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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE EMERGE LA RIFLESSIONE SU DOVE SIA IL LIMITE DELLA LIBERTÀ E COME VENGA FISSATO ...

Lezione N.: 
17

Prof. Giuseppe Nibbi    La sapienza poetica e filosofica dell’età medioevale      18-19-20  febbraio  2015

Ildegarda di Bingen

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE

EMERGE LA RIFLESSIONE SU DOVE SIA IL LIMITE DELLA LIBERTÀ

E COME VENGA FISSATO ...

 

   Questo è il diciassettesimo itinerario del nostro percorso di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale”. Ci troviamo nell’ampio spazio nel quale si sta sviluppando dall’XI secolo il pensiero della “Filosofia scolastica [alla quale viene dato anche il nome di “Filosofia cristiano-latina”]” e sappiamo che in questa vasta area ci sono numerosi “paesaggi intellettuali” nei quali spiccano molti pensatori soprannominati “minotauri”, “minotauri accovacciati nei loro labirinti”: sono tutti maschi e sembra che le donne, nell’ambito dell’elaborazione del pensiero, non esistano, ma in realtà non è così [ci sono anche le “Arianne”, o meglio, c’è la “consorteria delle badesse”] anche se, nella maggior parte dei casi, le donne non sono visibili a causa della loro condizione di subalternità e si muovono, pensano, operano, studiano sotto traccia; ma qualcuna di loro emerge sulla scena della Storia del Pensiero Umano e riesce ad illuminare il paesaggio intellettuale in cui vive di un intenso e duraturo chiarore.

   Una di queste figure è quella di Ildegarda di Bingen che abbiamo incontrato la scorsa settimana e sappiamo che è nata nel 1098 in una località del Palatinato in Germania, sappiamo che è una bambina fragilissima che, tuttavia, sopravvive, cresce, raggiunge la maturità e vivrà a lungo, per 82 anni, fino al 1179. Sappiamo che, fin dall’età di cinque anni, come lei scrive, Ildegarda viene colta da “visioni” e sappiamo che - per la salute precaria e per la sua stranezza - all’età di otto anni, il 1° novembre 1106, viene mandata dai suoi nobili genitori nel monastero benedettino di Disibodenberg, sulle rive del Reno, sotto la tutela della ventiduenne Giuditta [Jutta] di Sponheim. Ildegarda cresce accanto a Giuditta [Jutta] di Sponheim la quale, dopo due anni, diventa badessa [è giovanissima, ha solo 24 anni ma è molto preparata e assai intraprendente] e, difatti, promuove subito la “riforma scolastica [istituisce la Scuola per le monache, sostiene che le monache hanno il diritto e il dovere di studiare]”; “la riforma di Jutta”, da Disibodenberg, si diffonde, sebbene con la dovuta circospezione, in molti monasteri benedettini femminili, poi  Giuditta [Jutta] di Sponheim fonda e coordina la rete della “consorteria delle badesse [perché le badesse devono essere soggette agli abati, perché non ci può essere parità di genere visto che le donne - afferma Jutta - sono state le prime testimoni della risurrezione di Gesù? Jutta ha studiato il latino e la Vulgata di Gerolamo se la legge per conto proprio comprendendone tutti i significati]”. Ildegarda cresce in questo clima di “innovazione” [che, pur circolando sotto traccia, incide: lascia un’impronta indelebile nella sua mente] e studia con impegno nella Scuola del monastero di Disibodenberg diretta da Giuditta [Jutta] di Sponheim dove, in programma, ci sono i testi delle Sacre Scritture, i testi Classici, le opere di Agostino e di Anselmo.

   Ildegarda continua ad essere soggetta al fenomeno delle visioni ma questa sua “attitudine” rimane un segreto chiuso dentro le mura del monastero: Giuditta [Jutta] di Sponheim la sprona a scrivere il contenuto delle sue visioni sebbene, per il momento, questa attività debba rimanere celata perché alle monache è vietato scrivere [una volta all’anno possono scrivere una lettera alla famiglia ma è un monaco, il loro confessore, che, con il beneplacito dell’abate, scrive per loro e questo risulta non un servizio ma una forma di censura]. Ildegarda tiene nascosta la sua “attitudine visionaria” fino come sappiamo al 1136, quando, alla morte di Giuditta [Jutta] di Sponheim, all’età di trentotto anni, viene eletta badessa del convento di Disibodenberg e allora decide, anche sull’onda di una serie di eventi “miracolosi” che accompagnano la morte di Jutta,  di uscire gradualmente allo scoperto scegliendo con assennatezza i suoi interlocutori e stando sempre molto attenta a che il contenuto delle sue “visioni” non esca dal perimetro dell’ortodossia.

   Ildegarda, agendo con grande saggezza, con la capacità che ha di fingersi modesta più di quanto sia, si offre allo sguardo dei suoi contemporanei comportandosi come se fosse “una profetessa in contatto con l’aldilà celeste” e presentandosi come una “figura mistica” convinta che la Fede sovrasti la Ragione, dichiarando altresì di voler scrivere il contenuto delle sue “visioni” [e questo esercizio lo sta già facendo da anni, in segreto]: vuole scrivere per dare una forma intellettuale ben precisa al fenomeno visionario che la riguarda [verba volant, scripta manent - le parole dette volano via lasciando una labile traccia, quelle scritte restano dando corpo ad un organico pensiero] in modo che l’evento mistico del quale è protagonista possa essere valutato in chiave dialettica perché, benché sia consapevole che la Fede è superiore alla Ragione, tuttavia è altrettanto convinta, in linea con la miglior tradizione della Filosofia scolastica, che la Ragione debba accompagnare la Fede [e si capisce che nella sua formazione c’è lo zampino di Anselmo d’Aosta che cita, come sappiamo, nella sua opera].

