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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DEL ‘600 SI SVILUPPA L’IDEA CHE SIA MEGLIO FAVORIRE LA FORMAZIONE DI UNA TESTA BEN FATTA PIUTTOSTO CHE DI UNA TESTA BEN PIENA ...

Lezione N.: 
2

 

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi 

La sapienza poetica e filosofica del ‘600: il secolo della scienza      17-18-19  ottobre  2018

 SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DEL ‘600

SI SVILUPPA L’IDEA CHE SIA MEGLIO FAVORIRE LA FORMAZIONE

DI UNA TESTA BEN FATTA PIUTTOSTO CHE DI UNA TESTA BEN PIENA ...

 

     La settimana scorsa abbiamo dato inizio a questo Percorso di studio cominciando a celebrare il tradizionale e ripetitivo rituale della partenza - una celebrazione che non si è ancora conclusa - perché questa esperienza didattica ha, in termini allegorici, le caratteristiche di un viaggio, e non c’è viaggio che non inizi con la partenza. E poi fa anche parte della tradizione [e le tradizioni hanno il loro valore se servono per aprire la mente] il domandare a voi se, durante la vacanza, avete fatto uno o più viaggi con la relativa doppia partenza: quella dell’andata e quella del ritorno. I rituali sono ripetitivi e, quindi, anche quest’anno [il 35° di questa esperienza didattica] non possiamo fare a meno di riflettere in proposito.

     Questo Percorso di studio ha, in chiave allegorica, le caratteristiche di un viaggio e [come molte e molti di voi sanno] vale sempre la pena ripetere che, dal punto di vista filologico, la lingua greca [che mira ad essere significativa, espressiva, indicativa, efficace, eloquente] puntualizza e distingue tra il viaggio di andata [poreìa] e quello di ritorno [nostos], utilizzando due termini diversi perché l’andare” [poreìa, come il virgiliano viaggio di Enea] e il ritornare” [nostos, come l’omerico viaggio di Ulisse] rappresentano due situazioni differenti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Avete fatto un viaggio [o più di uno] nel corso di questa vacanza: verso dove? ...   Con quale motivazione avete viaggiato? … 

Scrivete quattro righe in proposito…

Il Percorso di studio [il viaggio virtuale] che ci accingiamo a compiere è suddiviso in itinerari settimanali [quest’anno, da ottobre fino alla fine di maggio, sono ventuno] e ogni itinerario, ogni Lezione, procede sotto forma di un ragionamento progressivo: che cosa significa? Significa che ogni Lezione si configura come un itinerario didattico che ricalca l’attività del nostro intelletto perché l’intelletto è lo strumento mediante il quale si sviluppa il processo dell’apprendimento, un procedimento che [come ben sapete, lo abbiamo già detto la scorsa settimana celebrando il tradizionale rituale della partenza] si concretizza facendo entrare in attività le sei principali azioni [le azioni cognitive] attraverso le quali s’impara: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare. Durante ogni itinerario, che di settimana in settimana percorreremo, faremo in modo di attivare la dinamica delle azioni cognitive attraverso le quali si sviluppa l’apprendimento, cercando di governare la loro potenzialità tenendo conto che la scansione delle azioni dell’apprendimento non ha un andamento regolare - non è che prima si conosce poi si capisce poi ci si applica poi si analizza poi si sintetizza e infine si valuta - ma le sei principali azioni cognitive, accompagnate da altre quaranta azioni di supporto, interagiscono simultaneamente nella nostra mente. Noi dobbiamo essere il più possibile consapevoli del funzionamento di questo meccanismo straordinario che è l’imparare, e l’obiettivo fondamentale per cui è utile frequentare la Scuola [per tutto l’arco della vita, come afferma l’Articolo 34 della Costituzione] è quello di imparare ad imparare, è quello di saper amministrare la nostra capacità cognitiva [la Scuola, più che ad imparare cose, serve a imparare come s’imparano le cose], la Scuola opera per far acquisire alla persona la competenza necessaria a investire in intelligenza: l’investimento in intelligenza corrisponde all’attività con la quale s’impara ad apprendere [ciò che sto dicendo viene ripetuto da trentacinque anni, ma è bene ripeterlo perché: (repetita iuvant) il ripetere le cose nell’ambito dell’investimento in intelligenza giova all’apprendimento, e il virtuoso esercizio dell’apprendimento deve distinguersi dalle pratiche di addestramento e di ammaestramento che spesso subiamo senza neppure accorgercene].

Il tradizionale rituale della partenza si configura come un rito liturgico [e il termine “leitòurgos”, in greco, significa “opera di pubblica utilità”] e come sapete le liturgie  sono cerimoniali ripetitivi anche perché le opere di pubblica utilità” [le liturgie] hanno bisogno di una manutenzione continua, e il nostro intelletto, [l’intelletto di ogni cittadina e di ogni cittadino, ha bisogno di una manutenzione continua [persistente, ricorrente, assidua] perché è l’intelletto di ogni persona il bene culturale più prezioso da salvaguardare. La liturgia ha sempre un assetto cerimoniale, e non c’è cerimonia senza la rievocazione di un racconto.

