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SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO C’È LO STORICO COMPROMESSO TRA LA CULTURA ELLENISTICA E LA CULTURA DELL’EBRAISMO CHE S’INNESTA SULLA DIFFERENZA DI SIGNIFICATO TRA LA PAROLA “SEPARAZIONE” E LA PAROLA “SEPARATEZZA” …

Lezione N.: 
14

Prof. Giuseppe Nibbi       Lo sapienza  poetica ellenistica  [evangelica e imperiale]  2-3-4  febbraio  2011

SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO EVANGELICO

C’È  LO STORICO COMPROMESSO TRA LA CULTURA ELLENISTICA E LA CULTURA DELL’EBRAISMO

CHE S’INNESTA SULLA DIFFERENZA DI SIGNIFICATO TRA

LA PAROLA “SEPARAZIONE” E LA PAROLA “SEPARATEZZA”

     Questa sera ci troviamo sempre sull’impervio sentiero che attraversa il territorio della sapienza poetica ellenistica di stampo evangelicoe che conduce verso la parola-chiave ekklesìa. Il nostro compagno di viaggio Paolo di Tarso matura il suo pensiero spostandosi da un’ekklesìa all’altra e quindi noi dobbiamo sapere che cosa sono le ekklesìe: per ora sappiamo che si tratta di strutture leggere, flessibili, liquide, nate nell’ambito della diaspora ebraica. Questo sentiero, faticoso da percorrere, parte – secondo la categoria del tempo –  dagli avvenimenti legati alla morte di re Salomone, e sappiamo che il re Salomone è vissuto nel X secolo a.C. ed è morto nel 935 o nel 922 a.C.; ebbene, questo sentiero passa – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – nei pressi di grandi paesaggi intellettuali, che, strada facendo, abbiamo osservato in tutta la loro imponenza soprattutto per capire come è strutturata la mente di Paolo di Tarso.

     Dove ci troviamo adesso? Siamo al tempo della morte di un altro grande personaggio: Alessandro Magno, ci troviamo, quindi, dopo l’anno 323 a.C.. Sappiamo che dopo la morte di Alessandro – Alessandro muore, nel 323 a.C., a soli 32 anni e questa data viene considerata come il momento iniziale dell’Ellenismo – il grande Stato, costituitosi con la spedizione del Condottiero macedone fino alla foce dell’Indo, si spacca e la Palestina, che ne fa parte, viene governata prima dai Tolomei poi dai Seleucidi e in seguito dagli Erodiadi, e, con queste dinastie estranee, gli Ebrei delle diaspora non vogliono avere rapporti. Sappiamo che le comunità della diaspora guardano a Gerusalemme come ad un faro spirituale e sono coinvolte in un grande dibattito che prende spunto dalla situazione politica che viene a crearsi: a Gerusalemme regnano degli stranieri dai quali bisogna tenere le distanze, dai quali è bene stare separati.

     Ed è questo il motivo storico e politico per cui, già dal III secolo a.C., le comunità della diaspora – soprattutto in Mesopotamia, in Egitto, fino a Roma – avevano cominciato ad avviare al loro interno il dibattito molto serrato sul tema legato, come sapete, al concetto della separatezza, in ebraico perugìa. In che cosa consiste questo dibattito? Che cos’è la separatezza, su che cosa si fonda il concetto della perugìa? Mi auguro che voi abbiate fatto gli esercizi di lettura suggeriti dalla Scuola sui due Libri dei Maccabei. «Siamo un popolo diverso, un popolo privilegiato e, quindi, dobbiamo vivere separati dagli altri per non contaminarci né materialmente né religiosamente né culturalmente». Questo è il dettato di quegli Ebrei della diasporache sostengono in modo fondamentale il concetto della perugìa,  della separatezza.

