Autorizzazione all'uso dei cookies

SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI È NECESSARIO RIFLETTERE SUL CONCETTO DI “VIRIDITAS”: UNA PAROLA CHE IN LATINO RIMANDA AI TERMINI “DISPONIBILITÀ, SALUTE, RIGOGLIO” ...

Lezione N.: 
7

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi  

La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi  27-28-29  novembre  2019

 SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI

È NECESSARIO RIFLETTERE SUL CONCETTO DI “VIRIDITAS”: UNA PAROLA

CHE IN LATINO RIMANDA AI TERMINI “DISPONIBILITÀ, SALUTE, RIGOGLIO” ...

     Stiamo viaggiando - questo è il settimo itinerario - sulla via che porta dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700 e vi ricordo che la prossima settimana, come da calendario, faremo una pausa].

     Come ben sapete siamo in compagna di Blaise Pascal il quale, come abbiamo studiato, a un certo punto della sua esistenza, a trent’anni, si trova a vivere - dopo aver letto con grande interesse e con passione l’Epistolario di Paolo di Tarso commentato da padre Mersenne - un’esperienza molto emozionante [un evento diventato famoso] che lui ritiene il punto di partenza sulla via del cambiamento del suo stile di vita, quando da matematico famoso nel mondo diventa un filosofo mistico che vive appartato. La notte del 23 novembre 1654 avviene un fatto che Pascal registra come “la notte di fuoco” e, in proposito, scrive: «Non so se ho sognato, ma non credo di aver sognato: ho vissuto in modo drammatico un incontro fiammeggiante col Dio di Gesù Cristo, che mi diceva di seguire le indicazioni dei Vangeli », un episodio - come sapete - che ricorda i racconti che narrano la caduta da cavallo di Paolo di Tarso sulla via di Damasco. In relazione a “la notte di fuoco”, Pascal scrive un Memoriale che inizia con queste parole: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non il dio dei filosofi e dei sapienti [e in questa affermazione si registra la polemica nei confronti di Cartesio e dei cartesiani] mi ha chiamato a un nuovo programma di vita e di pensiero»: questo incipit lo scrive su un foglio di carta e se lo cuce nella fodera della giacca, e per risalire alla fonte di queste parole dobbiamo percorrere ancora tre itinerari! Poi alcuni giorni dopo esce anche indenne da un gravissimo incidente dal quale si salva miracolosamente quando la carrozza su cui sta viaggiando si ribalta sul ponte di Neuilly rimanendo in bilico mentre i cavalli finiscono oltre il parapetto. Quindi, anche in ragione di questi episodi ritenuti da Pascal un segno non casuale Blaise decide di frequentare regolarmente l’abbazia di Port-Royal per studiare, per meditare e per attuare programmi di solidarietà verso il prossimo e, quindi, per comprendere che cosa significhi fare questa scelta, abbiamo iniziato a studiare la storia di Port-Royal per  capire che cos’è Port-Royal.

     Come abbiamo imparato la scorsa settimana, Port-Royal è un luogo corrispondente a due siti diversi, ma è anche una significativa metafora che corrisponde a un richiamo rivolto alla Chiesa e alla cristianità per un rinnovamento che preveda di “risalire al Vangelo” [il nome di Port-Royal fa riferimento al porto sicuro dove può attraccare la navicella di Cristo Re, cioè la Chiesa nel mare in tempesta]. Come sapete, esistono nella Storia di Port-Royal due abbazie: una risalente al Medioevo, la più antica, situata in campagna a una certa distanza da Parigi detta Port-Royal des Champs, e una moderna collocata nella periferia parigina, nel quartiere di Saint Jacques, detta Port-Royal de Paris.

     L’abbazia di Port-Royal des Champs [come sapete, perché la scorsa settimana ne abbiamo studiato la storia] è stata fondata nella paludosa e insalubre valle della Chevreuse a sud di Versailles nel 1204 da Matilde di Garlanda che, con l’aiuto di quattro consorelle tedesche, interpreta la regola benedettina secondo lo stile monastico inaugurato mezzo secolo prima da quel grande personaggio che è Ildegarda di Bingen che, come abbiamo studiato la scorsa settimana, pone al centro dell’impegno delle comunità religiose femminili da lei promosse l’attuazione del concetto di “viridità” [in latino la parola “viriditas” rimanda ai termini “disponibilità, salute, rigoglio” e contrasta con la parola “virilità” che si rifà a qualcosa di aggressivo].

     Matilde di Garlanda imposta il programma del monastero di Port-Royal des Champs sul concetto di “viridità” in termini ambientali e materiali [bisogna disporsi a dare rigoglio alla valle della Chevreuse che è insalubre riducendo il territorio paludoso e, sulle balze, favorendo la coltura di erbe officinali], in termini spirituali [bisogna procurare la salute alle anime con lo studio] e in termini politici [la parola “viriditas” diventa l’emblema che Matilde di Garlanda utilizza quando rivendica l’autonomia del suo monastero in quanto “sorella e figlia dell’autorevole figura di Ildegarda”]. Ildegarda di Bingen, che dirige “la consorteria delle badesse” fondata da Giuditta di Sponheim, è la prima madre superiora di un convento benedettino che ottiene di non essere sottomessa ad un abate, e conquista l’autonomia gestionale per tutti i monasteri femminili in terra di Germania. Matilde di Garlanda, supportata dalle sue consorelle tedesche, utilizza la figura autorevole di Ildegarda per rivendicare l’autonomia del suo monastero e, dopo essersi scontrata con i vescovi e con gli abati di Francia, senza timori riverenziali ottiene che il monastero di Port-Royal des Champs venga elevato al rango di abbazia autonoma: prima in Francia istituisce la Scuola per le monache [che devono imparare a leggere, a scrivere e a far di conto] e governa secondo il concetto della “viridità” proclamato da Ildegarda, per cui le monache benedettine devono essere disponibili a dare rigoglio, salute, floridezza, grazia al territorio, ai corpi e alle anime.