Nel corso di ogni tappa di questo viaggio [come abbiamo già detto la scorsa settimana, ma la liturgia della partenza c’impone una ripetizione] ci eserciteremo a conoscere le parole-chiave più rappresentative [una o due] della Storia del Pensiero Umano. Ci eserciteremo a capirele idee più significative elaborate nel corso della Storia dell’Umanità. Ci applicheremonell’esercizio del leggere e dello scrivere e, a questo proposito, avete in mano e sotto gli occhi un fascicolo che s’intitola REPERTORIO E TRAMA ...  che è lo strumento che ci consente [e, in questo momento, state facendo questo esercizio] di orientarci meglio sul nostro cammino per favorire l’azione del conoscere e del capire, e, inoltre, ci propone un compito per favorire l’azione dell’applicarci nell’uso dell’analisi, della sintesi e della valutazione. Ci eserciteremo ad analizzare, e analizzare significa riflettere per mettere in ordine i pensieri che a flusso continuo affiorano nella nostra mente attraverso la TRAMA proposta dal REPERTORIO ... Ci eserciteremo a sintetizzare, e fare la sintesi significa mettere per iscritto un nostro pensiero perché scrivere quattro righe al giorno [per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare] giova all’apprendimento. Infine dobbiamo esercitarci a valutare, ad auto-valutare l’andamento del nostro cammino intellettuale, e il dispositivo dell’auto-valutazione è legato allo svolgimento del compito che - sebbene facoltativo - la Scuola propone di eseguire invitando ciascuna e ciascuno di noi a utilizzare il fascicolo del repertorio E TRAMA ... in un tempo che va dai dieci minuti alle due ore al giorno, nel corso della settimana, nell’intervallo tra un itinerario e l’altro.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il materiale riguardante tutta l’attività didattica messa in atto in questo Percorso lo si trova contenuto su due siti: www.inantibagno.it e www.scuolantibagno.net

Sui siti potete leggere e anche scaricare il testo integrale della Lezione e potete ascoltare la registrazione della Lezione stessa; c’è inoltre una pagina facebook intitolata “a scuola con Giuseppe”...  Questi strumenti sono utili per favorire l’attività di studio, utilizzateli...

      Il tradizionale e ripetitivo “rituale della partenza - necessario per dare inizio al viaggio che stiamo per intraprendere [un rituale del quale, gradualmente, stiamo portando a termine la celebrazione] - propone una riflessione su come si possa favorire l’attività dello studio e, intorno a questo tema, la scorsa settimana abbiamo ascoltato la voce [sulla scia di quella di Galileo amplificata da Bertolt Brecht] del primo personaggio che ci accompagna nel nostro cammino: il signor Michel de Montaigne, l’autore dei Saggi, una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano. Michel de Montaigne ci ha aiutate e aiutati a capire quanto sia importante il concetto di dotta ignoranza, dell’ignoranza consapevole” [umile, responsabile, diligente e coscienziosa] che si presenta come un’opportunità attraverso la quale la persona che sa di non sapere si predispone all’apprendimento per imparare a imparare”.

     La scorsa settimana, Michel de Montaigne - mediante il testo di un frammento che abbiamo letto tratto dal capitolo L (50°) del Libro I dei suoi Saggi nel quale l’autore mette in evidenza il concetto di “dotta ignoranza” - ci ha parlato del modo in cui sceglie “gli argomenti” su cui riflettere e, nel corso del nostro viaggio, anche noi [come abbiamo già detto otto giorni fa] avremo a che fare con molti argomenti, con molte nozioni, enumereremo molti dati, citeremo molte date, visiteremo molti luoghi, osserveremo molti paesaggi intellettuali, faremo conoscenza con molti personaggi, imbastiremo molti ragionamenti e rifletteremo su molti temi, ma - come dicono i manuali di tecnologia dell’apprendimento che danno ragione a ciò che Montaigne ha affermato nel brano che abbiamo letto una settimana fa - “dei contenuti di un Percorso didattico [di un viaggio di studio], in media, oltre il 70% va disperso e all’incirca il 30% rimane in modo frammentato nella nostra mente”, quindi, di questa conversazione solo “tre oggetti su dieci” rimangono nella mia mente [ma è già una buona acquisizione], e questo perché [come ben sapete, e come afferma Michel de Montaigne] l’obiettivo principale dell’apprendimento cognitivo non è quello di immagazzinare nozioni [le nozioni sono importanti e dobbiamo ritenerne un certo numero], ma nell’esercitare la mente all’ascolto, alla selezione, alla catalogazione perché «il compito della Scuola consiste nel favorire la formazione di una testa ben fatta piuttosto che di una testa ben piena» e questa affermazione [che molte e molti di voi conoscono a memoria perché la ripetiamo da anni] la si trova proprio nei Saggi di Montaigne. Ma che cosa significa secondo Montaigne “favorire la formazione di una testa ben fatta”? Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo riflettere sulla necessità di esercitare la mente all’ascolto, alla selezione e alla catalogazione, tre azioni sulle quali ci esercitiamo in continuazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Qual è la vostra principale fonte di ascolto, su quali categorie di oggetti fate selezione, quale metodo utilizzate per catalogare le cose?… Bastano tre righe per rispondere, scrivetele con la consapevolezza che anche mediante la scrittura si ascolta, si seleziona e si cataloga...

     L’affermazione: meglio favorire la formazione di una testa ben fatta piuttosto che di una testa ben piena costituisce un invito a riflettere, e prima di dedicarci alla riflessione - sempre nell’ambito della celebrazione del tradizionale rituale della partenza - leggiamo come antifona un frammento dal capitolo XXV (venticinquesimo) del Libro I (primo) dei Saggi di Montaigne.

LEGERE MULTUM….

Michel de Montaigne, Saggi   LIBRO I

 CAPITOLO XXV

 Della pedagogia

In realtà la sollecitudine e le spese dei nostri padri non mirano ad altro che a rimpinzarci la testa di cognizioni, ma di senno e di virtù neanche a parlarne. Provate a gridare per strada, dietro a uno che passa: Che persona dotta!. E dietro a un altro: Che brava persona!. Vedrete che la gente non mancherà di rivolgere lo sguardo e il rispetto verso il primo, il presunto dotto. A quel punto bisognerebbe gridare: Che teste balorde!. Di solito chiediamo: Sa di greco o di latino? Scrive in versi o in prosa?. Ma la cosa principale da chiedere era se la persona è diventata migliore o più saggia, ma questa richiesta noi la trascuriamo sempre. Dovremmo chiedere chi sia la persona che sa meglio, che abbia la testa ben fatta, e non chi sia quella che sa di più, che abbia la testa ben piena. Ci industriamo solamente a riempire la memoria, e lasciamo vuoti l’intelletto e la coscienza. Come gli uccelli vanno talora in cerca di granellini e li portano nel becco senza assaggiarli per imbeccarne i loro piccoli, allo stesso modo i nostri pedanti-saccenti piluccano il sapere dai libri e non fanno altro che tenerlo a fior di labbra, per poi risputarlo fuori e disperderlo al vento.

