Autorizzazione all'uso dei cookies

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE PRENDE CAMPO IL TESTO DELL’APOCALISSE DI GIOVANNI CHE ESALTA IL LIBRO COME OGGETTO DI SALVEZZA ...

Lezione N.: 
19

Prof. Giuseppe Nibbi         La sapienza poetica e filosofica dell’età medioevale            4-5-6  marzo  2015

Apocalisse di Giovanni (frammenti)

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE

PRENDE CAMPO IL TESTO DELL’APOCALISSE DI GIOVANNI

CHE ESALTA IL LIBRO COME OGGETTO DI SALVEZZA ...

 

   Questo è il diciannovesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale” e, questa sera, iniziamo il nostro cammino [sotto questo cielo marzolino] puntando l’attenzione su un’opera che, a partire dall’anno Mille, ha avuto un’importanza straordinaria in Età medioevale: il Libro dell’Apocalisse di Giovanni. Nella Storia della Letteratura quando il titolo di un libro contiene la parola “apocalisse” è necessario accompagnare questo termine con quello del nome proprio del protagonista del racconto perché il numero delle opere che portano nell’intestazione il termine “apocalisse” è consistente e noi, recentemente [qualche viaggio fa, e molte e molti di voi probabilmente lo ricorderanno], abbiamo puntato l’attenzione sul testo dell’Apocalisse di Paolo, una delle undici più importanti “apocalissi apocrife”.

   Il testo dell’Apocalisse di Giovanni è considerato quello per eccellenza - l’Apocalisse per antonomasia - ed è l’unico scritto di genere interamente “apocalittico” riconosciuto come canonico: diciamo subito che il nome di Giovanni è quello dell’apostolo [il discepolo più giovane e quello prediletto da Gesù, l’intestatario del Quarto Vangelo], il quale è il protagonista di quest’opera ma [così come per il Quarto Vangelo] non ne è l’autore, e l’interessante tema dell’attribuzione delle opere della Letteratura dei Vangeli e di quelle della Letteratura dell’Antico Testamento lo abbiamo trattato molte volte e con dovizia di particolari in questi decenni.

   A partire dall’anno Mille il Libro dell’Apocalisse di Giovanni viene ad assumere un’importanza straordinaria in tutta l’Ecumene cristiana: perché avviene questo? Gli sponsores [sponsores è il plurale di sponsor che è una parola latina e quindi va declinata] del Libro dell’Apocalisse di Giovanni sono prima di tutto i vescovi i quali, subito dopo l’anno Mille, nelle loro prediche ex cattedra si soffermano a commentare questo Libro, l’ultimo libro della Letteratura dei Vangeli, per esaltare “la potenza della loro città” e, di conseguenza, anche per magnificare la loro figura e il loro ruolo.

   Il vescovo, in questo momento agli albori dell’XI secolo, rappresenta l’autorità più importante nella città per volontà dell’imperatore [a cominciare da Ottone I di Sassonia che - nel momento in cui il papato è soggetto all’impero - si era inventato la figura del vescovo-conte per contrastare il potere dei feudatari proprietari terrieri, e di questo avvenimento ne abbiamo parlato a suo tempo]: l’atto di celebrare “la potenza della città in cui il vescovo si è insediato” e anche di glorificare la sua figura e il proprio ruolo [un fatto non considerato da tutti positivo perché erano in molti - a cominciare dai rappresentati della Chiesa delle abbazie - a non tollerare la commistione tra il sistema feudale e il pensiero del Vangelo] trova la sua giustificazione ideologica proprio nel testo del Libro dell’Apocalisse di Giovanni. Perché? Di questo argomento – che, in Età medioevale, vede “la città” al centro dell’interesse - ce ne occuperemo la prossima settimana; ora, secondo la natura del nostro Percorso in funzione della didattica della lettura e della scrittura, dobbiamo puntare l’attenzione sul testo dell’Apocalisse di Giovanni, il Libro che [insieme al Vangelo secondo Giovanni] ha assunto una posizione di grande rilievo nella cultura medioevale e, a questo punto del nostro viaggio, è necessario prendere contatto con la forma e il contenuto di quest’opera che ha avuto e continua ad avere un peso rilevante nella Storia del Pensiero Umano. Dobbiamo conoscere quest’opera almeno nelle sue linee generali [per essere esaustivi ci vorrebbe un viaggio intero per entrare in tutti i risvolti dell’Apocalisse di Giovanni] anche perché i riferimenti provenienti da questo testo - soprattutto contenuti nella Storia delle Arti figurative e nella Storia della Letteratura - sono moltissimi, ed è utile e necessario saperli leggere.

   Al libro dell’Apocalisse di Giovanni [che da questo momento chiameremo, per antonomasia, l’Apocalisse] - e il termine “apocalisse” non significa “catastrofe” - sono legati una serie di luoghi comuni da sfatare a cominciare da quello secondo cui l’argomento di quest’opera sarebbe quello della “fine del mondo”: a questo proposito, si pensa che l’Apocalisse abbia fatto nascere il cosiddetto “millenarismo”, una sorta di psicosi collettiva che avrebbe preso la popolazione convinta che allo scadere del primo millennio sarebbe finito il mondo. In realtà, dalla notte dei tempi, c’è sempre stato qualcuno [e tuttora c’è] che predica la fine del mondo per quel dato giorno e per quella data ora. Il fatto è che, all’appressarsi dell’anno Mille, la maggior parte degli esseri umani non sapeva neppure in che anno stesse vivendo [lo scandire del tempo era legato al quotidiano moto del sole e della luna e al susseguirsi delle stagioni] e il “millenarismo” è stato un fenomeno molto marginale [le Cronache dell’anno Mille - come quella di Rodolfo il Glabro - riportano una serie di episodi, visti come indizi per una imminente fine del mondo, avvenuti però in un lasso di tempo molto ampio a cominciare dal IV secolo]; il “millenarismo” è stato poi amplificato, o addirittura inventato, da una serie di scrittori romantici dell’Ottocento che hanno costruito un Medioevo “romanzesco”. Ebbene, il libro dell’Apocalisse racconta, in modo visionario [anche Ildegarda di Bingen conosce bene questo testo, lei che di attività visionaria se ne intende!], attraverso un ricco repertorio simbolico, come possa avvenire la trasformazione di questo mondo in “uno nuovo” che si configura in “una città perfetta” che si regge sui valori della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità [ma sono i valori della Rivoluzione francese! Dove credete che li abbiano mutuati i giacobini questi valori se non dal libro dell’Apocalisse?].

   Nel primo capitolo dell’Apocalisse, nell’incipit, dove l’autore saluta le lettrici e i lettori si legge una frase emblematica che rende questo Libro un manifesto dell’intera Storia del Pensiero Umano, leggiamola: «Io, Giovanni, vi auguro grazie e pace da parte di Dio - che è, che era e che viene - e dei sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da parte di Gesù Cristo, che ci ama e ci ha donato la libertà, e riscattandoci tutti dal peccato del mondo ci ha elargito l’uguaglianza, predisponendoci, con il suo sacrificio, alla fraternità».

   La questione che il libro dell’Apocalisse lascia aperta, e sulla quale invita le lettrici e i lettori a riflettere, è in quale ordine mettere questi tre valori per favorire la nascita di un “mondo migliore”, di “un mondo nuovo”.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Secondo voi, per favorire la nascita di un “mondo migliore, di una società più giusta”, in quale ordine d’importanza mettereste le parole: libertà, uguaglianza, fraternità?...

