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IL SENSO DELL’UMORISMO NELLA SEQUENZA NARRATIVA SU ISACCO …

Lezione N.: 
28

Prof. Giuseppe Nibbi       La sapienza poetica beritica  2008     21-22-23  maggio  2008

IL SENSO DELL’UMORISMO NELLA SEQUENZA NARRATIVA SU ISACCO …

     Come sapete ci troviamo in quella parte del territorio della Letteratura beritica che, in modo metaforico, corrisponde al testo del Libro della Genesi-In principio/Bereshìt. Un primo nucleo narrativo del Libro della Genesi ruota intorno alle vicende del personaggio di Abramo. Gli scrivani d’Israele raccontano la sua chiamata [al capitolo 12], che introduce il motivo della promessa. Ad Abramo viene promessa una terra e questo giustifica la migrazione da Ur dei Caldei verso la terra di Canaan, spiega il fenomeno della transumanza dalla Mesopotamia verso occidente. Però noi sappiamo che questo racconto è allegorico, è una metafora che corrisponde alla promessa di una Legge: difatti Abramo riceve un monito che suona come un invito straordinario a costruire la comunità umana, a fondare l’esteriorità facendo appello alla propria coscienza interiore. Difatti è nella coscienza [con la presa di coscienza] che si forma lo spirito di servizio e il senso del dovere: queste due qualità scaturiscono da una profonda convinzione interiore.

     Abramo si sente ammonire con la frase: Vai verso te stesso, viaggia verso la tua interiorità perché è lì che matura lo spirito di servizio [la berit, il patto di solidarietà] e il senso del dovere [la Torah, la Legge uguale per tutti]. Questo ammonimento – per cui se si vuole costruire l’esteriorità [una società salvata] è necessario passare per l’interiorità [per una presa di coscienza di carattere morale] – dimostra come gli scrivani d’Israele siano anch’essi figli dell’Età assiale della storia: su questo asse infatti [solo per fare alcuni esempi] troviamo Eraclito di Efeso, nella Ionia, con il suo ammonimento: Conosci te stesso; troviamo i saggi delle Upanishad vediche, i Libri della Sapienza indiana, con l’affermazione: Hai in te tutto l’universo; troviamo Siddarta, l’illuminato di Benares, con il suo monito: Diventa ciò che sei; troviamo Zaratustra, sull’altopiano iraniano, che ammonisce: Fai luce nella tua intimità; troviamo Confucio, in Cina, che afferma: La regola è dentro di te; troviamo i sacerdoti di Menfi, in Egitto, che scrivono: Ascolta il tuo cuore. Questi significativi apparati della Storia del Pensiero Umano li abbiamo studiati tutti, qui a Scuola, in questi anni e abbiamo capito che ognuno di questi apparati – pur mantenendosi fedele al proprio stile, alle proprie tradizioni – orienta verso un obiettivo comune.

     Abramo [gli scrivani d’Israele] sente nell’intimo una voce che dice: Vai verso te stessoe questo ammonimento contribuisce a consolidare la cultura dell’Età assiale. Questo ammonimento, che riprende il senso di tutte le culture dell’Età assiale della storia, è rivolto – da 2500 anni [questa è la nostra età mentale] a ciascuna e a ciascuno di noi.

     Noi sappiamo che l’ammonimento a viaggiare verso se stessi [che senso ha questo ammonimento, come si concretizza?] significa studiare e studiare significa prendersi cura e prendersi cura significa coltivare il proprio intelletto e per coltivare gli intelletti bisogna istituire percorsi intellettuali: istituire percorsi intellettuali significa predisporre itinerari di alfabetizzazione culturale e funzionale che possano fornire le competenze [la capacità di apprendimento] alla persona.

     Il personaggio di Abramo – mediante lo stile degli scrivani d’Israele – viene fatto muovere secondo una precisa strategia letteraria [di genere epico] in funzione dell’obiettivo fondamentale che le Scuole di scrittura [soprattutto quelle della seconda generazione dell’esilio a Babilonia e quelle degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale]] vogliono raggiungere: scrivere la Legge uguale per tutti come strumento per costruire la Nazione e istituire lo Stato. Il personaggio di Abramo viene fatto muovere secondo una precisa strategia letteraria [di genere epico] e quindi, secondo una dinamica – che già ben conosciamo –funzionale alla costruzione dell’unità della Nazione. Gli scrivani d’Israele, dopo aver fatto arrivare Abramo dalla Mesopotamia [per rievocare il tempo e il ritorno dall’esilio a Babilonia e anche per evocare da principio la figura di Ezechia che rimanda al concetto della berit] non possono fare a meno di farlo scendere fino in Egitto [per rievocare la transumanza verso la valle del Nilo e anche per evocare la figura di Giosia che rimanda al concetto della toràh].

     Il racconto del viaggio di Abramo in Egitto costituisce il preludio del successivo insediamento degli Israeliti nella terra di Canaan. Il racconto del viaggio di Abramo in Egitto, che possiamo leggere dal versetto 10 al versetto 20 del capitolo 12 del Libro della Genesi, contiene gli elementi tipici del romanzo d’avventura: leggiamo questo brano.

LEGERE MULTUM….

Libro della Genesi-In principio/Bereshìt   12, 9-20

9 Poi Abram levò la tenda per accamparsi nel Negheb.

10 Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto per soggiornarvi, perché la carestia gravava sul paese.

11 Ma, quando fu sul punto di entrare in Egitto, disse alla moglie Sarai: «Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente.

12 Quando gli Egiziani ti vedranno, penseranno: Costei è sua moglie, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita.

13 Di’ dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per riguardo a te».

14 Appunto quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro che la donna era molto avvenente.

15 La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le lodi al faraone; così la donna fu presa e condotta nella casa del faraone.

16 Per riguardo a lei, egli trattò bene Abram, che ricevette greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli.

17 Ma il Signore colpì il faraone e la sua casa con grandi piaghe, per il fatto di Sarai, moglie di Abram.

18 Allora il faraone convocò Abram e gli disse: «Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tua moglie?

19 Perché hai detto: È mia sorella, così che io me la sono presa in moglie? E ora eccoti tua moglie: prendila e vattene!».

20 Poi il faraone lo affidò ad alcuni uomini che lo accompagnarono fuori della frontiera insieme con la moglie e tutti i suoi averi.

     La sequenza narrativa poi prevede la separazione di Abramo da suo nipote Lot, dovuta a motivi di tipo socioeconomico, e con questo episodio gli scrivani d’Israele vogliono elaborare l’idea della negatività della divisione in tribù che moltiplica i problemi di convivenza in quest’area geografica: questa è un’esplicita allusione alla necessità della creazione di uno Stato unitario che sappia governare l’economia e che, con norme condivise, porti al superamento della frammentazione tribale.

     Leggiamo, a questo proposito, un frammento significativo:

LEGERE MULTUM….