     Però noi sappiamo che, nonostante questo dettato, gli Ebrei della diaspora non stanno chiusi nel loro guscio, spesso fanno finta di star chiusi nel loro guscio, in realtà sono molto curiosi e hanno voglia di imparare molte cose del mondo che li circonda e questa è una caratteristica che troviamo anche nel nostro compagno di viaggio, Paolo di Tarso, il quale, se non fosse stato molto curioso e se non avesse avuto una gran voglia di imparare, non avrebbe potuto scrivere l’Epistolario più famoso dell’Ellenismo, una delle opere più importanti della Storia del Pensiero Umano contenente un catalogo di parole-chiave che hanno determinato il carattere della cultura occidentale. Infatti gli Ebrei della diasporanon solo imparano a parlare il persiano, il siriaco, il greco, il latino, ma usano anche queste lingue per scrivere e per costruire con più autorevolezza il loro midrash, per comporre il racconto cerimoniale della loro Storia, ma soprattutto sono interessati a intessere rapporti col mondo nel quale vivono, principalmente, rapporti di tipo mercantile.

     Quindi, fino al III secolo a.C. vige, nelle comunità ebree, un forte rispetto per la separatezza: non ci si concede nessuna assimilazione, nessun cedimento nei confronti del sincretismo culturale pagano, e questo proprio per compensare il fatto che, sul piano economico e sociologico, vige il massimo della comunicazione con l’esterno, il massimo dell’integrazione con le società, nelle quali, le comunità della diaspora ebraica vivono e alla cui costruzione partecipano attivamente. Nel territorio mitteleuropeo questo atteggiamento di integrazione sarà totale nel corso dei secoli. Facciamo un esempio significativo – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – citando un romanzo che forse avrete letto (dal quale è stato tratto anche un film che forse avrete visto).

     Questo romanzo s’intitola L’amico ritrovato ed è stato scritto da Fred Uhlman nel 1971. I protagonisti di questo romanzo sono due ragazzi che a sedici anni s’incontrano perché frequentano la stessa scuola esclusiva: uno, Hans, è figlio di un medico ebreo, l’altro, Konradin, appartiene ad una ricca famiglia aristocratica. Tra questi due ragazzi nasce un’amicizia del cuore, si sviluppa un’intesa perfetta e magica. Un anno dopo il loro legame si spezza perché siamo nel 1933 e in Germania – come certamente sapete – succede qualcosa che crea disordine e separazione nella comunità umana.

     Facciamo attenzione alle parole e riflettiamo in chiave filologica: il concetto della separazioneè diverso da quello della separatezzae difatti, in greco, si usano due parole diverse per definire questi due concetti. In greco la parola separazione corrisponde al termine distemi, distemiche rimanda all’idea di divisione, mentre la parola separatezza corrisponde al termine diaspra, diaspra ed è questa la parola con la quale è stato tradotto in greco il termine ebraico perugìa: una parola che rimanda all’idea di distinzione, non tanto, quindi, al concetto del dividersi per scontrarsi ma del distinguersi per confrontarsi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è un tema sul quale vorreste confrontarvi con altre persone in questo momento?

Scrivete quattro righe in proposito

     Lo scrittore Fred Uhlman è nato a Stoccarda nel 1901 ed è morto a Londra nel 1985, ha scritto un’autobiografia intitolata Storia di un uomo e altri brevi testi ma l’unico suo romanzo è L’amico ritrovato e Uhlman ha dichiarato più volte che si poteva sopravvivere con un libro solo. L’amico ritrovato è un racconto di straordinaria finezza e suggestione quindi leggete o rileggete questo significativo romanzo contemporaneo nel quale il tema della diaspora e della perugìa (la separatezza)– se vogliamo essere più precisi il tema della distinzione tra il concetto della separazionee della separatezza – emerge continuamente; a questo proposito, leggiamo alcune pagine nelle quali si leva la posizione del padre di Hans il quale è ebreo di origine ma si sente decisamente un cittadino tedesco: «Io e tua madre abbiamo deciso di rimanere. Questa è la nostra patria, la terra in cui siamo nati e a cui apparteniamo e non permetteremo che nessun bastardo austriaco ce la sottragga. Sono troppo vecchio per mutare le mie abitudini». Leggiamo:

LEGERE MULTUM ….

