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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DEL ‘600 SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DEL PERCORSO DI STUDIO ...

Lezione N.: 
1

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi 

La sapienza poetica e filosofica del ‘600: il secolo della scienza   10-11-12  ottobre  2018

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DEL ‘600

SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON

LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DEL PERCORSO DI STUDIO ...

     Ben tornate e ben tornati a Scuola, ben venute e ben venuti a Scuola! Ben tornate alle persone che sono in viaggio sulla via dell’Apprendimento permanente da uno, due, cinque, dieci, venti, trent’anni, e un ben venuto alle persone che muovono i primi passi sugli impervi sentieri di questa esperienza didattica che dal 1° ottobre 1984 opera nell’ambito della Scuola pubblica degli Adulti e, quindi, questo è il 35° viaggio di studio in partenza.       

     Per poter essere a servizio della Scuola pubblica degli Adulti - e, in particolare, per poter chiedere l’utilizzo di due edifici scolastici [la Scuola “Francesco Redi” nel Comune di Bagno a Ripoli e la Scuola “Primo Levi” a Tavarnuzze nel Comune di Impruneta] e dello spazio-soci della Coop. di Ponte a Greve a Firenze - è stato necessario costituire il 23 marzo 2016 un’Associazione che si chiama Articolo 34 - La scuola è aperta a tutti e, quindi, occorre riempire il modulo che avete ricevuto [quest’atto è una semplice ma necessaria formalità burocratica che ufficializza la partenza] sapendo che questo documento di autocertificazione [e sottolineo che “L’Associazione, a norma di Legge, garantisce e tutela la protezione dei dati personali”] corrisponde alla domanda d’iscrizione a questo Percorso didattico perché l’obiettivo dell’Associazione, come dice lo Statuto, è lo stesso che dovrebbe avere la Scuola pubblica degli Adulti: quello di operare per promuovere una Campagna di Alfabetizzazione funzionale e culturale in quanto non c’è cultura senza Alfabetizzazione [e “senza Alfabeto non c’è democrazia” si legge nei documenti dell’UNESCO dal 1948], e noi aggiungiamo che non c’è cultura senza ALFABETOfanìa [e questa parola la trovate come titolo del REPERTORIO ... che, come se fosse una rivista, avete ricevuto] cioè non c’è cultura senza “un’attività di Alfabetizzazione che si manifesta concretamente” [fanòs, in greco, è “ciò che si manifesta”] per attivare in ogni persona le funzioni adatte a stimolare le azioni dell’apprendimento.

     E, per attivare le funzioni adatte a stimolare le azioni dell’apprendimento, [che cosa stiamo per fare?] stiamo per intraprendere un Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura che si presenta come un viaggio di studio, e, come sapete, qualsiasi viaggio [reale o metaforico che sia] ha inizio con la partenza, e la partenza per un viaggio [la preparazione e il momento stesso del partire] corrisponde sempre a un “rito”. E il tradizionale “rituale della partenza” si ripete ogni anno e, come ben sapete i rituali, in quanto ripetitivi, finiscono spesso per essere noiosi, ma sono insostituibili. Il “rituale della partenza” è, nel nostro caso, prima di tutto una presa d’atto che consiste nel conoscere la “natura didattica” e gli “obiettivi formativi” del Percorso che stiamo per intraprendere: è sconsigliabile, soprattutto per quanto riguarda un viaggio di studio funzionale all’esercizio della lettura e della scrittura, partire senza sapere dove andare: ciò significa che dobbiamo conoscere i motivi per cui stiamo frequentando la Scuola. Vale a dire: per quale motivo, sul piano politico e istituzionale, la Scuola deve essere aperta a tutti?

     La conoscenza della “natura didattica” e degli “obiettivi formativi” di un Percorso scolastico non riguarda tanto “i contenuti” [anche se i contenuti, le cose da sapere, hanno la loro importanza come vedremo] ma deve riguardare soprattutto la “forma” perché dobbiamo essere consapevoli [e molte e molti di voi sono già al corrente di ciò che stiamo per dire, ma i rituali sono ripetitivi]. Ebbene, dobbiamo essere consapevoli di come si configura lo straordinario esercizio dell’Apprendimento: dobbiamo imparare a conoscere “il modo in cui impariamo” perché il compito primario della Scuola è quello di occuparsi di “coltura”, da cui deriva il termine “cultura” [la cultura è una coltura perché questa parola deriva dal verbo “coltivare”], e la Scuola si frequenta a ogni età, per tutto l’arco della vita, per “imparare a imparare” perché la persona, come dice l’incipit della Metafisica di Aristotele, è attratta permanentemente dal desiderio di conoscere e questo è il principale motivo che dà un senso alla vita degli esseri umani: siamo persone vitali fino a quando coltiviamo la volontà di imparare.