Quale di questi tre valori, secondo voi, è meglio collocare al primo posto?...

Mettete la vostra opinione per iscritto, bastano poche righe per rispondere...

 

   Il testo dell’Apocalisse assume un ruolo centrale nello sviluppo delle ideologie medioevali perché la forma e il contenuto di quest’opera viene utilizzata da tutte le più importanti correnti di pensiero: la utilizzano i vescovi per esaltare il ruolo delle città che a loro sono state affidate, la utilizzano i conservatori per far risaltare il concetto della gerarchia, la utilizzano i riformatori per far risaltare la necessità del ritorno al Vangelo, la utilizzano gli antagonisti che vogliono rivoluzionare i rapporti nella società e nella Chiesa.

   Per imbastire una riflessione sul libro dell’Apocalisse - che risulta essere uno dei testi più studiati e più utilizzati nella Storia della Letteratura universale - è necessario partire da un preambolo [per molte e molti di voi si tratta di rinfrescarsi la memoria su temi già studiati in altri contesti, ma repetita iuvant, le cose ripetute giovano all’apprendimento].

   La Chiesa cristiana, storicamente, non nasce a Gerusalemme con i discepoli di Gesù [la “virtuosa comunità di Gerusalemme” è frutto della Letteratura apologetica e catechetica degli Atti degli Apostoli, un’opera che non ha una valenza storica] e di questo fatto, come sappiamo, ce ne dà testimonianza Paolo di Tarso [di prima mano] nel suo Epistolario: per esempio, nella Lettera ai Galati, che abbiamo studiato a suo tempo, Paolo ci racconta di essere andato prima dell’anno 56 a Gerusalemme a cercare notizie su Gesù [Paolo non sa e non riesce a sapere nulla sulla vita di Gesù] e lì incontra solo Pietro e Giacomo, il fratello di Gesù, che però vivono separati [non esiste una comunità cristiana di Gerusalemme] e Paolo si trova in disaccordo con ambedue perché non hanno nessuna intenzione di allontanarsi dal Tempio per divulgare, come vuol fare Paolo, la “buona notizia” della risurrezione di Gesù ai pagani [ai gentili] sul territorio dell’ellenismo, dalla polis di Antiochia fino [se è possibile] ad arrivare a Roma: Pietro e Giacomo disapprovano il progetto di Paolo e, soprattutto, gli proibiscono di fregiarsi del titolo di “apostolo [di inviato speciale]”, ma naturalmente Paolo non ha nessuna intenzione di ubbidire a quei due “testoni [così li chiama]” e porta avanti il suo programma che [nonostante Paolo sia morto pensando di essere uno sconfitto] ha innescato un processo virtuoso che ha portato a spaccare la Storia in due, prima di Cristo e dopo Cristo.

   La Storia della Chiesa inizia storicamente, così come abbiamo studiato a suo tempo, agli albori del II secolo sulla scia [sulla traccia formata da parole-chiave e idee-cardine] del pensiero che ha lasciato Paolo di Tarso nelle sue Lettere, e le riflessioni di Paolo si sviluppano con tre personaggi [che hanno rintracciato e conservato le Lettere di Paolo] i quali sono stati chiamati Padri Apostolici [di questi personaggi abbiamo studiato la vita e le opere molte volte in questi anni perché sono i soggetti di un argomento che costituisce una chiave di volta nella Storia del Pensiero Umano e che la Scolastica medioevale annovera tra i primi “filosofi cristiani”] perché, per tradizione, queste tre figure hanno virtualmente ereditato il carisma dei dodici Apostoli [in particolare di Paolo, di Pietro e di Giovanni].

   Il primo di questi personaggi è Clemente Romano [il primo papa storico, il fondatore della Scuola ellenistica clementina e l’iniziatore della Letteratura ecclesiastica, che attribuisce virtualmente il titolo di successore di Pietro al vescovo di Roma], il secondo è Ignazio di Antiochia [autore di sette Lettere, che scrive durante il viaggio da Antiochia a Roma dove va a subire il martirio, che contengono i temi dell’autorità, del tempo, della giustizia , della libertà, del concetto di Dio, della definizione del Cristo della fede così come li ha elaborati ed espressi Paolo di Tarso nel suo Epistolario, e nella figura di Ignazio s’incarna la dottrina paolina], il terzo dei Padri Apostolici è quello che interessa a noi in questo momento: si chiama Policarpo di Smirne e costituisce il punto di riferimento del preambolo che anticipa la nostra riflessione sul tema dell’Apocalisse, un’opera che per Tradizione viene attribuita all’apostolo Giovanni. Policarpo di Smirne, secondo la Tradizione,] avrebbe vissuto con l’apostolo Giovanni detto l’Evangelista [il discepolo prediletto di Gesù che la Tradizione vuole sia emigrato a Smirne insieme a Maria]: difatti secondo la Tradizione la figura di Giovanni Evangelista e quella di Policarpo di Smirne s’identificano.

   Sappiamo che un gruppo della comunità di Smirne - guidato da un monaco che convenzionalmente viene chiamato Giovanni il Presbitero [potrebbe essere Policarpo ma non ci sono documenti per fare questa affermazione] - si trasferisce nell’isola di Patmos dove viene composto il testo del Vangelo secondo Giovanni e il testo dell’Apocalisse di Giovanni: due opere che condizionano la Storia del Pensiero Umano in generale e del Pensiero medioevale in particolare, così come stiamo studiando. Quindi, il primo dato certo è che il testo dell’Apocalisse è stato composto nell’isola di Patmos in una comunità guidata da un monaco chiamato convenzionalmente Giovanni il Presbitero [l’anziano saggio e sapiente].

   Di conseguenza è ancora una volta doveroso proporre un’escursione sull’isola di Patmos anche per capire che cosa s’intende per “Tradizione culturale che fa riferimento all’Apostolo Giovanni”. L’isola di Patmos [individuàtela sulla carta geografica] è la più settentrionale delle isole del Dodecaneso, appartenenti alla Grecia ma collocate di fronte alla costa della Turchia bagnata dal Mar Egeo; la conformazione dell’isola di Patmos deriva dalla congiunzione, mediante istmi, di tre isolotti: è un’isola aspra e ventosa che ha coste molto frastagliate con tante insenature e tante belle piccole spiagge. Sull’isola di Patmos domina il grande monastero che assomiglia ad una fortezza eretto nell’XI secolo [nel tempo del viaggio che stiamo compiendo] dall’imperatore bizantino Alessio I Comneno il quale lo dona al monaco Cristodulo.