Libro della Genesi-In principio/Bereshìt   13, 1-18

1 Dall’Egitto Abram ritornò nel Negheb con la moglie e tutti i suoi averi; Lot era con lui.

2 Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro.

3 Poi di accampamento in accampamento egli dal Negheb si portò fino a Betel, fino al luogo dove era stata già prima la sua tenda, tra Betel e Ai,

4 al luogo dell’altare, che aveva là costruito prima: lì Abram invocò il nome del Signore.

5 Ma anche Lot, che andava con Abram, aveva greggi e armenti e tende.

6 Il territorio non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni troppo grandi e non potevano abitare insieme.

7 Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot, mentre i Cananei e i Perizziti abitavano allora nel paese.

8 Abram disse a Lot: «Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli.

9 Non sta forse davanti a te tutto il paese? Sepàrati da me. Se tu vai da una parte io andrò dall’altra».

10 Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte – prima che il Signore distruggesse Sòdoma e Gomorra – ; era come il giardino del Signore, come il paese d’Egitto, fino ai pressi di Zoar.

11 Lot scelse per sé tutta la valle del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono l’uno dall’altro:

12 Abram si stabilì nel paese di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle e piantò le tende vicino a Sòdoma.

13 Ora gli uomini di Sòdoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore.

14 Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: «Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente.

15 Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre.

16 Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti.

17 Alzati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te».

18 Poi Abram si spostò con le sue tende e andò a stabilirsi alle Querce di Mamre, che sono ad Ebron, e vi costruì un altare al Signore.

     La sequenza narrativa continua con il tema della stipula della berit, del patto di solidarietà [al capitolo 15 e 17 del Libro della Genesi], con la sua controparte rituale: la circoncisione dei maschi che risulta essere contemporaneamente una norma igienica, un rito di iniziazione di carattere matrimoniale e un segno impresso nella carne che ha un valore istituzionale e che serve per ricordarsi che, prima di tutto, bisogna saper fare dei patti i quali devono essere rispettati così come il patto, che è stato stipulato con Dio, va rispettato.

     Un secondo nucleo della sequenza narrativa che riguarda Abramo ruota intorno alla nascita di Ismaele, l’antenato degli Ismaeliti: altro importante personaggio che s’incontra nel capitolo 16 e nel capitolo 21 del Libro della Genesi]. Alla base di questo racconto [che abbiamo analizzato nel 2001 entrando nel territorio della Letteratura del Corano, un argomento che torneremo a studiare a suo tempo] troviamo il conflitto tra la moglie legittima di Abramo, Sara, e una sua concubina, Agar: un conflitto tra mogli che ben si spiega sullo sfondo della poligamia tipica di questi gruppi tribali.

     Un terzo nucleo narrativo della sequenza che riguarda Abramo comprende, poi,  il racconto della nascita di Isacco [Libro della Genesi capitoli 18 e 21], l’episodio del suo sacrificio [capitolo 22 del Libro della Genesi]; e il matrimonio di Isacco con Rebecca [capitolo 24 del Libro della Genesi]. Un quarto nucleo narrativo all’interno della sequenza su Abramo, infine, ruota intorno alla distruzione di Sodoma e Gomorra [ai capitoli 18 e 19 del Libro della Genesi] e questo racconto, di per sé, è una tipica variante dei miti del diluvio a noi già noti, i quali, in questo caso, comportano la possibilità di distruzione mediante non una pioggia d’acqua ma attraverso una pioggia di fuoco. Questo nucleo narrativo è in origine, evidentemente, un racconto indipendente dal ciclo di Abramo, è stato inserito qui per confermare – da parte degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale]– che la storia di Abramo fa parte della storia dei popoli, di cui Jahvé è giudice supremo e inappellabile.

     Dopo questa rapida descrizione della sequenza narrativa su Abramo – per fornire alcuni elementi – la Scuola ha il dovere di invitare a leggere il testo del Libro della Genesi-In principio/Bereshìt dal capitolo 12 al capitolo 24. L’episodio più significativo del ciclo narrativo su Abramo – contenuto nel capitolo 22 del Libro della Genesi-In principio/Bereshìt – è senza dubbio il cosiddetto: sacrificio di Isacco, conosciuto da tutti. Il sacrificio di Isacco – e le immagini di questo episodio le abbiamo negli occhi soprattutto attraverso la Storia dell’Arte – costituisce uno degli episodi fondamentali della Letteratura beritica e va ben oltre la Letteratura beritica stessa. Con questo episodio compare, per la prima volta sulla scena della Storia del Pensiero Umano – rappresentato in modo sapientemente tragico – il tema della fede, intesa come rapporto intimo e misterioso di dedizione assoluta [e cioè sciolto da ogni vincolo razionale] del credente nei confronti di un Dio personale.

     Questo episodio ha costituito nei secoli motivo continuo di riflessione, sia ad opera di quei pensatori, da Pascal [che abbiamo incontrato più volte] a Kierkegaard [non lo abbiamo ancora incontrato, forse lo incontreremo prossimamente] che vi hanno letto il nucleo dell’esperienza religiosa, sia ad opera di quei critici di stampo illuministico [valga per tutti l’esempio di una nostra vecchia conoscenza: Emmanuele Kant], che considerano questo episodio come antesignano degli eccessi a cui condurrebbe un atteggiamento fideistico che rifiuta di muoversi nei confini della ragione. Questo episodio affonda probabilmente le proprie radici in una narrazione più antica che traccia una linea di demarcazione tra l’età degli albori e l’Età assiale della storia: una narrazione nella quale si vuole scongiurare la pratica – certamente diffusa – dei sacrifici umani. Il sacrificio di Isacco è uno degli episodi della Letteratura beritica che hanno ispirato con più frequenza le artiste e gli artisti di ogni secolo ed è ripetuto nella Letteratura di tutti i paesi del mondo.

     Il racconto è noto: Jahvè, per provare la fede di Abramo gli ordina d’immolargli il figlio Isacco. Lo stesso Isacco porta sulle spalle la legna del sacrificio ma mentre il patriarca alza il coltello su di lui, un angelo scende dal cielo a fermargli il braccio e la voce del Signore benedice Abramo e la sua discendenza.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

La parola “sacrificio” non può non attirare la nostra attenzione: nella vita le persone sono chiamate a fare piccoli e grandi sacrifici, sacrifici ben accettati o sopportati…

C’è un episodio in cui riconosci ad una persona di essersi sacrificata per te?… 

Scrivi quattro righe in proposito

     E ora leggiamo il brano significativo che racconta il sacrificio di Isacco:

LEGERE MULTUM….

Libro della Genesi-In principio/Bereshìt   22, 1-18

1 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!».

2 Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».

3 Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato.

4 Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo, allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi».

6 Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme.