     Come abbiamo ricordato la scorsa settimana, nel 1204 le monache di Port-Royal erano in 5, nel 1207 sono diventate 74 e saranno più di 150 quando Matilde muore nel 1224: il modello di vita monacale, come aveva dimostrato Ildegarda, diventa [e questo può sembrare paradossale, ma i paradossi sono esplicativi] uno stile di vita che, in questo momento, rende più libere le donne, e poi un numero sempre crescente di persone [il popolo minuto] si mette in marcia per recarsi a farsi “curare” nella insalubre valle della Chevreuse perché le monache di Port-Royal iniziano, con la massima circospezione, un’intensa e pericolosa attività di distribuzione di “farmaci” [un’Opera di misericordia corporale] e tutto ciò avviene sull’esempio di Ildegarda, che è diventata celebre soprattutto come “curatrice” e le sue opere “farmacologiche” si sono diffuse, sotto traccia, in gran parte dei monasteri femminili europei. Ildegarda, per questa sua attività, avrebbe potuto subire un processo per eresia: come se impegnarsi per curare le malattie, per alleviare le sofferenze umane fosse una cosa scandalosa, come se fosse un ostacolo alla santità. A giudizio dell’Inquisizione, il santo è un taumaturgo solo se fa i miracoli, mentre se una monaca o una donna qualunque fa la farmacista diventa una strega. Ildegarda s’indigna quando sente parlare di miracoli ribadendo che soltanto Dio ha la facoltà di guarire mentre i religiosi e le religiose - secondo i dettami della Regola benedettina fondata sulle Opere di misericordia corporale e spirituale - devono operare, utilizzando tutti i prodotti del creato, per alleviare le sofferenze del prossimo. Per iniziativa di Ildegarda, a corollario della Regola benedettina, vengono catalogate “le Opere di misericordia corporale e spirituale” [che abbiamo imparato a memoria a Catechismo], per avvalorare il fatto che, invece di pretendere di fare i miracoli [che è difficile se non si è Dio], ogni persona può compiere buone opere.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Ricordate le sette Opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, vistare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti?... E le sette Opere di misericordia spirituale le ricordate: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare per i vivi e per i morti?... Quale di queste Opere state mettendo in pratica?...

Scrivete quattro righe in proposito...

Su questo argomento sono stati prodotti molti oggetti artistici, e su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete potete osservare la famosa tavola intitolata Le Opere di Misericordia dipinta intorno al 1504 per la Chiesa di San Lorenzo ad Alkmaar, nei Paesi Bassi, dal cosiddetto Maestro di Alkmaar...  Visionate quest’opera riquadro per riquadro e, sempre utilizzando un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete, potete osservare le due formelle di gesso intitolate Dar da magiare agli affamati e Insegnare agli ignoranti realizzate da Antonio Canova nel 1795 perché Abbondio Rezzonico le potesse mettere all’interno di uno spazio dove poter far scuola ai bambini del popolo: chi è Abbondio Rezzonico [l’illustre committente] e chi è Antonio Canova [il celebre autore]?…  Incuriositevi e osservate le due opere, indagate sul ruolo del committente, e ricercate notizie sull’autore...

     L’abbazia di Port-Royal des Champs, sulla scia delle indicazioni “farmacologiche” di Ildegarda di Bingen che si diffondono per iscritto sotto traccia [Ildegarda le ha raccolte in un’opera che circola segretamente nei monasteri benedettini femminili], diventa il più importante centro di distribuzione di “farmaci” in Francia: un’attività che viene “giustificata” come la realizzazione pratica delle Opere di misericordia. Ma in che cosa consiste “l’opera farmacologica” di Ildegarda di Bingen a cui s’ispira l’attività dell’abbazia di Port-Royal des Champs?

