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SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO C’È IL GENERE LETTERARIO DELLA “SENTENZA” …

Lezione N.: 
21

Prof. Giuseppe Nibbi        La sapienza  poetica ellenistica  [evangelica e imperiale]        23-24-25  marzo  2011

SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO

C’È IL GENERE LETTERARIO DELLA “SENTENZA” …

     La scorsa settimana – in attesa dell’inizio della primavera – ci siamo dati appuntamento sul territorio della sapienza poetica ellenistica di stampo evangelico facendoci – in chiusura di itinerario – una serie di domande che richiamano un tema di studio molto significativo: quali notizie circolano su Gesù di Nazareth nell’ambiente delle ekklesìe? Che cosa si sa di lui? E, in particolare, che cosa sa Paolo di Tarso su Gesù di Nazareth? Che cosa sa Paolo di Tarso – si sono chieste le studiose e gli studiosi di filologia – sulla vita, sulle opere, sulle parole, sulla morte e la risurrezione di Gesù?

     I numerosi studi che sono stati condotti in proposito – da studiose e da studiosi di varie discipline – ci dicono che al tempo di Paolo di Tarso, siamo negli anni ’50, sul territorio dell’Ellenismo, di quel Gesù si sa pochissimo e, a parte la buona notizia della sua risurrezione, della vita di Gesù di Nazareth non si sa quasi nulla, e anche la sua condanna e la sua morte risultano dei fatti misteriosi perché i dati concreti sono scarsissimi e frammentari. Le studiose e gli studiosi di filologia c’informano che le notizie riguardanti Gesù di Nazareth che arrivano sul territorio dell’Ellenismo attraverso la rete delle comunità della diaspora ebraica e attraverso il canale delle ekklesìe, sono già notizie rielaborateattraverso una prima predicazione. Il tema della prima predicazione su Gesù di Nazareth è un complesso argomento di cui abbiamo affrontato alcuni aspetti quando, un po’ di anni fa, abbiamo viaggiato sul territorio della Letteratura dei Vangeli.

     Ora, in funzione dell’itinerario che stiamo percorrendo, a questo proposito dobbiamo ricordare un dato fondamentale: quando si parla dei “vangeli (canonici o apocrifi che siano) ci si riferisce a testi che non raccontano la vita di Gesù, non raccontano la storia vera e propria dei suoi gesti, delle sue parole, perché di quali siano stati i gesti di Gesù di Nazareth, le parole di Gesù di Nazareth e gli avvenimenti della sua vita si sa pochissimo, praticamente, non si sa nulla. Questo è un fatto preoccupante? No, non è un fatto preoccupante: è solo necessario fare una premessa metodologica in proposito.

     Le studiose e gli studiosi osservano che se la storia della salvezza si esplica nella storia dell’Umanità inevitabilmente s’imbratta anche con le brutture e con le contraddizioni del mondo: la storia della salvezza non si realizza con i miracoli ma cammina con le gambe di persone che elaborano strumenti umani, intellettuali, culturali, propagandistici in rapporto al loro tempo e alla loro esperienza concreta. I Vangeli, quindi, non narrano la vita di Gesù ma raccontano la complessa storia della predicazione su Gesù.

     E la Storia del Pensiero Umano c’insegna che tutte le significative predicazioni dell’Età assiale – le riflessioni in funzione della salvezza dal male contenute nell’Epopea di Gilgamesh, nei Papiri egizi, nei Libri dell’Antico Testamento, nei Libri indiani dei Veda (Veda in sanscrito significa sapienza), nel Libro del Tao Te Ching cinese, negli Avesta di Zaratustra, nell’Iliade, nell’Odissea, nei poemi di Esiodo – passano attraverso quattro fasi di sviluppo: la storia, la leggenda, il mito e la tradizione.

     Dobbiamo dire che questo tipo di operazione culturale riguarda ciascuna e ciascuno di noi perché noi stesse e noi stessi siamo costruttrici e costruttori di storie, di leggende, di miti, di tradizioni intorno a noi stesse e a noi stessi. Noi siamo portate e siamo portati a trasfigurare miticamente” gli avvenimenti della nostra storia personale. E poi noi sappiamo che nella storia di tutte le famiglie circolano delle leggende, si ricordano degli avvenimentiche sono da considerarsi mitici, che rientrano, quindi, non nell’ambito della storia ma della tradizione.