7 Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?» [Offrilo in olocausto: il sacrificio umano è attestato presso molte popolazioni: Fenici, Moabiti. Ammoniti, Egiziani e Cananei. Nella Letteratura beritica ci sono riferimenti ai sacrifici umani: il sacrificio del primogenito (si confronti il Libro dell’Esodo al capitolo 13 e al capitolo 34); si parla anche di sacrificio cananaico di fondazione (si confronti il Primo Libro dei Re al capitolo 16); e si parla di sacrificio umano in situazioni di particolare bisogno (si confronti il Secondo Libro dei Re al capitolo 3). Gli scrivani d’Israele vogliono sradicare questa brutta idea].

8 Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutt’e due insieme;

9 così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.

10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.

11 Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!».

12 L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio».

13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.

14 Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede».

15 Poi l’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta

16 e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio il tuo unico figlio,

17 io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici.

18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».

     Fin dal III secolo l’episodio del sacrificio di Isacco appare raffigurato su sarcofaghi e su mosaici. In età rinascimentale – su questo tema – famosissimi sono i bassorilievi del Ghiberti e del Brunelleschi, il grande affresco di Raffaello nelle stanze Vaticane, i capolavori di Andrea del Sarto, di Rembrandt, di Rubens, e ci fermiamo qui perché l’elenco è lunghissimo.

     Il sacrificio di Isacco ha poi – in tutto il mondo – offerto lo spunto a numerose opere teatrali.  La più famosa in Italia è la sacra rappresentazione intitolata Abramo e Isacco di Feo Belcàri (1410-1484), recitata per la prima volta a Firenze nel 1449, nella chiesa di Santa Maria Maddalena in Cestelli. Feo Belcàri compone la sua opera teatrale parafrasando il testo del Libro della Genesi, prevedendo una scenografia puramente allusiva, semplicissima e di grande modernità: i vari luoghi in cui si svolge l’azione sono tutti concentrati in una sola scena che rimane invariata. Belcàri prevede un palcoscenico circondato da tende: su di un lato, ci sono due traverse di legno chiuse da una tenda che raffigura una porta, sulla destra c’è un rialzo al quale si accede per due o tre gradini e rappresenta la montagna sulla quale deve svolgersi il sacrificio: Sara e Abramo, l’una sulla porta di casa, l’altro sulla montagna, si trovavano contemporaneamente in scena pur essendo, nella finzione scenica, distanti l’uno dall’altra tre giorni di viaggio. La rappresentazione si apre con l’apparizione dell’Angelo che espone al pubblico l’argomento, e l’azione si svolge in modo semplice e lineare, seguendo fedelmente il racconto della Genesi, fino alla sua conclusione: fino al festoso ritorno a casa di Abramo e Isacco.

     Belcàri non possiede il senso del tragico in chiave romantica, che si esterna sulla scena con gesti e con azioni vistose, ma vuole condurre il pubblico ad una pacata riflessione sui sentimenti e sul loro valore nel momento in cui si sviluppano nell’interiorità. Nella sua opera non c’è azione ma c’è stimolo verso la contemplazione: il giovinetto Isacco sa soffocare i suoi lamenti quando gli viene rivelato lo scopo del viaggio e quasi vorrebbe sollevare dall’angoscia il padre Abramo assai turbato: questo parlar d’Isac era un coltello – che ‘l cor del santo Abram feriva forte, – pensando ch’al fìgliuol suo dolce e bello – con le sue proprie man dovea dar morte.

     Belcàri descrive l’azione nelle poche didascalie, e vuole che rimanga solo la sostanza narrativa e lirica, cercando di creare un clima di religiosità umana e gentile, e ha saputo mantenere nella sua opera il carattere della rappresentazione sacra trasferendola nel nuovo clima dell’umanesimo. Belcàri scrive usando il tradizionale metro dell’ottava rima e l’Abramo e Isacco è considerato come il capolavoro al quale hanno guardato con interesse soprattutto i musicisti dei secoli successivi.

     Alla sacra rappresentazione del Belcàri, si è ispirato Giacomo Carissimi (1605-1674) in uno dei suoi famosi oratori, intitolato Abramo e Isacco. Anche Alessandro Scarlatti (1659-1725) ha scritto un oratorio intitolato Il sacrificio d’Abramo, come pure Giovanni Antonio Ricieri (1679-1746) ha scritto un oratorio intitolato Il sacrificio d’Isacco e anche Francesco Morlacchi (1784-1841) ha composto un’opera, sotto forma di oratorio, intitolata Isacco. Il compositore Ildebrando Pizzetti ha scritto, in età contemporanea, nel 1917 le musiche di scena per la sacra rappresentazione del Belcàri, e poi l’ha musicata interamente nel 1928 in forma di oratorio scenico.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Su questi personaggi che abbiamo citato puoi estendere la tua ricerca sull’enciclopedia, in biblioteca o sulla rete…

     Noi ci siamo soffermati solo su autori italiani ma in tutto il mondo sono state composte opere che trattano il tema del sacrificio di Isacco.

     Adesso leggiamo quindici [delle 46] strofe del testo dell’opera teatrale di Feo Belcàri.

LEGERE MULTUM….

Feo Belcàri, Abramo e Isaac (1449)

Questa è la rapresentazione d’Abram quando volse fare sacrificio di Isac.

In prima viene uno angelo e annuntia quello che s’intende fare dicendo le infrascripte stanze.

1

L’occhio si dice ch’è la prima porta per la qual lo ’ntellecto intende e gusta:

la seconda è l’udir con voce scorta (chiara), che fa la vostra mente esser robusta:

però vedrete et udirete in sorta recitar una storia sancta e giusta;

ma se volete intender tal misterio state devoti et con buon desiderio.

2

Ne la Genesi la sancta Bibbia narra che Dio volse provar l’ubidientia

del patriarca Abram, sposo di Sarra, et per un angel gli parlò in presentia.

Allora Abram le sue orecchie sbarra, inginocchiato con gran reverentia,

avendo el suo disio tutto disposto di voler far quanto gli fusse imposto.

3

Idio gli disse: «Togli il tuo figliuolo unigenit’Isac, el qual tu ami,

e di lui fammi sacrificio solo: e mosterotti il monte, perché brami

saper el loco; et non menare stuolo. Va’, ch’i’ tel mosterrò senza mi chiami:

cammina per la terra aspra e diserta, e fammi sol del tuo figliuolo offerta».

5

Non dice Dio che l’uccida in quell’ora, ma fallo andar per tre giorni in viaggio,

perché el dolore abbi lunga dimora. Col figlio andando pel loco selvaggio

tutto ’l suo cor di doglia si devora: ponendo adosso sopra el figliuol saggio

le legne, et egli insieme per quel loco portava in mano un gran coltello e ’l foco.

6

Isac disse allora: «O padre mio, dov’è la bestia che debbe esser morta?».