Fred Uhlman, L’amico ritrovato (1971)

 

Nessuno aveva delle opinioni precise al mio riguardo e mai ero incorso in fenomeni di intolleranza religiosa o razziale.

Ma una mattina, arrivato a scuola, udii, oltre la porta chiusa della classe, un suono di voci impegnate in un’accanita discussione. Non riuscii a distinguere altro che gli ebrei, ma il termine ricorreva come una cantilena ed era impossibile fraintendere la passione con cui veniva pronunciato.

… continua la lettura …

     Per capire il senso di questa risata – che, per quanto riguarda la Letteratura beritica, ricorda la figura di Isacco – è necessario leggere dall’inizio questo significativo romanzo, ed è poi necessario arrivare alla fine per sapere che significato ha il titolo l’amico ritrovato: ritrovato come, ritrovato dove? Non resta che leggere…

     Nel III secolo a.C. il comportamento ambivalente degli Ebrei della diaspora –  da una parte di massima disponibilità all’integrazione sociale e dall’altra di netta chiusura all’assimilazione con le altre culture – è, come sappiamo, la molla che fa scatenare un dibattito sempre più vivace. E la forza di questo dibattito sta nel fatto che ne rimangono coinvolti non solo gli Ebrei delle comunità della diaspora ma anche, incuriositi, i non-Ebrei (quante volte nelle Lettere di Paolo di Tarso troviamo questa dicitura – i “non-Ebrei” – che si rifà ad una tradizione), gli appartenenti al ceto riflessivo delle città ellenistiche: molte cittadine e molti cittadini di cultura ellenica con la loro mentalità pagana e animati dallo spirito sincretico (per cui è meglio includere che escludere) si avvicinano, interessati, alla cultura dell’ebraismo.

     Da questo dibattito – che coinvolge Ebrei e non-Ebrei– prende vita un movimento intellettuale che favorisce la nascita di un grande laboratorio culturale all’interno del quale la discussione viene portata al di là del tema della perugìa (separatezza) su un piano dal quale scaturiscono tre importanti risultati che arricchiscono la Storia del Pensiero Umano.

     Il risultato più importante e più interessante di questa discussione molto produttiva che si svolge all’interno della cultura dell’ellenismo è stato, prima di tutto, la traduzione in greco dei testi dell’Antico Testamento che erano stati prodotti nei secoli precedenti, dal tempo (587 a.C.) dell’esilio babilonese. I Libri della Legge (la Torah) e i Libri dei Profeti (nebijim), dal III secolo a.C., vengono tradotti in greco (abbiamo studiato questo straordinario avvenimento nel Percorso dell’anno 2007-2008 e di questo Percorso sulla “sapienza poetica beritica” potete leggere i testi delle Lezioni contenuti nei nostri siti) e, quindi, il bacino di utenza dei testi biblici tradotti nella koiné ellenistica si allarga notevolmente.

     Inoltre l’altro grande risultato culturale che emerge da questo serrato dibattito è dato dalla produzione di un nuovo blocco di Letteratura – e ne abbiamo già parlato la scorsa settimana – che è entrato a far parte del canone dell’Antico Testamento. La vivace discussione che si sviluppa sulla scia del dibattito sulla perugìa (sulla separatezza) fa nascere un clima particolarmente creativo che – come già abbiamo detto – porta alla composizione dei ketubim, dei Libri sapienziali e poetici, e di questi testi ne conosciamo più di uno.

