Autorizzazione all'uso dei cookies

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DEL PERCORSO DI STUDIO ...

Lezione N.: 
1

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica del ‘600 agli esordi della scienza    11-12-13  ottobre  2017

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ESORDI DELLA SCIENZA

SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA

CON LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DEL PERCORSO DI STUDIO ...

     Ben tornate e ben tornati a Scuola, ben venute e ben venuti a Scuola! Ben tornate alle persone che sono in viaggio sulla via dell’Apprendimento permanente da uno, due, cinque, dieci, venti, trent’anni, e un ben venuto alle persone che muovono i primi passi sugli impervi sentieri di questa esperienza didattica che dal 1° ottobre 1984 [e quindi questo è il 34° viaggio di studio in partenza] opera nell’ambito della Scuola pubblica degli Adulti.

     Per poter essere a servizio della Scuola pubblica degli Adulti - soprattutto per poter chiedere l’utilizzo di due edifici scolastici [nel Comune di Bagno a Ripoli e nel Comune di Impruneta] e dello spazio-soci della Coop. di Ponte a Greve [a Firenze] - è stato necessario costituire il 23 marzo 2016 un’Associazione che si chiama Articolo 34 - La scuola è aperta a tutti e, quindi, occorre in partenza riempire il modulo che avete ricevuto [è una semplice formalità burocratica necessaria] sapendo che questo documento di autocertificazione corrisponde alla domanda d’iscrizione a questo Percorso didattico perché l’obiettivo dell’Associazione, come dice lo Statuto, è lo stesso che dovrebbe avere la Scuola pubblica degli Adulti: quello di operare per promuovere una Campagna di Alfabetizzazione funzionale e culturale perché non c’è cultura senza Alfabetizzazione [e “senza Alfabeto non c’è democrazia” si legge nei documenti dell’UNESCO dal 1948], e noi aggiungiamo che non c’è cultura senza Alfabetofanìa cioè senza “un’attività di Alfabetizzazione che si manifesta [fanòs, in greco, è “ciò che si manifesta”] concretamente” per attivare le funzioni adatte a stimolare le azioni dell’apprendimento.

     Non c’è cultura senza Alfabetizzazione, e questo perché, come sapete, la parola “cultura” deriva dal verbo “coltivare” per cui il significato di questo termine è legato alla coltivazione delle competenze che servono per imparare: la cultura non è una cosa ma è un modo di fare le cose, quindi, è “l’attività che rende proficuo l’esercizio dell’apprendimento”, di conseguenza quando si parla di “attività culturali” [leggere un libro, frequentare la biblioteca, visitare un museo, vedere una mostra, andare a teatro, osservare i monumenti di una città, osservare il cielo e via dicendo] si parla di cultura in senso lato in quanto è cultura “il saper utilizzare in modo efficiente le azioni dell’apprendimento per rendere efficaci queste attività tanto da tradurle in un investimento in intelligenza” [in un procedimento che faccia fruttare la volontà di imparare che ogni persona possiede].

     Alla fine del mese di maggio [sono passati circa quattro mesi] siamo uscite e usciti dalla Cappella Sistina avendo imparato che la parola-chiave “autonomia” caratterizza l’Età moderna ma, soprattutto, abbiamo capito, tramite il pensiero di tutti i personaggi che abbiamo incontrato in epoca rinascimentale, che la persona, per essere autonoma, deve conoscere i propri limiti ed è per questo che la filosofia rinascimentale definisce la cultura come “un viaggio senza fine che la persona compie alla scoperta della propria ignoranza” perché l’ignoranza, come continua a insegnarci Socrate attraverso i Dialoghi di Platone, ha in sé qualcosa di “dotto” [La dotta ignoranza è il titolo di un’opera scritta da Nicola Cusano nel 1449 che abbiamo incontrato qualche anno fa]: l’ignoranza ha in sé qualcosa di “dotto” nel momento in cui indirizza la persona verso lo studio e, quindi, “l’ignoranza” [Monna ignorantia è dottrina dotta... scrive Michelangelo] è il requisito più idoneo per garantire la conoscenza perché costituisce il presupposto su cui si basa la nostra possibilità di imparare. L’ignoranza “consapevole” [umile, responsabile, diligente e coscienziosa] è un’opportunità attraverso la quale la persona si predispone all’apprendimento per imparare a imparare [e questo è il motivo per cui si frequenta la Scuola, quello di “imparare a imparare”] perché, come ben sapete, piuttosto che avere una testa “ben piena” è bene [come scrive Michel de Montaigne nei suoi Saggi] avere una testa “ben fatta” e, quindi, il termine “ignoranza” va inteso non come un deprezzamento del conoscere [come un elemento utilizzato spesso dai sistemi di potere per comandare indisturbati] ma come una garanzia per apprendere e, quindi, riflettiamo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di questi termini - patrimonio di conoscenze, istruzione, sapere, scienza, erudizione, preparazione, bagaglio di nozioni, formazione intellettuale, esperienza spirituale, esperienza artistica, o quale altro ... - scegliereste per primo in relazione alla parola “scuola”?...

Basta una riga per rispondere, scrivetela...

     Ebbene, lode a voi qui presenti che animate la Scuola pubblica degli Adulti perché siete consapevoli di dover esercitare il vostro diritto-dovere di cittadinanza attiva [che in questo caso consiste nell’applicare l’articolo 34 della Costituzione che dice La Scuola è aperta a tutti] e per questo promuoviamo un nuovo viaggio di studio perché “studiare” è un’attività da praticare quotidianamente durante tutto l’arco della vita per curare, in primo luogo, “l’apprendimento delle virtù” perché non si studia [scrive Seneca nelle Lettere a Lucilio] solo per sapere tante cose ma per comprendere che possiamo fare qualcosa di buono, di bello e di giusto per noi e per gli altri.

     “Lo studio” in tutte le sue forme è, come ben sappiamo, un’attività a volte vietata, a volte negata, dalla quale spesso la persona viene distolta per essere indirizzata verso forme di addestramento, quindi, “lo studio” è un’attività poco diffusa nella popolazione mondiale [e l’Italia in questo non si distingue], il fatto è che poco studio si traduce in poca cura e poca cura corrisponde a poca adesione ai valori della Storia del Pensiero Umano [che sono ben identificati nelle opere di tutte le tradizioni di Pensiero]: l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà, la misericordia [le parole-chiave dell’Umanesimo, le parole-cardine su cui si fonda la Filosofia del Rinascimento che abbiamo studiato nell’ultimo viaggio che abbiamo compiuto].