   Il monastero è dedicato a San Giovanni Evangelista [l’Apostolo Giovanni] ma si chiama di San Giovanni Teologo per far conciliare la leggenda con la storia perché, secondo la Tradizione, Giovanni Evangelista sarebbe stato qui in esilio ai tempi dell’imperatore Domiziano [dall’anno 95 all’anno 97] ma, in realtà, alla figura di San Giovanni Evangelista corrisponde quella di Policarpo vescovo di Smirne, e quella del monaco [il successore di Policarpo?] che viene chiamato convenzionalmente Giovanni il Presbitero [l’anziano saggio e sapiente] che ha diretto la comunità nella quale, dalla fine del I secolo, sono stati composti il testo del Vangelo secondo Giovanni e quello dell’Apocalisse di Giovanni.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando la guida della Grecia e collegandovi alla rete fate un’escursione sull’isola di Patmos e visitate il monastero-fortezza di San Giovanni Teologo, e anche il monastero dell’Apocalisse, un edificio, ricostruito nel XVII secolo, dove, secondo la Tradizione, San Giovanni Evangelista avrebbe scritto il testo de “l’Apocalisse”, buon viaggio…  

 

   Il testo dell’Apocalisse - composto a cavallo tra il I e il II secolo - è diventato ben presto uno dei testi biblici più affascinanti della tradizione letteraria, una miniera  d’ispirazione per l’Arte in generale e una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano e, quindi, questo itinerario vuol essere propedeutico alla lettura di questo testo: è il momento giusto per fare questo esercizio. L’Apocalisse è un’opera di grande potenza e di forte suggestione che matura nell’ambito delle cosiddette Chiese giovannee dell’Asia Minore, che fanno riferimento al Padre apostolico Policarpo di Smirne.

   Il termine “apocalisse” come ben sapete in greco corrisponde letteralmente all’espressione “il contrario [apo] del mistero [kalypsis]”, quindi, significa “rivelazione”. Il linguaggio e i simboli di quest’opera [numeri, bestie, colori] appartengono al cosiddetto “genere apocalittico”, molto diffuso nella Letteratura dell’Antico Testamento [nei Libri di Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele] e nelle opere del giudaismo del I e del II secolo [Filone Alessandrino]. L’autore del testo dell’Apocalisse lo definisce una “profezia”, vale e dire una “interpretazione dell’azione di Dio all’interno della Storia”, infatti, il senso della “apocalisse” non è quello di essere un infausto vaticinio sulla fine del mondo, come si crede erroneamente [dando al termine “apocalisse” una valenza catastrofica che non ha], ma è un messaggio concreto di speranza rivolto a sette Chiese in difficoltà pervase da un profondo malessere - di Efeso, di Smirne, di Pergamo, di Tiàtira, di Sardi, di Filadelfia e di Laodicea -, sette Chiese in crisi o per diatribe interne [non c’è nulla di idilliaco nelle Chiese delle origini] o perché colpite dalla persecuzione di “Babilonia” o della “Prostituta” o della “Bestia”, tre termini che corrispondono alla Roma imperiale che si oppone alla diffusione del cristianesimo [in Età medioevale questi appellativi vengono attribuiti dalle correnti antagoniste alla Chiesa di Roma e ai papati corrotti, mentre le gerarchie ecclesiastiche più conservatrici li attribuiscono ai movimenti di rivolta antigerarchici]. Quindi, il testo dell’Apocalisse contiene un messaggio propositivo perché le Chiese ritrovino la fermezza nella fede e il coraggio nella testimonianza, perché il fine ultimo verso cui sta muovendosi la Storia non è il trionfo del Drago, simbolo del male, ma quello dell’Agnello, cioè di Cristo, e alla Babilonia devastatrice subentrerà per sempre la nuova Gerusalemme cioè la vera città della pace e della vita. Chi vuole [e questo è il momento adatto] leggere o rileggere qualche pagina, o alcuni capitoli, o il testo intero dell’Apocalisse è bene sia in possesso di qualche competenza utile per poter svolgere questo esercizio.

   Il testo dell’Apocalisse è composto da 22 capitoli [capitoletti] che occupano una ventina di pagine, e il primo capitolo contiene “l’introduzione” nella quale si salutano e si dichiarano beate le persone che leggeranno questo libro, poi c’è “la presentazione dell’autore [di Giovanni]” che descrive il suo incontro con “il Figlio dell’uomo” che lo invita a scrivere ciò che sta vedendo e ad inviare il testo alle sette Chiese e, infatti, nel secondo e nel terzo capitolo troviamo [un messaggio] una Lettera dedicata a ciascuna di esse: per una chiesa quella di Efeso senza amore, per una chiesa perseguitata quella di Smirne, per una chiesa che ha tollerato l’idolatria quella di Pergamo, per una chiesa che ha ceduto al compromesso quella di Tiàtira, per una chiesa che dorme quella di Sardi, per una chiesa fedele ma troppo piccola quella di Filadelfia e per una chiesa che si vanta quella di Laodicea.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Andate ad osservare sul testo de “l’Apocalisse” la collocazione di questi primi tre capitoli: è un utile esercizio quello di prendere visione della forma di un’opera, e poi, di questa prima parte, se volete, potete leggerne qualche brano...

 

   Il libro dell’Apocalisse è stato definito come “una foresta di simboli” e questo fatto, se da una parte lo ha reso e lo rende uno dei libri più affascinanti di tutta la Letteratura universale, dall’altra questo “simbolismo” ne fa diventare ancora più complicata la comprensione, e per leggere quest’opera è necessario in primo luogo come, abbiamo appena detto, rendersi conto della sua complessa struttura  narrativa.

   Il libro dell’Apocalisse è particolarmente suggestivo perché è tutto costellato di simboli e di segni, tra i quali dominano le cosiddette “èptadi apocalittiche [o “settenari”, gruppi di sette oggetti, “èptá”, in greco, significa “sette”]” e sappiamo che il numero sette è un elemento mitico per eccellenza che rappresenta la “pienezza” e la “totalità”. Al centro della composizione, dal capitolo 6 al capitolo 15, troviamo la trafila delle “èptadi apocalittiche”: i sette sigilli con il racconto di come vengono aperti, le sette trombe con l’esposizione di come risuonano, i sette angeli con le sette coppe del giudizio con la descrizione di che cosa contengono, e di questi brani si consiglia la lettura.

   Poi un simbolismo singolare nell’Apocalisse è quello “animale” perché i principali protagonisti della vicenda sono rappresentati nella veste di animali tanto reali quanto immaginari: il Cristo è messo in scena come un Agnello e i suoi avversari più implacabili sono il Mostro che sale dal mare e la Bestia che sale dalla terra . L’Agnello, sebbene sia stato “immolato”, sta tuttavia bene in piedi, ed è il Cristo che non è rimasto nel sepolcro ma, avendo vinto la morte, è il Risorto e il Vivente, è il Primo [l’Alfa] e l’Ultimo [l’Omèga]. L’immagine de “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” è stata costantemente riprodotta nel corso della Storia dell’Arte con tutte le tecniche possibili, e chissà quante volte l’avete vista rappresentata questa figura o dipinta o scolpita o composta in mosaico.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La figura dell’Agnello viene descritta nel capitolo 5 dell’Apocalisse di cui si consiglia la lettura…    Che cosa vi fa venire in mente la parola “agnello”?...

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Le figure del Mostro che sale dal mare e della Bestia che sale dalla terra, avverse dell’Agnello, impersonano dei misteriosi esseri umani e, nel corso dei secoli, ad esse sono stati attribuiti i nomi di molti personaggi considerati poco raccomandabili: gli Anticristo [un’altra parola-chiave che caratterizza il linguaggio medioevale].

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La figura del Mostro e della Bestia, avverse dell’Agnello, sono descritte nel capitolo 13 dell’Apocalisse di cui si consiglia la lettura, ed è possibile che, nel modo in cui vengono rappresentate, vi facciano venire in mente delle persone di vostra conoscenza e, forse, in questo caso, è meglio esprimersi rimanendo molto nel vago senza però rinunciare a scrivere...