     Il catalogo dei ketubim è formato da ventitré Libri, e tredici di questi Libri sono stati già scritti in ebraico e, nel corso del vivace dibattito sulla perugìa, vengono ristrutturati in funzione di una nuova mentalità (ellenistica) e di un nuovo stile letterario (ellenistico). Citiamoli, per curiosità, questi tredici Libri: Salmi, Giobbe, Proverbi, Rut, Cantico dei cantici, Qoelet, Lamentazioni, Ester ebraico, Daniele, Esdra, Neemia, Primo e Secondo Libro delle Cronache. Questi tredici Libri vengono riscritti e ristrutturati in termini ellenistici: sappiamo già che gli ultimi quattro di questi testi – Esdra, Neemia, Primo e Secondo Libro delle Cronache – sono i testi della cosiddetta tendenza cronachisticadi cui recentemente abbiamo studiato i caratteri.

     Poi ci sono altri dieci testi, chiamati deuterocanonicidel secondo canone, del catalogo dichiaratamente ellenistico – che vengono scritti nel II e nel I secolo a.C. direttamente in greco e sono: Ester greco, Giuditta, Tobia, Primo e Secondo Libro dei Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc, Lettera di Geremia, Supplementi a Daniele.

     E così abbiamo elencato tutti i ventitré Libri dei ketubim che costituiscono un grande patrimonio letterario dell’ellenismo, di tutta la Storia della Letteratura e della Storia del Pensiero Umano.

     Il terzo importante risultato del dibattito sulla perugìa (sulla separatezza), di cui stiamo vedendo i frutti, consiste in una serie di opere di testi ebraico-ellenistici: ora però lasciamo in sospeso questo argomento perché ne parleremo a suo tempo quando il sentiero passerà accanto a questo interessante apparato letterario. Ora dobbiamo dire che tutto questo importante movimento intellettuale – con le opere che, nel corso del suo sviluppo, sono state prodotte – ha influenzato in modo determinante la formazione culturale di Paolo di Tarso e della sua generazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per esercizio prendete il volume della Bibbia e andate a sfogliare semplicemente le pagine di quella parte che contiene i “Ketubim”, i Libri sapienziali e poetici (ne abbiamo fatto l’elenco) ed osservate la scrittura perché la scrittura è un oggetto: è possibile che qualcosa che appartiene a questo oggetto – qualche titolo, qualche parola, un nome, un verbo, un aggettivo…  – attiri la vostra attenzione e faccia nascere delle immagini nella vostra mente…

Questo esercizio – l’esercizio di volare sulla “Scrittura” sfogliandone le pagine – lo ha fatto anche il pittore Marc Chagall (1887-1985): avete visto i suoi quadri      ?…

Cercate in biblioteca – magari nella biblioteca domestica – un fascicolo con le opere di Chagall e vi impossesserete subito di questa chiave di lettura…

     L’atmosfera di creatività che questo vivace e vasto dibattito produce in molte autorevoli comunità dell’ebraismo della diaspora, in particolare ad Alessandria d’Egitto, fa avvicinare a queste comunità molte intellettuali e molti intellettuali che Ebrei non sono e quindi le comunità cominciano ad accettare le attenzioni e anche l’influenza di questi simpatizzanti pagani che si avvicinano curiosi ed affascinati (con spirito sincretico) alla cultura che emerge dai testi dell’ebraismo: dai Libri della Legge dì Mosé (la torah), dai Libri dei Profeti (nébijim) e soprattutto dagli Scritti sapienziali e poetici (ketubim). E, contemporaneamente, nelle sinagoghe gli scrivani ebrei subiscono una forte attrazione per la lingua greca, per la cultura greca e per l’educazione greca.

     Quindi, a cominciare dal III secolo a.C., comincia a svilupparsi quel rapporto di contiguità tra l’ellenismo e l’ebraismo che, come abbiamo visto, porta frutti culturali e intellettuali straordinari, e, per capire il pensiero di Paolo di Tarso bisogna passare, con pazienza, attraverso questo impervio sentiero. I centri dove questo fenomeno di contiguità tra l’ebraismo e l’ellenismo si sviluppa maggiormente, oltre ad Alessandria, sono Antiochia, Smirne, Efeso, Corinto, Roma e non è casuale il fatto che, proprio in questi centri, si svilupperà il cristianesimo.