     Sulla scia di queste idee stiamo per intraprendere un Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura che si presenta come un viaggio di studio e, come sapete, qualsiasi viaggio reale o metaforico che sia ha inizio con la partenza, e la partenza per un viaggio [la preparazione e il momento stesso del partire] corrisponde sempre a un “rito”.

     E il tradizionale “rituale della partenza” si ripete ogni anno e, come ben sapete, i rituali, in quanto ripetitivi, finiscono spesso per essere noiosi, ma sono insostituibili. Il “rituale della partenza” è, nel nostro caso, prima di tutto una presa d’atto che consiste nel conoscere la “natura didattica” e gli “obiettivi formativi” del Percorso che stiamo per intraprendere: è sconsigliabile, soprattutto per quanto riguarda un viaggio di studio [funzionale all’esercizio della lettura e della scrittura], partire senza sapere dove andare [cioè dobbiamo conoscere i motivi per cui stiamo frequentando la Scuola].

     La conoscenza della “natura didattica” e degli “obiettivi formativi” di un Percorso scolastico non riguarda tanto “i contenuti” [anche se i contenuti, le cose da sapere, hanno la loro importanza come vedremo], ma si riferisce soprattutto alla “forma” perché dobbiamo essere consapevoli, come abbiamo ribadito poco fa, di come si configura lo straordinario esercizio dell’Apprendimento: dobbiamo imparare a conoscere “il modo in cui impariamo” perché il compito primario della Scuola è quello di occuparsi di “coltura”, da cui deriva il termine “cultura” [la cultura è una coltura], e la Scuola si frequenta ad ogni età per “imparare a imparare” perché, come dice l’incipit della Metafisica di Aristotele, “la persona  è attratta permanentemente dal desiderio di conoscere” [e questo è il principale motivo che dà un senso alla vita degli esseri umani].

     Per quale motivo, quindi, dobbiamo, frequentare la Scuola? Se è utile frequentare la Scuola per “imparare ad apprendere” dobbiamo, prima di tutto, sapere come si sviluppa il processo di apprendimento per poterlo gestire in modo autonomo [e il termine “autonomia” è la parola-chiave dell’Età moderna e l’autonomia ha un suo peso].

     L’Apprendimento [l’attività dell’imparare] si sviluppa [già lo sapete ma le cose ripetute giovano all’apprendimento, repetita iuvant] attraverso sei azioni privilegiate - conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare - che non agiscono in ordinata successione come, in modo funzionale, le abbiamo elencate ora, ma operano, insieme alla memoria, attraverso una serie di rapporti simultanei condizionati da vari fattori. Alle dipendenze di queste “sei azioni cognitive principali” ci sono, per corroborarne l’efficienza, altre quaranta azioni conseguenti [le azioni cognitive sussidiarie]: il buon funzionamento delle azioni cognitive, soprattutto delle principali da cui le sussidiarie dipendono, contribuisce a fare di ciascuna e di ciascuno di noi una “persona intelligente” [e bisogna, bisognerebbe, rimuovere gli ostacoli che non permettono un buon funzionamento delle azioni cognitive].

     Di conseguenza ogni itinerario di Alfabetizzazione [ogni Lezione] deve corrispondere ad un “ragionamento progressivo” mediante il quale ci si possa esercitare, con la maggior consapevolezza possibile, ad attivare le azioni cognitive cominciando dalle principali, quindi si viene a Scuola per imparare a conoscere, a capire, ad applicare, ad analizzare, a sintetizzare e a valutare.

     Quando si entra nel sistema [nell’Officina] dell’Apprendimento permanente, piuttosto che farsi interrogare, ci si deve interrogare, e bisogna domandarsi: per investire in intelligenza [per dedicarsi allo studio: ricordando che studium e cura in latino sono sinonimi] che cosa è utile “conoscere”, che cosa è necessario “capire”, come ci si deve “applicare”, e che cosa significa sul piano dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale “analizzare”, “sintetizzare” e “valutare”?

     * Per investire in intelligenza è necessario “conoscere” le parole-chiave della Storia del Pensiero Umano, e nel corso del viaggio dello scorso anno scolastico abbiamo conosciuto un ampio catalogo di parole-chiave [una quarantina di termini importanti sui quali a fine Percorso, mediante un questionario, avete operato delle scelte che verranno rese note prossimamente].

     * Per investire in intelligenza è necessario “capire” le idee-cardine della Storia del Pensiero Umano e, al termine del viaggio dello scorso anno scolastico, abbiamo compreso come l’idea di “autonomia” abbia influenzato il modo di pensare agli albori dell’Età moderna [con riferimento all’Arte, alla Politica, al Vangelo, alla Morale, alla Coscienza, all’Indipendenza dei popoli] e da questa idea tra poco riprenderemo il passo.

     * Per investire in intelligenza è necessario “applicarsi” costantemente nell’esercizio della lettura [quattro pagine al giorno per dieci minuti al giorno, in latino diciamo LEGERE MULTUM… che significa leggere poco ma costantemente e con la massima attenzione] e nell’esercizio della scrittura [quattro righe al giorno]: si legge e si scrive per dare fluidità al processo di apprendimento [e, ancora una volta, ma i rituali sono ripetitivi, ricordiamo che cosa scrive Rita Levi Montalcini: «La lettura di almeno quattro pagine giornaliere di buona Letteratura e la scrittura di almeno quattro righe contenenti un pensiero autobiografico sono esercizi che preservano l’elasticità dei neuroni, le cellule del cervello, contribuendo al mantenimento della salute della persona»]. “Leggere e scrivere” sono, come ben sapete, due attività  fortemente trascurate dalla stragrande maggioranza delle cittadine e dei cittadini del nostro Paese [sono poche le persone adulte - nella fascia tra i 18 e i 65 anni - che si dedicano costantemente a leggere, il 13%, e a scrivere, l’11%].

     * Per investire in intelligenza è necessario “analizzare”, cioè catalogare, mettere in ordine i pensieri che si formano nella nostra mente quando entriamo in contatto con le parole-chiave e con le idee-cardine contenute nei “paesaggi intellettuali” della Storia del Pensiero Umano [è necessario imparare a fare ordine perché la nostra mente produce pensieri a ciclo continuo e bisogna, oggi più che mai, evitare la confusione mentale].