     Per quale motivo, quindi, dobbiamo, frequentare la Scuola? Se è utile frequentare la Scuola per “imparare ad apprendere” dobbiamo, prima di tutto, sapere come si sviluppa il processo di apprendimento per poterlo gestire in modo autonomo, e questa è la prima domanda che dobbiamo porci nel celebrare il tradizionale rituale della partenza: come si sviluppa il processo di apprendimento?

     L’Apprendimento [l’attività dell’imparare] si sviluppa [già lo sapete ma le cose ripetute giovano all’apprendimento, repetita iuvant ...] attraverso sei azioni privilegiate - conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare - che non agiscono in ordinata successione come, in modo funzionale, le abbiamo elencate ora, ma operano, insieme alla memoria, attraverso una serie di rapporti simultanei condizionati da vari fattori. Alle dipendenze di queste “sei azioni cognitive principali” ci sono, per corroborarne l’efficienza, altre quaranta azioni conseguenti [le azioni cognitive sussidiarie]; il buon funzionamento delle azioni cognitive, soprattutto delle principali da cui le sussidiarie dipendono, contribuisce a fare di ciascuna e di ciascuno di noi una “persona intelligente” [e bisogna, bisognerebbe, rimuovere gli ostacoli che non permettono un buon funzionamento delle azioni cognitive]. Di conseguenza ogni itinerario di Alfabetizzazione [ogni Lezione] deve corrispondere ad un “ragionamento progressivo” mediante il quale ci si possa esercitare, con la maggior consapevolezza possibile, ad attivare le azioni cognitive cominciando dalle principali, quindi, si viene a Scuola per imparare a conoscere, a capire, ad applicare, ad analizzare, a sintetizzare e a valutare. Quando si entra nel sistema [nell’Officina] dell’Apprendimento permanente, piuttosto che farsi interrogare ci si deve interrogare, e bisogna domandarsi: per investire in intelligenza [per dedicarsi allo studio: ricordando che studium e cura in latino sono sinonimi] che cosa è utile “conoscere”, che cosa è necessario “capire”, come ci si deve “applicare”, e che cosa significa, sul piano dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale, “analizzare”, “sintetizzare” e “valutare”? Procediamo con ordine.

  * Per investire in intelligenza è necessario “conoscere” il significato delle parole-chiave della Storia del Pensiero Umano, e nel corso del viaggio dello scorso anno scolastico abbiamo conosciuto un ampio catalogo di parole-chiave, decine di termini importanti, e su ventuno di questi termini, a fine Percorso, mediante un questionario, avete operato delle scelte che verranno rese note prossimamente. Le parole-chiave danno forma ai paesaggi intellettuali rendendoli osservabili e intelligibili.

  * Per investire in intelligenza è necessario “capire” il significato delle idee-cardine della Storia del Pensiero Umano e, al termine del viaggio dello scorso anno scolastico, abbiamo compreso come agli albori dell’Età moderna il termine “scienza” non abbia ancora una propria autonomia [sebbene la parola “autonomia” - come molte e molti di voi sanno - sia la parola-chiave che caratterizza l’Età moderna] ma, nella prima metà del 1600, per dire “scienza” [ci ha insegnato Galileo Galilei] si usa ancora la parola “filosofia”, e da questa idea riprenderemo il passo.

  * Per investire in intelligenza è necessario “applicarsi” costantemente nell’esercizio della lettura [quattro pagine al giorno per dieci minuti al giorno, in latino diciamo LEGERE MULTUM… che significa leggere poco ma costantemente e con la massima attenzione] ed è necessario “applicarsi” costantemente nell’esercizio della scrittura, quattro righe al giorno: si legge e si scrive per dare fluidità al processo di apprendimento [e, ancora una volta, ma i rituali sono ripetitivi, ricordiamo che cosa scrive Rita Levi Montalcini: «La lettura giornaliera di almeno quattro pagine di buona Letteratura e la scrittura di almeno quattro righe contenenti un pensiero autobiografico sono esercizi che preservano l’elasticità dei neuroni, le cellule del cervello, contribuendo al mantenimento della salute della persona»]. “Leggere e scrivere” sono come ben sapete due attività fortemente trascurate dalla stragrande maggioranza delle cittadine e dei cittadini del nostro Paese: le persone che nella fascia tra i 18 e i 65 anni - la fascia “attiva” della popolazione - si dedicano costantemente a leggere sono il 13% e a scrivere sono l’11%.

  * Per investire in intelligenza è necessario “analizzare”, e questa azione consiste nel catalogare, nel mettere in ordine i pensieri che si formano nella nostra mente quando entriamo in contatto con le parole-chiave e con le idee-cardine contenute nei “paesaggi intellettuali” della Storia del Pensiero Umano: è necessario imparare a fare ordine perché la nostra mente produce pensieri a ciclo continuo e bisogna, oggi più che mai, evitare la confusione mentale imparando a gestire l’azione dell’analizzare.

