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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA PRENDE FORMA L’IDEA UNITARISTICA ...

Lezione N.: 
22

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna     5–6-7  aprile 2017

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA

PRENDE FORMA L’IDEA UNITARISTICA ...

      Questo è il ventiduesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e la scorsa settimana siamo entrate ed entrati dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio, e il nostro ingresso coincide con il tempo pasquale e, difatti, questo è l’itinerario che precede la vacanza pasquale, dopodiché inizia la terza parte del nostro viaggio e comincia il conto alla rovescia delle rimanenti tappe, tuttavia il cammino da percorrere è ancora lungo e più che mai irto di ostacoli.

      Molti ostacoli - in ben altra misura, si capisce - li ha incontrati anche Michelangelo. Il primo ostacolo che Michelangelo deve superare riguarda proprio la forma architettonica del soffitto su cui deve lavorare e, a questo proposito, abbiamo concluso l’itinerario della scorsa settimana narrando un aneddoto che è necessario raccontare ancora una volta per poter prendere il passo.

      Nel dicembre dell’anno 1559 - a quasi mezzo secolo di distanza dall’inaugurazione del soffitto della Cappella Sistina - un cardinale attraversa Roma in carrozza durante una giornata piovosa e, a tratti, nevosa, quando vede un vecchio che cammina a fatica tra il fango in direzione del Colosseo e del Foro [che allora era chiamato il Campo Vaccino perché tra le antiche rovine della Roma imperiale pascolavano le mucche]. Il porporato ordina al cocchiere di avvicinarsi a quest’uomo che lui subito riconosce: è il celebre scultore, pittore, architetto e poeta Michelangelo Buonarroti e lo invita a salire in carrozza ma lo scorbutico vegliardo [Michelangelo ha 84 anni] respinge l’offerta dicendo: «Grazie, ma sto andando a Scuola». «A Scuola?» esclama il cardinale. «Ma a lei, maestro, quale Scuola potrebbe insegnare qualcosa?». Michelangelo indica il Colosseo e le rovine del Foro e risponde: «Questa è la mia Scuola, e se non avessi, fin da giovane, frequentato questa Scuola lei quando entra nella Cappella papale vedrebbe sopra la sua testa solo il fondo di una botte». Questo cardinale si chiama Giovannangelo Medici di Marignano e tre settimane dopo entra nella Cappella Sistina per il conclave e viene eletto papa, Pio IV, e la sera stessa racconta nelle sue memorie questo aneddoto, e aggiunge: «Appena eletto ho alzato gli occhi al cielo e, per la prima volta, mi sono accorto di non avere sopra la testa il fondo di una botte». Il tema della botte contiene una metafora di carattere architettonico, e l’aneddoto che abbiamo raccontato ci fa capire che Michelangelo ama - e ha studiato a fondo - lo stile classico della romanità antica.

      Michelangelo ama lo stile classico della romanità antica, ama l’architettura del Pantheon, ama la scultura possente i cui esemplari emergevano numerosi dagli scavi archeologici, già promossi da Sisto IV, ama i particolari dei frammenti delle cornici trovate nel Foro, arricchite dai Medaglioni, e ama i soffitti a cassettoni della basilica di Massenzio [tanto per fare qualche esempio e questi oggetti dell’Arte romana li potete osservare su un Catalogo e sui siti della rete], e nella Cappella Sistina [come lui avrebbe gradito] non ci sono elementi architettonici classici, perché l’edificio, così come lo ha voluto Sisto IV sul modello del Tempio di Gerusalemme, comunica un’impressione medioevale di sobrietà, e il soffitto è una semplice volta a botte [ed ecco la botte di cui parla Michelangelo] il cui aspetto austero è alleviato solo in parte da dodici triangoli lungo il bordo.

      Quando Michelangelo progetta l’affresco del vasto soffitto della Sistina la prima cosa a cui pensa è quella di dare una struttura “classica” al colpo d’occhio d’insieme, sia per dare un senso di maggiore profondità alla volta [perché non sembri il fondo di una botte] sia per incorniciare e suddividere il gran numero di temi e di figure che deve affrescare, creando un’immagine che abbia l’aspetto di una galleria d’arte [e anche di una biblioteca sospesa a più di venti metri da terra], quindi Michelangelo predispone una finta struttura architettonica composta da archi [dieci arconi] che attraversano tutta la volta.

      Questa finta struttura architettonica, progettata e realizzata, è predisposta da Michelangelo perché abbia una serie di funzioni: la prima funzione è che, pur sembrando di solido marmo, deve dare un senso di leggerezza alla massiccia volta a botte del soffitto e deve dare l’impressione che il soffitto si levi verso il cielo e, infatti, osservando il soffitto nel suo complesso, non solo non sembra pesante ma fa pensare a una sorta di tappeto volante [o a un grande aereo] che decolli da terra. Per ottenere questo effetto Michelangelo aggiunge due sottili strisce di falso cielo alle due estremità della volta prima che inizino gli archi, in modo tale che il soffitto affrescato venga percepito come una struttura aperta e aerea.

      Inoltre, i finti elementi architettonici segnalano a chi sta guardando che il soffitto non è un’accozzaglia disordinata di figure diverse e autonome tra loro, ma è l’espressione di un pensiero organico e unitario, secondo i principi della filosofia neoplatonica che è alla base della sua formazione intellettuale.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un’immagine - cartacea o contenuta in rete - che mostra [quasi tutto] il soffitto della Cappella Sistina andate a fare un esercizio di osservazione per individuare “i dieci arconi” e le due sottili strisce di falso cielo che, alle due estremità, a ridosso del primo e dell’ultimo arco, danno una struttura aperta e aerea alla volta

      Su suggerimento di Fedra Inghirami e con l’approvazione di Giulio II, Michelangelo tesse - dentro la cornice della finta struttura architettonica classica che ha predisposto - una tela che mostra un ricco e coerente paesaggio intellettuale formato da componenti diverse che stanno tra loro perfettamente in armonia: che cosa significa? Dove lo troviamo il presupposto intellettuale che contiene questa idea?