     * Per investire in intelligenza è necessario “sintetizzare”, cioè scrivere uno dei pensieri che si sono formati nella nostra mente facendo l’analisi, quello che ci sembra più significativo: quattro righe scritte [per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare] rappresentano l’oggetto [le parole scritte sono cose] in cui si concretizza la nostra attività intellettuale.

     * Per investire in intelligenza infine è necessario “valutare”, e valutare significa “essere consapevoli” di sovrintendere all’iter del nostro percorso di apprendimento. Ciascuna e ciascuno di noi, itinerario dopo itinerario, deve domandarsi: quante parole-chiave ho conosciuto, quante idee-significative ho capito, quanti pensieri ha catalogato la mia mente, quale testo ho scritto?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale ordine di importanza - secondo le vostre esigenze - elenchereste questi obiettivi: conoscere le parole-chiave, capire le idee significative, applicarsi nella lettura, analizzare i propri pensieri, sintetizzare un pensiero scrivendolo, valutare il proprio apprendimento?...

Non rinunciate a scrivere il vostro parere in proposito che serve per tenere il passo sull’itinerario dell’apprendimento...

     Avete in mano e sotto gli occhi un fascicolo intitolato REPERTORIO E TRAMA ...  che è lo strumento che ci consente [e, in questo momento, state facendo questo esercizio] di orientarci meglio sul nostro cammino [per favorire l’azione del conoscere e del capire] e, inoltre, ci propone un compito, per favorire l’azione dell’applicarci nell’uso dell’analisi, della sintesi e della valutazione.

     E, a questo proposito, in relazione a questo oggetto cartaceo che deve essere stampato, è necessario fare il punto sull’autofinanziamento di questa impresa: dobbiamo sostenere una spesa di circa 3800 €. Perché? Riceverete circa 300 pagine di REPERTORIO E TRAMA ... e questo materiale viene fotocopiato presso la Scuola “Francesco Redi” di Bagno a Ripoli alla quale dobbiamo versare un contributo di 1600 €. [è prevista una produzione di circa 80.000 pagine!].  Inoltre il gruppo fiorentino è ospite dello Spazio-Soci della Coop. di Ponte a Greve e, per contraccambiare con un gesto di solidarietà, prevediamo di versare all’Associazione “Il cuore di scioglie” un contributo di 900 €., e poi, sempre per solidarietà, prevediamo di versare all’Associazione AISLA di Firenze, che si occupa degli ammalati di Sclerosi Laterale Amiotrofica, un contributo di 600 €. Inoltre l’Associazione Articolo 34 deve obbligatoriamente stipulare un’Assicurazione con un costo di circa 700 €. Come coprire queste spese? Per coprire queste spese è necessario [è un contributo volontario ma necessario] fare una donazione di 15 €. che non copre interamente le spese però la copertura può avvenire se ogni settimana mettete “uno spicciolo” in questo apposito contenitore: con questi gesti abbiamo sempre concluso i nostri viaggi senza lasciare debiti e in attivo.

     Il primo atto del “rituale della partenza” - che riguarda la presentazione degli obiettivi del nostro viaggio - è terminato. Nel secondo atto, di solito, proprio perché il nostro Percorso è orientato verso la didattica della lettura e della scrittura, in partenza ci dedichiamo a leggere il testo di un’opera che serve per prepararci a prendere il passo. In questi ultimi anni, durante il primo itinerario, abbiamo letto un’opera intera, solitamente un romanzo molto breve, ma quest’anno dobbiamo cambiare strategia: perché dobbiamo cambiare strategia? Perché la lettura di questa sera si riduce a un’ottava di un poema? Per rispondere a questo interrogativo dobbiamo imbastire una riflessione [piuttosto movimentata, se così si può dire] e allora continuiamo a celebrare il ripetitivo ma inevitabile “rituale della partenza”.

     Come abbiamo già ricordato sappiamo che [e lo abbiamo studiato durante il viaggio dello scorso anno scolastico] le principali Opere che sono state composte nel corso del Rinascimento hanno messo in risalto una parola-chiave, il termine che determina l’inizio e lo sviluppo delle idee dell’Età moderna, la parola “autonomia”, e questo termine caratterizza, già dalla partenza, anche il viaggio di quest’anno, in che modo?

     Lorenzo Valla, il grande umanista romano di famiglia piacentina fondatore della moderna disciplina filologica che abbiamo incontrato nel viaggio di due anni fa, ci spiega dal 1449 che la parola greca “autonomia” è composta da due termini significativi: “autós [da se stesso, da se stessa]” e “nómos [la regola, la legge]” come dire che “una persona è autonoma quando è in grado, da se stessa, di darsi una regola di vita” e, quindi [pensano Lorenzo Valla e Giorgio Vasari, un personaggio noto a tutte e a tutti voi], la persona deve acquisire gli strumenti necessari per raggiungere questo obiettivo [per darsi, da se stessa, una regola di vita] e, di conseguenza, sulla scia di questa riflessione filologica compare la parola “studio”, e non c’è autonomia senza studio.

     Il concetto di “autonomia” si traduce, secondo il pensiero rinascimentale, nella capacità di investire in intelligenza, un’attitudine che ciascuna persona deve acquisire facendo funzionare in modo efficiente le azioni proprie dell’apprendimento [conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare] e, quindi, sulla scia di questo ragionamento pedagogico, compare la parola “scuola” e, di conseguenza, se c’è scuola c’è studio e se c’è studio c’è autonomia. Prepariamoci a partire seguendo il filo della parola “autonomia”.

     Abbiamo terminato il viaggio precedente dicendo che l’Età moderna ha inizio nel momento in cui emerge, in modo esplicito, nelle Opere della Storia del Pensiero Umano il concetto di “autonomia”, e le origini dell’Età moderna, secondo un’ottica di natura filologica sono state collocate dalle studiose e dagli studiosi nell’arco di sei anni - dal 1512 al 1517 - in ragione della pubblicazione di una serie di Opere che abbiamo incontrato e studiato nel corso dell’ultimo viaggio che abbiamo fatto sul territorio del Rinascimento agli albori dell’Età moderna. Tra queste Opere c’è anche l’affresco del soffitto della Cappella Sistina e, come sapete, c’è una corrente di pensiero che considera la data del 31 ottobre 1512 [il giorno dell’inaugurazione dell’affresco della Volta Sistina] come l’inizio dell’Età moderna in cui si proclama l’idea dell’autonomia dell’Arte [il pensiero delle artiste e degli artisti deve essere autonomo rispetto alla volontà, di solito auto-celebrativa, dei committenti].