  * Per investire in intelligenza è necessario “sintetizzare” e questa azione consiste nella scelta [tra la scelta e la sintesi c’è uno stretto legame] di uno dei pensieri che abbiamo catalogato nella nostra mente facendo l’analisi, quello che ci sembra più significativo, scrivendolo in forma concisa [essenziale, contenuta]: un pensiero contenuto in quattro righe scritte [per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare] dà forma a un oggetto concreto [il testo] in cui si manifesta la nostra attività intellettuale.

  * Per investire in intelligenza infine è necessario “valutare”, e valutare significa essere consapevoli di sovrintendere all’iter del nostro percorso di apprendimento. Ciascuna e ciascuno di noi, itinerario dopo itinerario, deve domandarsi: quante parole-chiave ho conosciuto, quante idee-significative ho capito, ho letto quotidianamente alcune pagine con attenzione, quanti pensieri ha catalogato la mia mente, e di quale pensiero ho fatto la sintesi scrivendolo?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale ordine di importanza - secondo le vostre esigenze - elenchereste questi obiettivi: conoscere le parole-chiave, capire le idee significative, applicarsi nella lettura, analizzare i propri pensieri, sintetizzare un pensiero scrivendolo, valutare il proprio apprendimento?...

Non rinunciate a scrivere il vostro parere in proposito perché esercitarsi a scegliere serve per tenere il passo sull’itinerario dell’apprendimento...

     Avete in mano e sotto gli occhi un fascicolo intitolato REPERTORIO E TRAMA ...  che è lo strumento che ci consente [e, in questo momento, state facendo questo esercizio] di orientarci meglio sul nostro cammino per favorire l’azione del conoscere e del capire e, inoltre, ci propone un compito per sostenere l’azione dell’applicarci nell’uso dell’analisi, della sintesi e della valutazione. 

      E, a questo proposito [anche in relazione a questo oggetto cartaceo che deve essere stampato], dobbiamo come sapete sostenere una spesa [alcune spese]. Riceverete più di 200 pagine di REPERTORIO E TRAMA ... e questo materiale viene fotocopiato presso la Scuola “Francesco Redi” di Bagno a Ripoli che ci richiede un contributo di 1600 €. [è prevista una produzione di circa 65.000 pagine!]. Inoltre, per contraccambiare con un gesto di solidarietà all’ospitalità che ci viene fornita nello Spazio-Soci della Coop. di Ponte a Greve, prevediamo di versare all’Associazione Il cuore di scioglie un contributo di 1000 €., e poi, sempre per solidarietà, prevediamo di donare all’Associazione AISLA di Firenze [che si occupa degli ammalati di Sclerosi Laterale Amiotrofica] un contributo di 500 €., e di donare un contributo di 550 €. anche all’Associazione Messicana che sostiene l’attività delle donne dei forni a energia solare in Messico. Inoltre l’Associazione Articolo 34 deve obbligatoriamente stipulare un’Assicurazione con un costo di circa 700 €. Come coprire queste spese?

     Per sostenere queste spese è necessario - come abbiamo sempre fatto in questi anni [con l’approvazione dei gruppi scolastici] - versare un contributo volontario di 15 € [è un contributo volontario ma è necessario, che dalla prossima settimana potete versare in questo contenitore sotto l’occhio vigile di Giuseppe Verdi] e, inoltre, per raggiungere gli obiettivi programmati, si può incrementare la raccolta: se ogni settimana [volendo] mettete “uno spicciolo” in questo altro apposito contenitore [blu, il colore delle energie intellettuali]: con questi gesti abbiamo sempre prodotto il materiale necessario e [nel nostro piccolo] abbiamo coltivato la solidarietà: e il verbo “coltivare” detiene una posizione centrale nello svolgimento delle attività di Alfabetizzazione, e, quindi, sulla scia del verbo “coltivare”, continuiamo a celebrare il tradizionale rituale della partenza.

     Non c’è cultura senza Alfabetizzazione [abbiamo detto], e questo perché, come sapete, la parola “cultura” deriva dal verbo “coltivare” per cui il significato di questo termine è legato alla coltivazione delle competenze che servono per imparare: la cultura non è una cosa ma è un modo di fare le cose, quindi, è “l’attività che rende proficuo l’esercizio dell’apprendimento”, di conseguenza quando si parla di “attività culturali” [leggere un libro, frequentare la biblioteca, visitare un museo, vedere una mostra, andare a teatro, osservare i monumenti di una città, osservare il cielo e via dicendo] si parla di cultura in senso lato in quanto è cultura “il saper utilizzare in modo efficiente le azioni dell’apprendimento, sulle quali abbiamo appena riflettuto, per rendere efficaci le varie attività alle quali la persona si dedica per tradurle in un investimento in intelligenza, in modo da far fruttare la volontà di imparare che ogni persona possiede”.