L’itinerario di questa sera potrebbe finire qui perché in queste quattordici righe c’è già il succo di tutta la Lezione, ma il succo va anche assaporato e, quindi, ora, sempre nell’ambito della celebrazione del tradizionale rituale della partenza, dobbiamo dedicarci a una riflessione che il testo di questo frammento dei Saggi di Montaigne c’invita a compiere: un riflessione che tira in ballo molte cose [parole-chiave, idee-cardine, certi personaggi e altre opere], sulle quali dovremo tornare a riflettere strada facendo. Ma procediamo con ordine.

Il capitolo XXV del Libro I dei Saggi di Montaigne contenente il brano che abbiamo appena letto s’intitola Della pedagogia e questo capitolo inizia con una significativa dichiarazione dell’autore, scrive Montaigne: «Mi sono spesso indispettito, nella mia infanzia, vedendo che nelle commedie italiane il personaggio buffo era sempre personificato da un pedagogo, e che il soprannome di magister non aveva fra noi significato più onorevole. Infatti, essendo stato affidato alle loro cure e alla loro custodia, come potevo non avere a cuore la loro reputazione?». E, partendo da questo interrogativo, Montaigne riflette sulla differenza che c’è tra i pedanti-saccenti” [forniti di teste ben piene, soggetti ad essere ridicolizzati dai commediografi] e i maestri saggi” [dotati di teste ben fatte ma ignorati dall’opinione pubblica] e, ragionando su questa discordanza, Montaigne tira [agli albori dell’Età moderna e agli esordi della scienza] una serie di importanti conclusioni.

Ebbene, man mano che, nel corso dei secoli, è andata affermandosi la moderna disciplina pedagogica, due personaggi [in sede di dibattito] sono sempre stati chiamati in causa: uno è Michel de Montaigne autore dei Saggi e l’altro è François Rabelais, l’autore di un’opera famosissima [tanto famosa quanto sconosciuta] che s’intitola Gargantua e Pantagruel [sono due giganti: padre e figlio]. In tutti i dibattiti sul tema dell’istruzione Rabelais e Montaigne vengono chiamati in causa come se fossero in contrapposizione [anche se - direbbe Montaigne - la questione non è cosi dicotomica, così divisa nettamente in due parti]. Rabelais - che incontreremo seppur brevemente la prossima settimana proprio perché Montaigne raccomanda di leggerne l’opera e dovremmo seguire il suo consiglio - viene presentato come colui che vuole far diventare Gargantua «un pozzo di scienza »[e così appare nella famosa “Lettera sull’educazione” che Gargantua scrive al figlio Pantagruel e che troviamo nel capitolo VIII del Libro II dell’opera di Rabelais], mentre, come sappiamo, Montaigne preferisce che una persona acquisisca «una testa ben fatta piuttosto che ben piena». È evidente che in questo quadro troviamo riassunti, e contrapposti [se ci esprimiamo in termini contemporanei], i due obiettivi principali della Storia della pedagogia: da una parte le conoscenze” [il contenuto], dall’altra le competenze” [il contenitore].

Nel brano che abbiamo letto Montaigne protesta contro il nozionismo e contro l’apprendimento passivo La sollecitudine e le spese dei nostri padri - scrive Montaigne -  mirano solo a rimpinzarci la testa di cognizioni»] andando controcorrente: mettendo sotto accusa l’istruzione del suo tempo. Il Rinascimento [Montaigne vive alla fine del Rinascimento] si vanta di aver dissipato le tenebre del Medioevo e di aver riscoperto la Letteratura dei Classici greci e latini, però, afferma Montaigne, alla fine del Cinquecento si continua, sul piano dell’istruzione, a privilegiare la quantità rispetto alla qualità, cioè si continua a privilegiare il verbo riempire piuttosto che il verbo assimilare. Montaigne vuole contrapporre la saggezza [la qualità della conoscenza] al sapere per il sapere [alla quantità delle nozioni], e denuncia la natura improduttiva di un’educazione enciclopedica per cui la conoscenza diventa fine a se stessa, perché, scrive Montaigne, “il sapere tante cose è meno importante de il modo di fare per imparare le cose in quanto è questo saper fare” [il saper imparare] che conduce la persona a saper vivere”. Come abbiamo letto poco fa, Montaigne disapprova che si finisca col portare rispetto e con l’ammirare più le persone dotte [saccenti] che quelle sagge [sapienti], ed è anche diffidente nei confronti della memoria [un tema su cui torneremo a suo tempo] perché pensa che non possa essere una risorsa se serve a risparmiare sulla capacità di giudizio.

Montaigne paragona l’istruzione alla digestione: le Lezioni, come i cibi, non devono essere solo assaggiate e poi trangugiate, ma devono essere masticate lentamente in modo da nutrire con la loro sostanza il corpo e lo spirito, contrariamente può succedere di rigettarle come un corpo estraneo. L’educazione, afferma Montaigne, deve far sì che i saperi vengano assimilati, e la persona deve digerire i saperi perché diventino il fondamento della sua capacità di giudizio. I temi che abbiamo enumerato continuano, oggi, ad essere dibattuti in relazione al ruolo che la Scuola deve avere nella società.