     Matilde di Garlanda, nell’attività di realizzazione delle Opere di misericordia che l’abbazia di Port-Royal des Champs svolge, fa risaltare il fatto che Ildegarda ha affrontato con determinazione il tema della cura dei corpi e, di conseguenza, ha posto la questione di creare “il farmaco che cura [tanto realmente quanto psicologicamente] i corpi sofferenti”, perché il “farmaco” [il medicamento] può [potrebbe], adattato alle singole esigenze della persona, liberare il corpo umano da quello stato di prigionia che è la malattia. Scrive Ildegarda: «La malattia non è un castigo [come l’ideologia medioevale fa credere] ma è un fenomeno che invita a riflettere sulla fragilità umana e permette di applicare i principi della regola benedettina fondati sulle opere di misericordia corporale e spirituale». Ildegarda, nella sua opera intitolata Cause e cure delle infermità [“Causae et curae”, di recente ripubblicazione], riporta la testimonianza della sua attività prettamente terrena di “curatrice” - rispetto a quella celeste delle sue visioni ultraterrene - ed esalta la sua opera di erborista e di medica, la quale, per la sua familiarità col corpo e con gli elementi della Natura, non può che suscitare inquietudine soprattutto tra gli ecclesiastici perché dà l’impressione di avvicinarsi a un sapere sotterraneo, di carattere un po’ diabolico, una competenza che però - utilizzata in favore dei più deboli - riscuote la fiducia del popolo minuto. Per cui il ritratto di Ildegarda, anche agli occhi di Matilde di Garlanda e delle monache dell’abbazia di Port-Royal des Champs [che ne riproducono l’esperienza spirituale e materiale], si presenta 25 anni dopo la sua morte nei termini di una contraddizione inevitabile: da una parte Ildegarda appare come “una santa”, come la trasmettitrice della parola divina in quanto visionaria, autrice di una serie di Trattati, di Commenti ai Vangeli, di Vite di Sante e di Santi, di un Dramma e di molti Inni liturgici in musica (che si possono ascoltare in rete), celebrata da papi e da imperatori [a Port-Royal - e in tutti i monasteri benedettini femminili - viene già considerata beata senza che vi sia stata una proclamazione ufficiale], e dall’altra Ildegarda potrebbe sembrare “una strega” in quanto studiosa del mondo misterioso della malattia, un mondo da penetrare tanto in accordo con Dio quanto forse, anche in competizione con il Demonio.

     Dobbiamo dire che, alla fine, s’impone la figura della santa, ma solo dopo un lungo itinerario che dobbiamo brevemente ripercorrere: nel 1227, a quasi cinquant’anni dalla morte di Ildegarda avvenuta il 17 settembre 1179, all’età di 82 anni, per i numerosi miracoli a lei attribuiti, il monastero di Rupertsberg invia a Roma la domanda per la sua canonizzazione, e il papa Gregorio IX, Ugolino dei Conti di Segni, incarica i prelati di Magonza di esaminare la vita e le opere della candidata: questi si mettono all’opera e, dopo aver raccolto una voluminosa documentazione, sei anni dopo, nel 1233, la inviano a Roma, dove però viene messa da parte, viene archiviata, perché il papa e la curia sono impegnati in un durissimo scontro con l’imperatore Federico II di Svevia [si stava perpetrando da tempo uno scontro tra il papato romano e l’impero germanico], sicché Ildegarda ha dovuto aspettare il papa tedesco, Benedetto XVI, per essere presa in considerazione [è stata canonizzata il 10 maggio 2012 e proclamata Dottore della Chiesa il 7 ottobre del 2012] ma nel Trecento era già considerata beata, e nel Seicento il suo nome era già stato inserito all’interno del calendario ecclesiastico come se fosse una santa.

     Non si sa quando Ildegarda abbia scritto Cause e cure delle infermità [Causae et curae] e l’altro suo trattato scientifico intitolato Fisica [Phisica], né sappiamo come abbia esplorato e in che modo abbia sperimentato le virtù terapeutiche di un gran numero di oggetti appartenenti al regno minerale, vegetale e animale, dalle mosche schiacciate e conservate nell’aceto di mele, al cuore di pavone cotto in acqua con l’issopo e una foglia di alloro, alla bile d’anguilla con basilico e becco d’avvoltoio. Noi non conosciamo la metodologia seguita da Ildegarda e ce la immaginiamo alla ricerca di erbe officinali nelle balze della valle del Reno, nell’orto del monastero a coltivare ortaggi benefici e anche in macelleria a sacrificare animali per utilizzarne certe parti, e tutto questo viene svolto con la necessaria prudenza perché il sapere di scienza e di rimedi naturali può apparire a molti diabolico, roba da streghe: l’oculata badessa afferma, anche in questo caso, di essere ispirata da Dio nello svolgere la sua attività curativa, anche per mettersi al riparo da eventuali e molto probabili fallimenti, soprattutto perché è consapevole della debolezza materiale dei suoi farmaci mentre conta molto sulla loro potenza evocativa e psicologica data dal fatto che questi rimedi sono “scritti”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Voi avete raccolto qualche volta erbe officinali e salutari frutti di bosco, avete coltivato nell’orto ortaggi benefici, e in macelleria avete scelto tagli di carni che considerate particolarmente gustosi e nutrienti?… 

Scrivete quattro righe in proposito…

     Prima di illustrare la forma e il contenuto dell’opera di Ildegarda intitolata Cause e cure delle infermità [Causae et curae], un’opera che per le sue indicazioni “farmacologiche” ha fatto diventare l’abbazia di Port-Royal des Champs [dal 1210] il più importante centro di distribuzione di “farmaci” in Francia: un’attività che viene “giustificata” come la realizzazione pratica delle Opere di misericordia, opera che è stata in questi ultimi anni più volte ripubblicata e che ha suscitato molto interesse, noi dobbiamo cogliere due spunti relativi a due argomenti, il tema delle erbe e quello della macelleria, due questioni su cui anche il protagonista del Libro di Italo Calvino del 1983 che stiamo leggendo intitolato Palomar punta la sua meticolosa attenzione.

