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SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA C’È IL PAESAGGIO INTELLETTUALE DOVE SPICCA LA FIGURA DI ALESSANDRO ...

Lezione N.: 
2

Prof. Giuseppe Nibbi         Lo sapienza poetica ellenistica       14-15-16 ottobre 2009

SULLA SCIA DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA C’È IL PAESAGGIO INTELLETTUALE

DOVE SPICCA LA FIGURA DI ALESSANDRO ...

     La scorsa settimana, dopo aver preso il passo – leggendo un intero romanzo (breve) che ha reso più lieve il tradizionale rituale della partenza –, abbiamo dato inizio a un viaggio nel territorio della "sapienza poetica ellenistica" e, appena siamo entrate ed entrati in questo vastissimo territorio, ci siamo domandati: che cos’è l’ellenismo? O meglio: ci siamo domandati – usando il congiuntivo – che cosa sia l’ellenismo visto che il tema dell’ellenismo costituisce ancora motivo di studio e di ricerca per l’antichistica e la filologia.

     Nel momento in cui abbiamo formulato questa domanda si sono materializzati, all’ingresso di questo territorio, due personaggi: Aristotele (che abbiamo incontrato da vicino nel Percorso dello scorso anno scolastico) e Alessandro Magno (Mega-Alexandros) di cui Aristotele è stato il precettore e sappiamo anche che i rapporti tra questo maestro e questo discepolo sono stati sempre molto conflittuali.

     Sappiamo già che la morte di questi due personaggi – legati, nel bene e nel male, tra loro – determina, dal punto di vista temporale, il concetto di "ellenismo". Nel 323 a.C., con la morte del giovane Alessandro Magno, e nel 322 a.C., con la morte del vecchio Aristotele, ha inizio, nella Storia del Pensiero Umano, una nuova fase dai confini cronologici e geografici non molto precisi, ma con caratteristiche originali e qualificanti: questa fase è stata chiamata dalle studiose e dagli studiosi "l’età della sapienza ellenistica".

     Il termine "ellenismo" – abbiamo detto la scorsa settimana – contiene, prima di tutto, l’idea della dilatazione della cultura dell’Ellade: la cultura dell’Ellade esce dallo spazio delimitato e angusto delle pòleis greche e si dilata su un territorio molto vasto e, in questo processo di apertura, la cultura greca non rilascia soltanto qualcosa di suo ma ingloba ed elabora anche nuovi elementi tipici del pensiero e del comportamento orientale che ne modificano i caratteri originari.

     Questo grande processo politico e culturale, che ha preso il nome di "ellenismo", ha inizio con la straordinaria (contemporaneamente: mostruosa e meravigliosa) avventura militare compiuta da Alessandro Magno: un’impresa ritenuta addirittura "opera di un dio".

     Questa affermazione – di carattere leggendario – ci porta subito di fronte ad un significativo paesaggio culturale che contiene il tema (tipicamente ellenistico) dei "racconti sulla vita e sulle gesta di Alessandro": questo tema è caratterizzato da tutta una serie di "intrecci filologici" (e gli "intrecci filologici" sono una caratteristica dell’ellenismo) che devono essere, pazientemente, dipanati e, strada facendo, capiremo di che cosa si tratta. Questo tema – che riguarda i "racconti sulla vita e sulle gesta di Alessandro" – è vasto, complesso e anche contraddittorio perché è difficile stabilire fin dove arriva la storia rispetto alla leggenda, ma oggi non è difficile fare il punto della situazione e quindi operare una distinzione tra questi due elementi: quello storico e quello leggendario. Noi osserviamo questo variegato paesaggio intellettuale, che contiene il tema dei "racconti sulla vita e sulle gesta di Alessandro", secondo la natura del nostro Percorso cioè in funzione della didattica della lettura e della scrittura e, a questo proposito, dobbiamo incontrare (dobbiamo conoscere) alcuni personaggi esemplari. E, a questo punto, il cammino si fa impervio.

     Il primo personaggio con cui entriamo in contatto si chiama Arriano di Nicomedia. Il nome della città, Nicomedia, in cui questo personaggio è nato, nel I secolo d.C., attira subito la nostra attenzione e dobbiamo, quindi, aprire una parentesi. Nicomedia oggi si chiama Izmit (siamo in Turchia) e si trova sulla costa orientale del mar di Marmara sul quale si affaccia anche Istanbul (andate ad individuare questa zona sull’atlante, che corrisponde all’antica Bitinia). Questa città (oggi è un centro industriale di circa 255 mila abitanti) è sorta sulle strutture di una colonia fondata dai Megaresi nel 712 a.C.. Ha preso il nome di Nicomedia perché nel periodo del primo ellenismo, nel 264 a.C., l’antica polis megarese è stata ristrutturata da Nicomede I diventando la capitale della Bitinia (uno degli Stati ellenistici di cui dobbiamo conoscere l’esistenza).

     Quando i Romani invadono questa parte del mondo per conquistarla, i sovrani di Bitinia si sono subito alleati con loro anche se il re Prùsia, nonostante sia un fedele amico dei Romani, ha accolto e protetto Annibale, dopo la battaglia di Zama che decreta la fine di Cartagine. Il grande condottiero cartaginese – quello che ha dato più filo da torcere ai Romani – però, temendo di essere consegnato ai suoi eterni nemici, si avvelena e muore proprio a Nicomedia nel 183 a.C.. Nel 74 a.C. Nicomede IV, l’ultimo sovrano di Bitinia, quando fa testamento, lascia Nicomedia in eredità allo Stato romano e questa città diventa la sede del governatore del Ponto e della Bitinia che sono diventate province romane. Nel periodo del secondo ellenismo, nel 284 d.C., l’imperatore Diocleziano (nello Stato romano siamo ormai in piena turbolenza) stabilisce la sua residenza a Nicomedia la quale diventa, per un certo periodo, la capitale dell’Impero e viene abbellita con numerosi monumenti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per saperne di più sull’importante città ellenistica di Nicomedia (oggi Izmit) puoi visitarla consultando l’enciclopedia, la guida della Turchia o la rete: buon viaggio

     Arriano di Nicomedia (97-175 d.C.) è noto – e noi lo abbiamo già incontrato a questo proposito – per essere stato discepolo del filosofo stoico Epitteto ed è conosciuto per aver raccolto il pensiero di questo singolare pensatore in un’opera intitolata Manuale di Epitteto (che abbiamo letto e studiato anche lo scorso anno scolastico). Arriano di Nicomedia ha seguito la carriera militare raggiungendo le più alte cariche fino a diventare funzionario imperiale e governatore della Cappadocia durante il regno di Adriano (il protagonista di Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar). Arriano viene ricordato negli Annali dell’impero per aver respinto, nel 134 d.C., l’invasione degli Alani (una popolazione scito-sarmatica che viveva, nomade, nelle steppe del Caucaso).

     Arriano viene considerato uno scrittore "memorialista" e in questa veste è autore di un’opera che s’intitola Anabasi di Alessandro, e il termine "anabasis" significa "ascesa". Anabasi di Alessandro è un’opera in sette libri, che racconta la storia di tutto il regno del grande condottiero macedone, più un ottavo libro, che fa da appendice, il quale s’intitola Storia dell’India ed è un volume di carattere geografico ed etnografico.

     Un dato interessante che riguarda quest’opera è che Arriano ha saputo scegliere ed utilizzare due fonti significative. Quando Alessandro parte per la sua spedizione verso l’Asia porta con sé un gruppo di storici e di letterati che avrebbero dovuto documentare le sue gesta. Molti di questi storici e di questi letterati – per piaggeria e per servilismo – hanno scritto molte "storie" non raccontando le cose in modo obiettivo ma in modo apologetico, facendo il panegirico del grande condottiero senza utilizzare il ricco materiale documentario – soprattutto le relazioni dei comandanti – che si andava accumulando presso il quartier generale dell’esercito di Alessandro.

     E così, colui il quale ha raccontato meglio, nel modo meno enfatico, le imprese di Alessandro è proprio uno dei suoi generali che si chiama Tolomeo di Lago che, dopo la morte del giovane condottiero, dopo la lotta per la successione e la divisione del suo enorme impero, diventa il primo sovrano d’Egitto con il nome di Tolomeo Soter (il Salvatore), colui che dà origine alla dinastia dei Tolomei (da lui discende la celebre Cleopatra). Quindi, colui che – più che gli storici e i letterati – ha saputo dar vita ad un rigoroso racconto delle imprese di Alessandro è stato Tolomeo di Lago il quale si è servito delle "Effemeridi del quartier generale" cioè del giornale (del diario giornaliero, del libro dove vengono registrati quotidianamente gli atti del sovrano regnante) sul quale i comandanti tutte le sere dettano la cronaca degli avvenimenti della giornata e l’andamento delle operazioni militari.

     La prima fonte che Arriano utilizza, nello scrivere Anabasi di Alessandro, è il racconto di Tolomeo di Lago, mentre la seconda fonte che usa è rappresentata dall’opera pregevole di Aristobulo di Kassàndria, che è il "tecnico" (il comandante dei "genieri") della spedizione di Alessandro, il quale vede e annota i fatti nella loro realtà materiale senza l’intento di esaltare il capo supremo.