Per concludere questa riflessione [che s’inserisce perfettamente nel trdizionale rituale della partenza che stiamo celebrando] dobbiamo dire che non si può contrapporre il pensiero educativo di Montaigne a quello enciclopedista di Rabelais. Nell’opera di Rabelais, intitolata Gargantua e Pantagruel, Gargantua invia, come abbiamo detto, una Lettera al figlio Pantagruel e gli propone un piano di studi esaustivo e sovrabbondante [enciclopedico], ma non ci dobbiamo dimenticare che [in linea con lo spirito ironico di Rabelais] è un programma concepito per un gigante, e poi, però, la Lettera sull’educazione termina con un pensiero che Montaigne non può che approvare: «Scienza senza Coscienza [scrive Rabelais] altro non è che rovina dell’anima», ed è proprio la coscienza - vale a dire l’onestà e la dirittura morale, secondo il monito di Cicerone e di Seneca, cari a Montaigne e a Rabelais - il fine ultimo di ogni insegnamento. Scrive Montaigne, in accordo con Rabelais : «Il fine di ogni insegnamento è la presa di coscienza che avviene quando abbiamo digerito, quando abbiamo dimenticato quasi tutto perché lo abbiamo assimilato».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è qualche alimento che turba la vostra digestione?...

Scrivete quattro righe in proposito, che l’esercizio della scrittura è anche utile per favorire la digestione...

     Così come l’alimentazione - ci ricordano Montaigne e Rabelais - anche lo studio [che in latino è sinonimo di cura] è un’attività da praticare quotidianamente durante tutto l’arco della vita in modo oculato per curare, in primo luogo, l’apprendimento delle virtù Scienza senza Coscienza - afferma Rabelais e Montaigne approva - altro non è che rovina dell’anima»] perché non si studia [scrive Seneca nelle Lettere a Lucilio, opera che Montaigne conosce a memoria] solo per sapere tante cose ma per comprendere che possiamo fare qualcosa di buono, di bello e di giusto per noi e per gli altri [l’esercizio dello studio va preso con Filosofia]. Non a caso Montaigne scrive, come abbiamo letto [e lo ripetiamo]: «La sollecitudine e le spese dei nostri padri mirano a riempirci la testa di cognizioni, ma di senno e di virtù neanche a parlarne. Per cui la cosa principale da chiedere a una persona è se, dedicandosi allo studio, sia diventata migliore o più saggia, ma questa richiesta noi la trascuriamo sempre». Quest’ultima affermazione coincide con il fatto che, oggi, lo studio è, come ben sappiamo, un’attività che spesso viene sottovalutata [si pensa che il computer possa studiare al posto di chi lo usa], oggi poi lo studio è, come ben sappiamo, un’attività che spesso viene vietata, che spesso viene negata in modo che la persona possa essere indirizzata verso forme di addestramento in funzione della servitù [e questo vale soprattutto per le donne] Quindi, lo studio è un’attività poco diffusa ovunque nella popolazione mondiale e di conseguenza: poco studio si traduce in poca cura e poca cura corrisponde a poca adesione ai valori della Storia del Pensiero Umano [che sono ben identificati nelle Opere di tutte le tradizioni di Pensiero già dal tempo dell’Età assiale, da circa 2500 anni]: l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà, la misericordia [le parole-chiave dell’Umanesimo, le parole-cardine su cui si fonda la Filosofia agli albori dell’Età moderna, presenti ed evocate nei territori che, in questi ultimi anni di Scuola, abbiamo attraversato].

     Il compito della Scuola [afferma Montaigne, e lo ribadiamo ancora una volta] consiste nel favorire la formazione di una testa ben fatta e questa affermazione, nel corso del tradizionale rituale della partenza che stiamo celebrando, ha la funzione di “una bussola” che serve per non farci perdere l’orientamento nel corso dei nostri viaggi di studio in modo da dare una forma ai territori che dobbiamo attraversare. E al territorio, che abbiamo attraversato durante il viaggio dello scorso anno scolastico [al quale molte e molti di voi hanno partecipato], abbiamo dato forma mediante i risultati del consueto “questionario” di fine percorso [ricordate?].

     E ora dobbiamo osservare i riquadri, riportati in REPERTORIO ..., che contengono i risultati delle nostre scelte. Il contenuto di queste icone filologiche rappresenta tanto l’immagine di un punto di arrivo quanto quella del nostro punto di partenza.

Il questionario di fine Percorso dell’anno scolastico 2017-2018, al quale hanno risposto 179 persone [ne sono stati consegnati 238], riportava due riquadri.

     Nel primo riquadro c’era un catalogo di ventuno parole-chiave in rappresentanza de “la sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza”.

     Il secondo riquadro conteneva quindici affermazioni in relazione alla domanda: «Come vivere?» che Michel de Montaigne si pone nei testi dei suoi Saggi.

     E adesso puntiamo l’attenzione sul primo riquadro del questionario e osserviamo il risultato delle nostre scelte. Il primo riquadro riporta – secondo la grandezza dei caratteri – la quantità di consensi che hanno avuto le ventuno parole-chiave in rappresentanza de “la sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza”.


la sapienza  la natura

l’amore  la magia     il cosmo

l’infinito  la lingua  l’esperienza   l’essere   l’esperimento

 


la comunità  la matematica   l’ellisse   il dogma

l’ipotesi   l’uno   la centralità   la periferia   il dramma   la potenza   l’animazione

Le parole sapienza e natura sono quelle che, con minimo scarto, hanno ricevuto il maggior numero di consensi [forse, a forza di sentir dire che “non bisogna mai perdere la volontà d’imparare” ecco che la parola “sapienza” è quella che ha avuto più consensi insieme alla parola “natura”, e questa scelta soddisfa certamente tutti i personaggi, a cominciare da Bernardino Telesio, Giordano Bruno, fra’ Tommaso Campanella, Galileo Galilei, che abbiamo incontrato nel corso del nostro viaggio precedente e questa scelta soddisfa anche Montaigne].

