risponde che il silenzio è l’ultima delle virtù, se uno afferma che dobbiamo rinunciare a tutto, l’altro ricorda che dobbiamo amare tutte le cose di questo mondo, se uno dice che siamo degli stranieri nel mondo, l’altro insiste dicendo che il mondo è la nostra patria, se uno sostiene che annullarsi è il massimo dono, l’altro ritiene che può essere il vizio peggiore. L’errore, secondo i Padri del deserto, sta nel fissarsi solo su una voce, perché è bene ed è utile conservare nella memoria l’eco di tutte le voci e questa complicata orchestrazione presuppone una notevole capacità di sintesi ed è per questo che i Padri del deserto sono dei grandi “padri spirituali”: questa figura, a causa del venir meno di questa competenza [la capacità di sintesi], è andata scomparendo [non è stata sostituita né dai confessori, né dai psicoanalisti]. Il padre spirituale è una figura che conosce [deve conoscere] tutte le contraddizioni e, quindi, è competente su tutte le passioni umane, su tutti i peccati e su tutti i meriti ed è “esperto a non giudicare e a non disprezzare gli altri” perché il disprezzo indurisce l’animo, offusca l’intelligenza, uccide l’amore, e nessuna verità vale quanto il “non disprezzare” perché Dio è clemente e misericordioso … Il padre spirituale sa che il dono di giudicare non è terreno e, quindi, non può essere un giudice ma deve essere  “l’interprete dell’animo umano”, e la saggezza, in questo caso, consiste nel confidare e nell’abbandonarsi nel Giudizio di Dio, l’unico giudice clemente e misericordioso. I Padri del deserto cercano Dio nella solitudine ma pensano che ogni visione di Dio è impossibile, così come ogni conoscenza di Dio è vana: nel deserto non viene costruita alcuna teologia, e neppure tentata una forma di estasi mistica [sia pure per sperimentarne il fallimento] perché se Dio vuole, è Lui che ti cerca. Se almeno il testo della Sacra Scrittura fosse chiaro [si lamentano i Padri] ma anche la Scrittura è enigmatica, e l’unica risposta alla difficoltà dei passi biblici è l’antica parola della sapienza socratica: «Non so, non so nulla». Difatti, si legge nei Detti dei Padri del deserto che «quando un prete di città, cominciò a parlare a Padre Poimen di cose spirituali e celesti, egli voltò la faccia e non gli diede risposta, un discepolo gli chiese: “Padre, perché non gli hai parlato?” Il Padre rispose: “Quello è di lassù e parla di cose del cielo, io invece sono di quaggiù e parlo di cose terrene. Se mi avesse parlato di passioni dell’anima, gli avrei risposto, ma le cose spirituali non le conosco”.». Quello di Padre Poimen è un sottilissimo gioco paradossale: rivela che il cuore del monachesimo del deserto sta nella complessa intelligenza delle passioni umane: roba di quaggiù.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In biblioteca potete richiedere uno dei molti volumi che sono stati pubblicati contenenti i Detti dei Padri del deserto e - rinnovando via via il prestito - potete leggere un detto al giorno...

     I Padri del deserto dichiarano che “ogni visione di Dio è impossibile”, così come “ogni conoscenza di Dio è vana”: ma secondo il loro stile anche queste affermazioni risultano contraddittorie perché sono relative alla famosa e spinosa polemica sulle caratteristiche da dare alla fisionomia del Dio cristiano, una controversia che ha anche un’influenza sulla nascita del movimento dei Padri del deserto.