   Scegliendo queste due fonti Arriano, nel suo racconto, si discosta dalle storie romanzesche raccontate dagli storici e dai letterati di corte: queste storie – molto accattivanti perché fantastiche – daranno origine ad una tradizione narrativa che è stata raccolta e oggi forma un vasto ed eterogeneo apparato letterario (un insieme di opere di generi diversi) che ha preso il nome di Romanzo di Alessandro.

     E adesso leggiamo il proemio di Anabasi di Alessandro di Arriano di Nicomedia nel quale lo scrittore, per esaltare la sua obiettività storica, mette subito in evidenza le due fonti che ha utilizzato (Tolomeo e Aristobulo): il fatto è che, senza che lui se ne accorga, – e le studiose e gli studiosi ce lo fanno notare – dichiara il criterio con cui ha utilizzato queste fonti: un criterio che, però, risulta essere poco consono al lavoro di uno storico.

     Ma ora – prima di commentare ulteriormente – leggiamo il proemio di Anabasi di Alessandro di Arriano di Nicomedia.

LEGERE MULTUM….

 Arriano di Nicomedia, Anabasi di Alessandro Proemio (II secolo d.C.)

 Assumo come vere le notizie in cui concordano Tolomeo di Lago e Aristobulo a proposito di Alessandro figlio di Filippo. Dove non concordano ho scelto quelle che mi sembravano più degne di fede e più degne di racconto. Ci sono ovviamente varie altre opere intorno ad Alessandro e non c’è argomento sul quale non vi siano altrettante versioni dei fatti quanti sono gli autori che ne parlano. A me, però, Tolomeo e Aristobulo sono parsi i più degni di fede: l’uno, Aristobulo, perché partecipò alle campagne di Alessandro, l’altro, Tolomeo, perché – oltre ad aver partecipato anche lui alle campagne di Alessandro – era un sovrano, e ad un sovrano meno che a chiunque altro si addice la menzogna. Entrambi poi scrissero quando Alessandro era ormai morto, e dunque non avevano nessuna necessità o utilità nello stravolgere i fatti.

     La lettura di questo testo ci fa un po’ sorridere a causa del criterio con cui Arriano vuole avvalorare la testimonianza di Tolomeo: Arriano, più che alla esperienza diretta di Tolomeo in quanto generale, si affida al fatto che, essendo Tolomeo diventato un re, non può mentire (Arriano pensa che i re siano immuni dalla menzogna), quando è dimostrato che i più soggetti alla menzogna sono proprio gli uomini di potere e in particolare i sovrani assoluti, e quindi Arriano si affida ad un ingenuo buon senso e ad una certa adulazione verso le figure dei sovrani, per cui, nello scrivere la sua opera, si comporta non tanto da storico ma piuttosto da memorialista. Naturalmente questo fatto non sminuisce l’opera di Arriano che – dal punto di vista letterario – risulta essere molto significativa.

     L’altro "storico" di Alessandro Magno, che ci è noto solo indirettamente, si chiama Clitarco ed è vissuto tra il IV e il III secolo a.C.. Clitarco ha scritto un’opera in dodici libri su Alessandro che ci è pervenuta attraverso un’altra opera: il testo di Clitarco su Alessandro è contenuto nel XVII libro della Storia universale o Biblioteca storica (composta da quaranta libri di cui ce ne sono rimasti quindici) di Diodoro Siculo (90-20 a.C.). Diodoro Siculo – che è nato in Sicilia (ad Àgira) ma è vissuto a Roma ai tempi di Augusto – è uno storico che non si fa tanti scrupoli nella scelta delle fonti e, sebbene l’opera di Clitarco su Alessandro sia intessuta di storie leggendarie, ritiene comunque opportuno conservarla perché non vada perduta.

     L’opera di Clitarco rappresenta l’altra faccia della storiografia su Alessandro: quella retorica e romanzesca che affonda le sue radici soprattutto nella leggenda (è soprattutto una raccolta delle leggende su Alessandro Magno) e l’opera di Clitarco, conservata da Diodoro Siculo, ha alimentato un vero e proprio genere letterario che ha preso il nome di Romanzo di Alessandro e che ha avuto – nel corso dei secoli – molte redazioni; per ironia della sorte, l’ultimo redattore di questo testo viene considerato, inverosimilmente, Callistene di Òlinthos.

     E chi è questo Callistene di Òlinthos, e perché abbiamo detto che viene considerato autore del Romanzo di Alessandro "per ironia della sorte" e "inverosimilmente"?

     Abbiamo già sottolineato (dal punto di vista del metodo, dal punto di vista formale) che l’età dell’ellenismo – nella quale ci stiamo immergendo – è caratterizzata, per quanto riguarda la didattica della lettura e della scrittura, da molti "intrecci filologici" (quello che riguarda Alessandro Magno è uno degli intrecci filologico-redazionali più significativi) e, anche se l’argomento è ostico, il compito dell’alfabetizzazione funzionale è quello di mettere in evidenza i temi e i personaggi che emergono da queste reti di elaborazione letteraria. E, allora, chi è Callistene di Òlinthos e che relazione ha con il testo del Romanzo di Alessandro che, per ironia della sorte, gli viene attribuito? Diciamo "per ironia della sorte" perché Callistene di Òlinthos è stato la principale vittima di Alessandro e del suo carattere esagerato.

     Callistene di Òlinthos ha scritto un’opera storica in dieci libri che s’intitola Elleniche e poi ha scritto un libro intitolato Gesta di Alessandro (Praxeis Alexandru) nel quale l’autore esalta le vittorie del condottiero macedone e dà un forte contributo al processo di divinizzazione di Alessandro; quindi Callistene è inizialmente un ammiratore e anche un adulatore del giovane re che si presenta sulla scena della storia in maniera nuova e spregiudicata.

     Ma a Callistene non può essere attribuito il Romanzo di Alessandro che è un’opera di tutt’altro genere e che è stata elaborata, nella sua ultima versione, circa cinque secoli dopo di lui: difatti l’ultima versione del Romanzo di Alessandro viene attribuita ad un anonimo autore egizio di Alessandria (del III secolo d.C.) che, per convenzione, è stato chiamato Pseudo-Callistene.

     Ma chi è Callistene di Òlinthos e per quale ragione – se lui lo ammira e lo esalta – è stato la principale vittima di Alessandro? Callistene è nato intorno al 370 a.C. nella bella città di Òlinthos che si trova nella penisola Calcidica poco prima che questo territorio si protenda ulteriormente nella penisola di Kassàndra: voi sapete che il territorio della penisola Calcidica si sviluppa in altre tre piccole penisole (e assume la forma come di una mano con tre dita): la penisola di Kassàndra a ovest, di Sithonia al centro e del Monte Àthos a est.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando la guida della Grecia o la rete puoi visitare la cittadina di Òlinthos dove la vasta area archeologica rappresenta un significativo esempio di urbanistica greca di età classica: fai un viaggio di ricognizione, infòrmati, la penisola Calcidica non è così lontana …

     Callistene è stato amico, collaboratore e forse nipote di Aristotele che è suo conterraneo – anche Stàgira, la città natale di Aristotele, si trova nella penisola Calcidica nei pressi del Monte Àthos – e Callistene ha accompagnato Aristotele alla corte Macedone di Filippo II e poi ha seguito Alessandro nella sua spedizione verso Oriente come consulente in quanto storico e come consigliere in quanto filosofo. Il fatto è che Callistene – dopo avere esaltato le gesta del grande condottiero – cade in disgrazia perché ad un certo punto si oppone su una questione che nasce quando Alessandro (dimenticandosi dei princìpi della democrazia greca che ha appreso da Aristotele) vuole cominciare a comportarsi secondo i costumi dei monarchi orientali, che lui ha sconfitto, i quali erano avvolti in un alone soprannaturale e venivano adorati come fossero delle divinità. Callistene si oppone e non si assoggetta alla proskýnesis cioè all’obbligo di genuflettersi e di prostrarsi in adorazione davanti al sovrano come se fosse un dio; per questo motivo si rende inviso agli occhi di Alessandro e, quando fallisce e viene scoperta una congiura contro Alessandro architettata dai paggi di corte (dagli eteri), Callistene viene ritenuto ingiustamente responsabile di averla ordìta e viene condannato a morte nel 327 a.C.. Capiamo bene che, a questo punto, Aristotele, dopo aver appreso la notizia dell’uccisione di Callistene, comincia non solo a disapprovare il comportamento esagerato ed esagitato del suo ex discepolo, ma comincia anche ad odiarlo e, forse, anche a maledirlo e qualcuno dice che le maledizioni abbiano funzionato. Callistene quindi diventa la vittima più illustre di Alessandro e rappresenterà sempre la sua spina nel fianco.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

"Adorare" significa, innanzi tutto, "amare appassionatamente": c’è una persona, in particolare, che tu adori? Qual è il motivo per cui questa persona suscita in te un sentimento di adorazione?…

Scrivi quattro righe in proposito…

Quale di queste azioni: "onorare", "desiderare", "riverire", "idolatrare", preferisci mettere per prima accanto al verbo "adorare"?