      Alla fine del mese di maggio [circa quattro mesi fa] abbiamo incontrato Galileo Galilei [che è ancora qui a celebrare con noi il rituale della partenza] e abbiamo anche letto [come molte e molti di voi ricorderanno] un certo numero di brani tratti dalle scene del dramma intitolato Vita di Galileo composto [dal 1938 al 1955] da un autore, da un drammaturgo, molto conosciuto: Bertolt Brecht [1898-1956]. Il dramma Vita di Galileo di Bertolt Brecht [come molte e molti di voi già sanno] è un’opera composta da quindici scene, scritta con un intento didascalico [istruttivo, informativo, divulgativo]. Queste scene illustrano le varie fasi della carriera del grande scienziato: da quando usa il cannocchiale a Padova e scopre i pianeti di Giove, fino all’ultima vecchiaia trascorsa agli arresti domiciliari ad Arcetri dopo aver rinnegato il 22 giugno 1633 davanti al tribunale dell’Inquisizione la sua dottrina della rotazione della terra per evitare la pena capitale. Bertolt Brecht in quest’opera fa esprimere a Galileo un pensiero che lo scienziato ha sempre manifestato [un pensiero filosofico che si accorda con il metodo sperimentale che Galileo ha messo a punto diventando il padre della scienza moderna]: l’idea che la persona, per essere autonoma, deve conoscere i propri limiti. È per questo che agli albori dell’Età moderna la filosofia definisce la cultura come “un viaggio senza fine che la persona compie alla scoperta della propria ignoranza” [e la parola “ignoranza” diventa la chiave per aprire le porte del sapere] perché l’ignoranza [come continua a insegnarci Socrate attraverso i Dialoghi di Platone] ha in sé qualcosa di “dotto” [La dotta ignoranza è il titolo di un’opera scritta da Nicola Cusano nel 1449 che abbiamo incontrato qualche anno fa]: l’ignoranza ha in sé qualcosa di “dotto” nel momento in cui indirizza la persona verso lo studio [quando la persona prende coscienza di “sapere di non sapere”] e, quindi, “l’ignoranza consapevole” è il requisito più idoneo per garantire la conoscenza perché costituisce il presupposto su cui si basa la nostra possibilità di imparare: “dobbiamo essere fiere e fieri nel momento in cui prendiamo coscienza della nostra ignoranza” [fa dire Platone a Socrate].

     L’ignoranza “consapevole” [umile, responsabile, diligente e coscienziosa] è un’opportunità attraverso la quale la persona si predispone all’apprendimento “per imparare a imparare” [e questo è il motivo per cui si frequenta la Scuola, quello di “imparare a imparare”] perché, come ben sapete, piuttosto che avere una testa “ben piena” è bene avere una testa “ben fatta” [come scrive Michel de Montaigne nei suoi Saggi e, dopo averlo citato tante volte in questi anni, nel corso di questo viaggio incontreremo questo personaggio] e, quindi, il termine “ignoranza” va inteso non come un deprezzamento del conoscere [come un elemento utilizzato spesso dai sistemi di potere per comandare indisturbati] ma come una garanzia per apprendere e, quindi, l’ignoranza [la dotta ignoranza] si presenta come un’opportunità.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

L’opportunità è un’occasione, una possibilità, una condizione favorevole, un momento propizio, ebbene, quando vi è capitata un’opportunità e siete state e siete stati in grado di coglierla?...  Oppure l’avete perduta?...  

Scrivete quattro righe in proposito

     Bertolt Brecht nella XIV scena di Vita di Galileo coglie l’occasione per far riflettere il pubblico che assiste alla rappresentazione del dramma sul concetto che abbiamo appena espresso: l’idea che “la dotta ignoranza” sia un’opportunità che spinge e orienta la persona verso l’apprendimento. Il drammaturgo, nel testo di questa scena [la penultima dell’opera], riporta il pensiero di Galileo che Brecht condivide pienamente, facendogli pronunciare queste parole: «La nostra vera vittoria sarebbe stata abolire l’ignoranza, o meglio, far capire alla gente che esiste la dotta ignoranza che è il motore della conoscenza. Ma chi [afferma Galileo] potrà mai riuscire in questa impresa? Di fronte a questo interrogativo non aveva alcun senso né abiurare né non abiurare». Noi sappiamo che queste parole [che costituiscono il cuore dell’opera Vita di Galileo di Bertolt Brecht] continuano a essere di attualità - sia perché l’81% delle cittadine e dei cittadini italiani [nella fascia tra i 18 e i 65 anni, secondo le ricerche dell’ISTAT e di EUROSTAT] soffrono di analfabetismo [cioè non sanno utilizzare le azioni dell’apprendimento in modo da poter investire in intelligenza per cui il livello cognitivo rimane basso perché viene sollecitato quasi esclusivamente nell’ambito dell’addestramento, una funzione che il mercato favorisce soprattutto per incentivare la vendita di oggetti tecnologici] sia perché “il ceto riflessivo” [il 19% della popolazione in possesso di una maggior capacità intellettuale] non è pienamente consapevole della necessità di imparare ad imparare [e questa categoria viene convocata principalmente per fare da platea per i cosiddetti “eventi culturali” che hanno più la caratteristica dello spettacolo che del percorso formativo e in questo non c’è niente di male ma sta di fatto che le persone spettatrici hanno il diritto ad essere considerate un pubblico che, oltre a svagarsi, deve anche diventare consapevole che il dovere di imparare ad apprendere ha un buon gusto] - e, quindi, sarebbe necessario agire [e la nostra esperienza didattica si pone da tempo su questa linea] per promuovere istituzionalmente un sistema ben strutturato di Alfabetizzazione funzionale e culturale.