 

   Il Mostro marino e la Bestia terrestre sono complici del Drago e l’immagine di questo animale, sulla scia del testo dell’Apocalisse di Giovanni, diventa talmente pregnante che i più ne ipotizzano l’esistenza reale, e in tutta la Storia delle pittura la rappresentazione del “drago” è costante [la trafila dei draghi dipinti è lunghissima]. Il Drago rappresenta Satana: il Serpente antico del peccato originale che risulta superiore all’essere umano, però, agisce sotto il potente controllo di Dio, e la sovranità universale di Dio è dichiarata, soprattutto, attraverso il simbolismo del suo trono regale.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La descrizione del trono di Dio, con tutto ciò che lo circonda, si trova nel capitolo 4 dell’Apocalisse e se ne consiglia la lettura…  Volendo dare al trono un tono di umiltà quale di queste parole gli avvicinereste per prima: lo sgabello, il banco, la panca, la sedia, la sdraia, o quale altra? ...

Scrivetela, pensando a quante possibilità abbiamo di sederci in trono...

 

   Chi legge il capitolo 4 dell’Apocalisse può rendersi conto di tutto ciò che ruota attorno al trono di Dio ma, in particolare, ai quattro lati del trono ci sono quattro esseri viventi “pieni di occhi davanti e dietro [quindi onniscienti] e con sei ali ciascuno [capaci di volare alto]”, ebbene, questi esseri assomigliano il primo ad un leone, il secondo ad un torello, il terzo ha il viso d’uomo e il quarto assomiglia ad un’aquila in volo e voi sapete di sicuro che queste quattro figure sono state assimilate a quelle dei quattro evangelisti: Marco è il leone, Matteo la figura umana, Luca il torello e Giovanni l’aquila, e la riproduzione di questi simboli da parte di chi ha operato e opera nel campo delle Arti figurative non ha mai avuto sosta.

   Nell’Apocalisse sono poi evocate, molto spesso, sul piano simbolico anche le parti del corpo, sia umano che animale: gli animali simbolici [se leggete il capitolo 13 lo potete constatare] hanno sette teste o sette corni, e i corni rappresentano la forza e le teste rappresentano la pericolosa concentrazione di potere nelle mani di una sola persona. Il Mostro marino è policefalo [con molte teste] ma concentra anche in sé le caratteristiche del leopardo, dell’orso e del leone, e la mostruosità di questi incroci dice quanto sia minacciosa e temibile: il capitolo 13 dell’Apocalisse ha ispirato i famosi Bestiari, libri nei quali i miniaturisti medioevali si sono sbizzarriti a creare animali immaginari.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In biblioteca e navigando in rete potete osservare molte immagini contenute nei “Bestiari” medioevali...  Disegnate anche voi qualche fantastico animale mostruoso...

 

   Quanto al simbolismo delle parti del corpo umano, gli eletti [i centoquarantaquattromila adoratori di Dio che vengono descritti nei primi 5 versetti del capitolo 14, leggeteli] recano sulla fronte il nome di Dio e dell’Agnello perché costoro sono salvi, mentre gli adoratori della Bestia recano il suo marchio in fronte, e anche sulla mano destra [si tratta di un numero particolare] perché le loro azioni sono inquinate dall’idolatria. Come voi ben sapete poi nel testo dell’Apocalisse ci sono altri quattro animali molto famosi: i quattro cavalli [uno bianco, uno rosso, uno nero e uno color cadavere] dell’Apocalisse, montati dagli altrettanto celebri quattro cavalieri dell’Apocalisse.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La descrizione dei quattro cavalli e dei cavalieri de “l’Apocalisse” è contenuta nei primi otto versetti del capitolo 6 dove l’Agnello apre i primi quattro sigilli, e si consiglia la lettura di questo breve brano…  

La parola “cavallo” porta con sé una significativa trafila di parole evocative: purosangue, puledro, corsiero, ronzino, cavalcatura, stallone, destriero, palafreno…

Scegliete uno di questi termini: quello che vi piace di più...

Che cosa vi fa venire in mente la parola “cavallo”?... 

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Di fronte alla straordinaria visione dei “quattro cavalieri dell’Apocalisse” noi, che ci stiamo muovendo su un Percorso in funzione della didattica della lettura e della scrittura, non possiamo non aprire una parentesi che riguarda uno scrittore che si chiama Vicente Blasco Ibáñez: per quale motivo lo dobbiamo incontrare e chi è Vicente Blasco Ibáñez?

   Vicente Blasco Ibáñez è nato a Valenza in Spagna nel 1867 ed è stato un deciso assertore delle idee liberali e antimonarchiche tanto che a ventidue anni, dopo aver partecipato ad un tentativo insurrezionale, è dovuto fuggire a Parigi. Nel 1891 è stato amnistiato ed è tornato in Spagna dove ha fondato, nel 1901, il famoso giornale El Pueblo e nel 1903 ha promosso la nascita di un movimento politico, il partito “blasquista”, antimonarchico e federalista, ed è stato eletto deputato al Parlamento di Madrid dove si è battuto - subendo diverse condanne - per la fondazione di una Repubblica federale spagnola. Nel 1909 si è dovuto ritirare dalla vita politica e ha cominciato a viaggiare [in Europa, in America latina] dedicandosi alla Letteratura e scrivendo molte opere con uno stile che mette insieme il genere realista con quello romantico e quello naturalista. Vicente Blasco Ibáñez è morto a Mentone, in Francia, nel 1928: aveva solo 61 anni.

   I romanzi di Blasco Ibáñez si leggono senza difficoltà perché la prosa con cui sono scritti è simile a quella dei romanzi dell’Ottocento: ricca di vena descrittiva e pittoresca, anche un po’ enfatica, ma contenente una prorompente sensualità e una vasta gamma di colori e di scenografie che ricordano quelle di Victor Hugo. I racconti di Blasco Ibáñez hanno avuto un grande successo e alcuni sono stati tradotti in opere cinematografiche che hanno riscosso il favore del pubblico. Tra i romanzi più noti di Blasco Ibáñez ricordiamo: Fior di maggio, La barraca, L’intruso, Mare nostrum, il famoso Sangue e arena e poi quello che interessa a noi questa sera intitolato I quattro cavalieri dell’Apocalisse pubblicato nel 1916 in piena Prima guerra mondiale [una tragedia di cui stiamo celebrando il centenario]: non credo che questo titolo vi sia indifferente perché questo romanzo ha ispirato il cinema e I quattro cavalieri dell’Apocalisse è il titolo di due celebri film, il primo girato nel 1921 da Rex Ingram con la partecipazione di Rodolfo Valentino, e il secondo diretto nel 1962 dal regista Vincente Mannelli, con un gruppo di attrici e di attori rinomati, che però sposta la storia dalla Prima alla Seconda guerra mondiale.