   Ildegarda attende con pazienza per quasi un decennio il momento giusto per sottoporre la propria opera scritta al giudizio del pontefice. L’occasione si presenta con papa Eugenio III, perché? Ildegarda è già entrata in contatto con il personaggio più importante della corrente mistica, Bernardo di Chiaravalle [ora lo citiamo solo in relazione ad Ildegarda, poi, strada facendo, lo incontreremo a tu per tu], il quale è rimasto affascinato dalla cultura, dalla saggezza e dalle “attitudini visionarie” di questa monaca e, quindi, Ildegarda [che non condivide fino in fondo l’integralismo di Bernardo e, a suo tempo, vedremo di che cosa si tratta] - facendosi però forte della stima che ha per lei Bernardo - si rivolge con autorevolezza a papa Eugenio III perché si tratta di Pier Bernardo da Pisa, ex canonico della cattedrale della sua città, che si è fatto monaco cistercense [quando incontreremo Bernardo faremo il punto sul significato di questa parola] diventando il discepolo prediletto di Bernardo [aggiunge anche il nome Bernardo al suo].

   Il monaco Pier Bernardo da Pisa era stato inviato da Bernardo di Chiaravalle a rifondare l’abbazia cluniacense delle Tre Fontane a Roma per trasformarla in monastero cistercense perché i monaci di Cluny [il più potente ordine monastico del momento il cui abate dispone della stessa forza politica di un monarca] erano stati scacciati nel 1141 da papa Innocenzo II perché l’ordine cluniacense si era schierato con l’antipapa Anacleto II [la Chiesa stava vivendo uno dei suoi molti eventi scismatici, un fatto di cui ci occuperemo prossimamente perché ci capiteremo in mezzo].

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Oggi l’Abbazia delle Tre Fontane [dal 1868] è affidata ai frati Trappisti e si trova in una valletta dove passava l’antica via Laurentina in una località detta Aquae Salviae che è il luogo dove, secondo la Tradizione, il 29 giugno dell’anno 67 sarebbe stato decapitato San Paolo: con la guida di Roma e navigando in rete andate a fare una visita a questo interessante complesso monumentale, buona escursione…

 

   Ebbene, il monaco Pier Bernardo da Pisa, inviato da Bernardo di Chiaravalle, diventa abate dell’abbazia delle Tre Fontane a Roma ed è qui che, dopo la morte di Lucio II [che muore per le ferite riportate in uno scontro armato per riconquistare il controllo di Roma], lo raggiunge la notizia della sua elezione a pontefice il 15 febbraio 1145. Essendo stato eletto papa un suo discepolo [dal quale la fazione nobiliare romana si aspettava che lui riportasse ordine in città mettendosi a capo dell’esercito pontificio facendo la guerra in nome di Dio], Ildegarda, affermando di aver avuto una visione in proposito,  sollecita Bernardo perché consigli e ammonisca il suo discepolo ricordandogli che, così come le monache e i monaci sono soggetti ad una “regola [la regola benedettina: prega, lavora e studia]”, anche i papi devono essere vincolati ad una disciplina orientata “alla pietà e alla semplicità di vita”: infatti Bernardo scrive subito una Lettera al nuovo papa - che ha preso nome di Eugenio III - per esortarlo a non lasciarsi corrompere dal potere curiale e poi scrive, sempre su ispirazione di Ildegarda, un trattato dedicato ad Eugenio III e a tutti i papi intitolato De considerazione [Profonda riflessione] che è un vero e proprio catechismo utile a regolare, nello stile della regola benedettina, la vita del papa secondo i dettami del Vangelo.

   Ildegarda coglie subito l’occasione per inviare ad Eugenio III il testo delle sue “visioni” e otterrà l’avallo papale [il papa, condizionato dal giudizio di Bernardo, si entusiasma per l’ortodossia delle visioni e presenterà quest’opera al sinodo di Trèviri] e, quindi, Ildegarda [raggiunge l’obiettivo che si era prefissata] può mettere liberamente in circolazione la sua opera intitolata Scivias [Conosci le vie] che si diffonde, ben presto, in tutto il mondo cristiano. La scrittura - afferma Ildegarda nell’incipit della sua opera intitolata Scivias [Conosci le vie] - è come “il sentiero percorribile al limite boschivo, una via stretta ma capace di mettere in relazione il bagliore della Ragione con il mistero della Fede” e questa metafora come sapete ci ha fatto aprire, la scorsa settimana, una parentesi in funzione della didattica della lettura e della scrittura [secondo la natura del nostro Percorso], una parentesi che non si è ancora chiusa.

   Come sappiamo lo scrittore Thomas Bernhard, che è considerato uno dei massimi autori come romanziere e come sceneggiatore teatrale della Letteratura del ‘900 [con il quale siamo entrate ed entrati in contatto otto giorni fa], ha composto [non sappiamo quanto consapevolmente, ma le idee viaggiano] un racconto che sembra scritto a posta per commentare l’impegno “filosofico” di Ildegarda sul tema della libertà di espressione attraverso la scrittura. Al termine dell’itinerario scorso abbiamo letto l’incipit di questo racconto che dobbiamo leggere nella sua interezza, perché sembra commentare il pensiero di Ildegarda sul tema di come la scrittura rappresenti la via per acquisire la libertà interiore, l’autonomia dello Spirito. Thomas Bernhard [ed è un fatto curioso] utilizza, nel dare il titolo al suo libro, le stesse parole che usa Ildegarda nell’incipit che abbiamo letto otto giorni fa dello Scivias [Conosci le vie], che è la raccolta delle sue visioni, ma non ci si deve meravigliare che Thomas Bernhard conosca l’opera di Ildegarda che è, per un certo verso, sua conterranea [e l’editoria tedesca dalla metà degli anni ’60 si è molto occupata di Ildegarda che è diventata una sorta di fenomeno mediatico oltre che letterario].