     Poi nel 1513 Niccolò Machiavelli pubblica Il Principe un’opera nella quale emergono i concetti su cui si basa la concezione dello Stato moderno come “regolatore pubblico” degli interessi privati e dell’autonomia della Politica, una disciplina che non può essere succube degli apparati ideologici ma deve avere le sue regole finalizzate al raggiungimento del bene comune.

     Nel 1514 sull’isola di Hispaniola, l’odierna Haiti, il frate domenicano Bartolomé de Las Casas, che governa la colonia in nome del re di Spagna, durante la predica del giorno di Pasqua, fa l’esegesi di alcuni versetti del Libro del Siracide e,  liberando gli schiavi indigeni sfruttati nelle piantagioni della corona spagnola, dà il primo impulso  alla “teologia della liberazione”, una disciplina che contiene un messaggio che proclama l’autonomia dei Popoli oppressi dagli Stati colonialisti.

     Poi nel 1515 Erasmo da Rotterdam pubblica gli Adagia [una straordinaria raccolta di motti, di sentenze, di proverbi] e in quest’opera l’autore mette in evidenza l’autonomia del Vangelo rispetto al Diritto romano perché la Letteratura evangelica, per non perdere il suo slancio propulsivo non deve essere subordinata [come avviene dal tempo di Costantino, dal 325] alla Legislazione dell’impero romano.

     Nel 1516 Tommaso Moro pubblica Utopia, un’opera in cui immagina un mondo in cui vengono rispettati i diritti inviolabili che devono essere garantiti a ogni persona per effetto dell’autonomia della Morale che si basa sul principio della “humanitas”.

     Nel 1517 il 31 ottobre Martin Lutero affigge sulla porta della cattedrale di Wittenberg Le 95 Tesi per dimostrare l’inefficacia delle indulgenze in nome dell’autonomia della Coscienza della singola persona di fronte a Dio.

     E ora alla lista di questi temi [l’autonomia dell’Arte, l’autonomia della Politica, l’autonomia dei Popoli oppressi, l’autonomia del Vangelo, l’autonomia della Morale, l’autonomia della Coscienza, temi che abbiamo studiato durante il viaggio dello scorso anno] ne dobbiamo aggiungere un altro, legato a un avvenimento che, sulla scia del concetto di “autonomia”, dobbiamo prendere in considerazione adesso [nel celebrare il secondo atto del tradizionale rituale della partenza]: si tratta di un importante evento editoriale del quale lo scorso anno è stato celebrato il cinquecentesimo anniversario con una serie di manifestazioni.

     Nel 1516 è stata stampata a Ferrara nella tipografia di Giovanni Mazzocco di Bondeno la prima edizione [di un’opera della quale tutte e tutti voi conoscete l’esistenza] del poema Orlando furioso di Ludovico Ariosto, e sono tante le domande che ci possiamo fare in questo momento [su quest’opera, sulle sue fonti, sul suo autore] ma, soprattutto, una domanda sorge spontanea: che cosa ha a che fare il concetto di “autonomia” con quest’opera, concetto che la fa entrare nel novero delle Opere che determinano l’inizio dell’Età moderna?

     Il poema Orlando furioso di Ludovico Ariosto ha a che fare con il tema dell’autonomia della Lingua, della Lingua italiana del ‘500, e in che modo il concetto di “autonomia” stabilisce un rapporto con quel complesso dispositivo che è una Lingua? Una Lingua parlata e scritta, per essere utile [per poter assicurare la comunicazione], deve potersi garantire l’autonomia cioè è necessario sia in possesso di un catalogo di regole che ne possano tutelare il corretto funzionamento [sappiamo che l’autonomia si sviluppa liberamente solo nel rispetto di regole condivise] e Ludovico Ariosto non vuole solo scrivere un poema in ottave per far divertire le lettrici e i lettori del suo tempo ma vuole comporre un testo secondo un sistema di regole semantiche, grammaticali e sintattiche che possano dare la maggior autonomia possibile all’apparato linguistico della sua epoca, dell’epoca moderna. E la Lingua “moderna” del poema Orlando furioso rivela la sua autonomia perché ha mantenuto un alto tasso di comprensibilità anche a distanza di 500 anni, ma sulla [cosiddetta] “questione della Lingua” dobbiamo prossimamente riflettere ancora.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La conoscenza delle Lingue [a cominciare dalla nostra Lingua madre] rende [o dovrebbe rendere] più autonome le persone: voi quante Lingue o Dialetti [anche i Dialetti sono Lingue] conoscete?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     E allora? Questo significa che noi ora leggeremo l’Orlando furioso? Per leggere il testo dei 46 canti di cui [dalla terza edizione, quella del 1532] si compone l’Orlando furioso ci vorrebbero almeno due dei nostri viaggi e forse non basterebbero neppure, però non ci lasceremo adesso scappare l’occasione di fare “un assaggio della Lingua dell’Ariosto” [e tra l’assaggiare e il non assaggiare c’è una differenza sostanziale!]. Noi leggeremo quasi tutte le ottave del primo canto dell’Orlando furioso [un esercizio che, nonostante possa sembrare riduttivo, non è da poco] e lo leggeremo per dare l’avvio a un’esperienza che ciascuna e ciascuno di noi può [volendo] continuare a fare per proprio conto [in autonomia e con l’ausilio di tutta una serie di strumenti utili per poter svolgere questo esercizio]. Perché ci vuole tanto tempo [sarebbero necessari almeno cinquanta itinerari occupandoci solo di questo tema] per leggere l’Orlando furioso se, come abbiamo detto, la Lingua “moderna” di questo poema contiene un alto tasso di comprensibilità anche a distanza di 500 anni? Per rispondere dobbiamo procedere facendo un ragionamento progressivo [anche perché, secondo il rituale della partenza che stiamo celebrando, vogliamo attivare le azioni dell’Apprendimento prima di prendere il passo] e il nostro ragionamento non può che iniziare con la lettura dell’incipit del Canto I [che è anche il famosissimo incipit del poema] nel quale l’autore fa l’elenco dei temi che vuole cantare: “Io canto [scrive l’Ariosto] le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese …” e immagino che molte e molti di voi conoscano a memoria la prima ottava dell’Orlando furioso, ebbene, leggiamola, è un frammento che vale come un’opera intera.