     Sappiamo che l’attenzione del signor Palomar [un nome simbolico che richiama un potente telescopio] si orienta nella direzione dei molti fenomeni che gli capitano sotto gli occhi perché, come Montaigne, decide di osservare “le cose della vita” scrutandole nei minimi particolari per cercare di interpretarle nel tentativo, come pretende di fare Pascal, di entrare in rapporto con l’universo, e questo tentativo presenta molte difficoltà e lascia sempre il signor Palomar nel dubbio, ma il dubbio stimola [deve stimolare] la riflessione e la volontà di imparare.

     Lo scrittore induce il suo personaggio, nel quale s’identifica, a riflettere sulle molte considerazioni che affiorano nella sua mente in relazione a “le erbe del prato di casa sua” e poi quando si trova “di fronte al sangue sul marmo di una macelleria”. Il signor Palomar - per volere dell’autore, che è esperto a parafrasare i Classici - ha allegoricamente un piede nei Saggi di Montaigne [nel particolare] e l’altro piede nei Pensieri di Pascal [nell’universale]: adesso leggiamo il primo di questi due testi, intitolato Il prato infinito, che si consiglia di rileggere con calma perché la scrittura di Calvino sulle prime non è facile da interpretare. Il secondo di questi brani, riguardante “il sangue sul marmo di una macelleria”, lo leggeremo a fine itinerario anche per fare del termine “macelleria” un uso metaforico.

LEGERE MULTUM….

Italo Calvino, Palomar

Il prato infinito.

Intorno alla casa del signor Palomar c’è un prato. Non è quello un posto dove naturalmente ci dovrebbe essere un prato: dunque il prato è un oggetto artificiale, composto di oggetti naturali, cioè erbe. Il prato ha come fine di rappresentare la natura, e questa rappresentazione avviene sostituendo alla natura propria del luogo una natura in sé naturale ma artificiale in rapporto a quel luogo. Insomma: costa; il prato richiede spesa e fatica senza fine: per seminarlo, innaffiarlo, concimarlo, disinfestarlo, falciarlo.    Il prato è costituito di dicondra, loglietto e trifoglio. Questa la mescolanza in parti uguali che fu sparsa sul terreno al momento della semina.

... continua a leggere ...

     E adesso, dopo aver sentito queste puntigliose osservazioni secondo lo stile del Pascal matematico e del Montaigne più prosaico, prima di leggere in conclusione di itinerario le riflessioni del signor Palomar “di fronte al sangue sul marmo di una macelleria” [le leggeremo tra poco quando il termine “macelleria”, riferito in relazione alla carne degli animali di cui ci cibiamo abitualmente, riguarderà, metaforicamente e drammaticamente, anche la carne delle monache], adesso passiamo a illustrare la forma e il contenuto dell’opera di Ildegarda intitolata Cause e cure delle infermità [Causae et curae]: un’opera che è stata in questi ultimi anni dal 2012 più volte ripubblicata, e che ha suscitato molto interesse, un interesse, purtroppo, più rivolto all’intrattenimento che allo studio. La letteratura biografica, la saggistica, il teatro, la filmografia si sono molto occupate in questi ultimi dieci anni di questo singolare personaggio: ha lasciato a desiderare, invece, la ricerca sul ruolo di Ildegarda di Bingen in relazione alla Storia del Pensiero Umano. Al centro del pensiero di Ildegarda - emergente dalle sue opere tanto visionarie quanto farmacologiche - c’è il tema della lotta all’ignoranza perché è la conoscenza che rende libere le persone, la conoscenza dei moti del proprio spirito e la conoscenza della potenzialità e dei limiti dei propri corpi.

     L’opera intitolata Cause e cure delle infermità [Causae et curae] di Ildegarda di Bingen - un’opera che, per le sue indicazioni “farmacologiche”, ha fatto diventare [insieme alla maggior parte dei monasteri benedettini femminili d’Europa] l’abbazia di Port-Royal des Champs dal 1210 il più importante centro di distribuzione di “farmaci” in Francia, un’attività che viene “giustificata” come la realizzazione pratica delle Opere di misericordia - è formata da cinque Libri composti da decine di brevi paragrafi [ciascun paragrafo ha un suo titolo] nei quali l’autrice descrive i motivi per cui si sviluppa un determinato disturbo organico ed espone le terapie, i trattamenti e i rimedi di tutta una serie di malattie. Nei primi due Libri Ildegarda inserisce una serie di paragrafi in cui commenta “l’evento della creazione secondo il Libro della Genesi” guardandosi bene [non vuole guai con l’Inquisizione] dall’uscire dall’esegesi dettata dall’ortodossia, e all’inizio del terzo Libro scrive anche in modo lapidario: «Per le suddette infermità le medicine che seguono sono state indicate da Dio: salveranno l’uomo o egli morirà oppure Dio non avrà voluto salvarlo», come per dire “qui non si fanno miracoli e ciò che conta è la volontà di Dio”.