   Questo romanzo racconta la storia di due sorelle, Luisa ed Elena Madariaga, che sono le figlie di un ricco proprietario terriero dell’America del Sud, le quali sposano due giovani europei, il francese Marcello Desnoyers e il tedesco Karl von Hartrott, e quando il vecchio padre Madariaga muore, le due famiglie liquidano la ricca eredità e si trasferiscono in Europa, gli Hartrott a Berlino, i Desnoyers a Parigi e le caratteristiche differenti delle due famiglie [quella berlinese e quella parigina] si delineano nei figli che nascono dalle due unioni: i figli tedeschi sono rigidi e attaccati al dovere mentre quelli francesi sono gaudenti e insofferenti ai divieti. Il più cinico dei Desnoyers sembra essere il primogenito Giulio che è dedito ad una vita spregiudicata per cui ha tagliato anche i ponti con la famiglia e pensa di sposare Margherita, una giovane donna che lo ama e per lui vuol divorziare dal marito. Ma nel 1914 scoppia la guerra che travolge la vita di tutti: Giulio si trincera dietro il suo elegante scetticismo e riesce, dapprima, a sentire estranea la tragedia che si abbatte sulla Francia e su tutta l’Europa ma poi tutta una serie di avvenimenti lo coinvolgono inevitabilmente, ed è giusto non raccontare altro della trama di questo romanzo in modo che chi vuole leggerlo possa scoprire personalmente gli intrecci narrativi.

   Ma che cosa c’entrano i quattro cavalieri dell’Apocalisse evocati nel titolo di questo romanzo? Blasco Ibáñez in quest’opera vuole rappresentare, attraverso la storia di due famiglie, come si possa giustificare che, per difendere i propri interessi, si possa arrivare a combattere una guerra terribile come è stato il primo conflitto mondiale dove emerge inevitabilmente l’immagine dei quattro cavalieri apparsi a Giovanni all’inizio del capitolo sesto del libro dell’Apocalisse, e il laico Blasco Ibáñez utilizza con grande perizia questo scenario evangelico per condannare la terribile tragedia della guerra: uno dei vizi capitali che, purtroppo, la “bestia umana [un termine apocalittico]” continua a fomentare.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il romanzo “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” di Vicente Blasco Ibáñez lo potete leggere richiedendolo in biblioteca, mentre in cineteca trovate i due film omonimi tratti da quest’opera e li potete visionare...  La didattica della lettura consiglia di andare al trotto...

 

   Leggiamo insieme solo l’incipit [le prime dieci righe] di questo romanzo.

 

LEGERE MULTUM….

Vicente Blasco Ibáñez, I quattro cavalieri dell’Apocalisse

Dovevano incontrarsi alle cinque del pomeriggio nel piccolo giardino della Cappella dell’Espiazione, ma Julio Desnoyers giunse mezz’ora prima a causa di quell’impazienza da innamorato che crede di anticipare il momento dell’incontro arrivando presto. Mentre attraversava il cancello del boulevard Haussmann si rese conto all’improvviso che a Parigi il mese di luglio appartiene all’estate.

L’avvicendarsi delle stagioni era per lui qualcosa di ingarbugliato in quel periodo, qualcosa che richiedeva dei calcoli.   Erano trascorsi cinque mesi dagli ultimi incontri in questa square che offre alle coppie senza meta il rifugio di una calma umida e funerea a fianco di un boulevard sempre in movimento e vicino a una grande stazione ferroviaria. L’ora dell’incontro era sempre alle cinque.

 

   Questo breve brano che abbiamo letto inizia e si conclude con un numero [in queste dieci righe è in evidenza il numero 5]. Noi, ora, dobbiamo ancora fare alcune osservazioni sul simbolismo dei numeri che risulta incalzante nel testo dell’Apocalisse e questo simbolismo numerico si ripercuote, inevitabilmente, sulla cultura medioevale e si ripercuote su tutta la Storia della Letteratura [non siamo forse tutte e tutti noi affascinati dalla potenza evocativa dei numeri?].

   Nel testo dell’Apocalisse, oltre al numero 7 e ai suoi multipli, c’è un altro numero importante: il 12 con i suoi multipli. Il 7 è il numero dell’azione di Cristo e di Dio: Cristo invia un messaggio a ognuna delle 7 Chiese d’Asia, e poi apre uno dopo l’altro i 7 sigilli che chiudono il rotolo contenente il piano divino sulla Storia. Agli ordini di Dio 7 angeli fanno squillare le loro 7 trombe, e altri 7 angeli riversano il contenuto delle loro 7 coppe, e così scatenano i flagelli dell’ira divina sugli idolatri e sui persecutori per indurli alla conversione. Quindi, l’agire “settemplice[èptáteleiosis] di Dio e dell’Agnello è un modo “perfetto[completo, téleios] per assediare da ogni parte le forze del male e per dominarle.

   Mentre il 12 è il numero del popolo di Dio: delle 12 tribù dell’Israele, dei 12 apostoli, della Donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e con una corona di 12 stelle in capo [questo emblematico personaggio lo potete incontrare leggendo proprio il capitolo 12]. E, infine, il 12 è il numero della città santa di Gerusalemme che discende dal cielo, la cui perfezione e armonia è ribadita ripetutamente col numero 12 e con i suoi multipli: 12 porte, 12 fondamenti, 144 [12 X 12] cubiti, 12.000 stadi.

   Anche nel campo avverso figura talvolta il 7, per esempio, sono 7 le teste del Drago e quelle della Bestia marina, ma si tratta di una parodia perché se il loro “aspetto” è segnato dal 7, la loro “azione” è contrassegnata dalla metà del 7, e cioè dal 3 e mezzo e dai suoi equivalenti: la persecuzione del Drago costringe la Donna vestita di sole a una permanenza nel deserto di 1.260 giorni [3 anni e mezzo], mentre la Bestia può dispiegare la sua attività blasfema per 42 mesi [3 anni e mezzo]. Il 7 dei nemici di Dio è un 7 dimezzato e, quindi, destinato al fallimento.

   Il numero più famoso dell’Apocalisse è quello della Bestia, e nell’ultimo versetto del capitolo 13 si legge questa affermazione sibillina: «Chi ha intelligenza calcoli il numero della Bestia: essa è, infatti, un numero d’uomo. E il suo numero è seicentosessantasei». Il seicentosessantasei [e chi scrive è informato sulla cabala ebraica] si ottiene  sommando il valore numerico delle lettere che compongono il nome dell’uomo che Giovanni chiama “la Bestia”, ma il fatto è che questo procedimento, chiamato “ghematrìa” [un termine ebraico cabalistico noto dall’antichità], si presta a innumerevoli soluzioni per cui - soprattutto in questo caso, scomponendo il numero 666 - la possibilità di poter fare un’ipotesi esatta non esiste. Ed è, quindi, difficile, dovremmo dire impossibile, capire di chi intenda parlare l’autore del testo dell’Apocalisse e, di conseguenza, non c’è un’interpretazione né ufficiale né tradizionale e se l’autore dell’Apocalisse avesse ritenuto opportuno fare questo nome lo avrebbe fatto. Naturalmente, nel corso dei secoli, sul nome legato all’apocalittico numero 666 si è scatenata tanto la perizia quanto la fantasia delle studiose e degli studiosi e noi, a questo proposito, vogliamo ricordare un appunto scritto da un anonimo intellettuale della Scolastica ritrovato nello scriptorium della biblioteca della facoltà delle Arti di Parigi nel quale si legge: «Smettila di fare calcoli intorno al 666 altrimenti troverai che è il tuo nome che corrisponde a quello della Bestia».