Fai la tua scelta e scrivila…

     E adesso, dopo aver detto queste cose, andiamo, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, a leggere come ci viene raccontato l’avvenimento della caduta in disgrazia di Callistene, un fatto che ha avuto, nei secoli, una vasta eco. Da chi ce lo facciamo raccontare? Ce lo facciamo raccontare da Arriano di Nicomedia che abbiamo incontrato poco fa e che in Anabasi di Alessandro (di cui abbiamo letto e commentato il Proemio) descrive ampiamente questo drammatico avvenimento sforzandosi di dare al suo testo le caratteristiche di obiettività e di fedeltà alle fonti che dovrebbero avere le opere di storia.

     Nel suo racconto Arriano in veste di letterato e di filosofo dichiara di essere in accordo con Callistene nel considerare negativa la pratica della proskýnesis (dell’adorare un uomo come se fosse un dio) ma essendo anche – come sappiamo – una persona che ha percorso una carriera pubblica (è stato sacerdote di Demetra e di Kore, alto funzionario romano e poi governatore imperiale della Cappadocia, quindi uomo di Stato) vuole anche manifestare rispetto per l’autorità costituita e si dimostra timoroso nei confronti della figura dell’Imperatore e, di conseguenza, tende a rimanere in equilibrio nella disputa tra Callistene (che è certamente vittima dell’ingiustizia ma che, secondo Arriano, ha un gran caratteraccio e non porta rispetto) ed Alessandro (il quale commette un sopruso ma viene tuttavia giustificato perché Alessandro è più ammirato che denigrato dagli imperatori di cui Arriano è a servizio e dei quali non vuole urtare la suscettibilità per non mettere a repentaglio la propria carriera, e questo tema è sempre di attualità).

     Arriano poi ci mette al corrente su un altro tema di attualità perché Callistene rivendica – inimicandosi ancora di più Alessandro – di essere stato lui, con la sua opera apologetica intitolata Gesta di Alessandro (Praxeis Alexandru), ad aver dato lustro al condottiero macedone utilizzando il potere mediatico del racconto leggendario e facendolo diventare famoso fra la gente. Arriano quindi, con molta circospezione e utilizzando il personaggio di Callistene, vuole alludere al fatto che c’è una mitica figura di Alessandro costruita attraverso la leggenda per ragioni apologetiche, per motivi propagandistici e c’è una figura reale di Alessandro che si presenta come un giovane uomo intelligente, curioso, scaltro, molto passionale, amante del rischio e dai comportamenti esagerati. Il mettere insieme questi due elementi – la rappresentazione leggendaria del personaggio e il reale carattere dell’uomo – ha creato una miscela di storie che ha prodotto, per secoli, una fantastica narrazione romanzesca. Arriano di Nicomedia invece vorrebbe scrivere la storia dell’impresa di Alessandro restando ai fatti ma ormai risulta (e risulterà sempre) difficile prescindere dalla leggenda.

     E ora leggiamo:

LEGERE MULTUM….

Arriano di Nicomedia, Anabasi di Alessandro (II secolo d.C.)

Callistene di Òlinthos tuttavia, discepolo di Aristotele e dai modi un po’ bruschi, non approvava queste idee. Ed in questo anch’io concordo con Callistene, ma ritengo che egli ebbe torto dichiarando, se la tradizione è esatta, che Alessandro e le sue imprese dipendevano da lui e dalla sua storia; pertanto egli non era venuto a trarre fama da Alessandro, ma per rendere Alessandro famoso tra la gente. Quindi la partecipazione di Alessandro alla natura divina non sarebbe dipesa dalle menzogne contenute nel racconto mitico fatto da Olimpiade sulla sua nascita, ma da ciò che la sua narrazione leggendaria su Alessandro avrebbe divulgato fra la gente.

Sull’opposizione di Callistene ad Alessandro esiste, riguardo alla proskýnesis (all’adorazione del re come se fosse un dio) un racconto di questo genere. Alessandro aveva convenuto con i sofisti e con i Medi e Persiani più illustri del suo seguito di affrontare questo argomento durante un simposio; incominciò a parlare Anassarco, ritenendo che Alessandro dovesse esser considerato dio a maggior diritto di Dioniso ed Eracle non solo perché egli aveva compiuto imprese tanto grandi e numerose, ma anche perché, essendo Dioniso tebano, non aveva nulla in comune coi Macedoni; ed anche l’Eracle argivo in nulla era legato ai Macedoni se non per la stirpe di Alessandro. Alessandro era infatti un Eraclide. Era dunque più giusto che i Macedoni celebrassero il loro re con onori divini; inoltre, poiché era indubbio che Alessandro una volta partito dagli uomini avrebbe avuto onori divini, quanto sarebbe stato più giusto, allora, venerarlo da vivo piuttosto che da morto quando un culto a nulla gli avrebbe giovato!

Dopo che Anassarco ebbe così parlato, i partecipanti all’assemblea approvarono il suo discorso e volevano dare inizio alla pratica della proskýnesis (genuflettersi davanti al re), ma i Macedoni erano per lo più contrari all’argomentazione e se ne stavano in silenzio. Callistene allora replicò con queste parole: «O Anassarco, io ritengo Alessandro degno di qualsiasi onore che convenga ad un uomo. Gli uomini però hanno distinto in molti e diversi modi onori umani e divini, ad esempio con la costruzione di templi e l’erezione di statue; inoltre si riservano recinti agli dei, si offrono loro sacrifici e libazioni e si compongono inni per gli dei, ma elogi per gli uomini; tuttavia la distinzione riguarda soprattutto la proskýnesis (il prostrarsi davanti ad un uomo come se fosse un dio). Le persone infatti si salutano scambiandosi baci, ma la divinità, poiché risiede in alto e non è permesso toccarla, per questo la si onora con la proskýnesis. Inoltre si istituiscono per gli dèi danze e si cantano loro peani ed in ciò non vi è nulla di strano, poiché fra gli stessi dèi alcuni sono onorati in un modo, altri invece in un altro, e diversi da quelli per gli dèi sono gli onori per gli eroi. Non è perciò giusto che gli uomini confondano tutto questo ed innalzino gli uomini ad un grado troppo elevato per eccesso di onori, abbassando più che possono gli dèi ad una sconveniente piccolezza con onori eguali a quelli degli uomini. Allo stesso modo Alessandro non sopporterebbe che un semplice cittadino pretendesse onori regali in forza di una votazione o di un’elezione illegali; dunque sarebbe molto più giusta un’indignazione degli dèi verso uomini che si appropriano da sé onori divini o che permettono ad altri di attribuirli loro. Alessandro sembra essere ed è oltre ogni misura il migliore dei condottieri, il più regale dei re ed il più degno del comando fra i comandanti. E soprattutto tu, Anassarco, avresti dovuto promuovere tali discorsi ed impedire quelli contrari, poiché assisti Alessandro nell’apprendimento e nell’educazione. Dunque non era conveniente per te iniziare simile discorso, ma avresti dovuto ricordare che tu non assisti o consigli Cambise o Serse (i re dei Persiani), ma bensì il figlio di Filippo, discendente di Eracle e di Eaco, i cui antenati vennero in Macedonia da Argo e continuarono a dominare i Macedoni non con la violenza, ma secondo il diritto. Mentre era ancora in vita nemmeno allo stesso Eracle i Greci attribuirono onori divini e nemmeno dopo la sua morte, prima che il dio di Delfi (Apollo) avesse vaticinato di onorare Eracle come un dio. Se invece vogliamo ragionare come degli stranieri, poiché stiamo discutendo in un paese straniero allora io ti chiedo di ricordarti della Grecia, o Alessandro, a causa della quale hai realizzato l’intera spedizione, e di annettere l’Asia alla Grecia. Pensa di conseguenza anche a questo: tornato là obbligherai i liberissimi Greci alla proskýnesis (ad adorarti come un dio), o risparmierai i Greci ma imporrai questo disonore ai Macedoni, oppure tu stesso farai una rigorosa distinzione degli onori per cui Greci e Macedoni ti onoreranno come uomo secondo il costume greco, mentre solo gli stranieri ti onoreranno da stranieri? Se è fama che Ciro figlio di Cambise primo fra gli uomini abbia ricevuto la proskýnesis (l’adorazione come se fosse un dio) e che per questo Persiani e Medi abbiano conservato questa umiliazione, occorre riflettere che gli Sciti, popolo povero ma libero, indussero Ciro alla moderazione, altri Sciti umiliarono Dario, mentre Ateniesi e Spartani umiliarono Serse mentre Clearco e Senofonte, al comando di soli diecimila, umiliarono Artaserse ed ora Alessandro, proprio perché non viene adorato come un dio, umilia Dario».