     E ora ci accingiamo - facendo prima una breve e doverosa introduzione - a leggere per intero il testo [come abbiamo già preannunciato alla fine di maggio] della XIV scena di Vita di Galileo di Bertolt Brecht che, anche in funzione della didattica della lettura e della scrittura secondo la natura del nostro Percorso, funge, in modo appropriato, da prima antifona per proseguire nella celebrazione del tradizionale “rituale della partenza”. Prima di passare alla lettura del testo utilizziamo queste note introduttive.

     Galileo [ed è un fatto universalmente noto] viene convocato a Roma dal Sant’Uffizio e, davanti al tribunale dell’Inquisizione, subisce un processo che dura cinque mesi, e il 22 giugno 1633 viene emessa nei suoi confronti una sentenza di condanna per avere divulgato il sistema copernicano: questa sentenza può essere mitigata se l’imputato sconfesserà il suo pensiero, e Galileo, impaurito, pronuncia la famosa formula di ritrattazione [che abbiamo letto nell’ultimo itinerario del viaggio scorso]: «Abiuro, maledico e detesto li suddetti errori ed eresie». Dopodiché il tribunale concede al condannato gli arresti domiciliari e, quindi, lo scienziato [vecchio, stanco, malato e abbandonato dai suoi discepoli] fa ritorno a Firenze dove dimora in una villa, in Arcetri [villa “il Gioiello” in via di Pian dei Giullari 42], accudito dalla figlia Virginia che è monaca nel convento attiguo. Galileo riprende a scrivere [anche se la sua vista è ridotta al lumicino, e anche se deve consegnare tutte le pagine che compone al tribunale dell’Inquisizione che vigila attentamente su di lui] e porta a termine l’ultimo suo capolavoro scientifico, i Discorsi delle Nuove Scienze, un’opera che, come avremo modo di constatare strada facendo, getta le basi della dinamica moderna [della moderna scienza del moto]. Galileo, di nascosto, fa però una copia del testo di questo trattato che arriva clandestinamente in Olanda dove viene stampato, a Leida, nel 1638, e divulgato in tutta Europa.

     Nella XIV scena di Vita di Galileo di Bertolt Brecht lo scienziato affida la copia del manoscritto dei Discorsi ad Andrea Sarti. Andrea Sarti [uno dei personaggi più significativi del dramma di Bertolt Brecht] è il figlio della governante di Galileo. Nella I scena del dramma [ambientata a Padova nel 1610] Andrea è un bambino che Galileo, mentre con il cannocchiale scopre i fenomeni celesti che confermano il sistema copernicano, istruisce alla matematica, al metodo sperimentale, all’osservazione astronomica e, di conseguenza, crescendo accanto a Galileo, diventa uno scienziato convinto che il suo Maestro, di fronte al tribunale dell’Inquisizione, non rinuncerà mai a proclamare la verità, e quando invece il Maestro ritratta [il 22 giugno 1633] Andrea manifesta tutta la sua ira, rimane scioccato, si sente tradito e si allontana da lui. Poi però, prima di abbandonare l’Italia per emigrare in Olanda in modo da continuare a occuparsi di scienza in un ambiente più libero, va a trovare Galileo e Bertolt Brecht documenta teatralmente questo incontro nel testo della XIV scena del suo dramma e inserisce nel testo il concetto cardine, l’idea didascalica [istruttiva, educativa] per eccellenza: la scienza vince quando riesce a far capire che esiste “la dotta ignoranza” che è il motore della conoscenza a disposizione di ogni persona.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il testo del dramma Vita di Galileo di Bertolt Brecht lo trovate in biblioteca e, come è già avvenuto nel maggio scorso, la Scuola ne consiglia la lettura...