Abram rispose: «El nostro grande Dio provederà ch’ella ci sarà porta.

Fa’ pur d’avere in lui tutto ’l disio, et questo peso volentier sopporta.

Qualunque serve a Di[o] con puro core sostiene ogni fatica per suo amore».

7

Questo parlar d’Isac era un coltello, che il cor del sancto Abram feriva forte,

pensando ch’al figliuol suo dolce et bello con le sue proprie man dovea dar morte.

Da molte cose era temptato quello non obedire a così dura sorte,

ma del servire a Dio avendo sete volse obedir, sì come voi vedrete.

 

Abram, tenendo el coltello in mano, alza gli occhi al celo e dice piangendo:

38

Da poi che t’è piaciuto, eterno Dio, d’avermi messo a questo passo strecto,

col cor ti prego quanto più poss’io, che da-tte sia Isac benedecto;

con tutta l’alma et con ogni disio ti benedico, figliuol mio dilecto.

Et tu, Signor, da poi che t’è in piacere, sia facto in questo puncto el tuo volere.

 

E detto questo, Abram prende con la man sinistra e capelli d’Isac e alza la dextra per dargli col coltello e occiderlo,

ma uno [angelo apare e prende la mano destra d’Abram dicendo]:

39

Abram, Abram, non extender la mano sopra d’Isac tanto giusto et pio,

et non versare el sancto sangue humano del tuo figliuol fedel, buon servo mio.

Tu non hai facto ’l mio precepto vano, et hor cognobbi ben che temi Dio,

da poi che per mio amor non perdonavi al tuo figliuol, al qual tu morte davi.

 

L’angelo, decto che ha el primo verso, lascia el braccio d’Abram e Abram s’inginocchia et adora l’angelo, stando inginocchioni ad udirlo.

Et detta la soprascripta stanza, l’angelo isparisce e Abram si riza et stupefacto d’allegrezza scioglie Isac e dice:

40

Leva su ricto, o figliuol dolce et buono! Alza ’l tuo core al nostro eterno Dio,

et rendi gratie a-llui di sì gran dono, che vedi quanto egli è clemente et pio!

Duo magni gaudii al presente in me sono che fanno giubilar tutto ’l cor mio;

l’un d’aver facto ogni divin precepto, l’altro vederti salvo et sì perfecto.

 

Isac con le mani giunte e gli occhi al celo stando pure inginocchioni dice con maxima letitia e devotione:

41

O infinito amore, o sommo bene, o carità eterna, Iddio immenso,

ringratiar ti vorrei qual si conviene, ma non mi basta el cor, la voce e ’l senso.

Campato m’hai da tante mortal pene, per tua pietà, che quanto più ci penso

più mi ritrovo in eterno obligato, et forte temo non essere ingrato.

 

Isac si riveste e, quando è rivestito, Abram si volge e vedendo un bello montone dice ad Isac con grande admiratione:

42

Guarda se ’l nostro Dio è clementissimo, che, cognoscendo el nostro desiderio,

ha proveduto d’un monton bellissimo, et qui tra’ pruni è posto in gran misterio;

del qual vo’ far sacrificio sanctissimo per te, figliuol, che se’ mio refrigerio,

et mentre che facciamo el sacrificio laudiamo Dio di sì gran benificio.

 

E detto questo, Abram prende el montone et legato e sopra l’altare l’occide, e mentre che arde, dice a Dio:

43

Gratie rendiamo a-tte, Signor pacifico, che ci donasti tanta fortitudine;

accepta questo don che a-tte sacrifico, el qual ponesti in questa solitudine:

col cor ti prego, et con lingua specifico, che ci conduca ad tua beatitudine;

et questo loco chiamo per memoria, «el Signor vede», ad tuo triumpho et gloria.

 

E fatto el sacrificio uno angelo appare ad Abram e in persona di Dio gli promette molti beni così dicendo:

44

Abram, Abram, ascolta el mio parlare; dice el Signore «Per me proprio giurai,

per quel che non volesti perdonare al tuo figliuol, come ti comandai,

el seme tuo farò multiplicare come le stelle del cel ch’i’ creai,

et ancor come la rena del lito del mare, et quest’è fermo stabilito.

45

El seme tuo possederà le porte de’ suo nimici, et saran benedecte

tutte le genti di ciascuna sorte nel tuo buon seme, perché sì perfecte

son l’opre tue, ch’a tanta cruda morte ponesti il tuo figliuol che forte stette,

a cui darò ricchezza et signoria, perché ubidisti alla gran voce mia».

 

Abram, avendo inginocchioni udito l’angelo, si leva in piede e con grandissima letitia dice a Isac:

46

Qual è colui che potesse narrare gl’immensi fructi del servire a Dio?

Chi potre’ mai con lingua dimostrare quanto ’l Signor è buono et dolce et pio?

Isac, mai non ti potre’ contare quanta dolcezza et gaudio è nel cor mio.

Non so che dir, se non che Dio ringrazio e di laudarlo mai non sarò satio…

     La lettura di queste quindici strofe dell’opera di Feo Belcàri ci permette di fare un’ulteriore riflessione. Feo Belcàri parafrasa quasi alla lettera questo episodio del Libro della Genesi che lui legge in latino secondo la versione di Gerolamo, la cosiddetta Vulgata. L’importanza di quest’opera teatrale sta soprattutto nel fatto che è una traduzione scritta in lingua corrente [nella lingua italiana dell’Umanesimo, siamo nel 1449] aderente al testo biblico: la Letteratura beritica, solitamente, veniva raccontata oralmente durante le prediche con molte variazioni rispetto al testo originale che avevano come obiettivo quello di meravigliare, di impaurire, più che di far riflettere. Sappiamo che le artiste e gli artisti del Medioevo e del Rinascimento, che avrebbero voluto far corrispondere le loro opere il più possibile al testo, erano spesso in difficoltà a trovare traduttori che non si discostassero troppo [come i traduttori ufficiali] dal senso originario della sapienza poetica beritica. Pur con tutti i suoi limiti Feo Belcàri – prima della Riforma luterana (1517) che inaugura le traduzioni in lingua corrente, e un secolo prima del Concilio di Trento che sigilla la Scrittura nelle mani del clero cattolico – presenta la Letteratura beritica, nel modo più aderente possibile al testo originale, scritta in una lingua comprensibile alle persone del suo tempo.

                 Il personaggio di Isacco è sempre stato in primo piano per la tragedia scongiurata legata all’episodio del suo sacrifico e questo – fino a non molto tempo fa – è servito anche per dirottare l’attenzione. Per dirottare l’attenzione da che cosa? Perché non ci si soffermasse troppo sul racconto della nascita di Isacco: non ci si soffermasse troppo sulla forma che ha questo racconto a cominciare dal testo ebraico del canone giudaico-palestinese. Il racconto della nascita di Isacco è molto significativo perché è permeato dal senso dell’umorismo e questo fatto, per molto tempo, è risultato blasfemo soprattutto per molti commentatori medioevali i quali hanno operato [avendo in mano il controllo della Scrittura] per attenuarne ed eliminarne l’effetto senza pensare al significato culturale, e anche teologico, che ha questo fatto.