   Una delle interpretazioni più ricorrenti sul numero apocalittico 666 [ed è un dato che dobbiamo conoscere] rimanda al nome di Nerone, il prototipo dei persecutori che, a sua volta, richiama anche Domiziano [chiamato da Giovenale nella Satira IV il “Nerone calvo”]. Secondo chi ha dato questa interpretazione il numero 666 equivarrebbe alla somma numerica delle lettere ebraiche N R O N Q S R corrispondenti al greco “Nerôn Kaisar” [Nerone imperatore] che deriverebbe dalla seguente scomposizione numerica: 50 [N] + 200 [R] + 6 [O] + 50 [N] + 100 [Q] + 60 [S] + 200 [R] = 666. Questa interpretazione però è stata sempre considerata arbitraria dalle studiose e dagli studiosi di filologia perché vengono scelte lettere ebraiche in un testo scritto in greco destinato a lettrici e lettori di lingua greca. La maggioranza degli intellettuali della Scolastica [e questa soluzione è diventata predominante] considera il criptogramma 666 una cifra simbolica, un elemento allegorico: il 6 - in questo caso - indicherebbe “imperfezione” perché inferiore di una unità al numero “perfetto” [completo] 7 e, di conseguenza, il 666 potrebbe significare che il potere del persecutore, il “numero d’uomo”, non potrà riportare la vittoria che sarebbe indicata dal numero 777 il “numero dell’Agnello” [Gesù Cristo risorto].

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Volendo [semplicisticamente] giocare con la cabala applicata all’alfabeto italiano si sa che il numero 6 corrisponde alla lettera F e il numero 7 alla lettera G… A questo proposito possiamo costruire un minuscolo glossario [bi-grammatico, di sole due lettere] utile per poter riflettere sul significato visionario [apocalittico] che hanno le parole perché le parole sono entità capaci di dare al mondo un significato e, quindi, partecipate alla [ludica] creazione di un ipotetico universo filologico [corredandolo di oggetti] – che si potrebbe chiamare “pianeta 666777” – scrivendo tre parole, di vostro gradimento, che iniziano con la lettera F [666] e tre parole, a piacere, che iniziano con la lettera G [777]…  Questo è un esercizio di “Letteratura potenziale”, una corrente che ha anche nello stile apocalittico le sue radici...

 

   Il lessico del tutto particolare, fatto di simboli e di immagini sorprendenti, non è l’unico che l’autore di quest’opera sappia usare nella sua scrittura, perché la parte iniziale e quella finale del Libro sono state composte con un linguaggio corrente [secondo il genere del “romanzo d’avventura”, potremmo dire], ma l’Apocalisse nel suo complesso rimane un testo difficile [anche se è sulla bocca di tutti e se riemerge in un numero grandissimo di opere letterarie, l’Apocalisse è un Libro praticamente sconosciuto]; quindi, secondo la natura del nostro Percorso [che è in funzione della didattica della lettura  e della scrittura], diventa necessario fornire ulteriori strumenti da mettere a disposizione di chi voglia leggere questo Libro che, in Età medioevale, ha avuto molto successo perché è uno degli esempi più significativi di quello stile letterario che poi è stato chiamato “romanzo allegorico”, un genere che si caratterizza per la sua essenza apologetica: che cosa significa “essenza apologetica”?

   Il “romanzo allegorico” è un oggetto del quale risulta piuttosto difficile raccontare la trama perché in esso c’è un filo conduttore narrativo piuttosto complicato perché, chi scrive, vuole mettere in evidenza, vuole esaltare in modo emblematico, ricorrendo ad una continua trafila simbolica, la concretezza e la funzionalità di una o di più cose ritenute di universale interesse: nel testo dell’Apocalisse troviamo l’apologia [l’esaltazione, la promozione] di due elementi molto significativi e tangibili che hanno contribuito ad amplificare la fama di quest’opera. I due oggetti che hanno dato un rilievo straordinario all’Apocalisse sono: il libro e la città [abbiamo preso il passo parlando della città e la prossima settimana  torneremo sull’argomento]. La fisionomia dell’Apocalisse in quanto “romanzo simbolico di carattere apologetico” è data soprattutto da questi due oggetti: il libro e la città. E questi oggetti, che rappresentano due strutture fondamentali nello sviluppo del movimento della Scolastica, c’invitano, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, a riflettere ulteriormente, e, per imbastire questa riflessione, disegniamo, a grandi linee, la trama seppur complessa dell’Apocalisse, per renderne più agevole la lettura.

   Il testo dell’Apocalisse racconta che Giovanni si trova prigioniero [al confino] sull’isola di Patmos per aver testimoniato la sua fede in Gesù Cristo, e lì una domenica, mentre sta pregando con altri cristiani deportati, sente una voce dentro di sé: è sveglio ma gli sembra di sognare. La voce gli dice: «Quello che stai per vedere scrìvilo in un Libro e poi mandalo a tutte le comunità dei cristiani [alle sette Chiese in crisi]». Giovanni si volta per vedere chi sta parlando e gli si rivela [apokàlypsein] la figura di un uomo, vestito con un abito lungo come quello dei sacerdoti, con una corona d’oro in capo come quella di un re, e che parla con una voce forte e melodiosa come potrebbe essere la voce di Dio e dal suo volto scaturisce un’intensa luce: da questi elementi simbolici Giovanni capisce che quest’uomo è Gesù Cristo, un essere umano come noi che, però, è anche il Messia, il Re, il Sacerdote, il Figlio di Dio, il Vivente, il Risorto, il Primo e l’Ultimo venuto a salvare il suo popolo. Quindi l’Apocalisse - come testo con cui si conclude il canone cristiano - fa innanzitutto l’inventario delle caratteristiche [delle competenze] di Gesù Salvatore, e Giovanni sente che dalla bocca di Gesù escono parole simili ad una spada: parole che servono a castigare i malvagi [i profittatori, amàrtématoi] ma, soprattutto, parole che servono ad aiutare chi subisce ingiustizia. Gesù dice a Giovanni: «Non temere! Io ero morto, ma ora sono vivo per sempre e posso comandare anche sulla morte. Per questo scrivi ciò che stai per vedere [fai un Libro] in modo che tutte le persone che leggeranno potranno capire che, se hanno fiducia in me, niente potrà più spaventarli». E, a questo punto, Giovanni, come se fosse in sogno, vede come una porta aperta nel cielo e viene a trovarsi in paradiso davanti al trono di Dio che è circondato da un arcobaleno di luce e da pietre preziose, e intorno al trono stanno gli angeli e tutta una serie di figure simboliche [di cui, in parte, abbiamo già parlato] che cantano: «Santo, Santo, Santo è il Signore Dio, l’Onnipotente. Tutti ti lodino, Signore, perché hai creato tutte le cose e fai esistere l’Universo». Poi Giovanni vede nella mano di Dio seduto sul trono un grande Libro, a forma di rotolo chiuso con sette cordicelle fermate ognuna da un sigillo, che contiene il resoconto [passato, presente e futuro] della vita di tutti gli esseri umani.

   Nella sua visione Giovanni prende atto che lo scettro di Dio è un Libro [l’autorevolezza divina è rappresentata da un Libro] e cerca di capire se ci sia qualcuno capace di aprirlo e di leggerne il testo e, mentre si guarda intorno preoccupato, è preso dallo stupore perché pensa che se il contenuto dell’onniscienza di Dio è racchiuso in un Libro, di conseguenza, non esiste un oggetto più importante di questo! E, difatti, nel cuore del testo dell’Apocalisse troviamo l’apologia dell’elemento fondamentale su cui si regge il tema della salvezza: il Libro. Il testo dell’Apocalisse fa emergere in modo determinante il valore di questo oggetto e accredita l’affermazione - che ne sintetizza innumerevoli altre - che dice: “il Libro è l’oggetto che salva la vita!”.