     Difatti la Letteratura c’insegna che esiste la storia degli avvenimenti di famiglia ma, contemporaneamente, la narrazione della storia s’intreccia con il racconto della tradizione leggendaria della famigliae nei grandi romanzi questi due elementi – la storia e la leggenda – si fondono spesso insieme magistralmente.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Voi conoscete qualche racconto leggendario, qualche narrazione di carattere mitico –  magari legata a qualche personaggio caratteristico –, che fa parte della tradizione della vostra famiglia?…

Scrivete quattro righe in proposito… 

     Possiamo affermare che anche i testi della Lettere di Paolo di Tarso sono passati – nel giro di circa due secoli – attraverso queste quattro fasi di sviluppo: la storia, la leggenda, il mito e la tradizione.

     Prima di analizzare brevemente queste quattro fasi dello sviluppo culturale attraverso cui sono passate le grandi predicazionidell’Età assiale della storia e anche, naturalmente, la predicazione che ha preparato la nascita della Letteratura dei Vangeli, dobbiamo – sempre in relazione a questo argomento – aprire una parentesi e riprendere in considerazione un oggetto culturale che già conosciamo.

     L’oggetto in questione è un romanzo di cui abbiamo letto l’incipit, questo romanzo – come sappiamo – è stato scritto nel 1977 da Mario Vargas Llosa e s’intitola La zia Julia e lo scribacchino. Sappiamo anche che La zia Julia e lo scribacchino è prima di tutto un grande romanzo sul tema dell’esercizio della scrittura ma è anche un significativo romanzo sul tema dell’amore nel quale s’intrecciano molte narrazioni nelle quali emergono elementi leggendari, fatti mitici e motivi della tradizione.

     La trama di questo romanzo ruota intorno a due straordinari personaggi: il primo di questi si chiama Pedro Camacho il quale è un prolifico autore di radiodrammi (di drammoni) per Radio Central di Lima – e questo è uno dei pretesti che ha messo questo romanzo in sintonia con il nostro Percorso –, mentre il secondo personaggio si chiama Mario ed è uno studente un po’ svogliato che coltiva, però, un’ambizione letteraria e che s’innamora della zia divorziata – la zia Julia appunto – con la quale finirà per convogliare a nozze con grande scandalo dei famigliari.

     In questo romanzo ci sono tanti personaggi collaterali che però finiscono per avere una certa importanza nell’economia generale dell’opera e questi personaggi sono gli stessi protagonisti delle trame create da Pedro Camacho nelle sue radionovelle. A proposito di matrimoni, o meglio, a proposito dell’ambiguità che spesso si annida nella celebrazione di un matrimonio adesso incontriamo uno di questi significativi personaggi collaterali: è il dottor Alberto de Quinteros il quale è un celebre luminare della medicina ed è destinato, senza volerlo, a fare una diagnosi che porta una situazione – che a lui sembrava lineare – a complicarsi. A volte le storie s’intrecciano con le narrazioni leggendarie, con le tradizioni mitiche e allora sono guai…

     E ora cominciamo a leggere la prima parte di questo brano: in queste pagine facciamo conoscenza con il dottor Alberto de Quinteros e con le sue doti morali di medico, di uomo e di ginnasta, poi facciamo anche conoscenza con uno dei suoi nipoti, Richard, un bel ragazzo (la cui sorella sta per sposarsi) il quale, inspiegabilmente, è molto inquieto.

LEGERE MULTUM ….

Mario Vargas Llosa, La zia Julia e lo scribacchino

Era una di quelle soleggiate mattine di primavera a Lima, quando i gerani si ridestano più fervidi, le rose più fragranti e le buganvillee più crespe, quando un celebre luminare della città, il dottor Alberto de Quinteros - fronte spaziosa, naso aquilino, sguardo penetrante, rettitudine e bontà nello spirito - aprì gli occhi e si sgranchì nella sua vasta dimora di San Isidro. Vide, attraverso le tendine, il sole che dorava l’erba del giardino ben curato, le siepi di ricini, la limpidezza del cielo, l’allegria dei fiori, e provò quella benefica sensazione che infondono otto ore di sonno ristoratore e la coscienza tranquilla.