     In molte e in molti avete letto senz’altro il famoso romanzo di Umberto Eco intitolato Il nome delle rosa dove s’incontra anche una serrata discussione sul tema del riso: se sia o meno il riso un fenomeno diabolico. Qualcuno ha detto – a cominciare da Aristotele nella Poetica – che probabilmente Dio ha creato gli uomini e le donne proprio per potersi commuovere e anche per potersi fare quattro risate, inaugurando, con la creazione, la più grande stagione teatrale di tutti tempi dove tragedia e commedia si compendiano in continuazione e dove, forse, proprio l’umorismo potrà essere l’elemento principale per salvare l’Umanità dall’abisso. Aristotele – nel romanzo Il nome della rosa – è ben amato da padre Guglielmo di Baskerville e ben odiato dal venerabile padre Jorge.

     E allora leggiamo una pagina da Il nome della rosa dove la discussione sul tema del riso divide la corrente dei francescani riformatori da quella dei benedettini ultra conservatori.

LEGERE MULTUM….

Umberto Eco, Il nome della rosa (1980)

Si parlava del riso, disse seccamente Jorge. Le commedie erano scritte dai pagani per muovere gli spettatori al riso, e male facevano. Gesù Nostro Signore non raccontò mai commedie né favole, ma solo limpide parabole che allegoricamente ci istruiscono su come guadagnarci il paradiso, e così sia.

Mi chiedo, disse Guglielmo, perché siate tanto contrario a pensare che Gesù abbia mai riso. Io credo che il riso sia una buona medicina, come i bagni, per curare gli umori e le altre affezioni del corpo, in particolare la melanconia.

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     Rileggere quattro pagine al giorno da Il nome della rosa è sempre un esercizio interessante.

     E ora leggiamo il testo della Genesi che tra ilarità e tragedia, tra dramma e comicità [sebbene il venerabile Jorge – che tuttavia conosce bene la Scrittura e sa quali sono i Libri che devono essere tenuti sotto chiave – voglia sostenere il contrario]. Il testo della Genesi ci racconta la nascita dei figli di Abramo: prima di Ismaele [il capitolo 16 del Libro della Genesi, che racconta la nascita di Ismaele, siete invitate e invitati a leggerlo da voi, qui a Scuola non possiamo leggere tutto] e poi il testo della Genesi ci racconta la nascita di Isacco a cui ora dedichiamo la nostra attenzione.

     Gli scrivani d’Israele costruiscono questi testi senza nulla tacere sulle miserie umane – la sterilità, l’impotenza, la gelosia, l’infingardaggine – che vengono tutte descritte, anche, con un ricercato e sottile senso dell’umorismo. Il senso dell’umorismo – la capacità e la volontà di ridere di se stessi – nella Letteratura beritica non è casuale ma ha una sua funzione specifica di carattere teologico e di carattere politico [non è casuale il fatto che la parola beritsia sempre al centro dell’attenzione].

     E ora leggiamo:

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Libro della Genesi-In principio/Bereshìt   17, 1-27

1 Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro.

2 Stipulerò un patto tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto». Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui:

4 «Eccomi: il mio patto è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli.

5 Non ti chiamerai più Abram [grande padre, patriarca] ma ti chiamerai Abraham [Padre dei popoli] perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò.

6 E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re.

7 Stabilirò il mio patto con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come accordo perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te.

8 Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio».

9 Dio disse ad Abramo: «Da parte tua devi essere fedele al patto, tu e la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione.

10 Questo è il mio patto che dovete osservare, patto tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio [la circoncisione è un uso antichissimo dei semiti occidentali, inizialmente era un rito di iniziazione al matrimonio].

11 Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno del patto tra me e voi.

12 Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazione, tanto quello nato in casa come quello comperato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe.

13 Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comperato con denaro; così il mio patto sussisterà nella vostra carne come segno perenne».

15 Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara [principessa].

16 Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei».

17 Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novanta anni potrà partorire?».

     L’annuncio della nascita di Isacco viene accolto da Abramo con una risata, con una battuta, con un motto di spirito.

     E ora spostiamoci nell’accampamento di Abramo presso le Querce di Mamre dove possiamo assistere alla annunciazione per eccellenza della Letteratura beritica. Il capitolo 18 del Libro della Genesi-In principio/Bereshìt contiene il racconto di una annunciazioneche – nelle sue linee generali – ha fatto da modello alle annunciazioni della Letteratura dei Vangeli che tutti abbiamo negli occhi per le innumerevoli raffigurazioni che la Storia dell’Arte ci ha lasciato in eredità.  Leggiamo i primi quindici versetti del capitolo 18, dove si racconta l’annuncio, e i primi sette versetti del capitolo 21 dove si racconta la nascita di Isacco.

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Libro della Genesi-In principio/Bereshìt    18, 1-15   21, 1-7

1 Poi il Signore apparve a lui [ad Abramo] alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.

2 Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini [il Signore con due angeli] stavano in piedi presso di lui. Appena li vide corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra,

3 dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo.

4 Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero.

5 Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrescatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».

6 Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce».

7 All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo.

8 Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.

9 Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda».

10 Il Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui.

11 Abramo e Sarà erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sarà ciò che avviene regolarmente alle donne.

12 Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio! [questa dicitura è allusiva e suona: “ma se non gli sta ritto più nulla!”]».

13 Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia?

14 C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio».

15 Allora Sarà negò: «Non ho riso!», perché aveva paura; ma quegli disse: «Sì, hai proprio riso».

1 Il Signore visitò Sarà, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso.

2 Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato.

3 Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.

4 Abramo circoncise suo figlio Isacco, quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato.

5 Abramo aveva cento anni, quando gli nacque il figlio Isacco.

6 Allora Sara disse: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà sorriderà di me!».

7 Poi disse: «Chi avrebbe mai detto ad Abramo: Sara deve allattare figli! Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!»

     Il senso dell’umorismo – la capacità e la volontà di ridere di se stessi e di stimolare il sorriso negli altri – nella Letteratura beritica non è casuale ma ha una sua funzione specifica. Gli scrivani d’Israele, in particolare quelli della seconda generazione in esilio a Babilonia e poi quelli del Codice Priester” [del Codice sacerdotale], dopo l’esilio, sono consapevoli del fatto che il concetto di Dio si evolve culturalmente e la loro intenzione – soprattutto da parte degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale]che sentono la responsabilità di comporre il canone in funzione costituzionale – è quella di costruire un’immagine della divinità che attenui le caratteristiche della figura terribile, vendicativa e gelosa che emergono in particolar modo nella fonte jahvista.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] non vogliono perdere nulla delle loro tradizioni – non vogliono tralasciare nessuna delle qualità che nel corso del tempo sono state attribuite alla figura divina che si presenta dicendo: io mi chiamo sarò colui che sarò – ma vorrebbero anche attenuare le caratteristiche di un Dio così implacabile che spesso emerge tanto dalla cultura dei pastori profeti quanto dallo stile del Proclama di Amos. Sempre, nel corso della storia, gli Ebrei sono stati accusati di aver un Dio tremendo, tetragono, minaccioso, vendicativo.