   Prima di rinfrescarci la memoria per continuare a leggere il racconto di Thomas Bernhard è interessante leggere un frammento dallo Scivias di Ildegarda [la scorsa settimana abbiamo letto e commentato l’incipit di quest’opera]: ora leggiamo quest’altro frammento significativo per conoscere lo stile visionario di Ildegarda e per capire come il contenuto - possiamo dire “filosofico” in senso scolastico - di questo frammento sia ricco di quei temi sui quali Ildegarda insiste a cominciare dalla sua fragilità [che lei presenta come un dono di Dio, ed è, quindi, una presunta fragilità] in contrasto con la forza di chi comanda facendo sfoggio di prepotenza. Ildegarda [ed è un mistero come faccia a passarla liscia] attacca i “dottori [gli ecclesiastici]” e i “superiori [i feudatari]” che non conoscono la giustizia ma praticano solo la repressione, e non sanno che la libertà nasce dalle regole perché se non c’è un limite alla libertà il mondo creato diventa una cloaca e una prigione, e la virilità [il maschilismo] va sostituita, sostiene Ildegarda, con la viridità [la freschezza, la salute, il rigoglio], una parola che lei usa per riassumere gli attributi femminili. Leggiamo.

 

LEGERE MULTUM….

Ildegarda di Bingen, Scivias [Conosci le vie]

Sono una povera, piccola forma e non ho in me né salute né forza, né coraggio né sapere ma siccome i dottori e i superiori rifiutano di suonare la tromba della giustizia, sicché l’Oriente delle buone opere che illumina il mondo intero ed è come lo specchio della luce, è spento in loro. Perché l’Oriente dovrebbe risplendere in loro insieme al sapere e dovrebbe informarne i diversi precetti, ma sanno solo reprimere credendo che il libero, con la sua forza virile, non abbia norme a cui sottostare, ma, così facendo fanno precipitare la virtù nell’abisso e fanno del mondo creato cloaca e prigione. Ma l’australe delle virtù, col suo calore, è in loro freddo al pari dell’inverno, perché non hanno in sé le buone opere ardenti del fuoco dello Spirito Santo, essendo aridi e, in loro, abbonda la virilità mentre sono privi di viridità [freschezza, salute, rigoglio]. Anche l’Occidente della misericordia è divenuto nero del nero delle ceneri, perché non si applicano e non meditano come si deve la passione di Cristo, Lui che è disceso nella nostra umanità e vi ha confitto la sua divinità, così come accade del sole che dà la luce anche quando dietro le nubi si nasconde.

 

   E ora prima di leggere il testo del racconto che è in repertorio dobbiamo rinfrescarci la memoria: nel 1969 Thomas Bernhard fa pubblicare tre racconti, raccolti nello stesso libro, che porta il titolo del terzo di questi racconti: Al limite boschivo [gli altri due racconti s’intitolano “Kulterer” e “L’Italiano”]. C’è in questi tre racconti un filo conduttore perché l’espressione “al limite boschivo” coincide con la metafora utilizzata da Ildegarda secondo cui la scrittura è come “il sentiero percorribile al limite boschivo che, sebbene stretto e faticoso da percorrere, mette in relazione l’attività della Ragione con il mistero della Fede”.

   Noi, la scorsa settimana, abbiamo cominciato a leggere il primo racconto, contenuto in Al limite boschivo, che s’intitola Kulterer. Kulterer, come ricorderete, è il protagonista di questo brevissimo romanzo: è un uomo che sta per uscire dal carcere, sta per tornare in libertà perché ha scontato la sua pena, ma non è felice. In cella ha iniziato a scrivere non senza difficoltà [ha iniziato a mettere per iscritto le sue visioni] e, quindi, ha imparato a riempire con le parole lo spazio ristretto della sua vita, e l’uso della scrittura, sebbene la vita materiale di Kulterer sia “piccola, insignificante e ridicola ” [così lui la definisce], ha creato nella sua interiorità un enorme spazio [un’intima dimensione spirituale, sconfinata ed impalpabile] per cui il non libero non è più non libero. Kulterer [e Bernhard, e Ildegarda], muovendosi da una semplice parola scritta, inizia a dipanare un filo intricato, e l’azione intellettuale della scrittura e della lettura gli permette di seguire un percorso che lo porta a capire che la sua “essenza spirituale” è altra cosa rispetto alla sua misera “esistenza materiale”: ed è proprio questa sua essenza di “scrivano” - un ruolo in cui l’essere e l’esistere entrano in relazione - che lo trasforma nel rappresentante della libertà interiore in un mondo dove la libertà esteriore manca, ed è per questa sua acquisizione che tutti lo rispettano. Thomas Bernhard, attraverso il personaggio di Kulterer [l’uomo che prende coscienza della propria dimensione interiore], vuole mettere in evidenza - proprio come fa Ildegarda - che “la presenza [l’essenza] della libertà” è direttamente legata alla possibilità che la persona ha di utilizzare la scrittura per “mettere in luce le proprie visioni ” [per dare voce alle proprie aspettative] perché la potenza dell’immaginazione, che nel testo scritto diventa atto, crea ampi spazi di autonomia interiore [garantisce l’indipendenza dello Spirito in un Mondo che finisce per essere una grande prigione se ci si riduce a vivere solo in funzione della materialità] per cui la persona ritenuta non libera [la clausura per Ildegarda, il carcere per Kulterer] è spesso più libera di quanto non sia l’individuo che si crede libero [superiore] di poter fare tutto ciò che vuole a scapito della libertà altrui.