… continua la lettura …

     Siamo invitate e siamo invitati anche noi a questo matrimonio e ci andremo. I matrimoni sono – o, per lo meno, dovrebbero essere – il punto di arrivo e, contemporaneamente, il punto di partenza di una “storia sentimentale” e il rituale stesso dei matrimoni porta con sé una forte dose di “mito” e di “tradizione”.

     E adesso è utile analizzare, brevemente e in funzione della didattica della lettura e della scrittura, le quattro fasi canoniche – la storia, la leggenda, il mito e la tradizione – che caratterizzano lo sviluppo culturale della Storia del Pensiero Umano: infatti, attraverso queste quattro fasi sono passate le grandi “predicazioni” dell’Età assiale della storia e anche, naturalmente, la predicazione che ha preparato la nascita della Letteratura dei Vangeli a cominciare dall’Epistolario di Paolo di Tarso.

     Quando si parla di “storia” in relazione alle grandi “predicazioni” dell’Età assiale (l’Età assiale della storia è quell’importantissimo periodo, quando, circa 2500 anni fa, sulla scia della predicazione di persone sapienti, sono sorte, come se fossero su un’asse che va dal mar Mediterraneo fino alla Cina, una serie di parole-chiave e di idee-cardine che hanno determinato un salto di qualità nella Storia del Pensiero Umano, e l’età matura della nostra mente corrisponde a quella dell’Età assiale: tutte noi e tutti noi abbiamo 2500 anni e questa nostra età noi la portiamo bene se ne siamo consapevoli: la consapevolezza che noi abbiamo un’età mentale che corrisponde a quella dell’Età assiale della storia stimola le funzioni dell’ apprendimento) – e, a questo proposito,  dobbiamo citare alcuni esempi che fanno parte di temi che abbiamo studiato in questi anni nel corso dei nostri viaggi (in questi ventisette anni abbiamo viaggiato in lungo e in largo sul territorio dell’Età assiale della storia): ci riferiamo (tanto per fare alcuni esempi significativi) alla predicazione di chi ha scritto l’Epopea mesopotamica di Gilgamesh, alla predicazione di chi ha raccontato il pensiero egizio del faraone Amenofi IV detto Akenaton, alla predicazione di chi ha raccontato il pensiero del cinese Lao-tze e alla predicazione di Confucio, alla predicazione dei compilatori indiani dei Libri dei Veda e alla predicazione di Gotamo Siddharta, l’Illuminato di Benares, alla predicazione di Zaratustra in area iraniana e alla predicazione dei Profeti d’Israele, alla predicazione di Pitagora, di Eraclito, di Senofane, di Parmenide, e l’elenco potrebbe continuare a lungo – quando si parla di “predicazione” e, in particolare, della “predicazione su Gesù” che si è sviluppata nel periodo dell’Ellenismo (e l’Ellenismo è figlio dell’Età assiale della storia), dobbiamo dire che il movimento di “predicazione del patrimonio di pensiero e dello stile di vita di una persona saggia” prende sempre avvio supportato da pochissimi e labili dati storici, legati, per giunta, alla soggettività di chi predica questo patrimonio di pensiero e di stile di vita affermando di poter garantire l’autenticità di questi dati. Nel caso di Gesù di Nazareth – che è quello che ci riguarda in questo viaggio – dobbiamo mettere in evidenza il fatto che i “discepoli” hanno avuto tutti rapporti diversi con Gesù, e ciascuno di loro vorrebbe far diventare “oggettiva” la sua esperienza “soggettiva” e, quindi, da subito, iniziano le dispute e le divisioni.

     Certo che questa situazione ci appare poco edificante – e un po’ paradossale – pensando al fatto che le dispute (non indolori) e le divisioni (spesso insanabili) avvengono perché ciascuno vorrebbe imporre la propria idea soprattutto sul come predicare l’amore fraterno. È anche vero che la “solidarietà (agape)” nasce proprio quando le “diversità” fanno sentire il loro peso.