     E ora noi leggiamo il testo della XIV scena di Vita di Galileo come prima antifona per proseguire nella celebrazione del tradizionale “rituale della partenza”.

LEGERE MULTUM….

Bertolt Brecht, Vita di Galileo

XIV. 1633-1642: Galileo Galilei vive fino alla morte in una villa dei dintorni di Firenze, prigioniero dell’Inquisizione. I «Discorsi delle nuove scienze».

Dal milleseicentotrentatre al milleseicentoquarantadue:

Galileo Galilei è prigioniero della Chiesa fino alla morte.

La scena si svolge in una grande stanza con una tavola, un seggiolone di cuoio e un mappamondo.  Galileo, vecchio e quasi cieco, è intento a un esperimento con una pallina di legno, che fa correre su una guida ricurva, anch’essa di legno; nell’anticamera è seduto un frate di guardia. Si ode bussare alla porta. Il frate apre; entra un contadino con in mano due oche spennate. Dalla cucina sopraggiunge Virginia, ormai sulla quarantina.

CONTADINO Devo consegnare queste.

VIRGINIA Da parte di chi? Io non le ho ordinate.

CONTADINO Mi han detto di dire che è da parte di uno di passaggio. (Va via)

Virginia osserva stupita le oche. Il frate gliele toglie di mano e le esamina con diffidenza, poi gliele restituisce. Virginia, reggendole per i colli, le porta nella stanza principale a Galileo.

VIRGINIA Uno di passaggio ha fatto portare queste in regalo.

GALILEO Che roba è?

VIRGINIA Non riesci a vederle?

GALILEO No. (Si avvicina) Ah, sono oche, e belle grosse, e anonime Potrei subito mangiarne un pezzetto.

VIRGINIA Ma non puoi già aver fame: hai appena cenato!

GALILEO Cuocile col pepolino e le mele. (Virginia porta fuori le oche)

VIRGINIA (al frate di guardia) Dovremo chiamare ancora l’oculista. Non riusciva a vedere le oche dalla tavola.

FRATE Chiederò il permesso a Monsignor Carpula Scrive ancora qualche volta?

VIRGINIA No. Il Libro, lo sapete, me l’ha dettato. Le due pagine che vi ho dato, 131 e 132, erano le ultime.

FRATE  È una vecchia volpe.

VIRGINIA Non trasgredisce nessun precetto. Il suo pentimento è sincero, e ci sono io che lo sorveglio. (Gli dà l’oca) Dite in cucina che mettano ad arrostire il fegato con una mela e una cipolla. (Torna nella stanza grande)  E ora prendiamo cura dei nostri occhi. Basta con cotesta pallina. Continua un poco a dettarmi la nostra Lettera settimanale all’arcivescovo. (Virginia si è seduta, preparandosi a scrivere sotto dettatura)

GALILEO Non mi sento. Leggimi un po’ d’Orazio.

... continua la lettura ...

      Nel testo di questa scena, la XIV, del dramma Vita di Galileo di Bertolt Brecht, come ben sappiamo, è contenuto il concetto-chiave che caratterizza tutta l’opera [essendo un’opera di carattere didascalico: istruttivo, educativo], e che si esplicita in questa affermazione: “la dotta ignoranza è il motore della conoscenza a disposizione di ogni persona che voglia esercitare la propria volontà di imparare”. E sulla scia di questa affermazione - il fatto che l’ignoranza abbia in sé qualcosa di “dotto” nel momento in cui indirizza la persona verso lo studio [quando la persona prende coscienza di “sapere di non sapere”] - ebbene, sulla scia di questa affermazione, che costituisce uno dei punti cardine del tradizionale rituale della partenza che stiamo celebrando, facciamo entrare in scena l’importante personaggio che [come molte e molti di voi sanno, dal maggio scorso], per primo, ci accompagna in questo viaggio che sta per aver inizio: si tratta del signor Michel de Montaigne [che ci accompagnerà per tutto l’inverno]. Della vita e della personalità del signor Michel de Montaigne ce ne occuperemo a breve, ora, in prima istanza, in funzione della celebrazione del tradizionale rituale della partenza, facciamo subito un assaggio del testo della celebre opera che Montaigne ha composto: i Saggi, una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano.

     Concentriamo, quindi, la nostra attenzione su un frammento tratto dal capitolo L (cinquantesimo) del Libro I (primo) dei Saggi di Montaigne nel quale l’autore mette in evidenza il concetto di “dotta ignoranza”. Michel de Montaigne si occupa di questo tema [e non poteva non occuparsene] perché - volendo essere in linea con i principi che caratterizzano tutta la Storia del Pensiero Umano [una linea che siamo invitate e invitati a seguire anche noi] - intende far assurgere il concetto di “dotta ignoranza” a metodo del proprio lavoro intellettuale.