     E ora - anche riflettendo sull’accanimento farmacologico a cui oggi siamo soggette e soggetti [però, meno male che i farmaci ci sono e auspichiamo che ce ne siamo sempre di più efficaci e ben mirati] - divulghiamo qualche ricetta di Ildegarda per curare, in modo da guarire, certe malattie molto particolari come per esempio “l’insensatezza” e “la smemoratezza”: se poi siete curiose e curiosi potete sfogliare quest’opera in cui Ildegarda prescrive pozioni per tutti i mali possibili. Contro “l’insensatezza” [o imbecillità, una malattia oggi assai diffusa] Ildegarda prescrive: «Se qualcuno avesse il cervello freddo, sì da diventare insensato, prendi alcune bacche di alloro e riducile in polvere. Procurati poi fior di farina e mescolalo alla polvere di bacche e poi all’acqua di cardo. Distribuisci, quindi, questo preparato su tutta la testa della persona inferma dopo avergli tagliato i capelli e coprila con un berretto di feltro». Mentre contro “la smemoratezza”,  una malattia che, oggi, è spesso di gran comodità, [precisa Ildegarda, contro “la smemoratezza involontaria”, da non confondersi con quella “volontaria” perché a chi fa finta di dimenticarsi le cose la ricetta non serve], Ildegarda prescrive: «Chi contro la propria volontà è smemorato, prenda ortica irritante e la pesti fino ad ottenerne il succo, vi aggiunga un poco di olio di oliva e, quando va a dormire, si unga il petto e le tempie con quel preparato e lo faccia spesso». Come “visionaria” Ildegarda è ligia all’ortodossia e non dice una parola che non sia in linea con la dottrina ufficiale della Chiesa, mentre da “erborista” e da “scienziata” va invece oltre il sapere e la mentalità medioevale.

     In Cause e cure delle infermità [Causae et curae] arriva a intuire la circolazione del sangue scoperta da Harvey nel XVII secolo, come abbiamo ricordato nel Percorso dello scorso anno, e la pone in rapporto con gli astri, specie con il movimento della luna che funziona come una calamita. Leggendo il testo di Ildegarda si penetra in un universo “liquido”, dove la luna presiede a una circolazione incessante di flussi, di sangue, di bile, di umori, di flegmi, di muchi, e dove non c’è ritegno a trattare argomenti su cui il silenzio sarebbe stato la regola da osservare come, per esempio, il discorso sulla sessualità, un discorso che non trascura quella degli uomini e non teme di volgersi dalla parte delle donne intervenendo su fenomeni rimossi come quello del ciclo mestruale e dell’acquisizione del piacere. La badessa benedettina Ildegarda, entrata in convento a otto anni, la si immagina priva di esperienza amorosa e, invece, ci si accorge che ha una visione ben precisa del sesso legata al “vero amore” e, per “vero amore” Ildegarda intende che debba scaturire dall’affettività ma, soprattutto, che sia un incontro basato sul consenso da parte della donna. Ildegarda scrive sul tema della sessualità, in particolare della sessualità femminile, come una persona piuttosto emancipata e competente, e questo significa che in clausura, sebbene si presume non si faccia sesso, di sessualità se ne parla e ci si riflette sopra in termini appropriati e, soprattutto, cosa proibitissima si tratta l’argomento per iscritto.

     Nella sua opera “visionaria” Scivias [Conosci le vie] Ildegarda mette al centro lo Spirito Santo mentre nelle opere “scientifiche” Physica e Causae et curae mette al centro “il corpo umano” e, tacitamente, polemizza con la gerarchia che rimuove il tema del corpo come se non fosse un valore, per poi predicare che, a suo tempo, il corpo risorgerà: facendo capire che, quindi, è meglio morire prima possibile. I documenti della gerarchia, poi, impongono alle monache di censurare il loro corpo, che deve essere utile solo a esercitare macerazioni e devastazioni, ad auto-punirsi, per raggiungere più in fretta la morte e il regno di Dio, mentre Ildegarda considera il corpo - proprio perché è destinato a risorgere - come un oggetto da descrivere attentamente in modo da prevenire e sconfiggere l’intervento della malattia perché la malattia allontana il corpo dalla vita data da Dio e dall’armonia in cui è stato creato. Fin dall’inizio nel testo di Causae et curae [Cause e cure delle infermità] la creatura umana emerge nella sua piena fisicità e come parte inscindibile dal Tutto dell’Universo e Ildegarda descrive come la persona sia inevitabilmente circondata dagli elementi e dal firmamento: dal sole, dalle stelle, dalla tempesta, dal tuono, dal fulmine, dalla grandine, dalla neve, dalla pioggia, dai venti, dalla rugiada, dai dodici segni dello zodiaco e dai pianeti e, soprattutto, dalla luna. E, come la creatura umana viene indagata nelle sue singole parti, così ogni elemento naturale è descritto nella sua composizione e nelle sue varietà, ognuna delle quali - venendo a contatto con il corpo umano - agisce determinando un certo effetto: Ildegarda con mentalità aristotelica sperimenta con interesse da ricercatrice il rapporto tra causa ed effetto.