     A questo proposito – e stiamo parlando di “storia” in relazione alle grandi “predicazioni” che hanno fatto crescere la civiltà umana – le studiose e gli studiosi di filologia si sono sempre domandati: ma li ha fatti davvero Gesù di Nazareth – quel Gesù che è vissuto nella storia – tutti quei discorsi edificanti sull’amore fraterno? Oppure Gesù di Nazareth si è limitato, da bravo rabbi ebraico, a citare l’Antico Testamento proprio perché i testi dell’Antico Testamento dicono già qualcosa di importante sull’idea del “rispetto per il prossimo”? Il libro del Talmud ebraico narra che un giorno alcuni discepoli chiedono al rabbi Hillel: “Rabbi, certamente non è possibile riassumere tutta la torah in una frase”. E il rabbi Hillel risponde: “Non è vero, è molto facile riassumere tutta la torah in una frase, il difficile è incarnare questa frase”. “E qual è questa frase che riassume tutta la torah?”, chiedono i discepoli incuriositi, e il rabbi Hillel risponde: “Non fare al tuo prossimo quello che ritieni sia male per te”.

     È molto probabile che, dopo la morte di Gesù di Nazareth, chi, in ambiente ebraico, ha cominciato a predicare la “buona notizia” della sua risurrezione abbia fatto dire a Gesù “parole forti” in materia di “solidarietà” – “parole forti” mutuate anche dalla cultura dell’Ellenismo greco, dal pensiero delle Scuole epicuree, stoiche e scettiche delle quali siamo state e siamo stati ospiti durante il viaggio dello scorso anno scolastico – e questo è avvenuto proprio per contrastare gli atteggiamenti di divisione scaturiti dalle dispute tra gruppi di predicatori che hanno idee diverse sulla figura di Gesù e sul suo ruolo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale dicitura – il terreno dell’avventura, il luogo della verità dei fatti, la sede dell’esposizione degli avvenimenti, il tempo delle relazioni sentimentali … oppure quale altra dicitura – vorreste mettere per prima accanto alla parola “storia”?… 

Scrivetela

     Nel prendere il passo sull’itinerario di questa sera ci siamo domandate e ci siamo domandati: quali notizie di carattere storicoche riguardano Gesù di Nazareth circolano nell’ambiente delle ekklesìe? Che cosa si sa di lui? E, in particolare, che cosa sa Paolo di Tarso su Gesù di Nazareth? E soprattutto è questa la domanda che le studiose e gli studiosi di filologia si sono posti: che cosa sa Paolo di Tarso sulla vita, sulle opere, sulle parole e sulla morte di Gesù?

     Abbiamo detto che i numerosi studi che sono stati condotti in proposito – da studiose e da studiosi di varie discipline – ci dicono che negli anni ’50 al tempo di Paolo di Tarso, sul territorio dell’Ellenismo, di quel Gesù si sa pochissimo e, a parte la buona notizia della sua risurrezione, della vita di Gesù di Nazareth non si sa quasi nulla, e anche la sua condanna e la sua morte risultano dei fatti misteriosi perché i dati concreti sono scarsissimi e frammentari. Le studiose e gli studiosi di filologia c’informano che le notizie riguardanti Gesù di Nazareth, che arrivano sul territorio dell’Ellenismo attraverso la rete delle comunità della diaspora ebraica e attraverso il canale delle ekklesìe, sono notizie rielaborateattraverso una prima predicazione cioè attraverso un processo che ha già cominciato a far ricorso ad elementi leggendarisostitutivi di dati storici mancanti.

     Tutte e tutti noi conosciamo il significato della parola-chiave leggenda: il termine che rappresenta la seconda delle quattro fasi canoniche dello sviluppo culturale attraverso cui sono passate le grandi predicazionidell’Età assiale della storia e anche, naturalmente, la predicazione che, in età ellenistica, ha preceduto la Letteratura dei Vangeli a cominciare dall’Epistolario di Paolo di Tarso. La leggenda è un racconto orale che esalta certe persone speciali, le parole significative che hanno pronunciato e le loro opere mirabili in modo che persone speciali, le parole significative e opere mirabili possano diventare esempi edificanti: quando poi la leggenda viene raccontata per iscritto – c’insegnano le studiose e gli studiosi di filologia – prendono forma dei testi narrativi che contengono brani particolari che prendono il nome di sentenze. La sentenza contenuta in un testo narrativo di carattere leggendario diventa un oggetto emblematico, simbolico, allegorico, rappresentativo, indicativo, paradigmatico e, in un momento successivo, avviene che i brani contenenti una sentenza vengono estrapolati dal testo originario e vengono utilizzati per costruire nuovi testi, spesso di genere sapienziale e poetico.