   E, ora, andiamo avanti a leggere la storia di Kulterer anche per poter provare la soddisfazione di dipanare, nel testo di questo racconto, i vari intrecci filologici che legano Thomas Bernhard ad Ildegarda di Bingen.

 

LEGERE MULTUM….

Thomas Bernhard, Al limite boschivo

KULTERER

Negli ultimi giorni prima del rilascio, che pesava tormentosamente sul suo cuore e sulla sua ragione, pur senza schiacciarlo, e che gli lasciava sul volto un’espressione indegna d’un uomo, [Kulterer] tentò di consolidare il contatto con i compagni, spesso in modo commovente e, come desiderava, definitivo. Le sue azioni, i suoi tentativi erano determinati dalla parola «commiato». Rivolgeva la parola a quelle persone a cui non l’aveva mai rivolta, che non si erano mai curate minimamente di lui, anzi per le quali non significava nulla, non esisteva proprio. Dove pensava di sentire ostilità, lì si spingeva con gentilezza, per rimediare a qualcosa, che anche a lui non era ben chiaro. Voleva che non ci fossero dubbi sui suoi «buoni pensieri» verso i compagni carcerati e, in realtà, verso tutto. «Sì, sì, lo so …» diceva, e loro lo ascoltavano.

... continua la lettura ...

 

   Ildegarda, dopo che il pontefice ha approvato la sua opera [e noi adesso non possiamo scendere nei particolari perché non ci dobbiamo allontanare, soprattutto cronologicamente, dal punto in cui ci troviamo], diventa la consigliera degli uomini più noti e più potenti di questi anni, al punto che l’imperatore Federico Barbarossa la invita nel suo palazzo di Ingelheim per consultarla [e lei lo rimprovera per tutta una serie di questioni legate alla sua ingerenza nei confronti del papato]. Ildegarda comincia ad uscire periodicamente dalla clausura e si mette in viaggio per andare a predicare nelle chiese e nelle cattedrali di molte città, fra cui Magonza, Colonia e Trèviri, dove incontra papa Eugenio III che sta presiedendo un sinodo per preparare il concilio di Reims. Con lei si consiglia anche papa Anastasio IV [il successore di Eugenio III] e altri sovrani tra i quali Enrico II di Inghilterra, e le famose donne dell’epoca come Irene imperatrice di Bisanzio ed Eleonora d’Aquitania.

   Ma l’importanza di Ildegarda, come abbiamo già sottolineato la scorsa settimana, sta nel fatto che a lei va riservato un posto di rilievo nello scenario della Filosofia scolastica [è ridicolo che, in quanto donna e in quanto monaca, sia stata relegata nel capitoletto delle cosiddette “visionarie”, così come è ridicolo che sia stato creato appositamente un capitoletto delle “visionarie” per recintare il pensiero femminile che ha un suo carattere specifico].

   Ildegarda, nello scenario della Filosofia scolastica del XII secolo, occupa di fatto un proprio “paesaggio intellettuale” perché dalla sua opera emerge un dato di grande contemporaneità che consiste nell’esigenza che le donne sentono di avere “la libertà di scrivere” perché la scrittura al femminile in campo teologico e filosofico si differenzia da quella maschile nella forma e nei contenuti e, quindi, porta [e bisognerebbe dire: avrebbe portato se la scrittura femminile non fosse rimasta ai margini] un contributo fondamentale alla Storia della Salvezza e a quella dell’Umanità perché, a questo proposito, sono due gli elementi più significativi che emergono nella scrittura femminile [strettamente aderenti alla Letteratura dei Vangeli]: il primo consiste nell’ammonimento a “preparare la pace piuttosto che la guerra” e il secondo consiste “nell’occuparsi della salute e della cura del corpo materiale”.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Vi è capitato di dover escogitare qualche stratagemma in modo da preparare il terreno per fare la pace con la persona con cui avevate litigato?…   

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Ildegarda conquista per le monache il diritto di scrivere e anche di predicare, in un momento in cui, per le donne, l’uso della scrittura, e anche della parola, è addirittura considerato un atto illecito, un gesto blasfemo, e Ildegarda può così spiegare, con la sua competenza dialettica, che il fenomeno visionario da cui è investita non è qualcosa di magico [c’è chi paventa che si tratti di una manifestazione diabolica] ma, invece, spiega Ildegarda, la “visione” è il frutto di un’attitudine: è il prodotto di una grande capacità di attenzione, maturata con lo studio, e rivolta a Dio, ed è un talento che le donne potrebbero avere se potessero sgravarsi dalla loro subalternità.