     Quel grande patrimonio letterario in lingua yiddish – fiorito in Europa orientale a partire dal XVII secolo – che convenzionalmente chiamiamo con il nome di Le storielle ebraiche ha spesso trattato questo tema sotto forma di disputa.

     Leggiamo, a questo proposito, un frammento esemplare:

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A cura di Ferruccio Fölkel,  Storielle ebraiche

Un lord inglese, al suo ricevimento annuale, ha invitato anche il Vescovo anglicano ed il Rabbino che, con malizioso intento, sono stati sistemati vicini a tavola.

Il Vescovo non resiste alla tentazione di punzecchiare il rabbino e gli dice: «Rabbino carissimo, suvvia! Lo riconosca! Il vostro Dio è così tremendo, tetragono, minaccioso, vendicativo. Il nostro invece è tutto bontà, perdono, indulgenza, sacrificio …»

«Sono totalmente d’accordo con lei, Vescovo», riconosce candidamente il Rabbino, «il vostro Dio ha preso per sé tutte le migliori qualità e non ne ha lasciata alcuna ai suoi devoti».

     Abbiamo letto il testo dell’annuncio della nascita di Isacco e abbiamo detto che il tema dell’annunciazione nel movimento della sapienza poetica beritica è poco conosciuto sebbene faccia da modello alle annunciazioni evangeliche. Il tema dell’annunciazione evangelica è diventato molto noto e la cristianità ne ha fatto giustamente un punto centrale, aprendo la strada al culto mariano che è pervaso di purezza e di luce e anche di grande serietà: Maria di Nazareth se sorride lo fa sommessamente ma il suo atteggiamento è quello di una persona molto preoccupata.

     Quindi la scenografia dell’annuncio della nascita di Isacco, allestita dagli scrivani d’Israele, si presenta in modo molto diverso da quella allestita dagli scrittori della Letteratura dei Vangeli. Gli scrivani del movimento della sapienza poetica beritica raccontano che l’annuncio della nascita di Isacco viene accolto da una serie di risate: perché succede questo, qual è il motivo, visto che Abramo – e lo dimostrerà successivamente – ha una cieca fiducia in questo Dio che a lui si mostra e non avrebbe avuto nessun motivo per mettersi a ridere dubbioso? Abramo, all’annuncio che centenario sarebbe diventato padre, ride ma scoppia a ridere ancora di più quando pensa che sua moglie Sara, novantenne e da sempre sterile, dovrà partorire: e si prostra anche per coprirsi il volto e per non farsi vedere. Anche Sara, credendo di potersi nascondere dietro la tenda, ride, ma il Signore la vede e le dice: «Cosa fai, ridi?», Sara nega e cerca di giustificarsi, ma il Signore insiste: «No, no, ti ho vista. Tu hai riso!». Poi, in presenza del lieto evento, è lecito supporre che anche Dio abbia riso delle risate diffidenti di Sara e di Abramo e, con questo racconto umoristico gli scrivani d’Israele vogliono dare un’immagine meno terribile alla figura della divinità.

     Naturalmente il senso dell’umorismo, che gli scrivani d’Israele elaborano in chiave teologica, non si ferma a queste battute di spirito ma si sviluppa con una straordinaria metafora, con una significativa allegoria. Gli scrivani d’Israele costruiscono un testo in cui il Signore chiede ad Abramo e a Sara di dare al neonato un nome particolare, e quando il Signore chiede di dare un nome significa che Lui – attraverso quella parola – sta rivelando una delle sue qualità: «Lo chiamerete Isacco!» e il nome Itzkhak deriva dal verbo ebraico tzakhak che significaridere, dunque il nome Isacco significa Colui che rise.

     Abramo – come sappiamo – ha già avuto un figlio dalla serva egiziana Agar con la complicità della moglie Sara, che si è comportata secondo il diritto mesopotamico, per cui se una sposa era sterile poteva dare a suo marito una concubina per moglie e riconoscere come suoi i figli nati da questa unione: questo è un caso che si ripeterà anche per Rachele e per Lia. Il figlio di Abramo e Agar si chiama Ismaele che significa: Dio ascolta.

     Il Signore afferma che da Ismaele nascerà un grande popolo [sarà poi il popolo dell’Islam: e la Letteratura del Corano – come abbiamo studiato a suo tempo – è profondamente radicata nella Letteratura beritica proprio a partire da qui]. Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] con la figura di Ismaele vogliono ribadire l’importanza simbolica del nuovo nome di Abram: il Signore cambia il nome di Abram in Abraham che significa Padre dei popolie bisognava che, nel racconto, questa idea si concretizzasse e che Abramo fosse il capostipite di molte altre genti oltre a gli Israeliti.

     Isacco, il figlio di Abramo e di Sara, darà vita al progetto identitario di Israele e questo progetto – un po’ paradossalmente – si annuncia con una serie di risate, con il ridere di sé, e il patriarca Abramo e la matriarca Sara diranno: «Le genti rideranno di noi perché abbiamo riso dell’annuncio miracoloso». Questo scoppio di riso è quindi parte costitutiva dell’avvenimento, il senso dell’umorismo non è casuale ma ha un suo significato teologico: l’umorismo è radicato nell’essenza di Dio e di un Dio che sa ridere di sé ci si può fidare.

     Naturalmente i commentatori della sapienza poetica beriticasul nome di Isacco hanno riflettuto molto. Uno di questi esegeti, un grande studioso della Toràh, che si chiama Rachi (1040-1105) si è occupato del nome di Isacco. Sappiamo che nella lingua ebraica si scrivono solo le consonanti – mentre le vocali vengono aggiunte durante la lettura – e sappiamo anche che a ogni consonante corrisponde una cifra: la equivalenza tra le lettere e le cifre si chiama ghematrìa. La ghematrìanon è una scienza esatta ma è una disciplina molto affascinante che fa pensare, che fa riflettere e che ha avuto moltissime cultrici e cultori. Il maestro Rachi, riprendendo il commentario del Midrash, spiega così le lettere Y, TS, H, Q che formano il nome di Isacco:

Y corrisponde al numero 10 e sono le dieci prove sostenute da Abramo ma anche i dieci anni trascorsi prima di avere un figlio da Sara;

TS corrisponde al numero 90 ed è l’età di Sara alla nascita di Isacco;

H corrisponde al numero 8 ed è l’ottavo giorno, il giorno della circoncisione;

Q corrisponde al numero 100 e sono gli anni di Abramo alla nascita di Isacco.