     E allora leggiamo questo frammento che rappresenta la seconda antifona del tradizionale rituale della partenza che stiamo celebrando. Leggiamo e poi riflettiamo su questo testo di non facile lettura.

LEGERE MULTUM….

Michel de Montaigne, Saggi   LIBRO I

CAPITOLO L

Di Democrito e di Eraclito

Il giudizio è un utensile buono a tutto, e che s’impiccia di tutto. Per questo, nei saggi che ne faccio qui, mi servo di qualsiasi occasione. Se c’è un argomento di cui non m’intendo affatto, proprio per questo lo saggio, sondando il guado molto da lontano; e poi, se lo trovo troppo profondo per la mia statura, mi tengo vicino alla riva; e questo riconoscere di non poter andare oltre è una manifestazione della sua essenza, anzi, una di quelle di cui [il giudizio] più si vanta. Talvolta, applicandolo a un argomento vano e da nulla, provo a vedere se [il giudizio] troverà modo di dargli corpo e di sostenerlo e puntellarlo. Talvolta lo porto su un argomento nobile e travagliato, nel quale non deve trovar niente da sé, poiché la strada è tanto battuta che può procedere solo sulle orme altrui. Qui esso esplica la sua funzione scegliendo la strada che gli sembra migliore e, fra mille sentieri, dice che questo oppure quello è stato il meglio scelto. Prendo a caso il primo argomento. Tutti mi vanno ugualmente bene. E non mi propongo mai di trattarli per intero. Infatti non vedo il tutto di nulla. E non lo vedono nemmeno quelli che promettono di farcelo vedere. Fra le cento membra e le cento facce che ogni cosa presenta, io ne prendo una, ora per lambirla soltanto, ora per sfiorarla, ora per penetrarla fino all’osso. E vi do un colpo, non più ampiamente ma più profondamente che posso. E mi piace molto spesso prenderle da qualche punto di vista insolito. Mi arrischierei a trattare a fondo qualche materia, se mi conoscessi meno. Seminando qui una parola, là un’altra, scampoli staccati dalla loro pezza, slegati, senza disegno e senza promessa, non son tenuto a trattare la questione fino in fondo, né a tenermici attaccato, senza cambiare quando mi piace e tornare al dubbio e all’incertezza e alla mia forma dominante che è l’ignoranza.

     Riflettiamo per capire meglio quali sono i significati che emergono da questo brano. All’inizio del capitolo L (cinquantesimo) del Libro I (primo) dei Saggi, intitolato Di Democrito e di Eraclito [due filosofi - che abbiamo incontrato a suo tempo - che Montaigne ritiene eccellenti nell’interpretare la condizione umana], Michel de Montaigne illustra il metodo del suo lavoro intellettuale [il suo metodo di studio], e scrive: «Io scelgo a caso il primo argomento. Mi vanno tutti ugualmente a genio. E non ho mai la pretesa di trattarli per intero» e, a questo proposito, anche nel capitolo V (quinto) del Libro III (terzo) ribadisce questo suo pensiero e scrive: «Qualsivoglia argomento è per me ugualmente fertile». Queste affermazioni potrebbero far pensare a Montaigne come se fosse “un disfattista” ma, invece, vuole far sapere che lui è intenzionato a prendere le mosse da qualsiasi osservazione, da qualsiasi lettura o da qualsiasi incontro casuale. Vedremo a suo tempo quanto gli piaccia fare lunghe passeggiate a cavallo, durante le quali, afferma Montaigne, “gli vengono le idee migliori” in quanto le idee “nascono nella sua mente [scrive Montaigne] attraverso il movimento [la dialettica] delle cose”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

«Camminando il pensiero si mette in azione con il movimento delle cose», quali pensieri accompagnano le vostre passeggiate?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Montaigne afferma che quando monta il suo cavallo lanciato al galoppo “segue per un istante un pensiero e poi lo abbandona per un altro” e dichiara che ciò non è grave perché “tutto si tiene” [tout se tient]. Dopodiché specifica meglio il suo ragionamento e scrive: «Infatti non vedo la totalità di alcunché. Né riescono a vederla coloro che promettono di mostrarcela. Di cento membra e volti che ciascuna cosa possiede, ne scelgo uno, talora per lambirlo soltanto, talora per sfiorarlo, e a volte per arrivare fino all’osso. Do una stoccata per penetrarvi non il più ampiamente ma il più profondamente possibile. E mi piace perlopiù coglierlo in una luce sempre insolita». Montaigne afferma perentoriamente che coloro i quali pretendono di arrivare al fondo delle cose ci ingannano perché all’essere umano non è dato di conoscere il fondo delle cose, e la varietà del mondo è tale che ogni sapere è fragile e necessariamente opinabile perché «le cose hanno cento membra e volti, e la loro caratteristica più universale è la diversità»;  per questo, afferma Montaigne, noi possiamo illuminare solo un aspetto per volta della realtà e nel fare questo è possibile che ci si contraddica perché il mondo è pieno di paradossi e di incoerenze. Credere di poter sviscerare completamente un argomento, scrive Montaigne, è solo un’illusione e, quindi, è bene affrontarlo liberamente guardandolo da diverse angolature, anche secondarie, e senza aver paura di sbagliare, senza temere di confondersi, e per questo, afferma Montaigne, non bisogna mai definire le cose in modo definitivo [qui il pensiero corre a Galileo] ma occorre avere sempre l’accortezza di “sospendere il giudizio” soprattutto quando la materia è ostica e, di conseguenza, è difficile fare una scelta; alla fine Montaigne arriva al dunque e conclude la sua riflessione con un elogio dell’ignoranza e scrive Montaigne: «il tratto che più mi caratterizza».