Con queste e simili parole Callistene infastidì grandemente Alessandro, ma piacque ai Macedoni; Alessandro lo capì e mandò a dire ai Macedoni che non pensassero più alla proskýnesis. Ma a queste parole si fece silenzio ed i più anziani dei Persiani, alzatisi, uno dopo l’altro prestarono obbedienza ad Alessandro. Tuttavia Leonnato, uno degli eteri (dei paggi), sembrandogli che uno dei Persiani non si fosse inchinato a modo, derise il goffo comportamento del Persiano. Alessandro allora si sdegnò con Leonnato, ma poi si riconciliò con lui. È stato tramandato anche un racconto di questo genere. Alessandro offrì ai circostanti una coppa d’oro, per primi a coloro che erano della sua opinione circa la proskýnesis; il primo bevve dalla coppa, si alzò, fece una genuflessione e ricevette un bacio da Alessandro, gesto che successivamente si ripeté attraverso tutti. Ma quando fu il turno di Callistene, egli si alzò, bevve dalla coppa ed accostatesi ad Alessandro fece atto di baciarlo senza neppure inchinarsi. In quel momento Alessandro stava per caso discutendo con Efestione e così non osservò attentamente se Callistene avesse eseguito l’atto della proskýnesis. Ma Demetrio figlio di Pitonatte, uno degli eteri (dei paggi), quando Callistene si avvicinò ad Alessandro per baciarlo, fece notare che egli si accostava senza essersi neppure inchinato. Allora Alessandro non permise che lo baciasse e Callistene disse: «Me ne vado con un bacio in meno».

Io non approvo assolutamente né l’arroganza di Alessandro in quel momento, né la ruvidezza di Callistene, ma ritengo sia sufficiente per un uomo comportarsi con moderazione e per chi non ha disdegnato di servire un re esaltarne, per quanto possibile, la condizione. Pertanto non giudico irragionevole l’odio di Alessandro verso Callistene, dovuto all’inopportunità, a troppa licenza nel parlare e ad eccessiva spregiudicatezza. Per questa ragione ritengo che vennero facilmente creduti quanti accusarono Callistene di aver preso parte alla congiura ordita contro Alessandro dai paggi ed altri che affermarono di essere stati da lui spinti al complotto.

     Alessandro Magno, con il suo potente esercito, conquista un territorio vastissimo fino all’India costruendo un’enorme entità statale e, come ha scritto un anonimo poeta, "seminando gli elementi della cultura greca fino alle soglie del paradiso". Da sempre tutte le studiose e gli studiosi sono d’accordo nel dire che l’avventura di Alessandro è stata soprattutto un’impresa di carattere militare la quale ha determinato, con la nascita dell’ecumene, una nuova visione del mondo che ha prodotto un cambiamento di mentalità ma non una vera e propria trasformazione (rivoluzione) culturale.

     Per capire meglio il senso della citazione poetica che abbiamo letto (che dice) – Alessandro "ha seminato gli elementi della cultura greca fino alle soglie del paradiso" – dobbiamo riflettere tenendo conto (come tutte e tutti voi sapete) che la parola greca "paràdeisos" significa "giardino (di vaste dimensioni)" e fa riferimento al "dilmun", di cui si parla nel testo dell’Epopea di Gilgamesh: "dilmun", nella lingua dei Sumeri, significa "giardino degli alberi dai frutti preziosi". Il "dilmun" è il mitico luogo, posto alla foce del Tigri e dell’Eufrate, dove cresce il fiore dell’immortalità e dove dimora Utnapistim, il Salvato dalle acque del diluvio (e voi sapete che il racconto del diluvio lo si trova proprio nel testo dell’Epopea di Gilgamesh prima che nel Libro della Genesi). Nel Libro della Genesi – scritto dagli scrivani d’Israele in esilio a Babilonia che assimilano la cultura akkadica (abbiamo dedicato un intero Percorso alla formazione della Letteratura beritica) – il "dilmun" diventa il "giardino dell’Eden" e la figura del saggio sumero Utnapistim, del Salvato dalle acque del diluvio, è il modello del personaggio biblico di Noè.

     Ebbene, Alessandro, nella sua conquista, giunge "fino alle soglie del paradiso" cioè a Babilonia: vale a dire nel "giardino" dove sono conservati numerosi oggetti della grande cultura sumera, assira, babilonese e persiana come il poema intitolato l’Epopea di Gilgamesh che presenta il primo eroe tragico della storia della Letteratura alle prese con una significativa riflessione esistenziale sul concetto del "destino", e anche come il testo dell’Enuma Elish, che significa "Lassù, nell’alto dei cieli", uno dei più significativi poemi sulla creazione nel quale si riflette, angosciosamente, sul tema della lotta tra il bene (Marduk) e il male (Tiamat).

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è chi un giardino lo ha avuto, c’è chi un giardino lo possiede (magari in terrazza), c’è chi un giardino immagina di averlo: che cosa fiorisce (o sfiorisce) oggi nel tuo giardino reale o immaginario?…

Scrivi quattro righe in proposito

     Alessandro – nella sua foga di giovane conquistatore portato all’esagerazione piuttosto che alla riflessione – si compiace di entrare in possesso di questi oggetti culturali (pergamene, papiri, raccolte di tavolette d’argilla) e dei depositi (delle biblioteche) che li contengono, ma, in realtà, si disinteressa del valore intrinseco di queste opere perché lui è attratto soprattutto dagli aspetti esteriori che possano dare lustro ed esaltare la sua persona: più che della cultura letteraria e filosofica che si è sviluppata su un determinato territorio, Alessandro s’incuriosisce ed è interessato alle grandi scenografie e a come – sulla scia del mitos più che del logos – vengono onorati, venerati e adorati i monarchi. Arriano – come abbiamo letto – ci racconta che Callistene muove ad Alessandro una motivata accusa di "superficialità" e paga con la vita questo suo gesto diventando il modello del saggio che, senza timore reverenziale, redarguisce il potente che non coltiva la sua cultura umana ma si occupa principalmente del modo di apparire in forma divina: l’apparire in forma divina (questo è un vizio antico che alberga nella mente dei potenti) favorisce il consenso da parte dei sudditi che, nella loro ignoranza, anelano ad essere tutelati da un sovrano che assomigli a un dio e che possa fare i miracoli. Alessandro – secondo Callistene – rimane invischiato nel processo di divinizzazione che investe la sua persona e che lo porta a consolidare il modello – che lui avrebbe dovuto combattere – di un regime autoritario e assolutista (tipico degli imperi orientali); quindi, contrariamente a quello che scrive l’anonimo poeta, Alessandro crea un impero senza però "seminare gli elementi della cultura greca fino alle soglie del paradiso" e questa è l’accusa più precisa (indipendentemente dalle genuflessioni da fare al re) che Callistene, come collaboratore di Aristotele, muove ad Alessandro.

     Alessandro è stato discepolo di Aristotele e ha imparato una serie di nozioni che avrebbe dovuto applicare per valorizzare "l’essere" piuttosto che "l’apparire", per privilegiare l’Umanesimo piuttosto che il culto della personalità. Alessandro Magno avrebbe dovuto – secondo l’insegnamento ricevuto da Aristotele, e ribadito da Callistene – seminare e trapiantare gli elementi della democrazia greca sul vasto territorio che andava conquistando e non lasciarsi appassionare dal mito della divinizzazione del sovrano assoluto.

     Che cosa ha insegnato Aristotele ad Alessandro (e anche a noi) per quanto riguarda la "virtù politica"? Il concetto della "virtù politica" – dopo i Sofisti, dopo Socrate e Platone (nel dialogo intitolato Protagora) – viene sviluppato da Aristotele nel suo famoso saggio, in otto libri, intitolato Ta politikà, Politica. Nel secondo libro di quest’opera Aristotele (già lo abbiamo detto la scorsa settimana) scrive: «La riuscita di un viaggio dipende soprattutto dalla compagnia». Che cosa intende dire Aristotele? Aristotele (siamo circa nel 340 a.C.), spiega come: una "compagnia sbagliata" possa rovinare anche il viaggio meglio organizzato. Quale insegnamento si può trarre da questa considerazione così attuale di Aristotele?

     Noi, che siamo un gruppo di viaggiatori intellettuali, possiamo facilmente cogliere la metafora che Aristotele vuole utilizzare per farci riflettere: «Una compagnia sbagliata – spiega Aristotele – è quella in cui ognuno non è consapevole del fatto che è necessario prendere sempre il proprio passo in equilibrio con il passo degli altri, altrimenti rischiamo la rovina del viaggio». Ma Aristotele, nella Politica, non parla propriamente di viaggi: usa la metafora del "prendere il passo" per riflettere sulla disciplina con la quale si amministra lo Stato: ragionare di politica, per Aristotele, significa parlare della polis, e dell’ amministrazione dello Stato inteso come comunità, e questo è il significato della parola "politica".

     Aristotele in questo saggio – e ciò che scrive lo sta spiegando anche al suo discepolo Alessandro – critica gli Imperi (c’è l’Impero persiano che di lì a poco verrà invaso da Alessandro) perché presuppongono un padrone e dei sudditi, quindi – scrive Aristotele – l’Impero non è propriamente uno Stato, ma si configura, se mai, come un’azienda (pragma): la gestione dello Stato (la politica) – scrive Aristotele – finisce per identificarsi con gli affari dell’Imperatore (la pragmatica) che è il padrone dello Stato, e questo crea la fine dell’amministrazione della Cosa pubblica in nome di una gestione privatistica delle Istituzioni.