      Quando si entra nella Cappella Sistina e si guarda il soffitto ci accoglie [come ben sappiamo, perché questo tema lo abbiamo studiato la scorsa settimana] il profeta Zaccaria [con il volto del papa che ha in mano il Libro omonimo] e una citazione, posta nell’ultimo capitolo della seconda parte quella ellenistica del Libro del profeta Zaccaria, ha senza dubbio attirato l’attenzione di tutti i pensatori neoplatonici rinascimentali [Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristofaro Landino, Girolamo Savonarola e poi Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro, oltre a Fedra Inghirami, Giulio II e Michelangelo]: questa citazione avvalora il fatto che il soffitto non è un ammasso disordinato di figure diverse e autonome tra loro, ma è l’espressione di un pensiero organico e unitario, secondo i principi della filosofia neoplatonica che è alla base della formazione intellettuale di Michelangelo, e la troviamo nel versetto 9 del capitolo 14 del Libro di Zaccaria dove si legge:  «…e quel giorno [nel giorno in cui non ci sarà più nessun profittatore nel tempio del Signore dell’universo, e sarà poi Gesù - seguendo anche questa indicazione profetica - a cacciare i mercanti dal tempio] il Signore sarà Uno, e il Suo nome, Uno».

     Il concetto di “Uno” nel Libro di Zaccaria è declinato in chiave religiosa [a disposizione dell’esegesi cabalistica] ma lo stesso concetto viene espresso in termini laici nelle Enneadi di Plotino [con un respiro che comprende anche i Libri indiani dei Veda e il Libro cinese del Tao, due grandi apparati culturali dove è evidente il richiamo a un principio unitario].

     Porfirio di Tiro [234-305 circa] è il discepolo di Plotino [203circa-269] che ci ha lasciato in eredità due opere molto importanti: la Vita di Plotino e le Enneadi di Plotino. Plotino ha scritto 54 trattati [in funzione didattica, per fare Lezione] e Porfirio li ha raccolti per argomenti, li ha messi in ordine in sei gruppi di nove opere ciascuno e li ha pubblicati e, siccome un insieme di nove oggetti in greco si chiama “enneade” [perché “nove” si dice “ennèa”], il termine “Enneadi” [che dà il titolo all’opera di Plotino] significa “gruppi di nove trattati ciascuno” e da cinquantaquattro trattati vengono fuori sei Enneadi [54 : 9 = 6].

     Porfirio nella Vita di Plotino riferisce una delle ultime affermazioni del maestro ai propri allievi: «Cercate di ricondurre l’Uno che è in voi, come sotto, all’Uno che è nel Tutto, così sopra». Il concetto, tanto di tradizione ebraico talmudica e cabalistaca quanto di tradizione neoplatonica, espresso nell’adagio [che cita anche Erasmo da Rotterdam]: «Come sotto, così sopra; come sopra, così sotto» Plotino lo usa per affermare che “le nostre azioni sulla terra [come sotto], buone o malvagie che siano, possono influenzare l’intero universo [così sopra]”.

     Questa idea “unitaristica” [che consiste nel creare i punti di giuntura - nexus, in latino - che possano unire in un Tutto le molte e diverse tradizioni culturali per valorizzarne i patrimoni intellettuali] - è un concetto “rinascimentale” che deriva dallo studio del pensiero talmudico, cabalistico e neoplatonico [un pensiero che Michelangelo, così come Giulio II e Fedra Inghirami, ha acquisito nel corso della sua formazione intellettuale]; nel progetto e nella realizzazione dell’affresco del soffitto della Cappella Sistina l’idea “unitaristica” si esplicita - in questo caso con la tecnica pittorica dell’affresco - in una nutrita serie di “punti di raccordo” rappresentati da una ricca sequenza di figure che non hanno una semplice funzione decorativa ma devono formare un sistema strutturale che possa esprimere tanto la nozione dell’armoniosa unità dell’universo quanto la tesi filosofica rinascimentale, di natura neoplatonica e talmudico-cabalistica, secondo cui tutte le fedi, religiose e laiche che siano, e tutte le culture del pianeta provengono da una sola sorgente e conducono a quella stessa sorgente, quella che Platone chiama l’Idea del Bene, contrariamente - senza operare per creare una sintesi [l’Uno]  tra ciò che è buono, bello e giusto - non si può parlare né di “fedi” né di “culture”. La missione della Chiesa [per Michelangelo, Giulio II, Fedra Inghirami, che sono studiosi delle opere di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola] non è quella di sovrapporsi alle altre culture come presunta detentrice assoluta della Verità ma è quella di indirizzare la persona “a ricondurre se stessa all’Uno che è nel Tutto” perché la più piccola azione che avviene sulla terra [come sotto] influenza, nel bene e nel male, la vita dell’intero universo [così sopra], e anche con questa idea in mente Michelangelo sale sul ponteggio consapevole che la sua opera pittorica debba creare dei nessi, debba fondarsi su una struttura basata su solidi punti di raccordo come si legge nel Libro di Zaccaria [che sta all’ingresso]: «…e quel giorno il Signore sarà Uno, e il Suo nome, Uno » [verrà un giorno in cui ci sarà un Codice di Valori, religioso o laico che sia, che tutti gli esseri umani condivideranno].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Avete fatto l’esperienza di essere un punto di raccordo: avete favorito il ricongiungimento e il riavvicinamento tra persone lontane?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     L’affermazione che si legge nel Libro di Zaccaria: «…e quel giorno il Signore sarà Uno, e il Suo nome, Uno» non è particolarmente gradita e completamente accettata dai membri del Sant’Uffizio perché codificano una dottrina e ordinano di credere che il Dio cristiano è “una divinità trinitaria” seppure la dicitura del Simbolo niceno [del Credo] si esprima con parole in cui il concetto dell’unità è fortemente garantito: “Dio è Uno in tre Persone uguali e distinte”, e questa asserzione - di carattere neoplatonico - sul piano teologico assume un’impronta dogmatica e diventa “un pensiero unico”.

     Mentre l’idea “unitaristica” promossa dalla filosofia rinascimentale, che elabora il pensiero neoplatonico originale, consiste nel creare punti di giuntura [nexus, in latino] che possano unire in un Tutto le molte e diverse tradizioni culturali per valorizzarne i patrimoni intellettuali, questa idea ha un’impronta antidogmatica e nel progetto e nella realizzazione dell’affresco del soffitto della Cappella Sistina l’idea “unitaristica” si esplicita - con la tecnica pittorica dell’affresco - in una nutrita serie di “punti di raccordo” rappresentati da una ricca sequenza di figure che non hanno una semplice funzione decorativa ma devono formare un sistema strutturale che possa esprimere tanto la nozione dell’armoniosa unità dell’universo quanto la tesi filosofica rinascimentale, di natura neoplatonica e talmudico-cabalistica, secondo cui tutte le fedi [religiose e laiche che siano] e tutte le culture del pianeta provengono da una sola sorgente e conducono a quella stessa sorgente: l’Uno [il virtuoso esercizio della sintesi di cui è capace l’Intelletto umano].