Quindi le consonanti che formano il nome di Isacco compongono un termine che significa colui che risee questa risata crea anche l’ossatura, l’essenza, del testo:

Y corrisponde alla frase: - Avrò un figlio dopo dieci anni di attesa?

TS corrisponde alla frase: - Ma lei ha novant’anni!

H corrisponde alla frase: - Un figlio che verrà circonciso l’ottavo giorno

Q corrisponde alla frase: - Ma ho già cento anni!

     Le lettere con cui si manifesta il senso dell’umorismo offrono una struttura al racconto. Per il maestro Rachi – come per gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] che hanno composto il Libro della Genesi – l’essenza di YiTS’HaQ ovvero il significato del riso e di tutto il ridere futuro, risiede nella parola, sta nel gioco di parole. Circa duemila anni prima di Freud, Rachi enuncia questa articolazione tra il riso e la parola: ricordate che Freud ha scritto un’opera sull’importanza del riso, del motto di spirito. Il riso è prima di tutto una esplosione di significati, un segno comunicativo molto esplicito. Il gioco di parole, il giocare con le parole, è un modo di reintrodurre la vita e il dinamismo all’interno della lingua e dell’essere che ha dimenticato come si vive e si gioisce.

     La nascita di Isacco è un gioco di parole, è un divertimento intellettuale che sfida la logica, che frantuma le consuetudini del pensiero e che, proprio per queste ragioni, rende possibile il racconto. L’umorismo della Letteratura beritica serve per allontanare l’arroganza delle certezze, serve – nel caso del racconto della nascita di Isacco e in molte altre circostanze – per introdurre una dimensione imprevista che stimoli a creare una nuova fonte di pensiero consapevole della propria precarietà: Abramo e Sara sanno ridere della propria precarietà e così in tutti i momenti di precarietà il senso dell’umorismo può essere utile per non cadere nell’abisso [pensate al film La vita è bella]. L’umorismo della sapienza poetica beriticaha una caratteristica anti-idolatrica: vuole smascherare la violenza del pregiudizio e mettere alla berlina la stupidità del mondo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Hai una storiella umoristica da raccontare?

Scrivi quattro righe in proposito…

     Il senso dell’umorismo, che parte dal canone giudaico-palestinese, investe tutto il patrimonio di studi e di interpretazioni della cultura beritica. La tradizione beritica ci fa sapere che esistono due tipi di Torah: la Torah-she-bikhtav e la Torah-she-bealpéh, cioè la Torah che è scritta e la Torah che è sulla bocca, cioè orale. Quest’ultima, la Torah che è sulla bocca, a sua volta però è scritta ed è raccolta nel Talmud. Il Talmud, paradossalmente, viene definito un libro non libro perché non è mai concluso, ed è il risultato di secoli di discussioni di centinaia di Maestri e quindi contiene tutti i pareri, quelli che hanno prevalso, quelli che non hanno prevalso e anche tutti quelli che sono emersi nel corso delle controversie e, in potenza, già contiene quelli che emergeranno. Il Talmud è molto probabilmente l’unico libro sacro che accetti la propria rimessa in discussione, anzi che la solleciti caldamente. Il Talmud è il risultato di uno straordinario sforzo di riflessione sulla parola scritta contenuta nella Letteratura beritica.

     Lo studio del Talmud deve essere polemico e ha bisogno di confronto, e per questo motivo non può essere uno studio solitario ma necessita di almeno due persone che, con assillo, si critichino per dinamizzare il pensiero e la ricerca, e per impedire che la sclerosi li irrigidisca: il Talmud è un esercizio di igiene mentale ed è un antidoto contro il pensiero unico.

     Il Talmud è una disciplina che sviluppa una grande sottigliezza dialettica e proprio per questo mette in guardia dal delirio dell’autocompiacimento e invita ad imparare a coltivare l’indispensabile modestia che chi studia, chi interpreta, chi ricerca, chi riflette deve possedere.

     Leggiamo un frammento da uno dei tantissimi Libri che costituiscono il patrimonio del Talmud nel quale confluiscono dottrina e morale, sentenze e letteratura sapienziale, leggi, tradizioni, arguzia e umorismo.

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Tosaphòth [Aggiunte al Talmud]

I maestri discutevano Se un uccellino viene trovato entro cinquanta cubiti della proprietà di un uomo, l’uccellino appartiene al titolare della proprietà. Se viene trovato oltre i cinquanta cubiti, l’uccellino appartiene a chi lo ha trovato. Rabbi Jirimiah pose una domanda: «E se viene trovato con una zampina di qua e l’altra di là dei cinquanta cubiti?» Per questa domanda rabbi Jirimiah, quel giorno, fu buttato fuori dalla casa di studio perché non si era ben capito se il suo fosse senso dell’umorismo o vero attaccamento per la Legge

     I Maestri del Bereshit rabbà – che è il trattato del Talmud sul Libro della Genesi – cominciano la loro riflessione partendo da una domanda: «Cosa faceva Dio prima di creare questo mondo?». La risposta che si danno è paradossale e provocatoria: «Dio creava mondi e li distruggeva», era infatti alla ricerca di un mondo che fosse buono in tutti i suoi aspetti. Non era facile creare un mondo che fosse buono in tutti i suoi aspetti e Dio stesso allude alle difficoltà della Creazione quando risponde a Giobbe che si lamenta per l’imperfezione del mondo creato.

     Sembra – sempre secondo i maestri del Bereshit rabbà – che il nostro mondo sia il risultato del ventottesimo tentativo e che, contemplandolo, il Signore, sospirando, abbia pronunciato le seguenti parole ebraiche: «Halevay sheyaamod!» che vogliono dire: «Speriamo che tenga!». Con queste parole – che alle orecchie di qualche benpensante possono suonare un po’ blasfeme – il Talmud traduce, con umorismo, la fatica di vivere e invita a non perdersi d’animo. Quest’idea che l’Essere supremo si sia esposto ad un rischio con la Creazione, tentandola più volte, è grandiosa come è grandiosa – affermano i Maestri del Bereshit rabbà – la decisione di creare l’essere umano con tutte le sue debolezze, ma libero. E la riflessione su questa impresa rischiosa che è la Creazione non può non scatenare il senso dell’umorismo in chi ha tentato l’impresa ancora più rischiosa di raccontare la Creazione.

     Le scrivane e gli scrivani della sapienza poetica beritica probabilmente in cuor loro desiderano, quando verrà il loro momento, di ridere con Dio di tutta questa straordinaria follia e si domandano: in quale luogo potrà avvenire questo incontro? Chi ha scritto il Bereshit rabbà [il commento del Talmud al Libro della Genesi] allude al fatto che: «Dio ha creato gli esseri umani perché amava udire raccontare storie».