   Questa riflessione ci fa capire come, in Età medioevale, l’interesse, la passione, il desiderio di possesso dei Libri cresca in modo esponenziale [anche gli individui che fanno parte della massa che langue nell’ignoranza capiscono la grande importanza di questo oggetto prezioso] e si comprende come cresca pure la consapevolezza - espressa nel testo dell’Apocalisse - della difficoltà che comporta la lettura di un Libro, e il Libro diventa una delle strutture fondamentali nello sviluppo del movimento della Scolastica e si rafforza anche la coscienza che sia necessario studiare [l’azione del “rompere i sigilli” - descritta dal sesto all’ottavo capitolo dell’Apocalisse - equivale all’ammonimento di non perdere mai la volontà d’imparare] e matura, quindi, l’esigenza di istituire Scuole.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è un Libro dal quale avete tratto dei suggerimenti per dare un senso alla vostra vita?...

C’è un Libro che avete letto in un momento particolare della vostra esistenza e che ha lasciato in voi un segno indelebile, un ricordo indimenticabile?...

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Giovanni - sapendo di non poter aprire questo Libro - diventa triste e si mette a piangere, ma un angelo gli dice: «Consolati perché il discendente di Davide, il Messia [uno che di Libri se ne intende], riuscirà ad aprirlo». Allora Giovanni alza gli occhi e vede un Agnello [già lo abbiamo incontrato] che, sebbene sia stato immolato, sta però ben diritto in piedi ed è, come sappiamo, il simbolo che sintetizza la figura di Gesù Cristo risorto. Gli angeli consegnano il Libro a Gesù [all’Agnello] e, cantando, dicono che Lui lo aprirà, sigillo per sigillo, e questo fatto permetterà agli esseri umani di capire il significato della loro vita e quello della creazione; l’essenza dell’esistenza si spiega con la parole-chiave “agape” che corrisponde all’espressione “amore solidale”: l’amore che Dio ha per ogni persona e l’amore che ogni persona deve condividere con le altre persone. Ma l’apertura dei sette sigilli alla quale Giovanni assiste diventa, visione dopo visione, un’esperienza sconvolgente [ed è in questo contesto che il termine “visione” si coniuga con l’aggettivo “apocalittico”] che trova il suo apice nella comparsa delle Bestie, le figure dell’Anticristo, che rappresentano i re delle nazioni, i quali, con le loro grandi ricchezze e con i loro eserciti sottomettono gli esseri umani screditando la libertà, l’uguaglianza e la fraternità [i tre termini-cardine escatologici, i valori del nuovo mondo che verrà]. I re terreni si sentono forti e importanti e, siccome hanno molto potere, pretendono di far proprie tutte le cose e vogliono mettersi al posto di Dio, anzi dicono di essere come Dio! Vogliono che le persone, invece di fare la volontà di Dio, obbediscano soltanto ai loro comandi, ma sono interessati unicamente al loro potere e al loro denaro, per cui non si preoccupano dei più poveri e nemmeno di portare la pace ma perseguitano, creando una grande tribolazione, coloro che operano “in nome della bontà e della misericordia di Dio” che compaiono [all’apertura del sesto sigillo, nel capitolo 7 dell’Apocalisse] e sono un gran numero: “una grande folla di persone di ogni nazione, popolo, tribù e lingua che nessuno riusciva a contare, vestite di bianco, con in mano rami di palma”, e “di queste persone l’Agnello, come un buon pastore, avrà cura” e, quindi, il testo dell’Apocalisse asserisce che “la malvagità è diffusa” ma ribadisce che “le persone buone sono un gran numero [144 mila è un numero simbolico che equivale all’espressione “maggioranza assoluta”]. E, inevitabilmente, ci sarà “un giudizio” e i re verranno puniti [cercheranno invano di nascondersi] per il loro comportamento, e Giovanni - spaventato ma soprattutto stupito per le visioni che ha avuto - vede un altro angelo venire dal cielo gridando: «Babilonia [l’autore del testo avrebbe voluto scrivere Roma] è caduta, è stata distrutta! Tutti quelli che si sono arricchiti con i suoi traffici, ora piangono. I re e i loro eserciti, che volevano dominare il mondo, sono stati sconfitti e distrutti!». E, finalmente, Giovanni capisce il significato di quello che ha visto: cioè comprende il contenuto del Libro che è andato via via aprendosi e, quindi, anche se può sembrare che ci siano troppe ingiustizie e troppe guerre, anche quando sembra che gli esseri umani pensino solo al proprio guadagno e al proprio interesse, dimenticandosi di amare e screditando la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, ebbene, Dio non abbandona il mondo.

   Ma l’intera vicenda, tuttavia, non scioglie l’eterna domanda fondamentale che, in Età medioevale, continua ad aleggiare su tutto il territorio della Scolastica: da dove viene il Male e, soprattutto, come è possibile ci sia il Male in presenza di un Dio onnipotente, onnisciente, buono e infinitamente clemente e misericordioso? Nel Libro dell’Apocalisse questo importante dilemma esistenziale rimane aperto e questa apertura ha dato e dà spazio allo sviluppo della Storia della Letteratura e, a questo proposito, adesso incontriamo uno scrittore, che si chiama Primo Levi [Torino 1919 - 1987] e che tutte e tutti voi conoscete, il quale - anche a causa della drammatica esperienza che ha vissuto [dal 13 dicembre 1943, dal momento in cui viene catturato dalla Milizia fascista, internato nel campo di Fossoli e poi trasferito nel lager di Auschwitz dal quale riuscirà a venirne fuori vivo, il 27 gennaio 1945, documentando subito dopo questa infernale esperienza in un Libro, che ha assunto nel mondo il valore di un classico contemporaneo, intitolato “Se questo è un uomo”] - ha ben presente la problematica “apocalittica” e il nostro incontro con lui affonda le radici nel cuore dell’Apocalisse dove viene fatta come sappiamo l’apologia del Libro, evocato come l’oggetto fondamentale su cui si regge il tema della salvezza e, a questo proposito, nel nostro REPERTORIO ... abbiamo poco fa proposto un esercizio legato ad una domanda: c’è un Libro che avete letto in un momento particolare della vostra esistenza e che ha lasciato in voi un segno indelebile, un ricordo indimenticabile? Ebbene, Primo Levi ha già fatto a suo tempo questo esercizio e allora lasciamo che sia lui a raccontarci questa storia.

   Nel 1981 viene pubblicata, con il titolo di La ricerca delle radici, una antologia contenente brani di autori che hanno contato nella formazione di Primo Levi [e anche noi, che siamo delle lettrici e dei lettori, possiamo fare questo esercizio]. Lo scrittore si domanda e scrive: «Quanto delle nostre radici viene dai libri che abbiamo letti? Tutto, molto, poco e niente: a seconda dell’ambiente in cui siamo nati, della temperatura del nostro sangue, del labirinto che la sorte ci ha assegnato». Primo Levi ha raccolto trenta brani contenuti in altrettanti libri e li ha presentati in questa sua personale antologia con una breve introduzione che è diventata un significativo commento letterario di carattere autobiografico. Al tredicesimo posto di questa sua specie di autoritratto letterario che anche noi potremmo fare, Primo Levi inserisce un libro che ha per lui un valore molto particolare, un libro che lo ha avvicinato all’esperienza “di aver salva la vita”: di che libro si tratta e come si sono svolti i fatti?