     Per questo motivo [sulla base di questa riflessione sull’idea “unitaristica” della realtà elaborata dalla filosofia rinascimentale] sono da considerarsi importanti le numerose figure che Michelangelo ha creato e dipinto in “funzione di raccordo” nell’affresco del soffitto della Cappella Sistina perché ha ben presente che queste immagini devono garantire l’armoniosa unità del Tutto e le numerose figure che Michelangelo ha creato e ha dipinto in “funzione di raccordo” nell’affresco del soffitto della Cappella Sistina sono divise, in senso aristotelico, per categorie.

     La prima categoria è quella dei cosiddetti Ignudi [così li ha chiamati il Vasari]. Gli “Ignudi” del soffitto della Sistina sono subito ben identificabili guardando l’affresco perché sono venti bellissimi giovani seduti sui plinti [piedistalli] degli arconi che a coppie sorreggono dieci Medaglioni, e una volta identificati i Medaglioni [che è facile perché hanno forma circolare e un colore che imita il bronzo dorato] anche i giovani nudi vengono messi a fuoco. Gli Ignudi mostrano i Medaglioni [poi diremo che cosa contengono i Medaglioni] e anche dei festoni vegetali [con ghiande di rovere], e hanno la funzione di raccordare i sottostanti troni dei Veggenti e i sovrastanti  riquadri, quelli di formato minore, con le Storie bibliche. Gli Ignudi sono dotati di corpi affascinanti ritratti in una molteplice varietà di pose e di atteggiamenti per mettere in evidenza l’armonica muscolatura secondo lo stile ellenistico che Michelangelo ha fatto proprio. Anche il loro incarnato presenta tutta la varietà timbrica possibile [dal pallido all’abbronzato] e i volti esprimono umori e sentimenti diversificati, e anche le chiome sono diverse per fogge e colori, e in alcuni di loro i capelli sono trattenuti da fasce. Gli Ignudi tengono tesi dei nastri rosa, gialli o violacei che sostengono i Medaglioni e questi nastri passano per quattro fessure nella cornice di ciascun medaglione, e i nastri servono anche per creare una serie di varianti nelle posizioni degli Ignudi: c’è chi ci posa un piede sopra, chi vi s’impiglia, chi tira il nastro animatamente, chi se lo avvolge intorno al corpo, chi lo gira intorno ai festoni vegetali. Gli Ignudi hanno a che fare con manti e panni che sono privi di una vera funzione perché non servono per coprire i corpi ma risultano utili per creare un particolare dinamismo e per rompere, con il colore, la monotonia degli incarnati ricorrenti.

     Sui loro sedili [i plinti degli arconi], che sono stretti e bassi per favorire le posizioni più strane dei corpi, alcuni Ignudi dispongono anche di sacconi a uso di cuscino ma nessuna di queste venti figure [che sembrano statue] appare comodamente seduta perché il loro compito è quello di tenere tutto in tensione [la tensione dell’esercizio della sintesi], il loro compito è quello di rendere visibile e di avvalorare il concetto di “unità nella diversità”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Partendo dall’individuazione dei Medaglioni osservate le figure degli “Ignudi” su un’immagine – cartacea o contenuta in rete - che mostra [quasi tutto] il soffitto della Cappella Sistina...

     Gli Ignudi, abbiamo detto, mostrano i Medaglioni e tengono tesi i nastri colorati che li sostengono e la seconda categoria di figure che Michelangelo ha creato e ha dipinto in “funzione di raccordo” nell’affresco del soffitto della Cappella Sistina è quella dei Medaglioni. I Medaglioni sono oggetti di ornamento architettonico molto diffusi dall’antichità e i pittori del Quattrocento li riproducono spesso [per esempio Botticelli] facendo riferimento soprattutto a quelli che ornano l’Arco di Costantino. Il Medaglione, come elemento architettonico, è destinato a contenere immagini di alto valore simbolico: che cos’è una medaglia se non un elemento celebrativo, un distintivo, un riconoscimento, una onorificenza, un premio?

     I dieci Medaglioni, realizzati da Michelangelo con il colore caldo del bronzo dorato, hanno un diametro che oscilla intorno ai 130-140 centimetri e la loro funzione è anche quella di inserire tra gli arconi marmorei e gli statuari Ignudi la figura emblematica e magica del cerchio a completare l’uso di tutte le principali forme geometriche care a Pitagora.

     Che cosa ha raffigurato Michelangelo nei Medaglioni? Questa è una domanda alla quale bisogna rispondere tenendo conto del fatto che ci sono diverse correnti di pensiero che propongono spiegazioni diversificate e, quindi, dobbiamo fare l’inventario delle ipotesi interpretative più significative [che è quello che ci compete, secondo la natura di un Percorso di Alfabetizzazione funzionale e culturale].

     C’è una corrente di pensiero che ipotizza che le cinque coppie dei Medaglioni [a due a due venendo dall’ingresso] esemplifichino la superbia, la mancanza di fede, l’oltraggio al padre, la pietà e il timor di Dio, mentre un’altra corrente di pensiero ipotizza che i dieci Medaglioni rappresentino i dieci comandamenti.

     Ma noi ora dobbiamo puntare l’attenzione su quella che è l’interpretazione più appropriata perché, provenienti dall’Epistolario di Fedra Inghirami, possiamo contare su alcune allusioni [di prima mano] che lui fa quando associa il termine “Medaglioni” con una serie di testi e di passi biblici sui quali deve fornire la sua consulenza, e di qui possiamo risalire agli episodi raffigurati nei Medaglioni che fanno riferimento a fatti di carattere bellicoso. L’ipotesi più accreditata che giustificherebbe la natura bellicosa degli episodi rappresentati nei Medaglioni è che Giulio II sente il bisogno di giustificare il fatto che anche lui, come molti personaggi dell’Antico Testamento, è costretto, suo malgrado, a fare la guerra, e Michelangelo [con la consulenza di Fedra Inghirami] lo asseconda nel suo bisogno di auto-assolversi.