I due termini più scelti sono, dunque, due parole ad ampio spettro che possono illustrare un’idea traducibile nell’affermazione: «È necessario mettere in relazione i fenomeni della natura con la sapienza umana». Seguono [con un alto numero di consensi, e ancora una volta con poco scarto tra loro] le parole amore, magia e cosmo [ed è interessante riflettere sulle possibili relazioni tra queste tre parole-chiave e siete invitate e invitati a fare questo esercizio]. Poi segue un gruppo di parole che hanno avuto un buon numero di consensi quasi equivalenti: l’infinito, la lingua, l’esperienza, l’essere, l’esperimento” [in queste cinque parole emerge una sorta di connubio tra fisica e metafisica]. Poi le scelte hanno cominciato a diluirsi con parole interessanti: la comunità, la matematica, l’ellisse, il dogma. Mentre le parole ipotesi, uno e centralità sono state scelte poco, e le parole periferia, dramma, potenza e [quella che ha avuto meno scelte] animazionesono state scelte molto poco. Nessuna parola, tuttavia, è rimasta senza consensi. Ebbene fate le vostre riflessioni su questo quadro.

           Il secondo riquadro riporta - secondo la grandezza dei caratteri - la quantità di consensi che hanno avuto le quindici affermazioni in relazione alla domanda: «Come vivere?» che Michel de Montaigne si pone nei testi dei suoi Saggi.              

Leggendo costantemente e cercando lentamente di capire ...

Accettando le proprie imperfezioni ...

Stando in mezzo agli altri ...

Riflettendo su tutto, senza rimpianti ...

Prestando la necessaria attenzione ...

Coltivando la temperanza ...

Mettendo tutto in discussione ...


Senza preoccuparsi della morte ...

Tenendo una stanza tutta per sé nel retrobottega ...

Rassegnandosi al distacco dalle persone care ...

Lavorando bene, ma non troppo bene ...

Ricorrendo a qualche stratagemma per vivere meglio ...

Facendo qualcosa che nessuno ha mai fatto prima ...

Cambiando spesso abitudini ...

Lasciandosi andare ...

“Leggendo costantemente e cercando lentamente di capire” è stata l’affermazione che ha avuto il maggior numero di consensi, e questa preferenza è senza dubbio condizionata dal contesto in cui è avvenuta la scelta in quanto avevamo tutte e tutti partecipato a un Percorso in funzione della didattica della lettura e della scrittura e questo tema ci ha coinvolte e coinvolti perché leggere e capire ciò che si legge sono due azioni importanti, capaci di dare un senso alla nostra vita.

L’affermazione accettando le proprie imperfezioni ha raccolto molti consensi. Poi hanno raccolto un buon numero di preferenze le affermazioni: stando in mezzo agli altri e riflettendo su tutto senza rimpianti, poi hanno raccolto un discreto numero di preferenze le affermazioni: prestando la necessaria attenzione, coltivando la temperanza e mettendo tutto in discussione.

Poi le scelte hanno cominciato a diluirsi con le due interessanti affermazioni senza preoccuparsi della morte e tenendo una stanza tutta per sé nel retrobottega. Mentre le affermazioni in ordine decrescente rassegnandosi al distacco dalle persone care, lavorando bene ma non troppo bene, ricorrendo a qualche stratagemma per vivere meglio, facendo qualcosa che nessuno ha mai fatto prima” sono state scelte poco e, infine le affermazioni “cambiando spesso abitudini e lasciandosi andare sono state scelte molto poco. Anche in questo caso c’è da dire che nessuna affermazione è rimasta senza consensi.

Colpisce il fatto che la frase contenente il verbo lavorare - che è uno dei termini  [a detta delle esperte e degli esperti] su cui si concentra maggiormente l’attenzione dell’opinione pubblica - abbia raccolto pochi consensi ma, in proposito, possiamo dire che in questo può avere influito la provocazione di Montaigne il quale scrive che bisogna lavorare bene, ma non troppo bene. Da questo si capisce che Montaigne è un provocatore che vuole riflettere e far riflettere.

Questi due quadri [queste due “icone filologiche”] che abbiamo osservato raffigurano la nostra riflessione collettiva sul pensiero de la sapienza poetica e filosofica dell’età moderna agli esordi della scienzae, quindi, indicano un punto di arrivo ma, in particolare, le parole sapienza e natura, che nel primo catalogo sono state scelte di più, fanno anche da battistrada per il nostro viaggio che sta per avere inizio nel territorio de la sapienza poetica e filosofica del ‘600 che è il secolo della scienza”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di questi termini - patrimonio di conoscenze, istruzione, sapere, scienza, erudizione, preparazione, bagaglio di nozioni, formazione intellettuale, esperienza spirituale, esperienza artistica, o quale altro ... - scegliereste per primo in relazione alla parola “sapienza”?... 

Basta una riga per rispondere, scrivetela: mettete in funzione le vostre azioni cognitive... 

Quale di questi termini – il creato, l’universo, la vita, la potenza generatrice, la sostanza, l’ambiente, o quale altro ... - mettereste per primo accanto alla parola “natura”?... 

Basta una riga per rispondere, scrivetela: esercitatevi a investire in intelligenza ... 

Mentre la celebrazione del tradizionale rituale della partenza si avvia verso la conclusione ci troviamo [pronte e pronti a prendere il passo] di fronte al vasto paesaggio intellettuale che contiene l’opera di Montaigne, i Saggi. Che tipo di opera è? A questa domanda non si può rispondere in due battute: bisogna imbastire un ragionamento progressivo e, soprattutto, non è possibile studiare i Saggi di Montaigne senza conoscere per lo meno a grandi linee la biografia dell’autore: c’è una relazione [diacronica] tra il testo dei Saggi e l’esperienza di vita dell’autore.