     La Letteratura dei Vangeli ha inizio quando cominciano ad essere raccolte le sentenze che emergono dai racconti su Gesù di Nazareth: racconti di carattere leggendario composti in funzione della predicazione e della diffusione della buona notizia della sua risurrezione. Le sentenze che hanno come protagonista Gesù di Nazareth rimarcano le sue virtù, i suoi gesti esemplari e i suoi detti significativi.

     I primi testi che contengono le sentenze più importanti su Gesù di Nazareth sono le Lettere di Paolo di Tarso il quale non sa quasi nulla della storia vera e propria di questo personaggio. Paolo di Tarso utilizza con grande determinazione il genere letterario della “sentenza”, un genere che ha certamente appreso nel Scuole ellenistiche che ha frequentato: Scuole di impronta epicurea, stoica e scettica, sono queste, infatti, le Scuole ellenistiche che hanno cominciato, dal III secolo a.C. a utilizzare la forma della sentenza – spesso inserita in una Lettera (si pensi ad Epicuro) – per divulgare i contenuti dei loro pensieri.

     Che cos’è – per forma e per contenuto – quel tipo di testo, estrapolato da una narrazione leggendaria, che le studiose e gli studiosi di filologia hanno chiamato sentenza? La sentenza è una massima, un aforisma, un detto, un enunciato significativo, un adagio, un motto, un precetto, un assioma, un principio, ed è anche un avviso importante, un parere significativo, un’opinione autorevole, e inoltre la sentenza è un giudizio, una decisione, una deliberazione, una dichiarazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quali di queste sedici parole mettereste accanto alla parola “sentenza”?…

Sceglietene non più di tre e scrivetele…

     Tutte queste definizioni ci fanno capire che la comparsa delle sentenze mette in secondo piano la storia e in primo piano – nell’ambito di quel processo culturale che chiamiamo la predicazione – vengono a collocarsi le leggende e le leggende raccontano il mito e favoriscono l’elaborazione della tradizione mitica.

     Ma prima di occuparci del mito e della tradizionetorniamo al testo del romanzo di Mario Vargas Llosa che stiamo leggendo e che s’intitola La zia Julia e lo scribacchino. Torniamo al testo di questo romanzo perché rimanda anche alla riflessione che stiamo facendo sulle parole storia, leggenda, mito, tradizione.

     Come sapete siamo state invitate e invitati al matrimonio di Elianita, la nipote prediletta del dottor Alberto de Quinteros, la sorella di Richard che continua a tenere un atteggiamento di grande disappunto nei confronti di ciò che sta avvenendo: chissà come mai?

LEGERE MULTUM ….

Mario Vargas Llosa, La zia Julia e lo scribacchino

Di ritorno a casa, il dottor Alberto de Quinteros si tranquillizzò a sapere che la mamma dei trigemini voleva giocare a bridge con alcune amiche nella sua stanza alla clinica e che l’operata di fibroma aveva chiesto se oggi poteva mangiare ravioli in salsa al tamarindo. Autorizzò il bridge e i ravioli e, con tutta calma, si mise la giacca blu scuro, una camicia di seta bianca e una cravatta argentata che fissò con una perla. Stava profumandosi il fazzoletto quando arrivò una lettera di sua moglie, alla quale Chiarito aveva aggiunto un post-scriptum. L’avevano spedita da Venezia, la quattordicesima città del loro Tour, e gli dicevano: «Quando riceverai la presente avremo fatto almeno altre sette città, tutte bellissime». Erano felici e Charito molto entusiasta degli italiani, «tutti divi del cinema, papi, e non immagini come sono galanti, ma non andarlo a raccontare a Tato, mille baci, ciao».