     L’ignoranza di cui parla - nella prima Lezione che questa sera riceviamo dai suoi Saggi [mentre ci prepariamo a partire per un viaggio di studio] - non è «l’ignoranza incolta», non è «la stupidità di chi rifiuta il sapere, di chi non ha mai cercato di attingere alla conoscenza», bensì è “la dotta ignoranza”, quella che ha attraversato tutti i saperi e si è resa conto di una verità preziosa [perché nutre la perseveranza]: che ogni sapere è parziale. Non c’è niente, afferma Montaigne, di peggio al mondo [e così la pensa anche Blaise Pascal, che incontreremo a suo tempo] di “coloro che credono di sapere” [di sapere tutto]. L’ignoranza [la dotta ignoranza] di cui Montaigne fa l’elogio è quella di Socrate quando afferma “io so di non sapere”: un’affermazione nella quale è contenuto «il massimo grado di perfezione e di difficoltà» e che riguarda un altro importante concetto educativo, quello che prevede l’acquisizione di “una testa ben fatta”, ma di questo tema ce ne occuperemo la prossima settimana a compimento della celebrazione del tradizionale rituale della partenza.

     Il concetto di “dotta ignoranza” - per cui se una persona sa di non sapere è anche in grado di valutare meglio le sue reali competenze - prevede una riflessione sul tema della qualifica [siamo tutte persone qualificate alle quali vengono riconosciute delle qualifiche].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale qualifica [quali qualifiche] vi è stata attribuita e vi viene attribuita?...

Scrivete quattro righe in proposito...

Quale di questi termini – dare qualità, dare titolo, accreditare, stimare, promuovere, designare – mettereste per primo accanto al verbo “qualificare”... 

Scrivetelo...

     Michel de Montaigne ci ha parlato del modo in cui sceglie “gli argomenti” su cui riflettere e, nel corso del nostro viaggio, noi avremo a che fare con molte nozioni, enumereremo molti dati, citeremo molte date, visiteremo molti luoghi, osserveremo molti paesaggi intellettuali, faremo conoscenza con molti personaggi, imbastiremo molti ragionamenti e rifletteremo su molti temi, ma - come dicono i manuali di tecnologia dell’apprendimento che danno ragione a ciò che Montaigne ha affermato questa sera - “dei contenuti di un Percorso didattico [di un viaggio di studio], in media, oltre il 70% va disperso e [all’incirca] il 30% rimane in modo frammentato nella nostra mente”, quindi, di questa conversazione solo “tre oggetti su dieci” rimangono nella mia mente [ma è già una buona acquisizione], e questo perché [come ben sapete, e come afferma Michel de Montaigne] l’obiettivo principale dell’apprendimento cognitivo non è quello di immagazzinare nozioni [le nozioni sono importanti e dobbiamo ritenerne un certo numero], ma l’obiettivo dell’apprendimento consiste nell’esercitare la mente all’ascolto, alla selezione, alla catalogazione perché «il compito della Scuola consiste nel favorire la formazione di una testa ben fatta piuttosto che di una testa ben piena» e questa affermazione [che molte e molti di voi conoscono a memoria perché la ripetiamo da anni] la si trova nei Saggi di Montaigne.

      Ma che cosa significa “favorire la formazione di una testa ben fatta”, e chi è Michel de Montaigne e i Saggi che tipo di opera sono?

     Per rispondere a queste domande, e per concludere la celebrazione del ripetitivo ma necessario “rituale della partenza, bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, consapevoli che - dal primo passo che facciamo in questo straordinario viaggio che è la vita - noi non dobbiamo mai perdere la volontà d’imparare anche quando, a volte, il cammino si fa faticoso e la strada è impervia.

     Per poter compiere il passo successivo al primo, che abbiamo fatto questa sera, la Scuola è qui sotto forma di stazione, una stazione dalla quale siamo pronte e siamo pronti per partire con l’obiettivo di fortificare la nostra volontà di imparare…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 12, 2018