     Allora, ragioniamo: che cosa succede concretamente? Succede che alle comunità ebraiche, alle sinagoghe di queste città, si avvicinano molti cittadini di cultura greca, sincretica e pagana. Perché si avvicinano? Si avvicinano, prima di tutto, per ragioni di conoscenza, di amicizia (sono anni in cui è in corso anche la Lezione di Epicuro sul tema dell’amicizia: la ricordate questa lezione?) con gli Ebrei. Abbiamo capito che gli Ebrei predicano la separatezzama non vivono separati dalla società civile, anzi, gli Ebrei sono ben integrati e vogliono far parte della società civile: lavorano, commerciano, vendono, comprano, studiano, frequentano tutte le strutture della città (della polis), soprattutto i mercati che sono un punto d’incontro fondamentale durante l’Ellenismo. E che cosa succede? Succede che, in città, si fa conoscenza, si fa amicizia, ci si comincia a frequentare, ci si invita a cena, a pranzo, e si entra in contatto.

     Da questo punto di vista, poi, gli Ebrei, in queste città ellenistiche, si presentano con una vita famigliare e rituale molto strutturata e molto seria, che ha un suo fascino: ricordate la vigilia del sabbat in casa di Mendel Singer: ci siamo entrate e ci siamo entrati, la scorsa settimana, leggendo due pagine del romanzo di Joseph Roth intitolato Giobbe. Romanzo di un uomo semplice. I rituali dell’ebraismo vengono celebrati prima di tutto nell’ambito del nucleo famigliare e la famiglia ebrea ha una notevole saldezza istituzionale e laica – più di quanto abbia la sinagoga –, questa robustezza emerge nella società e molti cittadini non Ebreidi Alessandria, di Antiochia, di Smirne, di Efeso, di Corinto, di Roma si sentono attratti da questo particolare clima famigliare proprio in virtù della serietà e della coerenza che molte famiglie ebree della diasporamanifestano nel celebrare le loro tradizioni in un intreccio tra religiosità e laicità. E la cosa interessante è che dal III secolo a.C. il vivace e serrato dibattito di cui stiamo parlando avviene soprattutto attraverso i rapporti interfamigliari, attraverso i rapporti che s’instaurano tra famiglie ebree e non ebree perché gli Ebrei della diasporasanno ben distinguere tra i momenti di intimità che presuppongono una separatezza e i momenti di relazione in cui le forme della separatezza vanno spiegate agli altri.

     La maggioranza delle famiglie degli Ebrei della diaspora coltivano questo tipo di mentalità ma ci sono anche le minoranze che spesso – proprio perché alzano la voce – finiscono per avere un ruolo superiore a quello che competerebbe loro.

     E, quindi, a questo punto dobbiamo prendere in considerazioni quali sono le tesi e quali sono le correnti che si confrontano sul tema della separatezza . Prima di tutto c’è una corrente che sostiene il massimo della separatezza, che sostiene la perugìa integrale, la separazione, e vuole l’assimilazione con il mondo dell’Ellenismo a livello zero. Poi c’è una corrente che sostiene il superamento della separatezza e guarda a una assimilazione totale con le altre culture dell’Ellenismo. Queste due correnti hanno i loro punti di riferimento nella classe sacerdotale: la prima corrente, quella di assimilazione-zero, è formata soprattutto da una frangia del partito dei Sadducei, dall’aristocrazia sacerdotale che non vuole contaminarsi perché non vuole perdere il potere religioso. La seconda corrente, quella di assimilazione-totale, è formata soprattutto dai mercanti più ricchi, i quali pensano che più assimilazione c’è più giro d’affari ci sia. Ma queste due correnti, assimilazione-zero e assimilazione-totale, sono minoritarie anche se tuttavia hanno un peso perché hanno potere: religioso ed economico. Il blocco maggioritario è costituito da una terza corrente, una corrente composita, il cui zoccolo duro è formato dall’ala popolare e moderata dei Farisei, dalla piccola borghesia produttiva, potremmo dire dalla classe media. Questa classe non vuole rinunciare né all’integrazione con la società civile delle città di cui gli Ebrei, ormai, sono diventati cittadini, né vuole rinunciare alle proprie tradizioni e, quindi, gli appartenenti a questa corrente pensano che sia un bene non assimilarsi ideologicamente.