   Altro importante tema di carattere filosofico [poco approfondito, sul quale noi abbiamo riflettuto la scorsa settimana] di cui Ildegarda si occupa nei testi delle sue opere - nello Scivias [Conosci le vie] in particolare - è quello dell’essenza della libertà, un tema che risalta in molte Opere classiche e nel pensiero di Agostino, di Severino Boezio, di Anselmo d’Aosta]; difatti, attraverso il fenomeno visionario fa emergere due domande fondamentali: “dov’è il limite della libertà [in virtù di quale privilegio particolare gli uomini, in base al loro potere acquisito con la forza, sono liberi di stabilire le regole a loro piacimento] e come viene fissato questo limite [per quale motivo le donne non sono libere di determinare il loro destino]?”. A questi interrogativi Ildegarda risponde con grande prudenza [sa benissimo di rischiare una condanna] ma interviene con oculata praticità alludendo al fatto che “la presenza [l’essenza] della libertà” è direttamente legata alla possibilità che la persona ha di utilizzare la scrittura per “dare corpo alle proprie aspettative”.

   Qual è l’aspettativa di Ildegarda: che senso vuol dare alla sua vita? Ildegarda rivendica il modello di vita della clausura come l’unico che possa assicurare ad una donna la libertà. Questa idea, che può sembrare paradossale, è, nel territorio della Scolastica, un ulteriore apporto che Ildegarda dà sul piano filosofico perché questo contributo, che proviene da una riflessione di genere sulla condizione femminile, finisce per coinvolgere l’essere umano in generale: Ildegarda pensa che gli esseri umani siano costretti a vivere in una “condizione esistenziale” che la società repressiva [il sistema della servitù della gleba] rende simile allo stato di detenzione [il mondo è - per le donne in particolare - come se fosse una prigione e una cloaca]. Ildegarda riflette sul “tema della libertà” in un momento in cui lo stato di asservimento delle persone è generalizzato [ma non è un tema che continua ad essere di attualità questo?], e ragiona sul fatto che il “libero [l’individuo che può fare quello che vuole in forza del suo potere tanto feudale quanto ecclesiastico]” non è libero perché è “più soggetto alla schiavitù del peccato [è peccato - pensa Ildegarda - reprimere la libertà altrui per imporre con la forza il proprio dominio]”, e la persona “non libera” può non essere “non libera” e, in questo senso, la “clausura” è una di quelle strutture, forse l’unica in questo momento, che affranca dai molti vincoli che pesano sulle donne come macigni.

   Da questo ragionamento di Ildegarda nasce un interrogativo che, sotto traccia [perché parlare apertamente di “libertà” è pericoloso nel regime delle “servitù generalizzate”], stimola la riflessione: dov’è [si domanda esplicitamente Ildegarda] il limite della libertà e come viene fissato questo limite? Ildegarda spiega che la “scrittura” e il “fenomeno visionario” sono due attività profondamente collegate e dichiara esplicitamente che sono due attitudini rese operanti dallo studio e servono - governate in armonia - a garantire un’autonomia interiore che favorisce l’indipendenza dello Spirito che è l’antidoto necessario per dare comunque un senso alla propria vita quando la possibilità materiale di scegliere liberamente il proprio destino viene negata.

   Ildegarda è convinta del fatto che è “il diritto allo studio” a rendere le persone - le donne [e le monache] in particolare - più libere [e questo si presenta, a quasi novecento anni di distanza, come un tema di grande attualità]; Ildegarda, in proposito, comunica questa sua idea sempre in termini metaforici, sa bene che è pericoloso per una donna [per una monaca, poi, è pericolosissimo] parlare di “diritti” e, quindi, afferma [facendosi valere] che “lo scrivere è un dovere impostole da Dio al quale lei non si può sottrarre [lo farebbe volentieri perché prova dolore quando va in estasi]”, e riesce nel suo intento, riesce a creare il precedente e a far cadere il divieto su quello che lei ritiene lo strumento basilare per tracciare la via dell’emancipazione, perché è con la parola scritta “che si delineano le forme delle cose”, ed è con la parola scritta “che si fissano i limiti [le regole] della libertà”.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Tutti riconoscono che lo Stato ha diritto di porre dei limiti alla libertà delle cittadine e dei cittadini: secondo voi fino a che punto deve farlo?... Provate a scrivere alcune cose che, secondo voi, lo Stato ha il diritto di proibire e alcune cose che lo Stato non può proibire...

Quale di queste parole - indipendenza, emancipazione, autonomia, permesso, o quale altra – mettereste oggi per prima accanto alla parola “libertà”?... 

Scegliete e scrivete quattro righe in proposito...

 

   E, ora, dobbiamo finire di leggere la storia di Kulterer per continuare a dipanare, nel testo di questo racconto, gli intrecci filologici che legano Thomas Bernhard ad Ildegarda di Bingen.

 

LEGERE MULTUM….

Thomas Bernhard, Al limite boschivo

KULTERER

Il giorno del rilascio fu chiamato di buon’ora dal direttore. Doveva ringraziare il direttore della permanenza nel penitenziario, gli disse il sorvegliante che lo conduceva. «Sì, sì, lo so …» disse Kulterer. A lui, al sorvegliante, Kulterer sarebbe mancato. A volte il sorvegliante era stato brusco anche verso di lui, ma era stato necessario. Poteva, se voleva, fare colazione fuori di cella, disse il sorvegliante.

Ma Kulterer non volle. Davanti alla porta del direttore, che di solito si metteva alla scrivania già alle cinque, il sorvegliante si fermò. Come d’obbligo, doveva aspettare finché il carcerato uscisse dalla stanza del direttore, per ricondurlo in cella. «Così» disse il direttore, un omino con un soprabito, abbigliamento che non era né da giorno né da notte, in realtà una specie di giacca da camera militare, «così ora tocca a Lei!» Kulterer si era fermato lontano dal direttore; questi gli accennò di avvicinarsi con un movimento rapido e rigido del capo. «Dove ho messo il Suo incartamento?» disse il direttore.