     L’elemento che  secondo Ildegarda condiziona la persona umana fin dal suo concepimento è la luna, la quale, funzionando come una grande calamita, modifica - attraendoli con maggiore o minore intensità - il livello dei liquidi presenti nei corpi degli esseri umani [sangue, bile, flegma, muco], degli animali e in tutta la Natura. Si capisce che le monache dei monasteri ildegardiani - in Francia a cominciare da quello di Port-Royal des Champes - passano, tutte le volte che è possibile, le loro serate a osservare, nelle sue varie fasi, la luna, e probabilmente anche a indagare che effetto fa la presenza della luna, in quella particolare forma, su di loro. Secondo Ildegarda il carattere [fisico e psicologico] di una persona viene determinato in relazione al ciclo lunare e nelle ultime pagine dell’ultimo Libro, il quinto, di Causae et curae [Cause e cure delle infermità] Ildegarda descrive, secondo il giorno del suo concepimento, dal primo giorno di luna nuova fino al trentesimo, quali caratteristiche fisiche e psicologiche la persona viene ad assumere. Ildegarda ha pazientemente indagato sulle caratteristiche degli esseri umani, maschi e femmine, non solo per cercare di codificare come gli eventi cosmici possano influire sulla natura umana ma, soprattutto, per invitare le persone a indagare sui loro presunti e reali modi di essere, al fine di rafforzare i lati positivi e di modificare gli aspetti negativi del loro carattere perché avere di fronte la gamma dei buoni e dei cattivi caratteri fa riflettere e aiuta [dovrebbe aiutare] gli individui a migliorarsi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In biblioteca trovate l’opera Cause e cure delle infermità di Ildegarda di Bingen, la potete sfogliare e trovate le pozioni curative per tutti i mali possibili [reali e immaginari], e nonostante i farmaci e i medicamenti che propone siano quasi tutti innocui e naturali, è meglio non provare di propria iniziativa: limitatevi alla lettura…    

Nel 2009 la regista tedesca Margarethe von Trotta ha girato un film, intitolato Visioni, su Ildegarda di Bingen [su un particolare aspetto della sua personalità] che potete vedere in rete...

Le abbazie, le badie, i monasteri, i conventi sono situati spesso in luoghi molto suggestivi: andate ogni tanto in visita a una di queste strutture ?... 

Scrivete quattro righe in proposito  

     E adesso in chiave didattica è il momento di tirare le fila per ribadire che senso ha avuto in queste due ultime settimane incontrare di Ildegarda di Bingen: ebbene, l’incontro con questa straordinaria figura è avvenuto [e ne abbiamo già preso razionalmente atto] per poter rispondere alla domanda: che cos’è Port-Royal des Champs? Una domanda che è in funzione di un’altra alla quale dobbiamo con il dovuto respiro intellettuale dare una risposta: perché Blaise Pascal [a distanza di quattro secoli da questi avvenimenti] inizia a frequentare l’abbazia di Port-Royal, che cosa ci trova, che cosa lo attira?

     Ebbene, per procedere dobbiamo ricapitolare [dobbiamo riavvolgere con pazienza il filo della matassa]: l’abbazia di Port-Royal des Champs [come ben sapete, ma “repetita iuvant”] è stata fondata nella paludosa e insalubre valle della Chevreuse a sud di Versailles nel 1204 da Matilde di Garlanda che con l’aiuto di quattro consorelle tedesche interpreta la regola benedettina secondo lo stile monastico inaugurato mezzo secolo prima da quel grande personaggio che è Ildegarda di Bingen che come abbiamo studiato pone al centro dell’impegno delle comunità religiose femminili da lei promosse l’attuazione del concetto di “viridità” [in latino la parola “viriditas” rimanda come sapete ai termini “disponibilità, salute, rigoglio” e contrasta con la parola “virilità” che si rifà a qualcosa di aggressivo]; di conseguenza, Matilde di Garlanda imposta il programma del monastero di Port-Royal des Champs sul concetto di “viridità” tanto in termini ambientali e materiali [bisogna disporsi a dare rigoglio alla valle della Chevreuse che è insalubre riducendo il territorio paludoso e, sulle balze, favorendo la coltura di erbe officinali (quattro ore per lavorare, e per curare secondo la Regola benedettina)], quanto in termini spirituali [bisogna procurare la salute alle anime con lo studio (quattro ore per studiare, per pregare, per riflettere)] e anche in termini politici [la parola “viriditas” diventa l’emblema che Matilde di Garlanda utilizza quando rivendica l’autonomia del suo monastero in quanto “sorella e figlia dell’autorevole figura della beata Ildegarda”].

     E sappiamo che un numero sempre crescente di persone [il popolo minuto] si mette in marcia per recarsi a Port-Royal des Champs per farsi “curare” perché le monache dell’abbazia iniziano [sebbene con circospezione ma con la massima determinazione] un’intensa e pericolosa attività di distribuzione di “farmaci” in linea con la realizzazione delle Opere di misericordia corporale e spirituale codificate, proprio in quest’epoca, a corollario della regola benedettina. Tutto ciò avviene sull’esempio di Ildegarda, che è diventata celebre soprattutto come “curatrice” e le sue opere “farmacologiche”, come abbiamo appena studiato, si sono diffuse, sotto traccia, e vengono utilizzate in gran parte dei monasteri femminili europei.