… continua la lettura …

     La celebrazione dei matrimoni e il rituale stesso dei matrimoni porta con sé un abbondante dose di mito e di tradizione ma questo matrimonio ci riserva anche un colpo di scena e gli invitati – che sono molti – non si accorgono di nulla: solo noi che leggiamo ne veniamo messi al corrente, di che cosa si tratta? Lo scopriremo la prossima settimana.

     Il rituale dei matrimoni porta con sé un abbondante dose di mito e di tradizione e noi sappiamo che questi due termini, mito e tradizione, rappresentano la terza e la quarta fase canonica dello sviluppo culturale attraverso cui sono passate le grandi predicazionidell’Età assiale della storia e anche, naturalmente, la predicazione che ha preparato, in età ellenistica, la nascita della Letteratura dei Vangeli a cominciare dall’Epistolario di Paolo di Tarso.

     Il mitoe la tradizionesono due fasi strettamente legate nella Storia del Pensiero Umano.

     Il mito è un fatto esemplare che viene idealizzato, ed è un elemento che sprigiona una forte carica di partecipazione. Intorno ad un mito, che diventa un simbolo privilegiato e trascendente, di solito ci si riconosce e ci si identifica un gruppo o una comunità di persone. I testi dei Vangeli – possediamo i testi di quattro Vangeli canonici e i testi di trentacinque Vangeli apocrifi– sono testi mitici, non sono testi storici: ognuno di questi testi presenta una specifica immagine mitica di Gesù e a questa immagine fa riferimento un particolare gruppo di persone.          La tradizione nasce quando si codifica un mito, quando lo si perimetra, e quando si stabilisce una misura che possa contenere i racconti attraverso i quali il mito si esplicita. In greco la parola misura si traduce con il termine canon canon, e il canone è lo strumento con il quale una autorità riconosciuta stabilisce se una persona, una parola, un’idea, un avvenimento è dentro o è fuori dal perimetro del mito così come è stato codificato.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola “tradizione” rimanda anche al termine “usanza”… C’è un’usanza alla quale rimanete legate e legati?…  

Scrivete quattro righe in proposito…

     In greco la parola “misura” si traduce con il termine “canon”, e il “canone” è lo strumento con il quale un’autorità riconosciuta stabilisce se una parola-chiave o un’idea-cardine sia dentro o sia fuori dal perimetro del mito così come è stato codificato. Difatti il primo Concilio Ecumenico dell’era cristiana, il Concilio di Nicea del 325, riconosce come “canonici” solo i testi di quattro vangeli e, quindi, riconosce quattro aspetti del mito su Gesù e, di conseguenza, il primo Concilio, per proclamare l’unità della Chiesa sotto l’autorità del Vescovo di Roma – così come vuole l’imperatore Costantino che presidia a mano armata il Concilio (e questi sono avvenimenti molto significativi che ristudieremo a suo tempo), – per proclamare l’unità della Chiesa sotto l’autorità del Vescovo di Roma, deve ammettere come “canoniche” quattro immagini diverse di Gesù Cristo. Il Concilio di Nicea dichiara canonici anche i testi dell’Epistolario di Paolo di Tarso così come sono stati ordinati (unificanti), a Roma, da papa Clemente Romano, dalla Scuola ellenistica clementina alla fine del I secolo.

     E ora torniamo – avviandoci verso la conclusione – alle domande che ci siamo fatte e fatti in partenza: quali notizie di carattere “storico” che riguardano Gesù di Nazareth circolano nell’ambiente delle ekklesìe? Che cosa si sa di lui? E, in particolare, che cosa sa Paolo di Tarso della vita, delle opere, delle parole, della morte e della risurrezione di Gesù? Ora voi direte: “Ma è la quarta o la quinta volta che riproponiamo questi interrogativi senza però dare risposte!”. Voi capite che, prima di dare risposte, è necessario fare chiarezza su alcuni elementi propedeutici necessari alla comprensione di questo argomento, ed è per questo motivo che abbiamo riflettuto sui termini: storia, leggenda, mito, tradizione, sentenza.