     E perché Dio ama udire raccontare? Perché il racconto, il midrash, porta con sé l’insegnamento, e come può l’insegnamento divino diventare comprensibile se non attraverso il racconto umano?

     Leggiamo una storia dal Bereshit rabbà:

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Bereshit rabbà

Un pagano che voleva convertirsi all’ebraismo si era recato da un rabbino – un grande maestro – allo scopo di manifestargli la sua intenzione ma anche per confessargli l’unica perplessità che lo tratteneva dall’intraprendere l’arduo cammino della conversione: le scarse notizie sulla natura reale del paradiso nel pensiero ebraico.

Il rabbino constatò attraverso una serie di domande che le intenzioni del pagano erano oneste e sincere. Verificò anche che il pagano aveva intuito molti aspetti della Toràh in modo davvero singolare. Quindi si rese disponibile a chiarirgli quell’ultima perplessità. «Dunque dici che per sciogliere ogni tuo dubbio riguardo a ciò che siamo e vogliamo, hai bisogno di vedere il nostro paradiso. Bene, non è un problema. Vai a casa e prepara tutto ciò che è necessario per un lungo viaggio, e poi torna da me».

Il pagano fece ciò che il rabbino gli aveva chiesto, poi ritornò da lui e si misero in cammino. Più si allontanavano dalla loro ridente cittadina, più le terre e i luoghi che incontravano si facevano impervi e inospitali: zone aride, deserti gelidi, foreste pietrificate, montagne aspre senza traccia alcuna di vegetazione. Dopo tre settimane di cammino massacrante il pagano, sfinito, protestò con il rabbino: «Sono giorni e giorni che marciamo senza sosta. Rabbino, non ne posso più. Dov’è dunque il paradiso che hai promesso di mostrarmi?» Il rabbino sospirò: «Il raggiungimento del paradiso richiede pazienza e abnegazione. Dobbiamo proseguire il cammino». Camminarono ancora per una settimana, e raggiunsero un acquitrino paludoso. Era un luogo infernale mefitico, avvolto di umori malsani. Zanzare di dimensioni allarmanti tormentavano senza posa ogni essere vivente che si trovasse in quella landa spettrale, e un lezzo nauseabondo quasi insopportabile impregnava l’atmosfera. La malaria vi regnava sovrana. Su piccoli atolli di terra appena emergenti dall’acqua limacciosa di colore malato, erano appoggiate capanne traballanti trasudanti un’umidità venefica e all’interno di questi abituri, seduti su sgabelli precari stavano gli scrivani  dell’ebraismo, chini su tavolacci instabili dove erano appoggiati i rotoli della Torah. La visione era quanto di più desolante l’occhio umano potesse incontrare. Il pagano guardò incredulo il rabbino, il quale esclamò raggiante: «Eccoci!». Il pagano era esterrefatto. Lo stupore, misto all’indignazione gli aveva mozzato il fiato: «Noo, non è possibile!» Poi sbottò: «Tu, rabbino, devi essere uscito di senno! Tu appartieni a un popolo di dementi in libera uscita. Questo è il paradiso? Questo luogo ripugnante? E poi tutto questo niente  quello che non posso credere che anche qui in questa palude, che tu chiami Eden, loro i vostri maestri i santi siano ancora chini su quei rotoli tutto il tempo!» Il rabbino sbatté lentamente le palpebre con la sorniona lentezza di un gatto ricco di molti anni, poi, con un impercettibile sorriso, disse: «Sì! È così! Solo che adesso finalmente capiscono quello che leggono e un’ora nel mondo a venire è meglio di tutta la vita in questo mondo, ma è meglio un’ora di buone azioni in questo mondo di tutta l’eternità nel mondo a venire».

     Attenzione a non farsi delle idee alienanti del paradiso e attenzione a non contrattare la propria conversione pensando di poterne avere un tornaconto! Meglio un’ora di buone azioni in questo mondo – eccolo qui il paradiso – di tutta l’eternità nel mondo a venire.

     Il Talmud nel suo complesso indica di assumere uno stile di vita che sia permeato da due fattori: imparare a fare buone azioni e soprattutto combattere contro la pigrizia del proprio pensiero. Il Talmud propone un itinerario attraverso il quale la persona possa imparare ad essere solidale [la berit] e ad essere studiosa [la Torah]. Il Talmud insiste sul fatto che bisogna studiare e studiare disinteressatamente senza pensare che in fondo non ci voglia tutta questa grande preparazione per accedere ai segreti dello studio.

     A questo proposito leggiamo ancora un brano tratto da un testo del filosofo lituano naturalizzato francese Emmanuel Lévinas (1906-1995), studioso anche del Talmud.

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Emmanuel Lévinas, Quattro letture talmudiche (1968)

Un giovanotto ebreo, figlio di una di quelle famiglie secolarizzate, laiche, progressiste, moderne, dopo la laurea in logica e dialettica socratica, vuole darsi un’infarinatura di cose ebraiche. Sì sa fa così chic!  Si reca dunque da un grande rabbino e gli dice: «Rabbino, vorrei arrotondare la mia cultura con un po’ di ebraismo. Mi darebbe qualche lezioncina?»

«Capisco giovanotto», risponde il rabbino, «ma tu lo hai studiato il nostro Talmud?»

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     Tutte voi e tutti voi che non avete ancora ceduto alla pigrizia, e avete compiuto questo viaggio faticoso per dare dinamicità al vostro pensiero, siete invitate e invitati, la prossima settimana, a completare, con l’ultimo itinerario, questo Percorso di studio. Non cediamo alla pigrizia del pensiero! Contrariamente – come sostiene Karl Popper – è il manganello mediaticoa dominare il mondo con lo strumento della paura e, di fatto, è quello che sta avvenendo! La parola paura – come sapete – è il primo termine dell’età degli albori: di conseguenza pare che l’Umanità sia ancora ferma lì, e sia, quindi, molto lontana dall’Età assiale della Storia e dai grandi apparati intellettuali che stiamo studiando. Il filosofo Emmanuel Lévinas – studioso anche del Talmud – nel [famigerato anno] 1968 chiamava [e me lo ricordo come se fosse oggi] ad opporsi contro l’imbecillità.

     La Scuola degli Adulti – con tutte le persone che la animano – può fare qualcosa, oggi, contro l’imbecillità dilagante? Non lo so, e, a pensarci, a quarant’anni di distanza, mi scappa da ridere quasi come ad Abramo e come a Sara...

     So però che è compito istituzionale della Scuola operare contro l’imbecillità e so anche che la Scuola lo deve fare, possibilmente, con spirito di servizio [la berit] e con senso del dovere [la toràh] solo così la Scuola si legittima come agenzia che insegna ad investire in intelligenza.

     La Scuola è qui

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 23, 2008