     Quindi gli appartenenti a questa terza corrente pensano che sia necessario attuare il massimo dell’integrazione nel minimo dell’assimilazione: gli Ebrei devono inserirsi il più possibile nella società civile senza però lasciarsi assimilare dai contenuti ideologici di questa società. A questa terza corrente, che è maggioritaria, appartengono anche gli intellettuali, gli scrivani, i quali pensano che il mantenimento delle tradizioni possa avvenire attraverso un rinnovamento culturale e sono convinti – soprattutto dopo l’esperienza creativa dell’esilio babilonese – che sia un bene usare strumenti nuovi per salvaguardare contenuti tradizionali. Quindi non c’è bisogno di contenuti altri e diversi ai quali assimilarsi, ma c’è bisogno di strumenti nuovi, di linguaggi nuovi, di alfabeti nuovi, di forme nuove: questa nuova mentalità porta alla traduzione in greco dei Libri dell’Antico Testamento, alla composizione dei ketubim e al componimento di nuove opere, frutto della contiguità tra la cultura dell’ellenismo e dell’ebraismo. Questa corrente maggioritaria è quella che porta all’attuazione dello storico compromesso  tra la cultura dell’ellenismo e dell’ebraismo: lo zoccolo duro della cultura europea moderna e contemporanea.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola “compromesso” – nel senso di “accordo, adattamento, accomodamento, intesa, convenzione” – ci invita a riflettere… Oggi a che cosa vi fa  pensare questa parola?  

Scrivete quattro righe in proposito: non si vive senza fare dei compromessi...

     Lo storico compromesso tra la cultura dell’ellenismo e quella dell’ebraismo ha preso forma nel corso del dibattito sulla perugìa (separatezza)di cui stiamo parlando e voi capite che non è un paradosso – come potrebbe sembrare – il fatto che un dibattito sulla separatezzaporti ad un compromesso: sappiamo, infatti, che il temine greco che traduce la parola ebraica perugìa (separatezza)è diaspra, diaspra una parola che rimanda all’idea di distinzione, non tanto, quindi, al concetto del dividersi per scontrarsi ma del distinguersi per confrontarsi. E lo storico compromesso tra la cultura dell’ellenismo e quella dell’ebraismo ha preso forma sulla scia di una domanda fondamentale che ha sempre accompagnato le varie fasi del dibattito sulla perugìa (separatezza): «Ma perché noi Ebrei dobbiamo allontanare coloro i quali si avvicinano alle nostre comunità? La loro curiosità non mette a repentaglio le nostre tradizioni, anzi, è probabile che vengano esaltate». Non dobbiamo fare l’errore di considerare questo interrogativo come se fosse una domanda banale perché non era così facile trovare una soluzione al problema.

     La separatezza integrale delle comunità ebree dal resto della società ellenistica era considerato fondamentalmente un fatto negativo e, difatti, veniva considerato un atteggiamento negativo da parte della maggioranza, però non si potevano introdurre i non-Ebrei nella comunità a causa del testo di un midrash, a causa del racconto cerimoniale contenuto nei Libri della Genesi e dell’Esodo, in cui è chiaro il fatto che Dio aveva stipulato il patto (la berit) proprio con i membri di questo popolo. Il racconto definisce precisamente come popolo eletto i discendenti di Abramo e quando studieremo, strada facendo, il testo della Lettera di Paolo di Tarso inviata “ai Galati”, ci renderemo conto di come questo problema abbia un notevole peso e di come Paolo, con grande abilità, trovi una soluzione esaltando l’importanza di essere discendenti di Abramo e dilatando – estendo a tutti gli esseri umani – questa discendenza.