... continua la lettura ...

 

   È probabile che Ildegarda non avrebbe scritto se non avesse fatto l’esperienza della clausura e anche lei [come Kulterer] pensa che “fuori dalla clausura avrebbe dovuto rinunciare alla libertà” e questa affermazione che sembra paradossale si basa, tuttavia, sul ragionamento che il «libero non è detto sia più libero del non libero» e questa constatazione ha la sua radice nella domanda: «Dov’è il limite della libertà e come viene fissato questo limite?», una domanda che nasce dalla consapevolezza che il “fare tutto ciò che si vuole” è un atteggiamento che non corrisponde propriamente ad uno stato di libertà ma è espressione di supponenza [alterigia, arroganza, prepotenza, tracotanza].             Ildegarda, dopo lunghi anni trascorsi nascondendo quanto le si manifestava, mira a rendere pubbliche le sue visioni che aveva già ordinato in un testo scritto, e il fenomeno visionario che la riguarda lo fa anche dipendere dal volere divino che si sarebbe palesato attraverso di lei per divulgare verità ignote. Ildegarda dichiara che a prendere la parola non è lei ma Qualcuno che la sovrasta, contro la cui potenza a nulla vale opporsi.

   Con Ildegarda ha inizio una significativa tradizione, quella della misteriosa “esperienza visionaria” che coinvolge molte donne, le quali hanno lasciato la loro impronta nella cultura medioevale presentandosi come semplici “recipienti dello Spirito Santo”, come  modesti “strumenti di Dio”. Come Ildegarda, senza differenze rilevanti, si comporteranno Matilde di Magdeburgo, Gertrude di Helfta, Angela da Foligno, Caterina da Siena, Brigitta di Svezia, Francesca Romana, Giuliana di Norwich, Teresa d’Avila, Maria Maddalena de’ Pazzi, Maria d’Agreda, tanto per fare alcuni nomi di una lunga schiera di donne che affermano di essere colte da visioni estatiche portatrici di messaggi in cui la parola divina vuole tornare ad essere quella delle origini. Tutte queste esperienze, a cominciare da quella di Ildegarda [e sull’esempio di Ildegarda] si sono svolte nell’ambito della tradizione ecclesiastica e nel rispetto dei dogmi prescritti e non hanno prodotto novità nei contenuti dottrinali. Le visioni di queste “mistiche” non dicono e non “rivelano” nulla di nuovo, raccontano quello che già è noto ma emerge un’esortazione comune che viene espressa con la frase: «Bisogna risalire al Vangelo», un ammonimento con il quale tutti non possono che essere d’accordo. Ma dal comportamento “rigidamente ortodosso” nell’uso dei contenuti si capisce quale sia l’intento delle “mistiche visionarie”: così facendo queste donne hanno come obiettivo non quello di cambiare la dottrina [che sarebbero state censurate e severamente perseguite] ma vogliono incidere sul piano formale perché desiderano che venga loro riconosciuta la “libertà di scrivere” perché la scrittura lascia una traccia indelebile e ne hanno capito la potenzialità. Capiscono che “la scrittura si conserva nel tempo” [voi conoscete un “pezzo” di scrittura molto antico?], capiscono che “la scrittura si trasmette a distanza” [voi avete scritto recentemente a qualcuno?], capiscono che “la scrittura permette di stabilire i tempi di lettura e non è sfuggente come il linguaggio orale” [voi state leggendo un libro in questi giorni?], capiscono che “la scrittura è un codice che richiede maggiore completezza rispetto all’oralità e quindi è un investimento in intelligenza ad alto reddito” [sapete che le strutture necessarie per dare significato al testo sono il verbo ed il soggetto che formano “l’enunciato minimo”: scrivete un verbo che vi piace e dategli un soggetto]. Le “mistiche visionarie” capiscono che la scrittura rappresenta “l’atto creativo” per eccellenza e vogliono partecipare a “dare un nome alle cose”, a nominare i molteplici oggetti in cui si manifesta il Mondo creato.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Abbiamo citato un elenco di personaggi femminili e alcune di queste figure le avete certamente sentite nominare e, volendo, potete [di una o due] approfondirne la conoscenza facendo una piccola ricerca utilizzando l’enciclopedia, la rete o la biblioteca...  

Chi vuole saperne di più in proposito può usufruire del saggio scritto dalla studiosa Ida Magli [nel 1995] intitolato “Storia laica delle donne religiose”: lo trovate in biblioteca e potete consultarlo

 

   Le donne appartenenti alla corrente mistica, in Età medioevale, rivendicano la “libertà di scrivere” perché questo “diritto” viene continuamente messo in discussione dalla componente ecclesiastica più conservatrice. Ildegarda riesce - con l’approvazione di Bernardo di Charavalle e di papa Eugenio III - ad ottenere il consenso per scrivere le sue opere [una serie di Trattati, di Commenti ai Vangeli, di Vite di Sante e di Santi, un Dramma e molti Inni liturgici in musica] ma viene continuamente attaccata dai fondamentalisti [che vogliono le monache solo addette ai servizi manuali e alla preghiera] e, quindi, si è trovata a dover continuamente aggirare un ostacolo: i conservatori strumentalizzavano il testo della Prima Lettera ai Corinti di Paolo di Tarso secondo cui “le donne erano tenute a tacere all’interno della comunità cristiana” e, di conseguenza, non potevano occuparsi attivamente di problemi che avessero a che fare con la teologia, ma Ildegarda in uno dei suoi Commenti ai Vangeli afferma correttamente che Paolo non vuole censurare le donne in generale - che nella Chiesa delle origini [come ricorda Paolo nella Lettera ai Romani] hanno anche accesso al diaconato - ma si scaglia contro le donne abbienti della comunità di Corinto che, accompagnate dai loro mariti che non erano da meno in quanto a superbia, davano il cattivo esempio con i loro comportamenti poco conformi alla carità.