     Naturalmente Aristotele esalta la polis, la città-Stato, come luogo della realizzazione della "politica" e della negazione della "pragmatica". Nella polis – amministrata da cittadini rappresentanti dei cittadini – lo Stato non può essere identificato con un’azienda. Lo Stato – scrive Aristotele – non può fare affari perché deve dettare le regole in modo che siano le cittadine e i cittadini a fare affari, a intraprendere attività economiche utili per il bene della collettività: lo Stato, quindi, detta le regole perché le persone possano "prendere il passo" tutte insieme.

     Aristotele – nella Politica – usa la metafora del "prendere il passo" per parlare anche di politeia, che è il catalogo dei princìpi sui cui si fonda la polis (noi questo catalogo lo chiamiamo Costituzione), che è il catalogo dei princìpi da cui derivano le regole perché lo Stato possa funzionare come comunità e possa garantire alle cittadine e ai cittadini di "fare affari" utili per il ben-essere della comunità.

     Aristotele – nella Politica – usa la metafora del "prendere il passo" anche per parlare della e del polites, che è la cittadina e il cittadino consapevole e responsabile del suo ruolo nello Stato. E quando le cittadine e i cittadini sono responsabili e consapevoli del loro ruolo nello Stato? Le cittadine e i cittadini sono consapevoli e responsabili – scrive Aristotele – quando possiedono l’aretè, la virtù politica; e – scrive Aristotele – a che cosa corrisponde la "virtù politica", l’aretè? Aristotele scrive che le cittadine e i cittadini della polis devono imparare a mettere in pratica l’àtos aretè. La parola atos in greco significa "il passo", e l’espressione àtos aretè possiamo tradurla con "prendere il passo in modo consapevole e responsabile", "prendere un passo virtuoso", e la "virtù politica, l’aretè", comporta, soprattutto, la capacità di mediazione. Imparare la virtù del "prendere il passo" [l’àtos aretè] è un dovere fondamentale per acquisire il diritto di cittadinanza. Probabilmente Alessandro – discepolo piuttosto riottoso e recalcitrante – non ha ben assimilato l’elemento centrale del pensiero di Aristotele per cui la virtù politica si basa principalmente sulla capacità di mediazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Ti sarà sicuramente capitato di fare la mediatrice e il mediatore: scrivi quattro righe in proposito…

     Nella sua grande avventura Alessandro avrebbe dovuto seminare in Oriente gli elementi qualificanti della "democrazia ellenica" (la Politica di Aristotele) ma nel processo di interscambio culturale è stata piuttosto l’immagine delle fastose cerimonie di corte orientali e l’ideologia del culto della personalità a contaminare le istituzioni dell’Occidente: con la nascita dell’ellenismo, comincia a marcarsi in modo evidente la frattura – che, come vediamo, parte da lontano – tra i cittadini (l’agorà, la piazza) e i potenti (il palazzo del potere).

     Callistene quindi rimprovera Alessandro perché – ignorando l’insegnamento di Aristotele – si lascia affascinare dalla struttura imperiale (che Aristotele ha decisamente criticato nella Politica) e cede ai culti inscenati nelle corti orientali (disattendendo all’insegnamento che Aristotele gli ha impartito ad essere "laico"). Callistene non si assoggetta alla proskýnesis, non vuole adorare il sovrano come se fosse un dio e, per questo motivo, si rende inviso agli occhi di Alessandro e, quando fallisce e viene scoperta la congiura contro il re organizzata dai paggi di corte (i cosiddetti "eteri"), Callistene viene ritenuto ingiustamente responsabile di averla fomentata e viene condannato a morte nel 327 a.C..

     Questo fatto ha sempre costituito una spina nel fianco di Alessandro Magno e questa di Callistene è la vicenda storica più significativa che mette in evidenza certe anomalie (già ravvisate da Aristotele) del carattere del grande condottiero macedone: Alessandro possiede anche delle buone qualità ma si comporta quasi sempre in modo esagerato, ed è spesso vittima delle passioni e, soprattutto, non sa frenare la gelosia e rimane coinvolto in situazioni in cui la gelosia fa da movente a determinate azioni, per esempio, nella congiura dei paggi (gli adolescenti delle famiglie aristocratiche che stavano intorno al giovane re per servirlo, per accompagnarlo, per tenergli compagnia, per amoreggiare con lui) la gelosia tra paggi macedoni e paggi persiani diventa una componente determinante.

     La figura di Alessandro Magno – e non a caso ce ne stiamo occupando in funzione della didattica della lettura e della scrittura – è quindi emblematica per capire una caratteristica della cultura dell’ellenismo: Alessandro viene presentato, nelle molte opere scritte su di lui, come figura divina ma anche come uomo in possesso di un carattere passionale che manifesta visibilmente i suoi sentimenti e dai quali spesso si lascia travolgere. Una caratteristica della "sapienza poetica ellenistica" è proprio quella di aver saputo mettere bene in evidenza le "passioni umane" e questo fatto ha avuto una ricaduta significativa tanto per quanto riguarda la Storia del Pensiero Umano e anche per quanto riguarda la Letteratura e l’Arte in generale. È evidente che questo elemento, sul quale dobbiamo riflettere, determina la direzione che il nostro cammino – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – deve prendere sul vasto territorio che abbiamo cominciato ad attraversare.

     E ora, a questo proposito, dobbiamo ancora leggere un brano da Anabasi di Alessandro di Arriano di Nicomedia (è la continuazione del brano che abbiamo letto in precedenza) dove lo scrittore ci racconta i fatti della congiura contro Alessandro (la cosiddetta "congiura dei paggi") e il tragico epilogo della storia di Callistene.

LEGERE MULTUM….

Arriano di Nicomedia, Anabasi di Alessandro (II secolo d.C.)

 I fatti della congiura contro Alessandro si svolsero come segue. Era già stato stabilito da Filippo che i figli dei dignitari macedoni giunti all’adolescenza fossero scelti per il servizio del re; oltre ad aver cura in genere della sua persona essi dovevano anche proteggerlo mentre dormiva. E quando il re usciva a cavallo, essi ricevevano i cavalli dagli staffieri, li accostavano, facevano montare il re secondo il costume persiano e l’accompagnavano nella gara della caccia. Fra questi vi era anche Ermolao figlio di Sopolide, ritenuto uno studioso di filosofia e per questo un seguace di Callistene. Di lui è noto questo fatto. Durante una caccia, mentre un cinghiale stava per aggredire Alessandro, egli agì per primo e colpì l’animale; il cinghiale, ferito, cadde, ma Alessandro, privato di quella buona occasione, s’indignò con Ermolao e nella sua ira ordinò che fosse fustigato davanti agli altri paggi e gli fece togliere il cavallo. Questo Ermolao, che aveva molto sofferto per l’oltraggio, disse a Sostrato figlio di Aminta, suo coetaneo ed amante, che egli non sarebbe vissuto se non avesse vendicato l’offesa di Alessandro, e Sostrato, come amante, senza difficoltà convenne di partecipare all’impresa. Essi quindi persuasero Antipatro figlio di Asclepiodoro, satrapo di Siria, Epimene figlio di Arseo, Anticle figlio di Teocrito e Pilota figlio del tracio Carside; quando il turno di guardia durante la notte toccò ad Antipatro, si convenne di uccidere Alessandro in quella notte assalendolo nel sonno. Tuttavia, secondo alcuni, accadde che Alessandro bevve casualmente fino all’alba; Aristobulo invece descrive i fatti come segue. Una donna siriana posseduta dal dio accompagnava Alessandro ed inizialmente veniva derisa da lui e dal suo seguito; quando però nella sua ispirazione mostrò di dire completamente il vero essa non venne più trascurata da Alessandro, anzi la Siriana ebbe accesso al re di giorno e di notte ed ora gli stava spesso vicina quando dormiva. Anche allora, mentre Alessandro si ritirava dal simposio, le capitò di essere ispirata dal dio e pregò il re di tornare a bere tutta la notte; Alessandro avvertì il presagio divino, tornò a bere e così l’azione dei paggi fallì. Il giorno seguente Epimene figlio di Arseo, uno dei congiurati, rivelò il piano a Caricle figlio di Monandro, che era il suo amante, e Caricle l’espose a Euriloco fratello di Epimene. Euriloco andò alla tenda di Alessandro e narrò l’intero fatto alla guardia del corpo Tolemeo di Lago, che informò Alessandro. Il re ordinò di arrestare quanti erano stati nominati da Euriloco; costoro vennero torturati, rivelarono il loro complotto e fecero anche altri nomi. Secondo Aristobulo essi dissero inoltre di essere stati spinti all’atto audace da Callistene. Anche Tolemeo lo conferma. Tuttavia i più dicono diversamente; infatti da tempo Alessandro odiava Callistene e poiché Ermolao era particolarmente amico di Callistene, Alessandro, che era geloso, non ebbe difficoltà a pensare il peggio di Callistene. Alcuni riferiscono anche che Ermolao, condotto davanti ai Macedoni, confessò il complotto – non si addiceva infatti ad un uomo libero sopportare ulteriormente l’offesa derivante dalle passioni di Alessandro – ed espose tutti i motivi: l’ingiusta fine di Filota, quella ancor più mostruosa di suo padre Parmenione e degli altri morti in quella circostanza, l’uccisione di Clito in stato di ubriachezza, il modo di vestire secondo la foggia dei Persiani, la proskýnesis decisa e non ancora abolita, il modo di bere e di dormire di Alessandro. Non potendo più tollerare tutto questo, egli voleva liberare se stesso e gli altri Macedoni. Ermolao e quelli catturati con lui vennero lapidati dai presenti. Aristobulo dice che Callistene, legato in ceppi, fu condotto via con l’esercito e quindi morì di malattia; invece secondo Tolemeo figlio di Lago morì dopo essere stato torturato ed impiccato. Così nemmeno gli storici più degni di fede e che in quel momento si trovavano con Alessandro hanno concordemente riferito il racconto di fatti noti, la cui attuazione non rimase loro celata. Di questi stessi eventi altri scrittori hanno esposto molte e diverse versioni, ma io ritengo sufficiente quanto ho riferito. Questi fatti, accaduti non molto tempo dopo, io li ho ricordati unitamente a quelli di Clito ed Alessandro giudicandoli abbastanza appropriati alla narrazione.