Per procedere con ordine - e per cominciare a conoscere, a capire e ad applicarci in modo da poter dare inizio al nostro viaggio - è senz’altro utile e doveroso leggere il testo dell’incipit esplicativo che Michel de Montaigne scrive, sotto forma di Lettera, il primo marzo 1580, alle sue lettrici e ai suoi lettori in occasione della pubblicazione della prima edizione della sua opera. Ma non si può leggere il testo di questo celebre brano senza fare, in chiave propedeutica, una serie di considerazioni programmatiche.

            Nel corso del viaggio dello scorso anno scolastico abbiamo preso in considerazione molto spesso la parola universo e questo termine - seguendo il pensiero di tutti i personaggi che abbiamo incontrato - lo abbiamo utilizzato guardando il cielo sopra di noi e osservando la terra intorno a noi. Ebbene, Michel de Montaigne punta la sua attenzione su un altro tipo di universo da osservare: la propria esperienza umana, e questa sua idea la mette concretamente in atto dedicandosi a scrivere di se stesso per offrire agli altri uno specchio in cui riconoscere la propria umanità e, quindi, a differenza di gran parte dei memorialisti del suo tempo, egli non scrive per tramandare le proprie gesta e i propri successi e neppure si limita a testimoniare semplicemente gli eventi storici del suo tempo [e ne avrebbe avuto di roba da scrivere in questo tumultuoso periodo nel quale abbiamo viaggiato per sette mesi lo scorso anno scolastico], bensì scrive testi esplorativi cioè scrive per indagare, per analizzare, per tastare il terreno, per investigare, per cercare di scoprire che senso abbia la sua esperienza umana. I testi che Montaigne scrive sono tutti slegati tra loro e dà ad essi dei titoli semplici, e questi “assaggi” sono centosette in tutto: alcuni sono lunghi una o due pagine, altri di più, e la raccolta completa, nelle edizioni più recenti, si avvicina alle millecinquecento pagine.

Che caratteristiche hanno questi “as-saggi”? Prima di tutto questi “as-saggi” non vogliono avere la pretesa di spiegare o insegnare qualcosa perché Montaigne non vuole far altro che mettere per iscritto tutto ciò che gli passa per la testa, cogliendo a pretesto anche le più piccole esperienze quotidiane e i suoi stati mentali passeggeri, e parte da queste esperienze per porsi molte domande, per farsi le domande più svariate ma, soprattutto, c’è un interrogativo che lo affascina e che finisce per contagiare tanti suoi contemporanei: «Come vivere?». Montaigne si pone questa domanda [da noi utilizzata nel nostro questionario di arrivo e di partenza] in modo diverso dai personaggi che abbiamo incontrato durante il viaggio scorso perché costoro l’interrogativo se lo pongono sempre nella forma del dilemma etico, vale a dire, si domandano: «Come dovremmo vivere?».

Michel de Montaigne non vuole certo sfuggire di fronte alle questioni morali ma è particolarmente interessato a ciò che la gente fa rispetto a quello che dovrebbe fare. Vorrebbe sapere come vivere una buona vita: che sia corretta e onorevole [decorosa, onesta, rispettabile], ma anche pienamente umana, appagante e prospera. Questa domanda - come vivere? - fa avvicinare Montaigne alla scrittura e alla lettura, perché nasce in lui la curiosità per tutte le vite delle persone, presenti e passate. Montaigne s’interroga continuamente sulle emozioni e le motivazioni che guidano il comportamento delle persone, a cominciare da se stesso, dall’esemplare umano che lui conosce meglio e, di conseguenza, l’universo da osservare [prima ancora che il cielo sopra di lui e la terra intorno a lui] per Montaigne è se stesso proprio perché anche l’esperienza umana che ciascuna persona fa è un universo da osservare. Scrive Montaigne: «Io studio me stesso più di ogni altra cosa. La mia preoccupazione è scoprire la mia forma, è portare alla luce l’impronta originale della mia individualità, la mia propria personalità, l’intimo contenuto del mio io e per raggiungere questo obiettivo leggo e scrivo».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è un fatto, una circostanza, un incontro che ha condizionato in modo particolare la vostra esperienza umana?... 

Scrivete quattro righe in proposito, fate un assaggio...

Anche Michel de Montaigne, quindi, come tutti i personaggi che incontriamo, strada facendo, sull’immenso territorio della Storia del Pensiero Umano, è convinto del fatto che per imparare a conoscersi meglio la partecipazione a un viaggio di studio può essere utile. E se è vero [come è vero] che esiste una relazione tra il testo dei Saggi e l’esperienza di vita dell’autore dobbiamo domandarci: chi è Michel de Montaigne?

Il momento in cui Michel Eyquem de Montaigne nasce, il 28 febbraio 1533, è davvero difficile: è stato definito [dalle studiose e dagli studiosi di Storia] “un periodo [che si presenta non solo per la Francia ma per l’Europa tutta] di caos selvaggio, di terrore individuale e collettivoe, in particolare, sono anni nei quali la violenza, abilmente fomentata dalle potenze straniere [la Spagna e l’Inghilterra], sconvolge il territorio francese. Guerra dopo guerra [e ora non ci fermiamo sui fatti poco edificanti che potete intercettare sui molti libri di Storia che trattano degli avvenimenti di questo periodo] la Francia è messa a ferro e fuoco, e la fame si diffonde ovunque producendo degli effetti non meno devastanti della peste che appare periodicamente.

Da che cosa è determinata questa situazione? Ne abbiamo diffusamente parlato nei due viaggi precedenti a questo: la drammatica situazione è determinata soprattutto dal fanatismo religioso, dalla lotta senza quartiere tra cattolici e protestanti, un fanatismo che legittima l’assassinio e la tortura. Tutto il territorio francese [ma anche molta parte del territorio europeo] è battuto da bande armate per le quali la motivazione religiosa finisce per essere solo una comoda etichetta per poter uccidere e rubare.