     Il catalogo dei Libri della Bibbia che, secondo le allusioni di Fedra Inghirami, si può associare al contenuto dei Medaglioni riguarda: i due Libri dei Re, i due Libri di Samuele, il Libro della Genesi e i due Libri dei Maccabei. In questa prospettiva [osservando con attenzione i Medaglioni] le studiose e gli studiosi hanno ipotizzato che, a due a due venendo dall’ingresso, le storie contenute nei Medaglioni rappresentino: nel primo e nel secondo Medaglione “Antioco che cade dal carro” e “Ioab che uccide Abner”; nel terzo e nel quarto Medaglione “L’abbattimento di un idolo” e “La punizione di Eliodoro”; nel quinto e nel sesto Medaglione “La morte di Nicanor” e “Alessandro Magno davanti al gran sacerdote”; nel settimo e nell’ottavo Medaglione un soggetto indecifrabile a causa dell’abrasione potrebbe rappresentare “Assalonne che violenta una delle concubine di suo padre Davide” e “La morte di Assalonne”; nel nono e nel decimo Medaglione “Elia che ascende sul carro di Fuoco” e “Il sacrificio di Isacco da parte di Abramo”.

     Alcune di queste scene [Elia sul carro di fuoco e il sacrificio di Isacco] sono note, mentre altri episodi legati a personaggi che ci sono estranei [perché mai o molto raramente li abbiamo sentito nominare] risultano sconosciuti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un Dizionario biblico che trovate in biblioteca e sui siti della rete potete documentarvi sull’identità e sul ruolo dei personaggi - Antioco, Ioab, Abner, Nicanor, Assalonne – che abbiamo citato in riferimento agli episodi descritti nei Medaglioni dipinti da Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina Non mancano gli strumenti per fare ricerca: utilizziamoli

     Noi ora, secondo l’intenzione di chi ha dipinto, di chi ha commissionato e di chi ha contribuito a progettare l’affresco, ci dobbiamo fare [in funzione della didattica della lettura e della scrittura] due domande che s’intersecano l’una con l’altra: che cosa rappresenta nel sesto Medaglione la figura di Alessandro Magno [che non è propriamente un personaggio biblico] inginocchiato davanti al gran sacerdote e dove porta, di conseguenza, nel suo complesso la trafila narrativa presente nei Medaglioni?

     Alessandro Magno, il grande conquistatore macedone, è presente perché la sua morte prematura senza aver lasciato eredi ha causato la divisione del Medio Oriente in regni e questa frammentazione ha portato, in Siria, all’ascesa al trono di Antioco Epifane della dinastia dei Seleucidi che governa in modo dittatoriale lo Stato d’Israele [che ha perduto l’autonomia] con l’intenzione di soffocare le tradizioni di questo popolo che, quindi, lotta per riconquistare la propria autonomia culturale [e l’indipendenza politica].

     Negli altri Medaglioni sono raffigurati episodi tratti dai Libri dei Re, dai Libri di Samuele, dal Libro della Genesi che preparano l’avvento della famiglia ebraica degli Asmonei che guida la resistenza contro i Seleucidi, e governa la Giudea tra il 134 e a 36 a.C. con il soprannome di Maccabei. Quindi, le narrazioni contenute nei Medaglioni [secondo le allusioni filologiche di Fedra Inghirami] costituiscono una sequenza che porta a puntare l’attenzione sui Libri dei Maccabei, sui testi che narrano l’eroica resistenza ebraica contro gli invasori, e Giulio II - che ha dovuto fare la guerra per garantire l’indipendenza allo Stato vaticano, prima di tutto contro i Borgia - vorrebbe probabilmente essere identificato con l’eroica figura di Giuda Maccabeo e, a questo proposito, potremmo dire che il papa guerriero vorrebbe essere decorato [e la metafora è calzante] con i dieci Medaglioni [e Michelangelo, con una certa ironia, lo asseconda].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Avete ricevuto qualche medaglia?... Di che tipo?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Dobbiamo ribadire il fatto che, come sappiamo, l’affresco del soffitto della Cappella Sistina ha un intento di carattere pedagogico e filologico perché il pittore, il committente e il consulente librario appartengono intellettualmente alla corrente pedagogico-filologica del neoplatonismo diretta, a suo tempo, da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola e di questa realtà dobbiamo sempre tenerne conto; di conseguenza, la dipintura dei dieci Medaglioni ha come obiettivo quello di farci conoscere i Libri dei Maccabei che appartengono ad una sezione molto particolare [all’ultimo comparto dell’indice] della Bibbia, un settore che ha attirato l’attenzione degli Umanisti [da Lorenzo Valla a Erasmo da Rotterdam] che si sono appassionati a fare l’esegesi dei Libri [dieci Libri] di questa sezione [chiamata “deuterocanonica” (del secondo canone)] e, di conseguenza, hanno anche cominciato a occuparsi di un grande avvenimento intellettuale che finora [nel corso del Medioevo] era stato solo marginalmente preso in considerazione: di quale avvenimento si tratta?  E poi se, come abbiamo detto, Giulio II si identifica con la figura di Giuda Maccabeo dobbiamo chiederci: chi è questo personaggio e che caratteristiche hanno i Libri dei Maccabei?

     Una decina di anni fa abbiamo studiato i Libri dei Maccabei - che appartengono alla cosiddetta sezione “deuterocanonica” [del secondo canone] dell’Antico Testamento - per affrontare il tema, molto interessante, della traduzione in greco dei Libri della Bibbia, la cosiddetta “traduzione dei Settanta”: il più significativo avvenimento filologico dell’Età ellenistica [e ora ci soffermiamo solo su alcuni particolari del vasto e complesso tema della traduzione dei Libri della Bibbia in greco in funzione dell’argomento che stiamo trattando e che riguarda il significato filologico dei Medaglioni dipinti da Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina].

     La traduzione in greco dei Libri dell’Antico Testamento ha permesso a questa Letteratura [la Letteratura beritica] di essere letta e studiata su tutto il territorio dell’Ecumene: quel vastissimo spazio - dal bacino del Mediterraneo al fiume Indo - che ha costituito, per breve tempo, l’area dell’impero di Alessandro Magno, un’area sulla quale si è repentinamente diffusa la lingua e la cultura greca dando vita a quel movimento artistico e letterario detto l’Ellenismo ed è in questo contesto che le comunità ebraiche della diaspora sentono il bisogno di tradurre i Libri della Bibbia in greco, ma questo avvenimento, tuttavia, crea [ad Alessandria, che dal II secolo a.C. è diventata la capitale dell’Ellenismo] un forte contrasto all’interno dell’ebraismo.

     In occasione della traduzione dei Libri della Bibbia in greco [un avvenimento che dura per tutta l’Età ellenistica dal III secolo a.C. al III secolo d.C.] si formano ad Alessandria due correnti di pensiero contrapposte e intellettualmente molto agguerrite.