LEGERE MULTUM….

Ludovico Ariosto, Orlando furioso  I 1

1.  Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori

le cortesie, l’audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l’ire e i giovenil furori

d’Agramante lor re, che si diè vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.

     Il significato di tutte le parole di questa ottava ci risulta comprensibile, ed è proprio il concetto di autonomia della Lingua che apre le porte alla comprensione [in virtù anche di una serie di regole grammaticali e sintattiche che sappiamo applicare per esperienza] e, quindi, proprio perché “capiamo il senso di ciò che abbiamo letto” ci rendiamo anche conto di non avere un quadro esaustivo sulla comprensione di questo testo: io, per lo meno, non ho afferrato proprio tutto e mi faccio delle domande in linea con il fatto che [come abbiamo detto poco fa] “la cultura è un viaggio permanente dentro la propria ignoranza”.

     Per esempio, ho riconosciuto in alcune parole la qualifica grammaticale di “nomi propri di persona” [come: i Mori, ma soprattutto Agramante e Troiano] e, contemporaneamente, ho compreso che nella mia mente questi nomi sono termini vuoti [forse una volta, da studente, ho anche saputo chi fossero questi personaggi, ma poi l’ho dimenticato perché, per fortuna, il nostro cervello ha la capacità di obliare, e se funzionasse come un registratore impazziremmo dopo pochi minuti]: chi sono i Mori che passarono d’Africa il mare e in Francia provocarono tanti danni? E il re Agramante, chi è? Se ben ricordo,  mi pare che Agramante sia un personaggio che sta in un poema precedente. E chi è Troiano che Agramante vuole vendicare? Poi posso immaginare che [per via della dicitura “imperator romano”] “re Carlo” sia Carlo Magno, e di lui so qualcosa: so che è diventato imperatore del Sacro Romano impero a Natale dell’anno 800 ma so anche [perché qualche nozione alberga nella mia mente da un viaggio precedente] che un’invasione dall’Africa verso la Francia c’è stata al tempo di Carlo Martello [il nonno di Carlo Magno che ha sconfitto gli Arabi a Poitier nel 732] più di mezzo secolo prima e, dunque, il tempo storico di Carlo Magno non è questo, e allora in quale tipo di tempo si colloca questa celeberrima ottava composta da Ludovico Ariosto? Probabilmente si colloca in una dimensione che possiamo definire “tempo poetico”, e “il tempo poetico” [viene da chiedersi] ha una sua autonomia e, se la possiede, da che cosa dipende questa autonomia?

     Il concetto di autonomia della Lingua, con il suo apparato di regole, ci fa capire in primo luogo che “sappiamo di non sapere” e che dobbiamo avvalerci delle sei principali azioni dell’apprendimento [delle quali conosciamo le funzioni] per incamminarci sulla strada della ricerca. E sappiamo che, a suo tempo, la stessa operazione l’ha fatta l’autore del poema di cui abbiamo letto l’incipit e, di conseguenza, non possiamo occuparci dell’Orlando furioso senza, prima, aver incontrato il suo autore [sarebbe scorretto tanto sul piano didattico quanto sul piano della “cortesia” che è un termine gradito a Ludovico Ariosto]. Chi è Ludovico Ariosto [il primo personaggio che incontriamo in questo viaggio, il primo personaggio invitato a celebrare insieme a noi il rituale della partenza]?

     La vita e l’opera di Ludovico Ariosto è strettamente legata [anche se non vi è nato] alla città di Ferrara e alla corte ferrarese degli Estensi che, all’inizio del ‘500, è una straordinaria fucina di esperienze letterarie soprattutto nel campo della poesia narrativa e del teatro, e penso in questo momento che tutte e tutti voi abbiate visitato questa città: Ferrara.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida dell’Emilia-Romagna e navigando in rete fate una visita a Ferrara, una città che [strada facendo] frequenteremo in chiave letteraria

     Ludovico Ariosto è nato a Reggio Emilia nel 1474. Suo padre, Niccolò, membro della nobile famiglia degli Ariosti, è un funzionario a servizio del duca Ercole I d’Este che gli affida importanti incarichi amministrativi e militari a Reggio, a Rovigo, a Ferrara, a Modena, in anni [agli albori dell’Età moderna, all’inizio del ‘500] che sono critici tanto per lo Stato degli Estensi quanto per tutte le entità statali presenti sul territorio italiano insidiate nella loro autonomia dalla Francia e dalla Spagna. Ludovico però trascorre serenamente la fanciullezza e la giovinezza abitando quasi sempre a Ferrara con sua madre, Daria Malaguzzi Valeri, nobildonna di Reggio, in una numerosa famiglia [Ludovico è il primo di dieci tra fratelli e sorelle].

     Nel 1489, dopo aver studiato con vari precettori, Ludovico viene avviato da suo padre agli studi giuridici ma ben presto li abbandona per seguire la vocazione letteraria e stringe amicizia con altri giovani letterati [Alberto Pio, Ercole Strozzi e suo cugino Pandolfo Ariosto] con i quali segue le Lezioni dell’umanista [il monaco agostiniano] Gregorio da Spoleto che lo indirizza alla conoscenza dei classici greci e latini. Nel frattempo, segue anche gli studi di filosofia presso l’Università di Ferrara appassionandosi alla poesia in volgare e, in modo speciale, alle opere di Francesco Petrarca, in particolare è affascinato dal Canzoniere [opera che abbiamo studiato anche noi a suo tempo, nel corso del viaggio del 2015-2016 quando durante il periodo della “fioritura dell’autunno del Medioevo” si è sviluppato l’Umanesimo ].

     Nel 1493, per le competenze che ha acquisito, Ludovico viene assunto nel gruppo degli organizzatori degli spettacoli teatrali alla corte estense e nel 1498 lo si trova nell’elenco degli stipendiati di corte. Comincia a fare le sue prime prove poetiche dedicandosi dapprima alla lirica latina e poi a quella in volgare, stimolato anche dalla presenza in quegli anni a Ferrara di Pietro Bembo con il quale stringe amicizia.