     Gli Ebrei delle comunità della diaspora, anche se in maggioranza considerano un fatto negativo l’essere separati dalle società civili delle città nelle quali vivono, tuttavia si trovano ideologicamente chiusi in questo recinto ideologico. E allora – si domandano – che fare?

     I non Ebrei, le cittadine e i cittadini delle grandi città dell’Ellenismo che si avvicinano al recinto delle comunità della diaspora curiosi del midrash, interessati a conoscere il significativo racconto della storia che narra del patto stipulato con il Dio d’Israele – il grande romanzo della Genesi e dell’Esodo –, cominciano a esistere quando a queste persone viene attribuito un nome che li definisce perché nella cultura beritica (biblica) le parole fanno esistere le cose (sapete che in ebraico i termini “parola” e “cosa” corrispondono alla stessa parola: dabar”) e, quindi, sono i nomi che fanno esistere le persone. E il nome con cui vengono chiamati i non Ebrei che si avvicinano, con rispettosa curiosità, alle comunità della diaspora corrisponde ad una parola greca, la parola metùentoi, un termine che possiamo tradurre con l’espressione: ospiti timorati di Dio.

     Facciamo un po’ di etimologia di questa parola: non è un esercizio facile ma non ci possiamo esimere dal farlo. Il termine metùentos, al singolare, è una parola formata da entos che viene tradotto con l’espressione: pensare di essere. Poi troviamo, in testa alla parola, il termine metùs che deriva dal verbo metèinche significa temere, avere timore, quindi il metùs è una persona timorosa, timorata. Di conseguenza metùentos significa letteralmente: colui – o colei – che pensa di essere timorato cioè sotto la protezione di Dio. E perché, allora,  a questo termine è stato dato, prima di tutto, il significato di ospite? Perché un ospite è una persona che, in nome di Dio, si affida alle cure di un’altra persona.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Qual è stata la persona che più volentieri avete ospitato in vita vostra?…

Scrivete quattro righe in proposito

     La parola greca metùentos, l’ospite timorato di Dio, che storia ha? Questa parola – così come ci suggeriscono le studiose e gli studiosi di filologia ellenistica – ha una storia interessante e complessa e per raccontarla dobbiamo percorrere un sentiero collaterale a quello principale e questa passeggiata filologica la faremo la prossima settimana.

     Ora, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, facciamo una digressione puntando l’attenzione sulla parola ospiteperché questa parola ci permette di incontrare un romanzo che merita di essere letto. Il romanzo di cui stiamo parlando è stato tradotto e pubblicato in Italia per la prima volta nel 1989 e si è trattato di un significativo evento letterario. Questo romanzo s’intitola Le braci ed è stato scritto nel 1942 dallo scrittore di origine ungherese Sándor Márai che noi abbiamo già incontrato in altre occasioni nei nostri Percorsi. Sándor Márai è stato uno scrittore dimenticato per decenni dall’editoria internazionale nonostante sia uno scrittore che va annoverato tra i grandi maestri della narrativa mitteleuropea del secolo scorso, insieme a Kafka, a Musil, a Roth, a Proust, a Canetti.

     Sándor Márai è nato a Budapest ed è stato, per un certo tratto della sua vita, un famoso scrittore ungherese, e avrebbe potuto continuare a esserlo se, a causa degli avvenimenti storici che hanno condizionato la vita del suo paese e dell’Europa – Màrai è nato nel 1900 – non avesse scelto l’esilio perché tutte le volte che nel suo paese è stata abolita la democrazia parlamentare lui se n’è andato. Sándor Márai ha vissuto in Germania, in Francia, negli Stati Uniti e anche in Italia, a Napoli e a Salerno (dal 1968 al 1979). Nel 1979 Sándor Márai è andato a insegnare negli Stati Uniti dove è morto nel 1989.