   E, in proposito, Ildegarda, per contenere questi attacchi, ancora una volta fa una scelta molto oculata e ricca di ironia. Ildegarda, per tacitare i “rompiscatole”, sceglie un monaco di sua fiducia dell’attiguo monastero maschile e se lo fa assegnare dall’abate: questo monaco avrebbe dovuto giudicare il contenuto delle visioni e scriverle in latino perché Ildegarda sostiene mentendo di non conoscere, se non superficialmente, il latino. Dalle miniature contenute negli antichi manoscritti delle opere di Ildegarda [sono anche raffigurate in rete] si deduce che lei dapprima registrava le sue visioni - presumibilmente in volgare [germanico] - su tavolette di cera e poi il monaco che lei aveva scelto trascriveva gli appunti in latino su pergamena sotto il controllo di Ildegarda. Il monaco, sempre raffigurato nelle miniature vicino ad Ildegarda, si chiamava Volmar e diventa il suo intimo e fattivo collaboratore ma, oltre alla presenza di Volmar, bisogna ricordare quella della giovane religiosa Richardis, figlia dei marchesi di Stade, che nelle miniature compare sempre alle spalle di Ildegarda e che nella vita è stata la sua segretaria e la sua discepola amatissima.

   Ha sempre fatto discutere l’episodio dell’allontanamento di Richardis dall’abbazia di Disibodenberg [c’è chi vuole indagare a tutti i costi sulle preferenze sessuali di queste persone ma si tratta di un tema di secondo piano]; Richardis viene trasferita per volere della sua potente famiglia per cui contro la sua volontà viene mandata a dirigere il monastero di Bassum ma, di lì a poco, muore e Ildegarda soffre molto per questa dipartita e noi possiamo leggere, in proposito, un frammento significativo di una Lettera scritta da Ildegarda poco dopo il trasferimento di Richardis: «Perché mi hai abbandonata come un’orfana? Ho amato la nobiltà dei tuoi modi, la tua saggezza e la tua purezza, la tua anima e tutta la tua vita, al punto che molti dicevano: ma cosa fai? Adesso tutti quelli che provano una sofferenza simile alla mia piangono con me, tutti quelli che in cuor loro, nell’intimo dell’anima, hanno provato per amore di Dio affetto nei confronti di qualcuno, come io nei tuoi confronti, che d’improvviso sia stato loro strappato, come tu sei stata strappata a me. L’angelo di Dio cammini davanti a te e ti protegga il Figlio di Dio e la sua Madre ti custodisca. Ricordati della tua povera madre Ildegarda affinché non svanisca la tua felicità». In questa Lettera - noi ne abbiamo letto solo un frammento - si capisce il valore che hanno le esperienze di vita quotidiana trascorse in clausura lontano dallo sguardo inquisitore degli uomini, e si colgono le varie sfaccettature del carattere di Ildegarda che è non solo una “mistica visionaria” e una “studiosa osservatrice della natura” ma è anche competente nei saperi delle cose domestiche e degli affetti che sa esprimere  in modo profondamente umano e immediato.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quali sono le cose domestiche nelle quali siete più competenti?...  Oggi, per fortuna, anche gli uomini si distinguono in queste competenze [cucinare, rigovernare, lavare, stirare, fare le pulizie, fare la spesa e via dicendo]...    

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   L’attività di Ildegarda non si limita allo scrivere opere come lo Scivias [Conosci le vie] nella quale racconta e descrive le sue “visioni” in modo che queste si diffondano superando l’isolamento imposto dalla cinta claustrale, ma sappiamo che, forte del consenso [espresso prima da Bernardo di Chiaravalle e poi dai papi Eugenio III, Anastasio IV, Adriano IV, Alessandro III] Ildegarda - dopo che le sue pagine sono passate al vaglio dell’autorità pontificia durante il sinodo celebrato a Trèviri - decide di esercitare la sua influenza sugli eventi storici e, in proposito, il gesto più “rivoluzionario [ammesso che questo termine sia appropriato]” avviene quando decide, intorno al 1150, di traslocare e di far allontanare la comunità religiosa femminile di Disibodenberg, che lei governa, da quella maschile e si trasferisce con le sue monache in un nuovo convento che lei fonda a Rupertsberg, un sito alla confluenza tra il Reno e la Nahe, negli immediati pressi del piccolo porto fluviale di Bingen, da cui Ildegarda trae il nome con cui è passata alla storia. Ildegarda di Bingen è la prima badessa che manifesta l’esigenza di non essere sottomessa ad un abate: lei giustifica il fatto dicendo che i monasteri dovevano diffondersi sul territorio e, quindi, bisognava fondarne di nuovi, ma, in realtà, vuole rendere autonoma l’istituzione religiosa femminile.