   Gli ultimi dieci giorni ad Auschwitz [dal 18 gennaio 1945] Primo Levi li trascorre nell’infermeria in preda alla febbre perché ha la scarlattina. Le truppe sovietiche si stanno avvicinando e il lager sta per essere evacuato e i tedeschi costringono a muoversi con loro una gran parte degli internati in una marcia forzata nel gelo invernale che sarà fatale quasi per tutti. I pochi che sono rimasti nel campo attendono che si compia il loro destino: che i soldati di guardia decidano se ucciderli o no prima di fuggire. Primo Levi occupa le ore interminabili dell’ultima notte ad Auschwitz leggendo un romanzo francese lasciatogli piuttosto sgarbatamente da un medico greco al momento di abbandonare il lager, e Primo Levi accenna a questo episodio - senza tuttavia citare il titolo di questo libro - nelle ultime pagine di Se questo è un uomo. E ora leggiamo il frammento che c’interessa: lasciamo che sia lo scrittore a fare il compito.

 

LEGERE MULTUM….

Primo Levi, Se questo è un uomo

Nel pomeriggio venne il medico greco. Disse che, anche fra i malati, tutti quelli che potevano camminare sarebbero stati forniti di scarpe e di abiti, e sarebbero partiti il giorno dopo, con i sani, per una marcia di venti chilometri. Gli altri sarebbero rimasti in Ka-Be [infermeria], con personale di assistenza scelto fra i malati meno gravi.

Il medico era insolitamente ìlare, sembrava ubriaco. Lo conoscevo, era un uomo colto, intelligente, egoista e calcolatore. Disse ancora che tutti indistintamente avrebbero ricevuto tripla razione di pane, al che i malati si rallegrarono visibilmente.

... continua la lettura ...

 

   Il libro che Primo Levi legge alla fine della sua prigionia ad Auschwitz - lasciatogli da quel poco simpatico medico greco - è un romanzo francese intitolato Remorques [Rimorchi], tradotto in italiano col titolo di Tempesta, pubblicato nel 1935 e scritto da Roger Vercel che è lo pseudonimo di Roger Crétin [1894-1957], che è stato professore di Lettere a Dinan, in Bretagna, ha combattuto nella Prima guerra mondiale [uno dei temi su cui ha scritto] ed è stato autore di numerosi romanzi, di racconti e di piece teatrali, e nel 1934 per il romanzo intitolato Il capitano Conan gli è stato assegnato il premio Goncourt.

   Il romanzo Tempesta [su cui stiamo puntando l’attenzione con la complicità di Primo Levi] racconta la vicenda del capitano Renaud, comandante del Cyclone, un rimorchiatore specializzato in salvataggi nelle acque burrascose davanti alla Bretagna. In una notte di tempesta Renaud risponde alla richiesta di soccorso di una nave greca, e quello che sembra un compito di routine, a cui il capitano e i marinai del Cyclone sono avvezzi da anni, si trasforma in una titanica prova di resistenza che lascerà un segno profondo nell’animo di Renaud messo alla prova anche da un’esperienza sentimentale e dalla poca riconoscenza del comandante del cargo che lui ha salvato.

   Da questo romanzo [nel 1941] è stato tratto un film [intitolato “Tempesta”, in italiano] alla cui sceneggiatura ha partecipato, tra gli altri, Jacques Prévert [e il capitano Renaud è interpretato da Jean Gabin]. Questo romanzo - anche perché è la storia di un salvataggio - ha occupato uno spazio simbolico nell’esistenza di Primo Levi perché la lettura di questo libro corrisponde alla sua sopravvivenza.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il romanzo “Tempesta” di Roger Vercel lo potete richiedere in biblioteca, se volete leggerlo…

 

   E ora, per concludere, leggiamo due pagine da questo romanzo tra quelle che Primo Levi, nel 1981, ha scelto per inserire nella sua antologia intitolata La ricerca delle radici, e leggiamo anche il breve commento in cui lo scrittore riferisce il valore simbolico che ha per lui questo libro [il libro della salvezza], ma aggiunge anche che questo romanzo insolito lo interessa perché tratta del tema della “tecnologia” quando questa sa mostrarsi valente e ingegnosa in imprese di pace; Primo Levi, facendo questa riflessione [da tecnico, da laureato in chimica], sta pensando [e lo fa pensare anche a chi legge] che “Auschwitz” è stata una terribile e quasi perfetta impresa tecnologica rivolta al Male: metafora “apocalittica” del Mostro che sale dal mare, l’incarnazione della Bestia che sale dalla terra. E ora leggiamo.

 

LEGERE MULTUM….

Primo Levi, La ricerca delle radici

Di Roger Vercel ignoro tutto, perfino se è vivo o morto, ma sarei contento se fosse vivo e sano e continuasse a scrivere, perché mi piace il suo scrivere, mi piacerebbe scrivere come lui, ed avere da raccontare le cose che lui racconta. Mi sento legato a lui anche da un fatto personale. In questa antologia, a questo punto, ci dovrebbe essere una cesura, una discontinuità, che corrisponde al mio anno di Auschwitz, in cui oltre alla fame di pane ho sofferto per la fame di carta stampata. 

Remorques [in italiano Tempesta] è il primo libro che mi è capitato in mano dopo questo lungo digiuno, e l’ho letto tutto intero nella notte spaventosa e decisiva in cui i tedeschi esitarono fra l’ucciderci e il fuggire, e decisero per la fuga.

... continua la lettura ...

 

   Il Libro dell’Apocalisse, come abbiamo imparato questa sera, può essere definito un “romanzo allegorico” che fa l’apologia di due oggetti che appartengono all’area tecnologica: il libro e la città. Sul “libro [come elemento di salvezza]” abbiamo riflettuto questa sera e la prossima settimana ci occuperemo di come la “città”, attraverso il capitolo 21 dell’Apocalisse, acquisti una straordinaria legittimazione politica e come le Scuole fondate nelle città assumano una grande importanza: a Parigi [città che aumenta il suo prestigio soprattutto in virtù dell’attività culturale che vi si svolge] in una delle sue Scuole più autorevoli non fiorisce solo la dialettica e la teologia ma sboccia con irruenza anche l’amore, un amore che ha fecondato la Storia del Pensiero Umano. Chi sono i protagonisti di questa avventura? I protagonisti di questa avventura si chiamano Abelardo ed Eloisa e noi ci occuperemo della loro vicenda intellettuale intrisa di passione. Ma non sarà immediato il nostro incontro con questi due personaggi perché il testo del Libro dell’Apocalisse ci pone ancora alcuni interrogativi sui quali è necessario riflettere.

   Questa sera non abbiamo incontrato Millemosche, Pannocchia e Carestia [è la prima volta che succede dall’inizio di questo viaggio], li incontreremo, per l’ultima volta, la prossima settimana perché le loro avventure sono giunte al termine.

   Quali interrogativi ci pone ancora il testo dell’Apocalisse? Per rispondere dobbiamo procedere sulla via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale consapevoli del fatto che non si deve mai perdere la volontà d’imparare: lo studio è [e sarà] sempre, per sua natura, un’azione intrisa di spirito apocalittico perché “ rompe i sigilli del Libro della Conoscenza”-

   La Scuola è qui, e questo viaggio di studio continua…

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Marzo 6, 2015