     La prima corrente è quella dei “filotraduzionisti” che vogliono tradurre in greco tutti i Libri della Bibbia perché ormai la maggioranza degli Ebrei vive nelle comunità della diaspora [quelli rimasti in Palestina sono una minoranza] e gli Ebrei della diaspora si esprimono in greco, la lingua che si parla su tutto il territorio dell’Ecumene dal bacino del Mediterraneo all’Indo, mentre l’ebraico non lo parlano e non lo conoscono più [per loro è solo l’antica lingua della tradizione rituale della quale vorrebbero capire meglio il significato].

     La seconda corrente è quella dei “controtraduzionisti” che si oppongono alla traduzione dei Libri della Bibbia in greco perché considerano questa operazione un passo decisivo verso la perdita dell’identità [della purezza, la perugìa] e un affronto nei confronti di Dio [il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mosé] che si è espresso in questa lingua e, quindi, per contrastare il movimento dei traduttori, in attività ad Alessandria dal III secolo a.C., i controtraduzionisti [che sono intellettuali ebrei-alessandrini immersi nella cultura greca] scrivono delle opere molto significative in difesa della tradizione ebraica e le scrivono in greco [altrimenti come fanno a divulgare le loro idee visto che l’ebraico è una lingua marginale, e visto che vivono ad Alessandria ed è in questa città, la capitale dell’Ellenismo, che matura e dura lo scontro], vengono composte una serie di opere così interessanti che, poi, verranno inserite nel canone della Bibbia ebraica tradotta in greco [il secondo canone, detto deuterocanonico, messo in ordine per la prima volta da Filone Alessandrino nel I secolo]: questi Libri - scritti direttamente in greco per contrastare la traduzione della Bibbia in greco - entrano poi nel canone della Bibbia tradotta in greco per celebrare la tradizione ebraica senza però derivare da un corrispettivo testo ebraico, e questo è uno di quei paradossi che rendono un avvenimento letterario veramente importante perché capace di evidenziare - attraverso una dura contesa intellettuale - l’incontro e il dialogo tra diverse culture come quella greca e quella ebraica [e, quindi, il tema della traduzione della Bibbia in greco è un avvenimento che gli Umanisti del Rinascimento studiano con attenzione sul piano filologico domandandosi e prodigandosi nella ricerca per capire se tutta una serie di parole-chiave nel passaggio da una lingua all’altra conservino il loro significato originario]. In greco per definire “l’incontro e il dialogo tra culture diverse” si utilizza il termine “koiné” che possiamo tradurre con l’espressione “mentalità unitaristica” [la lingua greca diffusasi su tutto il territorio dell’Ecumene produce una koiné].

     La sezione dei “Libri deuterocanonici” [del secondo canone] della Bibbia comprende dieci testi: il Libro di Baruch, quello di Tobia, quello di Giuditta, quello greco di Ester, i due Libri dei Maccabei, quello del Siracide, quello della Sapienza, la Lettera di Geremia e i Supplementi al Libro di Daniele.

     I due Libri dei Maccabei [sui quali dobbiamo puntare la nostra attenzione] sono stati scritti nel II secolo a.C. ad Alessandria, che è il centro propulsore del movimento intellettuale dell’Ellenismo, da due o più scrittori appartenenti alla corrente “controtraduzionista” i quali operano non solo per mettere in guardia la comunità ebraica sull’operazione culturale in atto di traduzione dei Libri della Bibbia in greco, ma vogliono anche che gli Ebrei, nel momento in cui si sono, doverosamente, ben integrati nel mondo greco-alessandrino, si sforzino di far emergere ancor di più l’esigenza di salvaguardare la loro cultura, le loro tradizioni e la loro lingua [sebbene ormai sia una lingua utilizzata in funzione liturgica] perché devono conservare decisamente la loro identità.

     I Libri dei Maccabei sono due testi scritti in greco da intellettuali ebrei che conoscono bene la cultura greca [e apprezzano il pensiero classico di Platone e di Aristotele] e vogliono, da una parte, spronare gli Ebrei a non dimenticarsi delle loro tradizioni e, dall’altra, alludono anche al fatto [rivolgendosi a tutte le persone di ogni fede e cultura che vivono sul territorio dell’Ecumene] che nel variegato calderone del mondo ellenistico si va sempre più abbassando il livello culturale [si è diffuso un superficiale consumismo per cui valgono di più gli amuleti portafortuna che i Libri, e la superstizione conta molto di più che l’impegno intellettuale] e si vanno perdendo i valori morali [la temperanza, la fortezza, la giustizia, la sapienza] forgiati dalla civiltà classica greca. I testi dei Libri dei Maccabei sono due opere scritte secondo lo stile della migliore letteratura ellenica per criticare i corrotti costumi ellenistici [la dissolutezza, la pigrizia, l’iniquità, la superficialità, la faciloneria, la stupidità] che mirano, affermano gli autori, a contaminare anche i membri della comunità ebraica.

     E, quindi, l’intento di Michelangelo nel dipingere il contenuto dei Medaglioni sul soffitto della Cappella Sistina è quello di realizzare [su suggerimento del committente e del consulente librario] una trafila narrativa con episodi [tratti dai Libri dei Re, dai Libri di Samuele, dal Libro della Genesi] che preparano l’avvento della famiglia ebraica degli Asmonei i quali, con il nome di battaglia di Maccabei [che potrebbe voler dire “valorosi” o “indomabili”], guidano, dopo la morte prematura di Alessandro Magno, la resistenza contro i Seleucidi rappresentati dal despota Antioco Epifane che vuole cancellare le tradizioni ebraiche [l’etica della Torah, della Legge uguale per tutti]. Questa narrazione porta a mettere in evidenza il contenuto dei Libri dei Maccabei in modo da dare forma a una similitudine: così come la critica severa degli autori dei Libri dei Maccabei si rivolge contro il malcostume diffuso dai governanti dei Regni ellenistici [i Seleucidi, i Tolomei, gli Antigonidi, gli Attalidi] che produce una dissolutezza che contamina anche la comunità ebraica, così il messaggio contenuto nell’affresco del soffitto della Cappella Sistina è un monito indirizzato nei confronti del comportamento dissoluto di molti ecclesiastici, un fenomeno da contrastare energicamente perché diffonde una nefasta infezione in tutta la cristianità.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando un catalogo che trovate in biblioteca e sui siti della rete che riportano le immagini de “la Volta della Sistina” osservate il contenuto dei Medaglioni dei quali sono stati elencati i titoli e la disposizione nel punto 4 del REPERTORIO...