     Quando Antonio [come scrive Atanasio] dichiara: «Sono solo come Dio. Io e Dio siamo soli al mondo» sta partecipando alla riflessione sul “monoteismo” che, in questi secoli [dal III al V], sta avvenendo in modo conflittuale all’interno della cristianità. Al concilio di Nicea, nel 325, viene scritto il Simbolo niceno, il Credo, che tutte e tutti conoscete a memoria. Il concilio [dal quale il vescovo di Roma, papa Silvestro, è assente] è stato convocato dall’Imperatore Costantino che presiede e segue i lavori perché esige venga risolta la questione sulle caratteristiche da dare al Dio cristiano per far cessare le divisioni interne alla cristianità che non giovano all’unità dell’Impero: Costantino non ha una motivazione religiosa ma un obiettivo pratico che riguarda la gestione del potere. A Nicea bisogna stabilire la forma [la fisionomia] del Dio-cristiano e la natura di Gesù Cristo e non sono problemi da poco: c’è una polemica feroce nella cristianità sul tema dell’essenza del Figlio di Dio [Gesù Cristo è un uomo adottato da Dio, è il primo Angelo creato da Dio portatore della Sapienza divina, è Figlio di Dio della stessa sostanza di Dio-Padre?]. Ci sono in ballo idee contrastanti [e non è facile trovare un adeguato compromesso], e poi entra nel dibattito la Filosofia greca [il pensiero neoplatonico e quello aristotelico] con tutta la sua multiforme energia e come significativo elemento di contaminazione culturale: questo fatto [come abbiamo studiato nel corso di molti viaggi] genera violente controversie intellettuali che danno origine a divisioni ideologiche foriere di conflitti sanguinosi, che rimangono profonde nei secoli. Quindi, la grande polemica sulla fisionomia di Dio [Dio è Uno o è Trino, è Tre Persone in Una o è una Entità divina in tre ipostasi?] determina anche l’esistenza dei Padri del deserto, provoca la nascita di questo fenomeno perché di fronte al diffuso disorientamento che la virulenta polemica crea e che sfocia in cruente guerre di religione, molti monaci, dopo aver riflettuto, reagiscono con una presa di posizione categorica: «È meglio perdersi nel deserto, perché qui, in questa solitudine apparentemente paradossale, Dio, se vuole, ci farà ritrovare la bussola »[può Dio essere succube dei voleri dell’imperatore e può la sua Essenza essere racchiusa in una formula conciliare?]. Da questi ragionamenti scaturisce la scintilla che dà vita al movimento dei Padri del deserto e in questo vasto ed eterogeneo fenomeno si intrecciano molte storie ed emergono molti personaggi che vogliono opporsi caparbiamente a quella che loro chiamano: “la svolta imperialista e intellettualistica della Fede”. Adesso [a nome di tutti i monaci stabilitisi nel deserto] dobbiamo ricordare Epifanio, metropolita di Cipro e vescovo di Salamina [315circa-403] che, con la sua predicazione, porta nel deserto tutta una generazione di monaci alla ricerca del “Dio-biblico” che si è isolato ed è andato a vivere in esilio nel deserto.

     Epifanio scrive: «Per avere un ardente incontro col Dio di Gesù Cristo, che è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, e che non è né il dio dei saccenti né dei potenti, bisogna perdersi nel deserto perché qui, in questa solitudine, se Lui vuole, ci farà ritrovare la bussola necessaria a seguire le indicazioni dei Vangeli». Ci sono voluti dieci itinerari per arrivare a comprendere da dove Pascal trae spunto per descrivere con le parole [parole che conoscete a memoria] la sua “notte di fuoco”, un’esperienza che lo porta alla   decisione di stabilirsi definitivamente a Port-Royal dove gli appartenenti al gruppo dei “solitari” vivono [lavorano, studiano e meditano] come se si trovassero nel deserto.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Qual è il vostro deserto: c’è un posto dove vi piace restare un po’ in solitudine?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Ebbene, con questo capiente bagaglio culturale [la lettura dell’Epistolario di Paolo di Tarso, dell’Augustinus di Giansenio, delle Opere dei Padri Apologisti e del fenomeno dei Padri del deserto] Pascal entra nel gruppo dei “solitari” e inizia a difendere [investendo in intelligenza] il pensiero e l’attività di Port-Royal: che cosa produce? Abbiamo detto che inizia scrivendo delle Lettere: a chi scrive, in che forma e che cosa scrive?

     Per rispondere a queste e ad altre domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé [vi ricordo che la prossima settimana, come da calendario, facciamo una pausa utile tanto per bilanciare il ritmo con cui gli itinerari si susseguono quanto per completare la nostra riflessione rimanendo un po’ in silenzio nel deserto per poi partecipare attivamente alla Giornata della memoria] e, quindi, consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare: la Scuola è qui, e [fra quindici giorni con l’ingresso di febbraio] il viaggio continua…

 

 

 


 

Lezione del: 
Venerdì, Gennaio 24, 2020