     Con la comparsa di questo personaggio - e visto che ci stiamo occupando del tema dell’autonomia della Lingua - noi dovremmo momentaneamente interrompere il racconto biografico su Ludovico Ariosto per puntare l’attenzione sulla figura del cardinale [un cardinale sui generis come sono molti cardinali in questo periodo] Pietro Bembo con il quale, per evitare sovrapposizioni, ho preso appuntamento per la prossima settimana perché sulla “questione della Lingua” ha alcune importanti cose da dirci.

     La maggior parte delle persone non fa caso a come utilizza la Lingua [non la lingua come organo principale del senso gustativo ma intesa come linguaggio]. La prossima settimana incontreremo Pietro Bembo [quindi non mancate] perché anche lui vuole partecipare al rituale della partenza, ma ora torniamo in compagnia di Ludovico Ariosto nel momento in cui la sua vita subisce una svolta.

     Nel 1500 il padre di Ludovico muore e lui, come fratello maggiore, deve badare a tutta la numerosa famiglia e, nel 1501 è costretto ad accettare l’incarico [un’incombenza che lui non desidera] di capitano della rocca presso Canossa ed è proprio qui che, forse per consolarsi, imbastisce una relazione con una domestica di nome Maria che già aveva servito il padre, e il frutto di questa relazione è Giambattista, il primogenito che Ludovico non sarà mai completamente convinto di dover riconoscere come proprio perché non è certo [mater certa est ...] che questo figlio sia suo perché lei [è una domestica molto domestica] ha altri amanti.

     Nel 1503, non ancora trentenne, Ludovico rientra a Ferrara, e diventa funzionario al servizio del cardinale Ippolito d’Este, figlio di Ercole I e fratello di Alfonso d’Este che nel 1505 diventa duca. In linea con questa assunzione Ludovico [come usava a quel tempo] si fa chierico per ottenere alcuni benefici ecclesiastici [che il cardinale Ippolito gli concede] e, difatti, nel 1506 riceve il beneficio della ricca parrocchia di Montericco, ora frazione di Albinea, in provincia di Reggio Emilia.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida dell’Emilia-Romagna e navigando in rete fate una visita ad Albinea e ai dintorni di Reggio Emilia imboccando la Valle del fiume Enza fino ad arrivare ai castelli di Rossena e di Canossa: è un itinerario ariostesco, percorretelo, buon viaggio

     Il fatto è che questa condizione di servitù spiace molto a Ludovico [che non è felice]: il cardinale Ippolito d’Este è un uomo avaro, ignorante e gretto che lo tratta da servitore, ufficialmente dovrebbe svolgere il ruolo di ambasciatore ma Ludovico si definisce “un cavallaro” al quale tocca fare anche il cameriere, e lui, che ha bisogno di lavorare, si deve adattare. In questo periodo, quindi, ha poco tempo per dedicarsi alla Letteratura ma comincia a coltivare l’idea di scrivere un poema [anche per sfogare la sua rabbia e per curare il suo spirito investendo in intelligenza].

     Nel 1509, a Ferrara, da un’altra domestica di casa Ariosto, Orsolina di Sassomarino, gli nasce un altro figlio, Virginio, che questa volta viene legittimato e che seguirà poi le orme del padre. Nel 1513, dopo la morte di Giulio II, viene eletto papa Leone X [Giovanni de’ Medici] che conosce Ludovico Ariosto, gli è amico e lo stima. Ludovico si reca subito in udienza alla corte papale - considera Roma il centro culturale italiano per eccellenza -con la speranza di poter ottenere un incarico in curia ma Leone X lo tratta con una certa freddezza perché i rapporti tra il Vaticano e il Ducato estense sono tesi. Ludovico, piuttosto deluso, sulla via del ritorno a Ferrara, si ferma a Firenze ospite di Roberto Strozzi dove incontra la signora Alessandra Benucci insieme al marito, il mercante ferrarese Tito Strozzi [c’è un ramo ferrarese oltre che fiorentino degli Strozzi]: i due [la Benucci e il marito] si trovano a Firenze [città che frequentano regolarmente] in visita ai parenti ma anche, e soprattutto, per affari legati al commercio. Tra Ludovico Ariosto e Alessandra Benucci [nata a Barletta nel 1480 e morta a Ferrara nel 1552] nasce una relazione amorosa clandestina  resa possibile dal fatto che entrambi, a Ferrara, frequentano la corte estense.

     Quando nel 1515 la Benucci rimane vedova con cinque figli avuti dal marito, la relazione con Ludovico s’intensifica ma in modo molto riservato. I due si sposeranno un po’ di anni dopo, tra il 1527 e il 1530, in gran segreto [senza firmare documenti e senza convivere: non hanno mai convissuto né prima né dopo il matrimonio] perché lui non vuole perdere i benefici ecclesiastici che gli erano stati concessi dal cardinale Ippolito e lei vuole evitare che le venga revocata la cospicua eredità del marito.

     Nel 1516, come sappiamo, viene pubblicata la prima edizione [in 40 canti] dell’Orlando furioso la cui stesura era iniziata undici anni prima. Ludovico dedica il poema al suo datore di lavoro, il cardinale Ippolito d’Este, il quale non apprezza né la dedica né l’opera. Quando nel 1517 Ippolito d’Este diventa vescovo di Agria [nome italiano per Eger, città dell’Ungheria orientale], Ludovico si rifiuta di seguirlo, adduce motivi di salute ma, in realtà, nutre un grande astio verso il cardinale, e poi non vuole lasciare Ferrara città che ama e, soprattutto, non vuole allontanarsi da Alessandra.

     Viene assunto dal duca Alfonso d’Este, fratello di Ippolito, e, anche in questo caso, si tratta di servitù, ma «di minor disagio [scrive Ariosto] e più dignitosa». Nel 1522 il duca Alfonso d’Este affida a Ludovico Ariosto l’arduo compito di governatore della Garfagnana, da poco annessa al Ducato. Come sapete, la Garfagnana è una regione storica della Toscana corrispondente all’alta e media valle del fiume Serchio, in provincia di Lucca, delimitata a ovest dalle Alpi Apuane e a nord e a est dall’Appennino Tosco-Emiliano. La Garfagnana, all’inizio del 1500, è una regione turbolenta, infestata dai banditi, e abitata da una popolazione fiera e indomita, per cui l’ordine doveva essere mantenuto con la forza, un atteggiamento autoritario che, però, non è congeniale all’Ariosto che, tuttavia, riesce a governare usando la diplomazia e dimostrando una grande abilità politica e pratica.