     I due Libri dei Maccabei - “Maccabeo” è un soprannome il cui significato risulta oscuro [che potrebbe, come abbiamo detto, voler dire “valoroso” o “indomabile”] - raccontano la saga di una famiglia e, a questo punto, la mente va a quei romanzi dell’800 e del ’900 che raccontano grandi saghe familiari [ne avrete senz’altro letti più d’uno]. A questo punto, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, potremmo aprire su questo argomento una parentesi molto ampia, ora però non abbiamo né lo spazio né il tempo per poterlo fare, ma tra quindici giorni dedicheremo alcune pagine a questo tema. Adesso ci dobbiamo occupare della saga della famiglia dei Maccabei che emerge con tutta la sua potenza allusiva dalle scene contenute nei Medaglioni dipinti da Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina.

     Il grande protagonista della saga familiare dei Maccabei è Giuda Maccabeo che, con i suoi fratelli Gionata e Simone, si ribella e lotta contro la persecuzione di Antioco IV Epifane, compiendo imprese leggendarie, non tanto per l’indipendenza politica del suo popolo ma soprattutto per amore della Legge di Mosé [la torah], del Tempio di Gerusalemme [l’Heichal] e dell’Alleanza [la berit] con Dio. L’identità storica degli avvenimenti “meravigliosi” narrati in questi due testi è molto incerta: si tratta di un’epopea e, chi ha scritto, ha come obiettivo non quello di narrare avvenimenti storici ma bensì di fare un’apologia dei personaggi eroici. Per questo motivo l’autore del Primo Libro dei Maccabei lascia spesso la veste dello storico [puntiglioso nella cronologia ma fantasioso nella descrizione degli avvenimenti e dei personaggi] per indossare quella del poeta.

     Se leggiamo la presentazione, l’entrata in scena, di Giuda Maccabeo nel capitolo 3 del Primo Libro dei Maccabei ci rendiamo subito conto che l’autore [un intellettuale alessandrino] compone un “carme elogiativo” tipico della cultura greca con lo stile con cui vengono presentati gli eroi greci [Giuda Maccabeo è disegnato sul modello della figura di Achille nell’Iliade di Omero]. Leggiamo i primi 9 versetti del capitolo 3 del Primo Libro dei Maccabei, è un brano poetico intitolato Elogio di Giuda Maccabeo.

LEGERE MULTUM….

Primo Libro dei Maccabei   3, 1-9

Elogio di Giuda Maccabeo

Il figlio di Mattatia, Giuda soprannominato Maccabeo, succedette al padre. Tutti i suoi parenti e quelli che si erano uniti a suo padre lo aiutarono e con grande entusiasmo combattevano per Israele.

Egli accrebbe la gloria del suo popolo, rivestì la corazza come gigante,

si cinse con le armi da guerra, scese in battaglia, difese l’accampamento con la spada.

Nelle sue imprese fu come un leone, come leoncello ruggente sulla preda.

Inseguì gli empi braccandoli, i perturbatori del popolo distrusse con il fuoco.

I malvagi sbigottirono per paura di lui e tutti i malfattori furono confusi.

Sotto la sua guida la lotta di liberazione ebbe successo.

Diede filo da torcere a molti re e con le sue imprese rallegrò

i discendenti di Giacobbe. Chi lo ricorda lo loderà sempre.

Egli passò per le città di Giudea e disperse i disonesti e distolse l’ira da Israele.

Divenne celebre fino all’estremità della terra perché radunò quelli che erano dispersi…

     L’autore vuole dimostrare - nel dibattito in corso tra filotraduzionisti e controtraduzionisti - che, alcuni ebrei coraggiosissimi, hanno saputo lottare per difendere la memoria e la continuità delle antiche tradizioni del popolo d’Israele, che hanno saputo esaltare le sue feste che devono continuare ad essere celebrate anche nella diaspora, soprattutto quella della “dedicazione” e della “purificazione” del Tempio [anche se il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto ed è in rovina, l’idea del Tempio deve rimanere nella mente degli Ebrei della diaspora].

     Quindi, nei due Libri dei Maccabei, sotto forma di epopea [di midrash epico], c’è uno straordinario richiamo al popolo stesso della diaspora perché si integri pure sul territorio dell’Ellenismo [bisogna essere cittadine e cittadini per strada e in piazza] ma senza dimenticare le proprie radici, le proprie tradizioni, i propri riti [bisogna essere Ebrei in casa].

     La lettura dei Libri dei Maccabei non è facile e per accedere a questi testi è necessario procurarsi alcune “chiavi” in modo che il testo possa aprirsi ad una maggiore comprensione.

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Un primo contatto con queste due opere si può avere leggendo i capitoli 7 [il martirio dei sette fratelli] e 8 [le imprese di Giuda Maccabeo] del Secondo Libro dei Maccabei

Fate questo esercizio…

     In questi due capitoli si esalta la “guerra di resistenza e di liberazione”, si parla di “martirio” e di “sacrificio” e poi si parla di “risurrezione” come premio per quelli che hanno lottato, che si sono sacrificati per la giusta causa dell’indipendenza.

     E il motivo de “la risurrezione” [e siamo a Pasqua e, quindi, siamo in sintonia con l’anno liturgico] traspare dal colore caldo del bronzo dorato dei Medaglioni che Michelangelo affresca sul soffitto della Cappella Sistina dove si afferma che ci sono già persone che “hanno fede nella risurrezione” e sono già, sebbene inconsciamente, in attesa dell’avvento di Gesù Cristo rivivendone persino la passione. «È bello [dicono i sette giovani martiri che, insieme alla madre che li sprona a resistere, lottano per l’indipendenza] essere uccisi dagli uomini, quando si ha una speranza: Dio ha promesso di ridare la vita» e «Il re dell’universo ci farà risorgere per una vita che non finisce, dato che moriamo per le sue Leggi». Si capisce che, sebbene lo spirito sia diverso, c’è un nesso molto profondo tra i Libri dei Maccabei e la Letteratura del Vangeli che verrà prodotta circa due secoli dopo.