     Queste sono le originarie caratteristiche che ha il monastero femminile benedettino di Port-Royal des Champs [prerogative di straordinaria modernità che non possono non interessare a Pascal e a un certo numero di persone sue contemporanee compresa sua sorella Jacqueline che, nel 1651 decide di entrare nel convento di Port-Royal]: queste peculiarità sono il frutto di una feconda stagione alla quale è stato dato il nome di “Primavera ildegardiana”. Dal 2012, di questa “primavera” [che noi abbiamo vissuto insieme, sebbene con un certo spirito critico], se ne è parlato per un po’, a livello mediatico, in termini legati alla produzione di spettacoli [film, rappresentazioni teatrali, concerti] e alla commercializzazione dei prodotti della Linea farmaceutica e cosmetica di Ildegarda venduti con successo nei monasteri benedettini europei, ma poi, dopo breve tempo, è calato il sipario senza che si approfondisse l’interessante tema filosofico che noi abbiamo affrontato e la delicata questione del perché, nei secoli, è stato steso un velo su tutta questa Storia avvenuta nel cuore del Medioevo così come è stata rimossa la Storia delle lotte contadine, così come è stata rimossa la Storia della crociata contro i Catari o Albigesi che dir si voglia. Allora, è nostro dovere [in coerenza con la disciplina dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale] procedere con ordine a sollevare il velo sulla questione, in modo da poter fare un ulteriore passo avanti sul nostro cammino.

     Dalla metà del XII secolo inizia sul territorio europeo [lievitando sotto traccia] una fruttuosa stagione della durata di poco inferiore al secolo e mezzo, dal 1150 al 1298, alla quale è stato dato il nome di “Primavera ildegardiana”: un fecondo periodo tutto al femminile di rinnovamento religioso [tanto sul piano intellettuale che strutturale] dovuto all’estendersi del movimento della cosiddetta “consorteria delle badesse”: difatti, il monachesimo femminile di tutti i grandi ordini religiosi rivendica una sempre maggiore autonomia e un maggior potere decisionale all’interno delle istituzioni ecclesiastiche e, di conseguenza, è lecito domandarsi per quale ragione non si sono visti dei risultati tangibili di questo fenomeno, e come mai le donne sono rimaste, e continuano a rimanere, subalterne all’interno dell’istituzione ecclesiastica nonostante si spendano tante belle parole nei loro confronti?

     Il movimento della “consorteria delle badesse” a mano a mano che, lentamente ma inesorabilmente, è andato sviluppandosi, ha creato una crescente preoccupazione [un forte dissenso] nell’apparato clericale che ha sempre difeso decisamente il proprio carattere maschilista, e poi una grande contrarietà [che spesso diventa una rabbia feroce] si è manifestata in particolare in Francia e in Germania soprattutto da parte dei feudatari quando dai monasteri femminili benedettini europei si è levata una voce unanime per l’abolizione, in nome del dettato evangelico, dell’ingiusto sistema della servitù della gleba con la proposta di sostituire gradualmente questo apparato disumano con l’introduzione, nell’ambito delle attività rurali e artigianali [i due settori preminenti dell’economia medioevale], della prassi benedettina, per cui il ritmo della giornata di una persona deve prevedere quattro ore per lavorare, quattro ore per studiare, quattro ore per pregare e per riflettere, quattro ore per curare il proprio corpo e quello altrui, otto ore per riposare. Sono stati proprio i grandi e piccoli feudatari, in particolare tedeschi e francesi, ma non solo, adirati per il diffondersi di questa rivendicazione che le badesse considerano «rispettosa della dignità della persona creata da Dio», a rivolgersi prima agli abati, poi ai vescovi, e infine al papa perché vengano presi provvedimenti contro quella che chiamano “la supponenza delle badesse in campo sociale” [un’area sulla quale i feudatari vogliono dominare - pur dichiarandosi difensori della cristianità - con le loro leggi brutali e non rispettando i principi evangelici]; difatti, tanto gli abati quanto i vescovi, che sono fortemente coinvolti con l’apparato feudale, cercano, nel corso degli anni e localmente, di far cessare questa [evangelicamente corretta] “stagione rivendicativa” che, a fasi alterne ma per decenni, continua a fiorire dando anche l’avvio - negli appezzamenti gestiti dai monasteri benedettini femminili [ildegardiani in particolare, ma non solo] - a esperimenti sociali alternativi al sistema del feudalesimo, particolarmente graditi alla popolazione rurale quando ne può usufruire.

     E ora, dopo aver storicamente focalizzato la situazione, veniamo all’epilogo: questa “primavera ildegardiana”, estesasi a macchia di leopardo sul territorio europeo, non si è voluto che durasse e non ha potuto far maturare i suoi frutti perché, come sempre, il vento della repressione assai violenta per cui su questa Storia è stato steso un ampio velo preventivo, si abbatte sul “movimento delle badesse” a causa di un duro e risolutivo intervento papale [che taglia la testa al toro, per non perdere di vista la macelleria]: nel 1298, papa Bonifacio VIII [Benedetto Caetani, 1235 circa-1303] per imporre il concetto di Teocrazia [superiorità del potere spirituale-papale su quello temporale-imperiale] e per tenersi buoni i feudatari europei [perché i nemici ce l’ha soprattutto a Roma capeggiati dalla famiglia Colonna], accetta di buon grado la proposta di imporre “regole rigidissime per la clausura delle religiose” con una bolla papale intitolata Periculoso: e c’è bisogno di tradurre questa parola per capire il senso di questo documento? Il testo di questa bolla ha la spudoratezza di affermare che «il comportamento rivendicativo delle religiose è pericoloso per la salvezza delle loro anime e per quella dei fedeli che seguono il loro nefasto esempio». E, come spesso succede, le direttive di una bolla diventano il pretesto per scatenare la violenza: in molti territori europei i feudatari, con i loro eserciti, assaltano i monasteri femminili e massacrano e incendiano [il numero delle monache morte in questa repressione è compreso in quello della caccia alle streghe, un numero esorbitante: dalle 300 alle 500 mila donne - dicono le statistiche - sono state arse sui roghi, o macellate a colpi di spada in Età medioevale].