     Finalmente, nel 1525, finisce il suo mandato di governatore e può tornare a Ferrara per dedicarsi agli studi e per mettere in scena le sue Commedie e, soprattutto, per ampliare e revisionare il testo dell’Orlando furioso. Rifiuta anche l’incarico di ambasciatore papale alla corte di Clemente VII, mentre nel 1532 accetta di accompagnare Alfonso d’Este all’incontro a Mantova [un incontro assai delicato] con l’imperatore Carlo V. Al rientro a Ferrara Ludovico si ammala e, dopo alcuni mesi di malattia, muore il 6 luglio 1533. Ludovico Ariosto, dapprima, viene sepolto nella chiesa di San Benedetto a Ferrara e, successivamente, nel 1801 viene tumulato, con grandi onori, a Palazzo Paradiso nella Biblioteca Ariostea che è stata fondata nel 1747.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della città di Ferrara e navigando in rete potete far visita alla tomba di Ludovico Ariosto a Palazzo Paradiso, e poi, sempre con l’ausilio della rete, potete guardarlo in faccia, vivo e vegeto, nel ritratto che gli ha fatto Tiziano nel 1515

     Ludovico Ariosto ha passato gran parte della sua vita a scrivere e a revisionare [ci ha lavorato per trent’anni] il testo dell’Orlando furioso per rendere i suoi versi il più comprensibili possibile e il più possibile dotati di musicalità.

     E ora, per concludere questo primo itinerario dedicato al tradizionale [ripetitivo e anche un po’ noioso] rituale della partenza, torniamo sul testo della prima ottava del poema per esaudire il desiderio di Ludovico Ariosto il quale aspira a dare “autonomia di forma [un catalogo di regole efficaci] e di contenuto [un dizionario di termini eloquenti]” ai suoi versi. Non c’è autonomia,  abbiamo detto, senza studio, non c’è studio senza Scuola e, quindi, dato che a Scuola ci siamo, rileggiamo la prima ottava del poema avvalendoci, per commentarla, delle sei principali azioni dell’apprendimento [conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare] che rappresentano il motore [la motrice, il propulsore] utile per poterci muovere sulla strada che [da qui alla fine di maggio] dovremo percorrere.

     Leggiamo le Note di commento alla prima ottava de l’Orlando furioso. Queste note me le ha suggerite Ludovico Ariosto e quando le ho rilette gli ho detto [piuttosto preoccupato]: “Saranno un po’ pesanti queste note per un rituale della partenza che è già pesante di suo” …E lui mi ha risposto: “Vedi, a forza di alleggerire il carico noi troviamo sempre più difficoltà a essere persone autonome, l’autonomia ha un suo peso, come quello dei mattoni, ma senza mattoni non si costruisce la casa, quindi, dobbiamo rivendicare i mattoni!” Beati i poeti che sanno costruire le metafore! E allora, portiamo questo primo mattone.

Note di commento alla prima ottava de l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto

     Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto: questo è l’argomento dell’opera e si capisce che Ariosto vuole solo apparentemente rifarsi ai poemi classici, infatti c’è qualcosa di nuovo, di “moderno”, in questo incipit nel quale non si cantano “le memorabili gesta epiche” degli dèi e degli eroi del mitico mondo antico ma le vicende [le cortesie e le imprese audaci] di una varietà di personaggi [donne e cavalieri] creati dalla fantasia della tradizione popolare medioevale:  con questo primo verso, si sancisce poeticamente che il Medioevo [al quale non si è ancora dato questo nome, e bisogna aspettare la metà dell’800 perché questo avvenga] è ormai da considerarsi un’epoca precedente della quale si conoscono tutte le contraddizioni ma di cui si subisce anche il fascino, lo stesso fascino che hanno le cose antiche dalle quali deriva “la nostalgia” perché i tempi passati sembrano sempre migliori del presente non perché nel presente non si stia meglio materialmente rispetto al passato ma perché “le buone aspirazioni” già evidenti durante l’età antica per un Mondo più buono, più bello e più giusto si sarebbero già dovute concretizzare nel presente.

     Il primo verso contiene un catalogo di parole che sono tutte di connotazione “cavalieresca” e appartenenti a una multiforme tradizione popolare [quella dei romanzi cavallereschi amplificata dai cantastorie] alla quale l’autore vuole dare la maggior dignità letteraria possibile agendo, come si è detto, soprattutto sul registro linguistico: infatti Ariosto - per iniziare “degnamente” il suo poema - ricalca le parole di un’opera che è ormai un classico della Lingua popolare [del volgare italiano], quale opera? La risposta la troviamo in conclusione di questo commento.

     Le parole dell’incipit dell’Orlando furioso [Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese] rimandano ai romanzi del ciclo della Tavola Rotonda [e chi non conosce re Artù, la regina Ginevra, il mago Merlino e i cavalieri della Tavola rotonda a cominciare da Lancillotto?]: romanzi medioevali che promettono di raccontare storie d’amore e d’avventura. Ma i nomi di Carlo Magno e di Orlando richiamano anche i temi letterari dell’epopea carolingia [chi non conosce le imprese dei paladini di Carlo Magno, compresa la gloriosa disfatta di Roncisvalle?]. Ludovico Ariosto può giocare sul fatto che, in Italia, questi due cicli letterari, quello arturiano [o brettone] e quello carolingio, si sono da tempo fusi insieme e, questa fusione, ha avuto il suo compimento con il poema Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, pubblicato nel 1506, al quale Ludovico Ariosto vuole dare continuazione [tanto perché l’opera è rimasta incompiuta quanto perché è convinto di poter usare una Lingua più ricca, meno dialettale, a più ampio spettro comunicativo] e, nelle sue linee generali, faremo conoscenza con l’Orlando innamorato e, a suo tempo, incontreremo il suo autore.

     Tra le parole del catalogo iniziale dell’Orlando furioso dobbiamo puntare l’attenzione sul termine “cortesie” perché il suo significato è quello di “atti generosi di cavalleria” [quindi non ci si riferisce soltanto alla cortesia intesa come buona educazione].

     Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto che furo al tempo che passaro i Mori d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto … le forme verbali “furo e passaro”, che oggi decliniamo in “furono e passarono”, non costituiscono ostacolo alla comprensione, mentre il termine “i Mori” [o Mauri] ha dato il nome a tutti i popoli del Nord-Africa, Arabi o arabizzati.