     Abbiamo detto che Paolo di Tarso viaggia da una ekklesìa all’altra soprattutto per cercare informazioni sul rabbi Gesù di Nazareth e, in questa sua ricerca, si rende conto di poter accedere solo a notizie che hanno già subìto una sorta di elaborazione di carattere leggendario. Le studiose e gli studiosi di filologia dicono che Paolo di Tarso raccoglie su Gesù di Nazareth solo notizie “sentenziate” (e voi sapete che cosa significa): Paolo si trova di fronte a informazioni che sono passate attraverso una stratificata rielaborazione orale di carattere propagandistico. Paolo di Tarso, nelle ekklesìe della diaspora ebraica, ascolta molti racconti su Gesù di Nazareth che sono già stati elaborati in funzione della creazione di una serie di “sentenze” utili alla predicazione della “buona notizia” della risurrezione. Quindi anche Paolo di Tarso capisce subito – dopo aver maturato la sua vocazione da “apostolo” – di dover partecipare alla elaborazione delle informazioni raccolte su Gesù usando la chiave della “sentenza”, e diventa un maestro di quest’arte: saranno le “sentenze” paoline a lasciare un segno.

     E la carta vincente di Paolo – e questo fatto emergerà in seguito, negli anni 90 – è il modo in cui sa usare la scrittura anche secondo il genere letterario della “sentenza” proprio perché Paolo della vita, dell’opera, della passione, della morte e della risurrezione di Gesù non riesce a sapere nulla di certo. La passione, la morte e la risurrezione di Gesù si presentano come un “giallo con pochi indizi e con molte contraddizioni”, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù si presentano come fatti enigmatici e misteriosi ricchi di colpi di scena sul piano della narrazione ma difficili da sbrogliare sul piano della storia.   Noi sappiamo che Paolo di Tarso elabora sotto forma di “sentenza” la notizia centrale che riguarda la predicazione su Gesù di Nazareth, il così detto “kerigma (il nòcciolo del messaggio di salvezza)”: l’annuncio della passione, della morte e della risurrezione di Gesù.

     E ora, a questo proposito, dobbiamo puntare ancora una volta l’attenzione su un testo che conosciamo bene perché lo abbiamo già studiato alla fine di ottobre, nell’autunno scorso, sulla scia della parola-chiave “kerigma”. Questo brano si trova in quella miniera di idee che è il testo della Prima Lettera ai Corinti ed è formato dai primi 11 versetti del quindicesimo capitolo di quest’opera.

     Questa volta però rileggiamo questo brano per capire che cosa sia una “sentenza” e per renderci conto – attraverso un intreccio filologico molto importante – di come Paolo parli esplicitamente di questo genere letterario e, quindi, di quanto sia consapevole dell’operazione intellettuale che sta compiendo che lo fa entrare a pieno titolo nella Storia della Letteratura ellenistica. Il contenuto di questo brano ce lo ricordiamo tutti, tuttavia rileggiamolo:

LEGERE MULTUM ….

Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinti  15, 1-11

«Fratelli e sorelle, vi ricordo il nòcciolo del messaggio [kerigma] di salvezza che vi ho portato, che voi avete accolto e nel quale rimanete saldi. È per mezzo suo che siete salvati, se lo conservate come ve l’ho annunciato. Altrimenti avrete creduto invano. Prima di tutto vi ho trasmesso l’insegnamento che anch’io ho ricevuto: Cristo è morto per i nostri peccati, come è scritto nel Libro di Isaia [Isaia 53, 8-9] ed è stato sepolto. È risuscitato [Salmo 16, 10] il terzo giorno [Osea 6, 2] come è scritto nel Libro di Osea ed è apparso a Pietro. Poi è apparso ai dodici apostoli, quindi a più di cinquecento discepoli riuniti insieme. La maggior parte di essi è ancora in vita, mentre alcuni sono già morti. In seguito è apparso a Giacomo, e poi a tutti gli apostoli. Dopo essere apparso a tutti, alla fine, è apparso anche a me, benché io, tra gli apostoli, sia come un aborto. Infatti, io sono l’ultimo degli apostoli; non sono neanche degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Tuttavia per grazia di Dio, io sono quello che sono [Yavè!]. E la sua grazia non è stata inefficace: ho lavorato più di tutti gli altri apostoli; non io a dir la verità, ma la grazia di Dio che agisce in me. Questo è il nòcciolo del messaggio [kerigma] che io e gli altri vi annunziamo. E voi l’avete accettato [e voi avete accettato questa sentenza, gnòme]».