     Il testo del Secondo Libro dei Maccabei [e di conseguenza il messaggio contenuto nei Medaglioni dipinti sul soffitto della Sistina] c’invita a riflettere su alcune idee-significative e la prima riflessione riguarda il concetto della “resurrezione”: un concetto che ha le sue radici nella cultura orfico-dionisiaca e che sarà mutuato poi dal Cristianesimo. Ci troviamo di fronte a un testo [il testo del Secondo Libro dei Maccabei] che vuole denunciare il degrado in cui è caduta la cultura greco-ellenistica [con la perdita della qualità in nome della quantità, con la fine della politica tessuta e vissuta sulle piazze in favore del dispotismo chiuso nelle regge, con il sopravvento delle costose e poco educative scuole dei saccenti maestri alessandrini che istigano i regimi a perseguitare i filosofi di strada], ebbene, la denuncia avviene esaltando proprio un tema fondamentale della cultura greca [della sapienza poetica orfica]: il tema della “risurrezione”, un argomento che invita a coltivare la speranza della liberazione dalle miserie dell’esistenza.

     Sul testo del Secondo Libro dei Maccabei si è formato anche Paolo di Tarso il quale, nell’elaborazione della sua dottrina sulla “risurrezione” [anastàsia, in greco], fa riferimento proprio a questo testo che è molto noto nell’area delle comunità dell’ebraismo nel I secolo. E poi Paolo, leggendo il Secondo Libro dei Maccabei capisce quanto sia incisivo il genere letterario della “Lettera” [per mettere per iscritto le proprie idee], perché il Secondo Libro dei Maccabei inizia [andate a verificare] con il testo di due Lettere, scritte dagli Ebrei di Gerusalemme agli Ebrei d’Egitto [ma in realtà è un autore di Alessandria che scrive a quelli di Alessandria].

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Se andate a leggere i primi 6 versetti del primo capitolo del Secondo Libro dei Maccabei [l’incipit della prima Lettera degli Ebrei di Gerusalemme agli Ebrei d’Egitto] e li paragonate con l’inizio di ciascuna delle Lettere di Paolo di Tarso potete constatare l’affinità di stile tra l’autore alessandrino del Secondo Libro dei Maccabei e la lingua di Paolo...

     In relazione al testo del Secondo Libro dei Maccabei c’è ancora una significativa riflessione da fare in relazione alla natura del nostro Percorso e Michelangelo, a questo proposito [sollecitato da Giulio II e indirizzato da Fedra Inghirami], ha maturato ancora di più la convinzione di dare al soffitto della Cappella Sistina la forma di una biblioteca nella quale “salvare una lingua” [custodire un messaggio culturale].

     I versetti 13, 14 e 15 del capitolo 2 del Secondo Libro dei Maccabei riportano come Giuda Maccabeo - sull’esempio di un saggio non ben identificato di nome Neemia, autore di un Libro di memorie andato perduto - costruisce la “Biblioteca d’Israele”. La costruzione della “Biblioteca d’Israele” non consiste nell’auspicio per la realizzazione di un progetto alternativo alla mastodontica “Biblioteca di Alessandria” [è bene che le biblioteche si moltiplichino] ma con questa proposta si vuole affermare che, se proprio è necessario tradurre dall’ebraico in greco la Legge di Mosé, è bene che questo atto avvenga in un spazio culturale che sia proprio dell’ebraismo, in un’area intellettuale dove si possa realizzare un buon lavoro, un lavoro appropriato in modo che i termini biblici tradotti in greco siano il più possibile rispondenti al loro significato originario. L’ammonimento dell’autore del Secondo Libro dei Maccabei è rivolto a tutti gli intellettuali ebrei [filotraduzionisti e controtraduzionisti] che frequentano l’ambiente della “Biblioteca di Alessandria” perché sappiano presentare il proprio patrimonio culturale [mettendolo anche a confronto] nella maniera più accattivante possibile in modo che possa avere un ruolo sul palcoscenico del grande teatro dell’Ellenismo e i due Libri dei Maccabei [e tutti i dieci Libri deuterocanonici] sono opere che documentano una grande vitalità intellettuale e questo atteggiamento [il fatto di doversi impegnare intellettualmente perché il primo dovere della persona è quello di investire in intelligenza] ha sempre permeato la cultura ebraica.

     La considerazione che ne possiamo trarre è molto significativa: sarà anche la guerra di liberazione [che i Libri dei Maccabei raccontano in modo epico esaltandola] a riscattare un popolo oppresso, ma, molto più importante, per un popolo, per ogni popolo, è conservare la propria cultura per poterla mettere a confronto, in modo fruttuoso, con le altre culture perché l’idea di “unità nella diversità” è di vitale importanza. Difatti il grande patrimonio culturale dell’ebraismo non solo si è conservato ma, attraverso il processo della dispersione e dell’integrazione, è diventato il substrato fecondo della cultura europea: l’Arte e la Letteratura trovano nei testi dell’Antico Testamento una preziosa linfa vitale, e l’affresco del soffitto della Cappella Sistina ne dà testimonianza.

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C’è un oggetto che conservate con cura perché lo ritenete rappresentativo della tradizione della vostra famiglia?...  

Scrivete quattro righe in proposito...

     Leggiamo i tre versetti [13-14-15] del capitolo 2 del Secondo Libro dei Maccabei.

LEGERE MULTUM….

Secondo Libro dei Maccabei  2, 13-15

Queste stesse notizie si trovano anche negli scritti e nelle memorie di Neemia [un libro apocrifo che è andato perduto]. Egli fondò pure una biblioteca e vi raccolse Libri riguardanti i re e i profeti, gli scritti di Davide e le Lettere dei re relative ai doni votivi. Allo stesso modo anche Giuda Maccabeo raccolse tutti i Libri andati perduti a causa della guerra che dovemmo subire, e ora questi Libri preziosi sono presso di noi. Perciò se avete bisogno di questa lingua salvata mandateci qualcuno che ve li porti in modo che li possiate leggere a beneficio del vostro sapere.

     L’espressione “la lingua salvata” fa sì che inevitabilmente la nostra attenzione cada su un romanzo che periodicamente è bene rileggere e che s’intitola proprio così La lingua salvata scritto da Elias Canetti nel 1977 [un autore che ogni tanto incontriamo].

     Elias Canetti [1905-1994] è nato in Bulgaria da genitori ebrei sefarditi di origine spagnola e quindi, in casa, parla lo spagnolo, ma i suoi genitori tra loro, nell’intimità, parlano il tedesco. A scuola Elias parla in bulgaro e studia anche il francese e l’inglese. Inoltre, con la lingua tedesca - una lingua a lui sconosciuta e resa in qualche modo magica dall’uso che ne fanno i genitori - da bambino poliglotta ha un rapporto speciale e doloroso perché Elias impara il tedesco dopo l’improvvisa e prematura scomparsa del padre, e glielo insegna, con pazienza e fatica, sua madre come se fosse un impegno d’amore indirizzato al marito morto.