     Come possiamo constatare Arriano nel suo racconto abbina la parola "passioni" e la parola "gelosia" al personaggio di Alessandro (il quale conduce una vita piuttosto disordinata) e questo fatto non è casuale perché – come abbiamo detto – il carattere più significativo dell’ellenismo è proprio la "scoperta delle passioni". Rispetto all’età precedente, rispetto al cosiddetto periodo "attico", l’ellenismo crede che l’arte debba creare emozioni, quasi come la rappresentazione di una tragedia e debba rendere tutti gli aspetti della vita umana fatta di angosce, di incubi, di turbamenti. Un esempio tipico di arte scultorea ellenistica è il gruppo del Laocoonte, una celebre statua scoperta a Roma nel 1506, alle falde dell’Esquilino, e ora conservata ai Musei Vaticani, opera originale dello scultore ellenistico Agesandro e dei suoi figli Polidoro e Atenodoro creata nella prima metà del I secolo a.C.. Il personaggio di Laocoonte viene rappresentato con il volto atterrito dal dolore mentre, insieme ai suoi figli, viene avvolto da due serpenti marini: è una scena violenta per cui i corpi delle vittime si torcono, si piegano e tanto la linea curva quanto l’uso di ombre violente nel panneggio danno un’espressione viva di movimento perché l’arte dell’ellenismo tende ad essere essenzialmente realistica.

    Perché Laocoonte, insieme ai suoi figli, viene stritolato dai serpenti? Chi è Laocoonte? Conosciamo il racconto mitico che vede come protagonista questo personaggio attraverso la narrazione di Omero: Laocoonte, figlio di Antenore, è uno dei sacerdoti di Apollo presente a Troia. Quando gli Achei – secondo il racconto dell’Odissea – fingono di andarsene e lasciano il cavallo di legno sulla spiaggia, Laocoonte si oppone a che questo oggetto misterioso venga portato in città perché immagina si tratti di un inganno. Allora Atena, che parteggia per i Greci, fa venire dal mare due serpenti che avvinghiano e stritolano Laocoonte che, sulla riva, insieme ai suoi figli, sta rivolgendo una preghiera a Poseidone.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Sull’enciclopedia o sulla rete puoi osservare il gruppo scultoreo del Laocoonte contenuto nei Musei Vaticani… Sai se anche agli Uffizi c’è una copia del Laocoonte?… Vai ad informarti su una guida di Firenze…

     L’ellenismo è il periodo culturale in cui entra in incubazione il genere letterario del "romanzo" proprio a causa – e forse potremmo dire, proprio per merito – della "scoperta delle passioni". Il genere letterario del "romanzo" ha come caratteristica principale quella di "portare allo scoperto le passioni" in tutta la loro intensità e, nel fare questa operazione, chi scrive deve fare i conti con il pudore e quindi, di conseguenza, con il genere letterario del romanzo acquista valore un oggetto moderno che raccoglie la descrizione delle passioni in modo da poter garantire l’intimità tanto di chi racconta quanto di chi legge: questo oggetto (inquietante) è il libro. Il contenitore che raccoglie il romanzo è esclusivamente il libro: il romanzo non è un testo scritto per il palcoscenico da recitare davanti a un pubblico ma è un testo messo a disposizione di una singola persona, che viene letto sotto voce, nel raccoglimento e nella riservatezza.

     Negli ultimi tre secoli del millennio scorso le scrittrici e gli scrittori che si sono dedicati al genere letterario del "romanzo" ne hanno determinato in modo straordinario lo sviluppo e hanno davvero portato allo scoperto le "passioni umane". Il romanzo (in particolare i grandi romanzi dell’800) si presenta come se fosse uno strumento didattico utile perché le lettrici e i lettori possano percorrere un itinerario di educazione sentimentale. Siccome il numero delle persone che leggono è sempre stato (ed è ancora) esiguo, di conseguenza, anche l’educazione sentimentale degli esseri umani (con la relativa incapacità a gestire le "passioni") è carente.

     Il personaggio di Alessandro Magno – così come lo ha costruito la Letteratura – è abbinato alla parola "passione" e alla parola "gelosia": ribadiamo il fatto che il termine "passione" – con tutta la sua valenza significativa – è determinante nello sviluppo del movimento della "sapienza poetica ellenistica" e produce anche delle significative ripercussioni soprattutto nella Storia del Pensiero Umano della quale ci occuperemo strada facendo.

     Ora però cogliamo subito l’occasione che la parola "passione" e la parola "gelosia" ci offrono per incontrare, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, un celebre scrittore che tutte e tutti voi conoscete: Leone Tolstoj.

     Leone Tolstòj (1828-1910) lo abbiamo incontrato molte volte e continueremo ad incontrarlo. Nei Percorsi di alfabetizzazione funzionale la presenza di questo scrittore – come di molte altre scrittrici e scrittori che abbiamo incontrato e che incontreremo ancora – risulta indispensabile perché il suo racconto non si esaurisce nel narrare delle storie (la scrittura non scivola in superficie) ma si concretizza in una continua riflessione sulla condizione umana e sulle "passioni" che, nel bene e nel male, determinano questa condizione (la scrittura è lo strumento che favorisce un’immersione nel profondo dell’interiorità).

     Tolstoj tratta il tema della "gelosia" – un tema ellenistico-alessandrino per eccellenza – in uno dei suoi celebri romanzi brevi della maturità che s’intitola La Sonata a Kreutzer  e che fa parte di una trilogia alla quale appartengono altri due famosi racconti intitolati: La morte di Ivan Il’ič e Padre Sérgij. Questi tre brevi e significativi romanzi spesso si trovano nello stesso libro proprio perché la riflessione tolstojana sulle "passioni" (e sugli stili di vita che le determinano) li accomuna. Questi tre brevi romanzi che Leone Tolstoj ha scritto a partire dai primi anni ‘80 dell’Ottocento, nell’ultimo trentennio della sua lunga vita, vengono spesso definiti "dostoevskiani", come se Fëdor Dostoevskij (un altro importante scrittore che tutte e tutti noi conosciamo, e che più volte abbiamo incontrato e che incontreremo ancora strada facendo), come se Fëdor Dostoevskij morto nel 1881, avesse lasciato un’eredità al suo grande collega e rivale. Tra Dostoevskij e Tolstoj ci sono delle differenze ma, effettivamente, parlando dei tre celebri romanzi brevi (o racconti lunghi, che dir si voglia) della maturità tolstojana – La Sonata a Kreutzer, La morte di Ivan Il’ic e Padre Sérgij – sembra naturale che vi siano alcune analogie tra i due grandi scrittori che, come la maggior parte delle studiose e degli studiosi ritiene, si sono senza dubbio influenzati reciprocamente anche se non si sono mai incontrati. Ma la trattazione – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – di questo significativo argomento che riguarda le analogie e le differenze tra Dostoevskij (etichettato come il "profeta dello spirito") e Tolstoj (considerato come il "profeta della carne") la dobbiamo rimandare al prossimo itinerario.

     Questa sera, per concludere, vogliamo leggere alcune pagine dal romanzo La Sonata a Kreutzer che prende il nome da una famosa opera musicale: la Sonata per violino e pianoforte, op. 47, di Ludwig van Beethoven. Beethoven dedica – con tutta la sua ammirazione – questa Sonata al violinista, compositore e direttore d’orchestra francese Rodolphe Kreutzer (1766-1831) che però, probabilmente, non l’ha mai eseguita. La Scuola naturalmente consiglia non solo la lettura del racconto di Tolstoj ma anche l’ascolto o il riascolto di questa celebre Sonata nella quale il rapporto dialogante che Beethoven crea tra il violino e il pianoforte è davvero molto accattivante e "provocatorio per i sensi": così dice il protagonista del romanzo di Tolstoj.

     Sappiamo che in questo racconto (scritto tra il 1887 e il 1889) Tolstoj rielabora anche una sua esperienza personale in cui ha dovuto fare i conti con la gelosia quando la moglie Sof’ja Andreevna comincia a dimostrare un vivo interesse per il musicista Sergej Ivanovič Taneev, il quale, però, è indifferente verso le donne, perché è omosessuale e non corrisponde al desiderio di Sof’ja Andreevna (lui sarebbe più interessato al marito, a Leone, piuttosto che a Sof’ja). Sof’ja soffre molto anche perché si sente ridicola: questa tragedia, che, come tutte le tragedie, contiene un risvolto comico e grottesco, non fa però da movente al racconto di Tolstoj.