In questo periodo, così buio per la Francia, nasce, cresce e matura Michel Eyquem de Montaigne e ci dobbiamo chiedere, paradossalmente, se questa situazione [la reazione a questo stato di cose] abbia influito sul fatto che questo curioso tipo di gentiluomo di provincia” [come viene definito] sia diventato l’autore di una delle opere più suggestive e geniali di tutti i tempi, i Saggi.

Michel nasce in una famiglia che si è arricchita con il commercio del vino e delle aringhe sotto sale. Il suo bisnonno, il mercante di Bordeaux Ramon Eyquem, nel 1477, ha acquistato un castello trecentesco a Saint-Michel-de-Montaigne nel Périgord e, con l’atto di proprietà, acquisisce anche il titolo di Signore di Montaigne che aggiunge al suo cognome e trasmette ai figli e ai nipoti. Il nipote più intraprendente di Ramon, Pierre Eyquem, il padre di Michel de Montaigne, è il primo a installarsi in modo permanente nel castello, e lo fa ristrutturare e fortificare. Pierre Eyquem - che, oltre a coltivare lo spirito pratico, ha sempre cercato di curare la sua formazione intellettuale - ha combattuto con l’esercito francese in Italia e al suo ritorno, nel 1528, sposa Antoinette. La madre di Michel de Montaigne, Antoinette, è la ricca figlia di un mercante di Tolosa, appartenente ad una famiglia ebrea sefardita di origine spagnola. Pierre Eyquem si dedica anche alla politica e viene eletto sindaco di Bordeaux nel 1554.

I primi due figli di Pierre e Antoinette muoiono alla nascita e Michel diventa il maggiore di sette tra fratelli e sorelle. Montaigne scrive [nel Libro III dei Saggi al capitolo XIII] che è stato dato a balia nel villaggio di Papessus, dipendente dal castello, perché si abituasse «al modo di vivere più umile e comune del popolo e della gente semplice», e Michel vive un’infanzia serena nella quale l’eco delle violenze esterne sembra infrangersi contro le solide mura del castello paterno.

All’età di tre anni il piccolo Michel entra in famiglia e suo padre e sua madre adottano nei suoi confronti una forma di educazione molto particolare per l’epoca: ogni mattina Michel viene risvegliato con dolcezza dal suono della viola che gli augura una giornata felice e poi Pierre - che sa quanto sia importante il coltivare la cultura e ha molte ambizioni per il figlio - seguendo il messaggio di Erasmo da Rotterdam, non gli fa insegnare la lingua madre, il francese [tanto quella Michel l’avrebbe comunque imparata], ma vuole che impari la lingua internazionale, il latino e, a questo proposito, assume, come precettore per Michel, un medico tedesco di nome Hortanus, un latinista che non conosce il francese e deve parlargli solo in latino così come anche il resto della famiglia. Michel impara a parlare e a scrivere in latino senza pedanteria come se fosse un gioco e tutti intorno a lui - servitù compresa [alla servitù viene tenuto un corso di formazione in modo che conoscano una serie di semplici modi di dire] - devono parlare solo in latino.

Siccome come sappiamo esiste una relazione tra il testo dei Saggi e l’esperienza di vita dell’autore dobbiamo fare un as-saggio in proposito e nel Libro I al capitolo XXVI  Montaigne, a conferma di quello che abbiamo detto, scrive: «Mio padre ha voluto che io conoscessi il latino alla perfezione, e il metodo che escogitò fu di affidarmi, sin da quando ero ancora a balia, e prima che la mia lingua cominciasse a sciogliersi, alle cure di un tedesco, che poi morì in Francia con fama di grande medico, del tutto ignaro della nostra lingua, ma versatissimo in quella latina. …Quanto al resto della casa, vigeva una regola inviolabile: mio padre, mia madre, i servitori e le cameriere in mia presenza dovevano usare soltanto quelle poche smozzicate parole latine che ciascuno di loro aveva imparato per comunicare con me».

La domanda che dopo aver letto questo frammento sorge spontanea è: perché mai Montaigne scrive la sua opera in francese e non in una lingua più solida come il latino? Prima di tutto questa domanda Montaigne la pone a se stesso e secondo lo stile dei Saggi l’interrogativo serve per esercitare la riflessione. Negli anni Settanta del Cinquecento un intellettuale che conosceva così bene il latino come lui avrebbe sicuramente utilizzato la lingua classica per scrivere la sua opera, in primis perché ad essa avrebbe dato un respiro internazionale e poi per avere la garanzia della sua durata nel tempo. Perché allora Montaigne sceglie di scrivere i Saggi in francese?

Nel Libro III, nel capitolo intitolato Della vanità (il 9°), Montaigne spiega la ragione della sua scelta con queste parole: «Scrivo il mio libro per poche persone e per pochi anni. Se avessi scelto un argomento destinato a durare, avrei dovuto affidarlo a una lingua più salda. Considerato il continuo mutamento che la nostra lingua ha subito fino a questo momento, chi può sperare che la sua forma presente sarà ancora in uso fra cinquant’anni? La nostra lingua ci scivola ogni giorno dalle mani, e dacché sono in vita è cambiata per metà. Noi sosteniamo che adesso è perfetta. Ma lo stesso dice ogni epoca della propria». Montaigne non compone la sua opera in latino - che era allora la lingua della cultura, della filosofia e della teologia per eccellenza - a vantaggio del volgare [lo scorso anno di questi tempi noi stavamo incontrando Ludovico Ariosto e Pietro Bembo che avevano lo stesso atteggiamento nei confronti del volgare italiano], a vantaggio della lingua di tutti i giorni. E Montaigne, secondo lo stile dei Saggi, riflette sulla sua scelta dimostrando di essere consapevole che, rinunciando alla potenza della lingua latina, sta affidando le sue riflessioni a un linguaggio instabile, mutevole, provvisorio, che corre il rischio di diventare illeggibile in breve tempo. Montaigne afferma di non avere pretese, dice di non scrivere per i posteri ma per i suoi intimi ed è convinto di questo [non si esprime per falsa modestia] perché nel corso della propria vita ha visto la sua lingua trasformarsi, e ne ha sperimentato personalmente la mobilità, e prevede che le parole con cui si esprime diventeranno presto irriconoscibili, e ne deduce che molto probabilmente non verrà letto a lungo, ma, per fortuna, si è sbagliato.