     Come facciamo adesso a non ricordare che Dante [che ha fatto capolino] colloca all’Inferno Bonifacio VIII ancor prima che lui muoia? Bonifacio VIII viene collocato da Dante nel Canto XIX dell’Inferno, nella terza bolgia dell’ottavo cerchio, come responsabile del peccato di simonia, in compagnia di altri due papi Niccolò III Orsini e Clemente V che sono già morti. Il Canto XIX dell’Inferno è il cosiddetto “Canto dei papi simoniaci” in cui Dante scaglia la sua sapienza-poetica [con grande sgomento e severità] contro le colpe di cupidigia e di dominio di certi papi, ma Dante è anche particolarmente indignato per il comportamento “truffaldino” che Bonifacio VIII ha tenuto nei confronti del Comune di Firenze nel momento in cui lui fa parte del Consiglio dei Cento, uno degli organismi di governo della città. Scrive Dante sdegnato: «[Bonifazio] Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio | per lo qual non temesti tòrre a ’nganno  | la bella donna, e poi di farne strazio? »[Ti sei già saziato di quelle ricchezze che senza scrupoli hai preso con l’inganno alla bella donna (la Chiesa), per poi farne scempio?]. Se anche la Chiesa è metaforicamente “una bella donna” - allude Dante sarcasticamente bolla Periculoso? - persino il papa può far scempio di lei senza ritegno?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In tutte le case c’è [o dovrebbe esserci] un volume della Divina Commedia e, quindi, si  consiglia di leggere, o di rileggere [usufruendo delle note e dei commenti che corredano sempre i volumi contenenti la poesia dantesca], il Canto XIX dell’Inferno, in particolare dal verso 31 al verso 63, in cui si consuma l’equivoco necessario a collocare Bonifacio VIII all’Inferno prima del tempo  Non perdete l’occasione di fare questo esercizio che Montaigne e Pascal non vedono l’ora di rifare perché entrambi amano Dante

     E adesso, per concludere [visto che Bonifacio VIII ha pensato bene di tagliare la testa al toro con una bolla], è venuto il momento di ascoltare le riflessioni - di gioia trattenuta e di timore, di desiderio e di rispetto, di preoccupazione egoistica e di compassione universale, pietose e feroci nello stesso tempo - del signor Palomar di fronte “al sangue sul marmo di una macelleria” di quegli animali della cui carne [sempre meno, però] ci cibiamo abitualmente [Ildegarda, in abbazia, usa la macelleria anche per creare farmaci]. Ma dopo ciò che abbiamo studiato questa sera a proposito della violenta repressione contro “la consorteria delle badesse” provocata dal contenuto della bolla Periculoso di Bonifacio VIII del 1298, succede che il termine “macelleria” finisce per riguardare, metaforicamente e drammaticamente, anche la carne, macellata e arrostita, di tutte quelle monache che hanno rivendicato - in nome del Vangelo - la libertà e la dignità delle figlie e dei figli di Dio.

LEGERE MULTUM….

Italo Calvino, Palomar

Il marmo e il sangue.

Le riflessioni che il negozio del macellaio ispira a chi vi entra con la borsa della spesa coinvolgono cognizioni tramandate per secoli in varie branche del sapere: la competenza delle carni e dei tagli, il miglior modo di cuocere ogni pezzo, i riti che permettono di placare il rimorso per l’uccisione d’altre vite al fine di nutrire la propria. La sapienza macellatrice e quella culinaria appartengono alle scienze esatte, verificabili in base a esperimenti, tenendo conto dei costumi e delle tecniche che variano da paese a paese; la sapienza sacrificale invece è dominata dall’incertezza, e per di più caduta in oblio da secoli, ma pesa sulle coscienze oscuramente, come esigenza inespressa. Una devozione reverente per tutto ciò che riguarda la carne guida il signor Palomar che s’accinge a comprare tre bistecche. Tra i marmi della macelleria egli sosta come in un tempio, conscio che la sua esistenza individuale e la cultura cui egli appartiene sono condizionate da questo luogo.  

... continua la lettura ...

     Con la bolla Periculoso di Bonifacio VIII anche l’abbazia di Port-Royal des Champs [ed è qui che volevamo arrivare] viene blindata in una rigidissima clausura: alle monache benedettine viene vietata tutta quella fruttuosa attività svolta nel nome del concetto della “viridità”, e così la valle della Chevreuse torna a regredire, e questo stato di cose dura per più di tre secoli finché non si assiste a un risveglio. Come avviene e chi è la nuova protagonista del moderno risveglio di Port-Royal?  

     Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé [e vi ricordo che la prossima settimana, come da calendario, faremo una pausa e potremo festeggiare Sant’Ambrogio, partecipare alla prima della Scala e celebrare l’Immacolata concezione (o concepita), e quando poi, tra quindici giorni, torneremo a Scuola, avremo da percorrere già l’itinerario pre-natalizio, l’ultimo di quest’anno solare]

     Quindi, consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, non mancate perché la Scuola è qui, e il viaggio continua…

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 29, 2019