     Tolstoj scrive La Sonata a Kreutzer  a prescindere dalle connotazioni autobiografiche (che sono state fin troppo enfatizzate) ma questo breve romanzo è la sintesi di una lunga requisitoria con la quale lo scrittore processa la società e in particolare l’istituzione del matrimonio come realtà psico-relazionale. Tolstoj contesta il fatto che la Chiesa proclami il matrimonio come "salvezza contro la depravazione" quando in realtà – afferma Tolstoj – risulta evidente che il matrimonio, senza dare pari opportunità a due contraenti, genera "una prigione nella quale è inevitabile lo scontro tra i due esseri umani che reclude", una prigione che vede la donna come "vittima sociale (prostituta domestica)" e l’uomo come custode di un recinto nel quale deve trovare lo sfogo legalizzato (santificato) alla propria concupiscenza. Questa mentalità, creata con una falsa educazione morale e civile, sviluppa nella donna – sostiene Tolstoj – l’idea che ella debba sempre ammaliare e nell’uomo provoca un’insana gelosia, un insano senso del possesso dell’oggetto che spesso si traduce in un intento criminale con tanto di legislazione favorevole per i mariti che uccidono (il delitto d’onore) le mogli inadempienti o, molto spesso, presunte tali.

     Le conclusioni di Tolstoj sono provocatorie: la sola difesa dalle tentazioni della carne, dalle aberrazioni del matrimonio, dalla falsità e dall’ipocrisia della vita sociale, è l’acquisizione, mediante l’istruzione, di un vigoroso imperativo morale e razionale che porti la persona a praticare l’astinenza perché è solo l’educazione al dominio della mente sui sensi – afferma Tolstoj – che porta a riconoscere quando una relazione è davvero disinteressata e allora il piacere dell’incontro si manifesta in tutta la sua valenza salvifica, gratificante e priva di sensi di colpa.

     Il racconto de La Sonata a Kreutzer ha inizio nella carrozza di un treno (il treno è un elemento frequente nei romanzi di Tolstoj) che da molte ore sta attraversando la pianura Sarmatica. I passeggeri (un gruppetto di personaggi significativi) – come spesso succede sul treno – iniziano una discussione, abbastanza animata, sul tema del matrimonio, del divorzio, del ruolo delle donne: dell’incipit di questo romanzo ce ne occuperemo la prossima settimana. Tra questi passeggeri c’è il personaggio principale del romanzo: è un uomo che ha appena scontato una pena detentiva (una pena abbastanza breve, infatti la legge non è severa con gli uxoricidi) perché ha ucciso la moglie per gelosia.

     Dall’inizio, quindi, chi legge sa già come va a finire questo racconto ma non sta nella trama il valore di quest’opera ma bensì nella riflessione esistenziale che lo scrittore propone attraverso il protagonista quando, calata la notte e svuotatasi la carrozza, narra tutta la storia all’unico passeggero rimasto ad ascoltarlo il quale rappresenta la figura dello scrittore stesso che ascolta la sua coscienza fatta personaggio. Quest’uomo racconta che aveva già da tempo un rapporto conflittuale con la moglie – aveva ben presto scoperto di non amarla ma di essere solo sensualmente attratto da lei – e, quando entra in scena un giovane musicista – un violinista che lui stesso presenta alla moglie e che invita a suonare con lei (lei suona il pianoforte) – in lui scatta l’istinto di possesso (la sindrome del guardiano del recinto) e presume che i due, coinvolti nel suonare insieme, abbiano una relazione carnale: il fatto – il fatto tremendo ed inconfessabile e che scatena in lui il rimorso – è che lui non è sicuro di tutto ciò, non ha nessuna prova, ed è soprattutto la sua immaginazione che ha creato i fantasmi omicidi della gelosia.

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Leone Tolstoj, La sonata a Kreutzer

 - Ecco quali erano i nostri rapporti quando è comparso quell’uomo. Si chiamava Truchacevskij. È arrivato a Mosca e subito si è presentato da me. Era una mattina. L’ho ricevuto. Un tempo ci davamo del tu. Ha provato con frasi un po’ vaghe a oscillare tra il tu e il voi, propendendo per il primo, ma io sono passato decisamente al voi, e lui subito si è adeguato. Sin dal primo momento non mi è assolutamente piaciuto. Ma, strana cosa, una forza inconsueta, misteriosa, mi spingeva a non respingerlo, non allontanarlo da me, ma al contrario a dargli confidenza. Infatti non ci sarebbe stato nulla di più facile che parlargli con freddezza e congedarlo, senza presentarlo a mia moglie. Invece no. Come lo facessi apposta ho cominciato a parlare della sua musica, gli ho riferito di aver sentito che aveva abbandonato il violino. Mi ha risposto che era vero il contrario, suonava più di prima. Si è ricordato che anch’io suonavo un tempo. Gli ho detto che avevo smesso, ma che mia moglie suonava bene il piano.

- Che cosa sorprendente! Il mio atteggiamento verso di lui già il primo giorno, nel momento in cui l’ho visto, era esattamente quello che avrebbe potuto essere alla fine di tutta la vicenda. C’era una strana tensione nei nostri rapporti: io facevo caso a ogni parola che diceva, o che dicevo io, come avesse una particolare importanza.

- L’ho presentato a mia moglie. Subito si è cominciato a parlare di musica, e lui si è offerto di suonare assieme a lei. Mia moglie, come sempre negli ultimi tempi, era molto elegante e seducente, di una bellezza che turbava. Lui doveva esserle piaciuto sin dal primo sguardo. Oltretutto si era molto rallegrata di avere l’opportunità di suonare con l’accompagnamento di un violino, cosa che amava molto, tanto che faceva venire appositamente, pagandolo, un violinista dal teatro, e la gioia si era chiaramente disegnata sul suo viso. Guardandomi aveva però subito avvertito quali fossero i miei sentimenti, e aveva cambiato espressione: da qui era iniziato il gioco degli inganni reciproci. Avevo risposto con un bel sorriso, dando a vedere che il suo atteggiamento mi faceva molto piacere. Quello, pur guardando mia moglie come guardano le belle donne tutti i debosciati, si fingeva interessato solo all’argomento della discussione, proprio quello che palesemente lo interessava meno di tutto. Lei provava a mostrarsi indifferente, ma il mio sorriso forzato, indice, come ben sapeva, di gelosia, e lo sguardo lascivo di lui dovevano, evidentemente, eccitarla molto. Ho notato che già a quel primo incontro gli occhi le si sono accesi di un bagliore particolare e, probabilmente per effetto della mia gelosia, tra lui e lei si è subito stabilito una specie di fluido elettrico, che suscitava in loro identici sguardi, espressioni e sorrisi. Lei arrossiva e anche lui arrossiva, lei sorrideva e anche lui sorrideva. Abbiamo parlato di Parigi, della musica, di ogni sorta di sciocchezze. Quando si è alzato per andar via è rimasto interdetto, con il sorriso sulle labbra e il cappello poggiato sulla coscia che gli fremeva, a guardare ora me, ora lei, in attesa di ciò che avremmo fatto. Mi ricordo esattamente quell’istante perché in quell’istante avrei potuto non invitarlo, e allora non sarebbe successo niente. Ma io ho lanciato uno sguardo a lui, poi a lei. "Non pensare che sia geloso" le ho detto mentalmente, e a lui: "Non pensare che abbia paura di te", e l’ho invitato a farci ancora visita per suonare con mia moglie. Lei mi ha guardato stupita, si è accesa tutta e ha cominciato a schermirsi, come spaventata, dicendo che non suonava abbastanza bene. Quel suo rifiuto mi ha irritato ancora di più, e mi sono messo a insistere. Ricordo la strana sensazione che ho provato, mentre si allontanava con quel suo passo saltellante, da gallina, a guardare la sua nuca, il collo bianco che si stagliava sotto i capelli neri separati da una decisa scriminatura. Non potevo nascondermi che la presenza di quell’uomo mi indisponeva. Dipende da me, pensavo, fare in modo di non doverlo rivedere mai più. Ma così facendo avrei ammesso di avere paura di lui. Ma no che non ho paura di lui! Sarebbe troppo umiliante, mi dicevo. E proprio là, in anticamera, sapendo che mia moglie mi sentiva, ho insistito che tornasse quella sera stessa col violino. Mi ha promesso che l’avrebbe fatto e se n’è andato.

- Verso sera si è ripresentato col suo violino e hanno suonato. Ci hanno messo molto a organizzarsi, non c’erano gli spartiti che gli servivano, e quelli che c’erano mia moglie non poteva suonarli senza prima prepararsi. Io amavo molto la musica e partecipavo ai loro sforzi, gli regolavo il leggio e giravo le pagine. E qualcosa sono riusciti a suonare, alcuni brani senza parole e una breve sonata di Mozart. Lui suonava in maniera eccellente e mostrava di possedere al massimo grado quel che si dice tocco. Assieme a un gusto elevato e squisito, in totale contrasto con il suo carattere.