Montaigne - nonostante il latino sia la sua lingua materna - scrive in francese perché questa è la lingua delle lettrici e dei lettori che ha in mente e per cui scrive, e c’è, a questo proposito, un as-saggio molto curioso che dobbiamo fare. Nel capitolo del Libro III intitolato Su alcuni versi di Virgilio (il 5° capitolo), nell’affrontare un argomento delicato, ovvero il declinare della sua virilità [si chiama disturbo erettile], Montaigne evoca i lettori e soprattutto le lettrici, che lo leggeranno di nascosto: «Mi disturba che i miei Saggi vengano adoperati dalle signore soltanto come arredo comune, un arredo da salotto. Questo capitolo mi farà accedere alle loro stanze private. Mi piace l’idea di un rapporto un po’ più intimo con loro: quello pubblico è noioso e insipido». Montaigne ha deciso di scrivere in francese proprio perché spera che i suoi lettori ideali siano le donne, che rispetto agli uomini - alla fine del Cinquecento - hanno meno familiarità con le lingue antiche. Però, in proposito, dobbiamo riflettere sul fatto che Montaigne utilizza il francese, congeniale per parlare degli argomenti più personali, ma non esita a infarcire tutto il suo Libro di citazioni provenienti dalle opere dai poeti latini, ma il bello nei Saggi di Montaigne emerge proprio nelle tante contraddizioni che il testo di quest’opera contiene.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Francia e navigando in rete fate visita al castello di Saint-Michel-de-Montaigne nel Périgord...   Per ora potete osservare dall’esterno la Torre del castello nella quale entreremo a suo tempo...

E adesso, per concludere, è venuto il momento di leggere il testo dell’incipit esplicativo che Michel de Montaigne scrive, sotto forma di Lettera indirizzata alle sue lettrici e ai suoi lettori, il primo marzo 1580, in occasione della pubblicazione della prima edizione della sua opera. Come fa spesso Montaigne usa un tono pacato, quasi dissuasivo nel presentare il suo Libro. Con la lettura del testo del celebre incipit dei Saggi di Montaigne si conclude, con questo secondo itinerario, il tradizionale e ripetitivo rituale della partenza.

LEGERE MULTUM….

Michel de Montaigne, Saggi

ALLA LETTRICE E AL LETTORE

Questo, cara lettrice e caro lettore, è un libro sincero, scritto in buona fede. Ti avverte fin dall’inizio che non mi sono proposto, con esso, alcun fine, se non domestico e privato. Non ho tenuto in alcuna considerazione né il tuo vantaggio né la mia gloria. Le mie forze non sono sufficienti per un tale proposito. L’ho dedicato alla privata utilità dei miei parenti e amici: affinché dopo avermi perduto (come toccherà loro ben presto) possano ritrovarvi alcuni tratti delle mie qualità e dei miei umori, e con questo mezzo nutrano più intera e viva la conoscenza che hanno avuto di me. Se lo avessi scritto per procacciarmi il favore della gente, mi sarei adornato meglio e mi presenterei con atteggiamento studiato. Voglio che mi si veda qui nel mio modo d’essere semplice, naturale e consueto, senza affettazione né artificio: perché è me stesso che dipingo. Si leggeranno qui i miei difetti presi sul vivo e la mia immagine naturale, per quanto me l’ha permesso il rispetto pubblico. Che se mi fossi trovato tra quei popoli che si dice vivano ancora nella dolce libertà delle primitive leggi della natura, ti assicuro che ben volentieri mi sarei qui dipinto per intero, e tutto nudo. Così sono io stesso la materia del mio libro: non c’è ragione che tu spenda il tuo tempo su un argomento tanto frivolo e vano.

Addio dunque, da Montaigne, il primo di marzo millecinquecentottanta.

Più che un addio si tratta di un arrivederci perché in questo brano, come in filigrana, filtra una parola-chiave che indica la direzione verso la quale dobbiamo prendere il passo. Di che parola si tratta e quali sono i nuovi interrogativi che pone la riflessione su di essa?

            Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli che non dobbiamo mai perdere la volontà d’imparare: la Scuola è qui, e il viaggio sta per cominciare, ed è un viaggio di studio quello che la Scuola deve promuovere perché [scrive Montaigne parafrasando tanto Cicerone quanto Seneca] “solo se studia il popolo diventa sovrano” [un’affermazione pesante nel 1580 che oggi suona pesantissima] e, quindi [allude Montaigne], non c’è sovranità senza alfabetizzazione, e la carenza di alfabetizzazone favorisce la perdita di valore del concetto democratico di sovranità soppiantato dalla nozione dispotica di sovranismo, per cui dobbiamo riflettere sul fatto che l’art. primo della Costituzione [dove si legge che “la sovranità appartiene al popolo”] è strettamente legato all’art. 34 della Costituzione dove si legge che la Scuola è aperta a tutti.

E la Scuola è qui e il viaggio sta per cominciare perché [come scrive anche don Lorenzo Milani in una Lettera a Gianpaolo Meucci: solo se studia il popolo diventa sovrano

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 19, 2018