     Dopo l’enunciazione iniziale Ariosto, determinandone il tempo, definisce l’occasione in cui s’inserisce il suo racconto e questa occasione è la guerra portata in Francia dal re Agramante per vendicare la morte del padre Troiano, seguendo l’ire [scrive Ariosto] e i giovenil furori d’Agramante lor re, che si dié vanto di vendicar la morte di Troiano …e sembrerebbe, dal tono del riferimento, trattarsi di un fatto storico realmente accaduto e, invece, questa è soltanto una guerra immaginata da Boiardo nell’Orlando innamorato a cui Ariosto fa riferimento in modo da poter ambientare la sua narrazione in un mondo poetico già familiare alle lettrici e ai lettori.

     Agramante è un personaggio letterario e rappresenta il re dell’Africa con capitale Biserta ed è il figlio di Troiano [altro personaggio letterario circondato da altrettante figure romanzesche perché Troiano è figlio di Agolante e fratello di Almonte e di Galaciella che è la madre di Ruggiero] e Agramante, con tutta la sua gente, si vanta di essere discendente di Alessandro Magno. Quando Agramante ha sette anni, racconta la leggenda, perde il padre perché Troiano viene ucciso da Orlando in Borgogna ed è appunto per vendicare questa morte che a ventidue anni, così racconta Boiardo nell’Orlando innamorato, raduna a consiglio i suoi trentadue vassalli per portare, con le loro forze unite, la guerra in Francia sopra re Carlo imperator romano. Ma Carlo Magno, re dei Franchi, [come abbiamo già detto] viene incoronato imperatore del Sacro Romano Impero nell’anno 800 dunque il suo tempo storico non coincide con la tentata reale invasione degli Arabi che è stata impedita mezzo secolo prima da suo nonno, Carlo Martello, che ha sconfitto gli invasori a Poitier nel 732 e, di conseguenza, il tempo scandito dai versi dell’Ariosto è di natura mitica, è “un anacronismo”, un dispositivo poetico utilizzato dagli autori fin dall’antichità. Ma ad Ariosto, come abbiamo detto, interessa soprattutto agire sul registro linguistico e, quindi, per dare inizio al suo poema ricalca le parole di un classico capolavoro della Lingua popolare [del volgare italiano]: la Divina Commedia di Dante Alighieri che Ariosto, come tutti gli intellettuali del suo tempo, conosce a memoria. Le parole dell’incipit dell’Orlando furioso sono in parte le stesse con cui Dante rimpiange “il mondo cortese dei tempi andati”: Dante scrive nei versi 109, 110 e 111 del canto XIV del Purgatorio: «Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi, che ne invogliava amore e cortesia là dove i cuor son fatti sì malvagi …» e non è casuale il fatto che l’Orlando furioso inizi sulla scia della Lingua di Dante.

     Perché Ariosto si regola sul metro di Dante? Possiamo fare due considerazioni, la prima la troviamo in REPERTORIO ... questa sera, mentre della seconda ce ne occuperemo la prossima settimana.

     Nel canto XIV del Purgatorio della Divina Commedia Dante con  Virgilio si trova nella seconda cornice dove si sconta il peccato di invidia: qui le anime non vedono perché l’invidia rende ciechi. Dante si trattiene con l’ombra di Guido del Duca [un personaggio da conoscere] il quale parla della Toscana, della Valle dell’Arno e della Romagna citando [sotto forma di invettiva dantesca] una serie di nomi di famiglie allora illustri travolte dalla corruzione perché dedite al malaffare che ha causato la rovina di queste prospere regioni. In questo canto [di forte rilevanza politica e polemica] Dante esprime tutta la sua angoscia per l’aumento della corruzione nel mondo [tema che continua a essere di grande attualità] e la sua voce è giunta fino a noi che continuiamo ad assistere a questo fenomeno  [scrive Dante “della decadenza dei costumi, del tramonto della virtù, del trionfo degli istinti più bassi” ], e questo avviene mentre siamo al corrente di quelli che sono i valori [cortesi, cavallereschi] che tutte le persone [di buona volontà] dovrebbero perseguire [l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà, la misericordia].

     Ludovico Ariosto ricalca, nell’incipit del suo poema, questi versi di Dante, perché anche lui sta vivendo la stessa angoscia: agli albori dell’Età moderna l’inquietudine, causata dal dilagante degrado morale, investe lo spirito di tutti gli autori delle opere rinascimentali [come abbiamo studiato nel corso del viaggio dello scorso anno]. Perché [si domanda Virgilio al tempo di Augusto, si domanda Dante nel Trecento, si domanda Ariosto nel Cinquecento, ci domandiamo noi oggi], perché troviamo così tanta difficoltà ad essere persone moralmente autonome? Imitiamo per lo meno [pensa Ariosto] “le donne e i cavalier” che hanno fatto tesoro della “cortesia”! Per questo Ariosto scrive un poema con l’occhi rivolto a Dante.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il volume del Purgatorio della Divina Commedia è certamente nella nostra biblioteca domestica e questo è il momento di prendere in considerazione il canto XIV anche solo per leggere, nella loro sede naturale, i versi 109, 110 e 111, pensando che lo stesso esercizio lo ha fatto Ludovico Ariosto per invitarci a fare lo stesso…

     La seconda considerazione [di cui ci occuperemo la prossima settimana] è legata all’idea che “c’è uno stretto legame tra il linguaggio e il pensiero” e, quindi, ogni viaggiatrice e ogni viaggiatore che vuole attraversare il territorio dell’Età moderna deve conoscere nelle sue linee generali la tendenza intellettuale che prende il nome di “questione della Lingua italiana”. In quali termini si pone questa questione della quale seguiremo lo sviluppo a grandi linee sulla scia del primo canto dell’Orlando furioso, e che ruolo ha Pietro Bembo in questa questione, e chi è il cardinale Pietro Bembo?

     Per rispondere a queste domande, nell’ambito della celebrazione del ripetitivo ma necessario “rituale della partenza, bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, consapevoli che - dal primo passo che facciamo [in questo straordinario viaggio che è la vita] - non bisogna mai perdere la volontà d’imparare anche quando il primo passo è pesante.

     La Scuola è qui, e noi siamo pronte e siamo pronti per metterci in cammino…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 13, 2017