     Questa singolare esperienza Elias Canetti la racconta in un romanzo autobiografico che s’intitola La lingua salvata e che probabilmente qualcuno di voi ha già letto. Canetti decide di scrivere in tedesco - proprio nella lingua che ha fatto più fatica ad imparare - perché per lui diventa la lingua dell’amore, e anche la lingua del “possesso della madre”.

     Elias Canetti è vissuto a Vienna dove si è laureato in chimica [come Primo Levi] e poi, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, nel 1938 si trasferisce a Londra. Canetti scrive per il teatro alcune significative commedie: Nozze [1932], Commedia della vanità [1952], Le vite a scadenza [1952]. Sappiamo che nel 1935 pubblica il romanzo Auto da fé, uno dei capolavori del ‘900 di cui la Scuola continua a consigliare la lettura e la rilettura. Per decenni Canetti lavora a un saggio fondamentale, pubblicato nel 1960, che s’intitola Massa e potere: un’opera sui meccanismi psicologici del controllo sociale: Canetti studia con quali meccanismi il potere crea e controlla la massa, studia il concetto dell’indottrinamento, un processo che tende “a eliminare la diversità e la varietà”, e Canetti dimostra che l’indottrinamento è l’esatto contrario del concetto di educazione. Infine Canetti ha scritto una serie di volumi autobiografici: La lingua salvata [1977], Il frutto del fuoco [1980], Il gioco degli occhi [1985] e La tortura delle mosche [1992]. Canetti nel 1981 ha ricevuto il premio Nobel per la Letteratura, ed è morto a Zurigo nel 1994.

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In biblioteca ci sono tutti i libri di Elias Canetti, si possono osservare, toccare, sfogliare e se ne può leggere qualche pagina…

     E ora [appunto] leggiamo una pagina tratta da La lingua salvata, una pagina che racconta il rapporto tra la persona [in questo caso un bambino] e il libro [un rapporto che viene pienamente espresso sul soffitto della Cappella Sistina dove i Libri abbondano]. «Accadde una cosa solenne ed eccitante, scrive Canetti, che determinò tutta la mia successiva esistenza. Mio padre mi portò un Libro».

LEGERE MULTUM….

Elias Canetti, La lingua salvata

Andavo già a scuola da qualche mese, quando accadde una cosa solenne ed eccitante che determinò tutta la mia successiva esistenza. Mio padre mi portò un Libro. Mi accompagnò da solo nella stanza sul retro dove dormivamo noi bambini e me lo spiegò. Era le Mille e una notte in un’edizione adatta alla mia età. Sulla copertina, c’era un’illustrazione a colori, se non sbaglio di Aladino con la lampada meravigliosa. Mio padre mi parlò in tono molto serio e incoraggiante e mi disse quanto sarebbe stato bello leggere quel Libro. Lui stesso mi lesse ad alta voce una storia: altrettanto belle sarebbero state tutte le altre. Dovevo cercare di leggerle da solo e poi la sera raccontargliele. Quando avessi finito quel Libro, me ne avrebbe portato un altro. Non me lo feci ripetere due volte e sebbene a Scuola avessi appena finito di imparare a leggere, mi gettai subito su quel Libro meraviglioso e ogni sera avevo qualcosa da raccontargli. Lui mantenne la promessa, ogni volta c’era un Libro nuovo, così che non ho mai dovuto interrompere, neppure per un solo giorno, le mie letture.

... continua la lettura ...

     E ora prima di celebrare la Pasqua con un rituale tradizionale che si è andato codificando in questi anni bisogna assegnare i compiti della vacanze.

     Utilizzando una illustrazione - cartacea o contenuta in rete - che mostra [quasi tutto] il soffitto della Cappella Sistina tornate ad osservare i dieci arconi dipinti sulla volta. Su ogni arcone [come sappiamo] sono sistemati gli Ignudi [due per arcone] e poi sotto gli Ignudi - a reggere i plinti della cornice con le braccia o con la testa – appaiono, a loro volta su un piedistallo, delle coppie di Cariatidi monocrome, statuette marmoree biancastre. Michelangelo ha affidato la dipintura di un certo numero di queste figure [48 in tutto] ad alcuni suoi aiutanti. Sono figure che devono sembrare scolpite in un blocco di marmo e hanno tutte una posa diversa, e ogni coppia manifesta un ambiguo accostamento infantile, sono personaggi tutti nudi [anche i quattro che hanno il capo coperto da un drappo lungo fino alle caviglie] e ricordano “i [cosiddetti] spiritelli esagitati” scolpiti da Donatello e da Maso di Bartolomeo.

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Osservate i Medaglioni, gli Ignudi e le Cariatidi monocrome: sono anche effigi di carattere ornamentale ma soprattutto sono figure che rappresentano i punti di raccordo [i nessi, i legami, le connessioni, i collegamenti, le correlazioni] che devono garantire l’unitarietà dell’affresco, l’unione della molteplicità nel Tutto…

     E quest’anno celebriamo la Pasqua dall’interno della Cappella Sistina dove l’idea dell’unità nella molteplicità appare evidente. Questo concetto stava a cuore anche a Gregorio Magno, papa dall’anno 590, quando ha redatto - nel secondo Libro dei suoi Dialoghi - la Regola di San Benedetto. Per ricondurre, attraverso la sintesi, la molteplicità al Tutto e per far derivare, attraverso l’analisi, la molteplicità dal Tutto bisogna esercitare l’azione dello studio. E Gregorio scrive nei suoi Dialoghi:

LEGERE MULTUM….

Gregorio Magno, Dialoghi

La luce che risplende nelle tenebre dell’ignoranza è lo studio, e chi studia comincia a risorgere.

     Ebbene, in armonia con questa voce autorevole, la Scuola deve ribadire che “studiare” [prendersi cura della propria anima, del proprio intelletto e, di conseguenza, del proprio corpo] è un gesto pasquale per eccellenza, e il rito di “far ruzzolare l’uovo” sia di buon auspicio perché il nostro Intelletto mantenga le sue facoltà per darci la possibilità di non perdere mai la volontà di imparare.

     Il viaggio è ancora lungo e continua tra quindici giorni, e la Scuola è qui per augurare, ora, a tutte e a tutti voi una buona Pasqua di studio [studium et cura, nunc et semper]…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Aprile 7, 2017