   Molte sono le badesse che seguono l’esempio di Ildegarda ma voi capite che questa primavera non è potuta durare [e, quando si studia, questi avvenimenti vengono rimossi]: per farla breve, e per fare un passo avanti, il vento della repressione, nei decenni a venire, si abbatte sul “movimento delle badesse” e, a partite dal 1298, papa Bonifacio VIII [che sta nell’Inferno di Dante] impone regole rigidissime per la clausura delle religiose con un’enciclica intitolata Periculoso [c’è bisogno di tradurre questa parola per capirne il senso?].

   E, poi, dopo questo primo monastero Ildegarda ne fonda anche un altro, intorno al 1165, ad Eibingen, questa volta sulla sponda opposta del Reno, mentre un numero sempre crescente di pellegrine e pellegrini si mette in marcia per recarsi a consultare e a riverire la “mistica visionaria” ispirata da Dio, la quale, intanto, diventa - senza dare nessuna pubblicità a questo fatto ma tenendolo velato - una monaca che guarisce, non perché fa i miracoli [quando sente parlare di miracoli Ildegarda s’imbestialisce] ma perché si occupa materialmente dei corpi preparando e distribuendo “farmaci”, ed invita perentoriamente le persone che cura a considerare questi interventi di “medicamento” come dei semplici atti di carità verso gli esseri umani bisognosi di protezione, di tutela, di salvaguardia, di libertà.

   Al centro del pensiero di Ildegarda c’è sempre il tema della libertà: la “scrittura” rende più libere le persone recluse nella grande prigione dell’esistenza, e il “farmaco che cura [tanto realmente quanto psicologicamente]” può [potrebbe] liberare il corpo umano da quello stato di prigionia che è la malattia. Delle opere “farmacologiche” di Ildegarda e della sua attività di “curatrice”, che l’hanno resa celebre tra il popolo minuto, ce ne occuperemo la prossima settimana.

   E, ora, prima di concludere e a proposito di malattie, non possiamo non occuparci delle disavventure dei nostri compagni di viaggio Millemosche, Pannocchia e Carestia, e dobbiamo constatare che, per quanto riguarda Millemosche, la malattia - lo spauracchio di una malattia come la lebbra – diventa per lui un pretesto per liberarsi con eleganza da una situazione dalla quale vuole fuggire. Probabilmente ricordate che Millemosche ha deciso di lasciare Menegota - la donna con la quale stava convivendo - per tornare a vagare insieme a Pannocchia e Carestia: per allontanarsi da lei, senza scappare come un ladro, inventa, su consiglio dei suoi due compagni, di fingersi malato di lebbra, ma non sa cosa lo aspetta. Leggiamo.

 

LEGERE MULTUM….

Tonino Guerra  Luigi Malerba,  Storie dell’anno Mille

SEMPRE CAVALIERE

Millemosche entra nella baracca di Menegota traballando sulle gambe come se fosse molto debole e ha una faccia gialla come la polenta. A una caviglia porta legato un campanaccio di quelli che si mettono al collo delle vacche. Fa un passo dentro la stanza senza richiudere la porta, poi alza la gamba e la muove in aria facendo risuonare il campanaccio. Menegota lo guarda piena di sorpresa e vorrebbe andargli vicino ma Millemosche la ferma con la mano. «Sta indietro!».

«Che cosa ti è successo?».

«È successo che ho preso la lebbra. Adesso non voglio attaccarla anche a te e allora ho deciso di partire».

... continua la lettura ...

 

   Il grande fiume su cui, involontariamente, sta cavalcando Millemosche, seguìto a fatica da Pannocchia e Carestia, potrebbe essere il Reno: il fiume di Ildegarda di Bingen.

   Nel 1227, quasi cinquant’anni dalla morte di Ildegarda, per i numerosi miracoli a lei attribuiti, il monastero di Rupertsberg invia a Roma la domanda per la sua canonizzazione, e il papa Gregorio IX, Ugolino dei Conti di Segni, incarica i prelati di Magonza di esaminare vita e opere della candidata: questi si mettono all’opera e dopo aver raccolto una voluminosa documentazione, nel 1233, la inviano a Roma, dove però viene messa da parte, viene archiviata, perché il papa e la curia sono impegnati a litigare con l’imperatore Federico II di Svevia, sicché Ildegarda ha dovuto aspettare il papa tedesco Benedetto XVI per essere presa in considerazione ma il suo nome, nel Seicento, era già stato inserito all’interno del calendario ecclesiastico.

   Ci sono quasi mille pagine di Documenti che testimoniano la “santità” di Ildegarda di Bingen ma fra le opere che, a suo tempo nel 1233, sono state inviate a Roma non figurano i due libri - rimasti celati nella biblioteca del monastero di Rupertsberg, intitolati Physica [Fisica] e Causae et curae [Cause e cure delle infermità] - ai quali è legata la fama di Ildegarda come “curatrice”, amata e venerata dalle persone più povere, più umili, più bisognose di cui Ildegarda si è sempre occupata. Perché i prelati di Magonza, nel 1233, non hanno inviato a Roma questi testi? Perché li hanno considerati: Libri scandalosi? Questo significa che impegnarsi per curare le malattie, per alleviare le sofferenze umane, è una cosa scandalosa: sarebbe un ostacolo alla santità? Il Santo è taumaturgo solo se fa i miracoli? E Ildegarda s’imbestialisce quando sente parlare di miracoli.

   Per rispondere a queste domande, dobbiamo continuare a camminare sulla via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale - sulle rive del Reno - con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non si deve mai perdere la volontà d’imparare: studium e cura” [ci ricorda Ildegarda] sono sinonimi

   Il viaggio continua, la Scuola è qui…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Febbraio 20, 2015