     Quando ha composto romanzi, Màrai ha scritto sempre in lingua ungherese anche se in Ungheria le sue opere sono state al bando per molti anni. Oggi molti romanzi importanti di Màrai sono stati tradotti in italiano e pubblicati, li troviamo in biblioteca e, quindi, li possiamo leggere: vale la pena leggerli.

     Il romanzo Le braci – sul quale stiamo puntando la nostra attenzione – è stato già tradotto in venticinque lingue: Sándor Márai è uno scrittore che ha raccolto anche l’eredità del romanticismo ungherese, un movimento culturale elitario, sentimentale che coltiva una straordinaria e graffiante ironia. Nel libro che contiene il romanzo Le braci possiamo trovare e leggere anche un breve – sono poche pagine – e interessante saggio di Marinella D’Alessandro sulla vita e l’opera di Sándor Márai intitolato Le peregrinazioni di un borghese, e questo testo ci permette di conoscere meglio questo affascinante personaggio.

     Il romanzo Le braci – e questa è una caratteristica di tutti i romanzi di Sándor Márai –è uno straordinario monologo esistenziale. Dopo quaratun anni due uomini, che da giovani sono stati inseparabili – come Hans e e Konradin ne L’amico ritrovato –, tornano ad incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi. Uno ha passato quei decenni in estremo oriente, l’altro non si è mosso dalla sua proprietà. Ma tutti e due hanno vissuto in attesa di questo momento. Perché coltivano questo desiderio di incontrarsi? Perché condividono un segreto che possiede una forza singolare: una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, come le braci che stanno nascoste sotto la cenere conservando la capacità di riattivare il fuoco. L’incontro porta verso un cruento duello a parole e tra loro aleggia il fantasma di una donna.

     Noi abbiamo incontrato questo romanzo sulla scia della parola ospite perché i due principali personaggi sono ospiti nel senso più profondo che questo termine possiede: dobbiamo ricordare che si usa questo termine tanto per definire chi è ospitato quanto per definire chi ospita e dobbiamo anche tener conto del fatto che c’è ospite e ospite perché gli ospiti – nonostante la parola che li definisce sia sempre la stessa – non hanno tutti la medesima qualità.

     Noi ci avviciniamo al testo del romanzo Le braci per seguire la parola ospitee lo scrittore comincia proprio la sua narrazione operando una distinzione qualitativa sul significato di questa parola proprio come fa la lingua greca: in greco c’è la parola xénos xenos che definisce un ospite qualunque (considerato poco timorato) e poi – come sappiamo – c’è la parola metùentos che definisce l’ospite timorato.

     E ora leggiamo l’incipit de Le braci di Sándor Márai: dobbiamo dire – se non altro per compiacere il nostro compagno di viaggio, Paolo di Tarso – che anche questo romanzo inizia con l’arrivo di una lettera.

LEGERE MULTUM ….

Sándor Márai,  Le braci  (1942)

In mattinata il generale si soffermò a lungo nella cantina del vigneto. Vi si era recato all’alba insieme al vignaiolo perché due botti del suo vino avevano cominciato a fermentare. Quando finì di imbottigliarlo e fece ritorno a casa, erano già le undici passate. Ai piedi delle colonne, sotto il portico lastricato di pietre umide ricoperte di muffa, lo attendeva il guardacaccia, che porse una lettera al padrone appena arrivato.

… continua la lettura …

     Ci sono ospiti e ospiti e anche Nini – questa straordinaria e potente figura che ricorda le donne bibliche per il modo in cui lo scrittore la costruisce –, anche Nini è un’ospite, un’ospite timorata. E Konrad, l’ospite atteso, chi è?

     Lo scopriremo strada facendo perché il viaggio continua, e la Scuola è qui perché l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona, e ogni persona deve imparare ad alimentare buone passioni e a controllarle con giuste ragioni…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Febbraio 4, 2011