     Prima di tutto abbiamo riletto questo brano per capire che cosa sia – secondo l’ottica ellenistica di Paolo di Tarso – una sentenza: una sentenza è un testo che cerca di mettere ordine in una situazione misteriosa e contrastante dove le notizie storiche non sono né verificabili né attendibili perché sono già state elaborate in senso leggendario.

     Si legge in questo brano che Paolo di Tarso, con grande autorità, si fa garante come se fosse lui stesso un testimone, non un testimone oculare, ma un promotore culturale – del resto la parola apostolo significa proprio promotore culturalee anche inviato speciale –; Paolo dà un senso alla sua azione e alla sua scrittura: ritiene di essere un promotore culturaleche avvalora la potenza intellettuale del mito secondo lo stile delle più accreditate Scuole poetiche ellenistiche. Paolo nella sentenza che abbiamo letto riesce a ricucire insieme diversi filoni di predicazione, dandogli il taglio (l’opinione) che lui, naturalmente, ritiene il più opportuno. In questa sentenza Paolo mette in primo piano Pietro anche se a Gerusalemme – e Paolo ne prende atto personalmente – era Giacomo, il fratello del Signore, ad avere più potere e Paolo conduce questa operazione, emette questa sentenza scritta, per ridimensionare, nelle ekklesìe, la posizione degli ebioniti che Paolo riteneva essere troppo legati ad una mentalità vetero-testamentaria e conservatrice.

     Paolo di Tarso è uno scrivano capace di costruire sentenze molto efficaci e questo è senza dubbio il motivo principale per cui la sua scrittura prevarrà – trent’anni dopo la sua morte – nella costruzione della dottrina della Chiesa: la scrittura di Paolo, alla fine del I secolo a Roma, diventa il punto di riferimento fondamentale per la costruzione della gerarchia nella cosiddetta Chiesa dei Vescovi, dei Pastori, dei Padri Apostolici.

     E ora, per terminare questa riflessione, veniamo al dunque.

     Se osserviamo l’ultimo versetto del brano che abbiamo letto (il versetto 11 del capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinti) vediamo che Paolo scrive: «Questo è il nòcciolo del messaggio [kerigma] che io e gli altri vi annunziamo. E voi l’avete accettato [e voi avete accettato questa sentenza, gnòme]». Come potete constatare, tra parentesi, c’è la traduzione letterale dal greco di questa frase che suona così: «E voi avete accettato questa sentenza». Paolo, quindi, dichiara che il messaggio della salvezza trova il suo fondamento dottrinale nel genere letterario della sentenza perché i riferimenti storici mancano. In greco la parola sentenza si traduce con il termine gnome gnòme che significa anche opinione e conoscenza. Paolo di Tarso, utilizzando esplicitamente questo termine, è perfettamente consapevole dell’operazione mitologica che sta compiendo e, per giunta, con l’uso di questa parola-chiave allude al fatto che lui sta formulando la sua opinione (gnòme) in proposito: un opinione alla quale vuole dare autorevolezza.

     Senza dubbio la creazione delle sentenze è l’operazione intellettuale che dà la maggiore forza propulsiva al propagarsi della buona notizia della risurrezione di Gesù. Quello che si sa di Gesù non è la storia di Gesù ma è la storia della costruzione delle sentenze utili per la predicazione su Gesù: questo – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – è un tema interessantissimo.

     Siamo alla fine di questo itinerario e ancora una volta ci domandiamo: che cosa conosce Paolo di Tarso della vita di Gesù di Nazareth? Che cosa si sa nelle ekklesìe di quel Gesùoltre alla buona notiziache Dio lo ha fatto risuscitare? La prima cosa importante, ed anche condizionante, che, nelle ekklesìe, si sa di Gesù di Nazareth è che nacque sotto la Legge di Mosé.

     Come affronta Paolo di Tarso questo tema fondamentale per la divulgazione della buona notizia della risurrezione di Gesù?

     Questo argomento – insieme ad altri argomenti – lo studieremo la prossima settimana perché il viaggio continua e la Scuola è qui perché l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona, e ogni persona deve imparare ad alimentare buone passioni e a controllarle con giuste ragioni…

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Marzo 25, 2011