- Suonava, s’intende, molto meglio di mia moglie e l’aiutava, senza però farle mancare lodi ossequienti. Il suo comportamento era ineccepibile. Mia moglie sembrava interessata solo alla musica, e aveva un atteggiamento molto semplice e naturale. Io, sebbene mi fingessi interessato alla musica, sono rimasto tutta la sera in preda ai morsi della gelosia.

- Sin dal primo istante in cui ha incrociato gli occhi di mia moglie, ho visto che la belva annidata in entrambi, infischiandosene dei condizionamenti morali e sociali, aveva chiesto: "Si può?" e aveva risposto: "Oh sì che si può". Ho notato che lui non si aspettava affatto che mia moglie, un’ordinaria dama moscovita, potesse essere così affascinante, e se n’era assai rallegrato. Perché dubbi sul fatto che sarebbe stato ricambiato non ne aveva di certo. Tutta la questione era solo come liberarsi dell’impiccio di quel marito insopportabile. Se fossi stato puro, non l’avrei capito, ma anch’io, come la maggioranza degli uomini, avevo prima di sposarmi quello stesso atteggiamento verso le donne e quindi leggevo nell’animo di lui come in un libro aperto. Ancor di più mi tormentavo perché capivo perfettamente che lei non provava verso di me altro sentimento che rabbia, interrotta solo di tanto in tanto dai soliti impeti sensuali, e che quell’uomo, per la sua fascinosa eleganza, per l’aria di novità, ma soprattutto per via del suo indubbio talento musicale, per l’intimità che generava il suonare insieme, per l’influenza che sempre ha la musica, e il violino in particolare, sulle nature più impressionabili, non solo avrebbe dovuto piacerle, ma senza il minimo ostacolo l’avrebbe soggiogata, schiacciata, se la sarebbe rigirata come una marionetta per farne quel che voleva. Non potevo non rendermene conto, e ne soffrivo terribilmente. Ma indipendentemente da ciò, o forse proprio in conseguenza di ciò, una certa qual forza mi spingeva, al di là della mia volontà, a essere non soltanto rispettoso, ma particolarmente cordiale con lui. Non saprei dire se lo facessi per mia moglie o per lui, per mostrare che non lo temevo, o per me stesso, per ingannarmi, certo è che sin dal primo momento non riuscivo a essere indifferente. Dovevo essere affettuoso, per non farmi travolgere dall’impulso di ammazzarlo seduta stante. A cena gli ho offerto i migliori vini, gli ho fatto molti complimenti per la sua musica, gli ho parlato con un sorriso particolarmente affabile e l’ho invitato per la domenica seguente a pranzare da noi e a suonare ancora con mia moglie. Gli ho detto che avrei fatto venire per ascoltarlo anche alcuni miei conoscenti, appassionati di musica. E così poi è stato.

- Certo è una cosa ben strana l’effetto che mi faceva la presenza di quell’uomo, - disse ricominciando a raccontare, facendo un palese sforzo per mantenersi calmo. - Dopo due o tre giorni torno a casa da un’esposizione, entro nell’anticamera e subito sento qualcosa, pesante come una pietra, che mi si abbatte sul cuore, ma non riesco a spiegarmi cosa sia. Era qualcosa che me l’aveva ricordato, mentre attraversavo l’anticamera. Solo nel mio studio mi sono reso conto di cosa fosse, e sono tornato in anticamera per accertarmene. No, non mi ero sbagliato: c’era il suo cappotto. Sapete, uno di quei cappotti alla moda. (Facevo, tra l’altro, una straordinaria attenzione a tutto quello che lo riguardava, per quanto non me ne rendessi conto). Chiedo alla servitù, e mi confermano che era lì. Mi avvio verso il salone La porta che dà nel salone è chiusa, e ne giungono un monotono arpeggio e le voci di lui e di lei. Tendo l’orecchio, ma non riesco a distinguere cosa dicono. È evidente che suonano il piano per soffocare le parole, o forse i baci. Dio mio, cosa mi è montato dentro! Inorridisco solo al pensiero della belva che allora viveva in me. Il cuore mi si è contratto all’improvviso, si è bloccato, poi ha cominciato a martellare furiosamente. Il sentimento che prevaleva, come sempre quando sono in preda alla furia, era l’autocommiserazione.

"Che devo fare?" mi chiedevo. "Non posso entrare, Dio solo sa cosa farei". Ma neanche posso andarmene. "Non si può non entrare" mi sono detto, e ho subito aperto la porta. Lui era seduto al pianoforte e faceva quegli arpeggi con le sue grandi dita bianche ricurve all’insù. Lei era in piedi a un angolo del piano, davanti allo spartito aperto. Non saprei se abbia dissimulato la paura o davvero non si sia spaventata, ma non ha sobbalzato, non si è mossa, è solo arrossita, e neppure subito. "Come sono contenta che tu sia venuto; non siamo ancora riusciti a decidere cosa suonare domenica" mi ha detto con un tono che mai usava con me quando eravamo soli. Quel tono, assieme al "noi" col quale aveva indicato se stessa e lui, mi ha indignato. A lui ho fatto solo un cenno di saluto.

- Mi ha stretto la mano e subito, con un sorriso che mi è sembrato beffardo, ha cominciato a spiegarmi che era venuto a portare gli spartiti per preparare l’esecuzione di domenica, e che non riuscivano a mettersi d’accordo su cosa suonare: qualcosa di più classico e difficile, come una sonata per violino di Beethoven, o diversi piccoli brani. Tutto era così semplice e spontaneo che non avevo nulla a cui attaccarmi, ma nello stesso tempo ero sicuro che non ci fosse una parola di vero, e che se stavano accordandosi su qualcosa, era su come ingannarmi.

- Tra i rapporti umani che più fanno soffrire i gelosi (e chi non è geloso nella nostra società?) ci sono quelle determinate circostanze della vita sociale in cui è consentita un’estrema e pericolosissima vicinanza tra uomo e donna. Si diventa lo zimbello di tutti a opporsi alla vicinanza durante i balli, alla vicinanza tra i dottori e le loro pazienti, alla vicinanza durante le lezioni di arte, di pittura, e in particolare per quel che riguarda la musica; un uomo e una donna decidono di dedicarsi insieme alla più nobile delle arti, la musica, e a tal fine è indispensabile una determinata vicinanza, del tutto innocente, in cui solo uno sciocco marito geloso può trovare qualcosa di sconveniente. Ma intanto tutti sanno che proprio attraverso queste occupazioni, specialmente la musica, si realizza la maggior parte degli adulteri nella nostra società. Dovevo quindi averli ben stupiti per il turbamento che mostravo, rimanendo lì tutto quel tempo senza dire una parola. Ero come una bottiglia rovesciata, da cui l’acqua non esce perché è troppo piena. Volevo prenderlo a male parole, cacciarlo via, ma sentivo invece di dover essere ancora cortese e amabile con lui. E così ho fatto. Ho dato a vedere che approvavo tutto, e sempre per quello strano sentimento che mi spingeva a trattarlo con tanta più delicatezza quanto più odiosa mi era la sua presenza, gli ho detto che mi fidavo del suo gusto e consigliavo a lei di fare altrettanto. È rimasto da noi ancora il tempo necessario per stemperare la spiacevole impressione che avevo destato con la mia irruzione e la mia faccia spaventata, poi se n’è andato, fingendo di aver finalmente trovato cosa suonare l’indomani. Ero assolutamente convinto che rispetto a ciò che li attraeva, cosa suonare fosse per loro una questione del tutto irrilevante.

- L’ho accompagnato alla porta con particolare deferenza (come non accompagnare qualcuno che sia venuto con l’intento di distruggere la tranquillità e la felicità di un’intera famiglia!) e gli ho stretto con affabilità anche maggiore la morbida mano bianca.

     Nel grande territorio culturale dell’ellenismo entra in incubazione il genere letterario del "romanzo" sulla scia della "scoperta delle passioni". Difatti il genere letterario del "romanzo" ha come caratteristica principale quella di "portare allo scoperto le passioni" in tutta la loro peculiarità.

     Naturalmente Il romanzo di Alessandro – così come, per secoli, lo ha costruito la sapienza poetica ellenistica, intessendo storia e leggenda – è indissolubilmente legato alla parola "passione" e tanto il personaggio (storico e leggendario, umano e divino) di Alessandro quanto la parola-chiave "passione" continuano, per ora, ad essere per noi due punti di riferimento fondamentali.

     Ribadiamo ancora il fatto che il termine "passione" risulta determinante nello sviluppo della Storia del Pensiero Umano in "età ellenistica" e produce quindi una serie di significative riflessioni delle quali ci occuperemo strada facendo.

     Ma che cos’è, nella forma e nella sostanza, quel grande apparato letterario (non si tratta di un libro solo) che prende il nome di Romanzo di Alessandro? Questa sera abbiamo solamente introdotto l’argomento incontrando alcuni personaggi (Arriano, Clitarco, Aristobulo, Callistene) ma il viaggio è appena iniziato e quindi correte a Scuola.

     La Scuola è qui per ribadire che ogni persona ha diritto all’Apprendimento…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 16, 2009