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LA SEQUELA DEI “DEMERITI” E LA SEQUENZA DELL’EQUILIBRIO DEI “MERITI” …

Lezione N.: 
16

Prof. Giuseppe Nibbi       Lo sapienza poetica beritica  2008     13-14-15  febbraio  2008

LA SEQUELA DEI “DEMERITI” E LA SEQUENZA DELL’EQUILIBRIO DEI “MERITI” …

     Siamo ormai al corrente del fatto che nel 538 a.C., in virtù del famosoEditto di Ciro il Grande, termina l’esilio per gli eredi di quel gruppo di Ebrei che, cinquant’anni prima, erano stati deportati a Babilonia da Nabucodonosor. Sappiamo anche che, di conseguenza, comincia un processo di ricostituzione, nella terra di Canaan, di uno Stato giudaico.

     Il nuovo Stato giudaico – il quale (come, probabilmente, prevede l’Editto di Ciro) si presenta come uno di quei territori di frontiera che deve coprire il confine sud-occidentale dell’impero persiano (uno Stato cuscinetto) – nasce tra mille difficoltà. Nei ranghi della pubblica amministrazione di questo nuovo Stato – come sappiamo – ci sono anche gli scrivani della terza generazione degli ex esiliati a Babilonia: gli scrivani (cosiddetti, dalla seconda metà del 1700) del Codice Priester”, del Codice sacerdotale. Questi scrivani rappresentano l’unica categoria istituzionale capace di affrontare i gravi problemi di ordine sociale, politico, culturale, religioso che mettono a repentaglio la nascita e l’esistenza del nuovo Stato giudaico.

     Il primo grave problema che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] si trovano a dover affrontare è quello dello scontro tra le principali classi sociali che dovrebbero formare (con l’aspirazione ad essere un popolo unito) la struttura portante della nazione. Sappiamo che il ceto aristocratico-sacerdotale e il ceto produttivo sono le due classi sociali formate dagli eredi degli ex deportati che tornano a Gerusalemme da Babilonia. Queste due classi hanno una missione da compiere secondo l’Editto di Ciro: gli aristocratici devono assumere il ruolo di guide religiose e istituzionali del nuovo Stato, mentre il ceto produttivo deve assumere il ruolo di classe imprenditoriale in una Nazione priva di strutture economico-mercantili adeguate.

     Sappiamo poi che, all’interno dei confini del nuovo Stato, ci sono gli ebionim” [i diseredati]: gli eredi di quei poveri che cinquant’anni prima non sono stati deportati in Mesopotamia e sono rimasti a morir di fame su una terra, la terra di Canaan, desolata e non amministrata dai Babilonesi. In un primo momento gli ebionim” [i diseredati] si rivoltano contro la nuova classe dirigente che li vuole sudditi, senza neppure prenderli in considerazione come membri attivi della nascente Nazione, e la ribellione degli ebionim” [dei diseredati] si rivela come una vera e propria emergenza.

     Di fronte a questa emergenza – che avrebbe potuto portare ad una sanguinosa guerra civile e ad un intervento di tipo repressivo da parte dei Persiani che avrebbe bloccato il processo costitutivo del nuovo Stato – si dimostra di grande efficacia la reazione degli scrivani del Codice Priester”  [del Codice sacerdotale].

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale], di fronte a questa grave emergenza, fanno tesoro della tradizione culturale di cui sono eredi, utilizzano gli strumenti del sapere (la loro istruzione) e usano, in modo creativo e anche spregiudicato, tutti i dispositivi intellettuali che sono capaci di mettere in atto. Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] si assumono (memori del proclama di Amosredatto dagli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia di cui sono i figli) un compito difficile perché devono reagire di fronte ad una situazione di forte conflittualità con gli strumenti della politica.

     Sappiamo che, nel momento della costituzione del nuovo Stato giudaico, tanto la classe aristocratica (che ha in mano il governo delle istituzioni), tanto il ceto produttivo (che governa l’economia), quanto la massa degli ebionim” [dei diseredati] (che forniscono la manodopera e vogliono essere presi in considerazione non solo come sudditi ma come popolazione attiva) rivendicano un ruolo privilegiato: ciascuna di queste componenti sociali pretende di essere il resto d’Israele, la parte costitutiva, il nucleo della nazione. Se a una di queste classi fosse stato concesso, a scapito delle altre, il privilegio di attribuirsi il ruolo di radice, di ceppo, di sorgente, di germoglio o di virgultodella nuova Nazione (queste parole, che non suonano nuove alle nostre orecchie, sono i termini che – secondo il movimento della sapienza poetica beritica – ciascuna classe sociale avrebbe voluto attribuirsi) l’aspirazione all’unità sarebbe stata compromessa per sempre e la Nazione giudaica non avrebbe mai potuto aspirare all’autonomia e alla piena indipendenza.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] capiscono di dover prendere dei provvedimenti nei confronti della disunione in atto: capiscono di dover costruire degli strumenti (oggi diremmo) di concertazione.

     Gli ebionim” [i diseredati] si ribellano perché vorrebbero veder migliorare le loro condizioni di vita.

     Il ceto produttivo protesta perché vorrebbe che tutti i finanziamenti (gli incentivi economici) elargiti dai Persiani (con l’Editto di Ciro) servissero per agevolare il rilancio del mercato.

     La classe aristocratico-sacerdotale, da subito, vuole difendere i propri privilegi (governa in nome dell’impero persiano e si fa forte di questo fatto) e si comporta come se fosse la padrona dello Stato e come se fosse la guida indiscussa del popolo (un’entità astratta) che dovrebbe ubbidire sottomesso.

     Abbiamo già studiato come gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] abbiano le competenze necessarie per intervenire utilizzando il patrimonio della Scrittura che si era andato formando in esilio a Babilonia, riscrivendolo e ordinandolo in un nuovo canone in funzione della nuova situazione politica venutasi a creare. Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] ritengono che, per dare valore ad una serie di princìpi condivisibili da parte di tutti i membri del nuovo Stato (per dare una costituzione, diremmo oggi), sia necessario mettere in evidenza (fissare per iscritto) le parole-chiave rappresentative di ogni gruppo sociale, ritengono sia necessario mettere in evidenza (fissare per iscritto) le idee-cardine nelle quali ogni classe si riconosce: con questo intento programmatico (costruire la rete delle parole-cardine – dei princìpi – in cui tutti i membri del nuovo Stato possano trovare la loro identità) intervengono sul testo della Scrittura.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] conoscono bene il potere che la scrittura ha: la scritturapossiede (e tutti nella società ebraica ne sono consapevoli) la virtù, l’attitudine, la capacità, la facoltà, l’efficacia  di far esistere le cose, ricordiamo sempre, a questo proposito, che in ebraico il termine dabarsignifica contemporaneamente parolae cosa.

     Prima, gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – come abbiamo studiato la scorsa settimana –, operano in modo da dare una strigliata a tutte le componenti di quello che dovrebbe diventare il popolo d’Israele utilizzando la voce (il testo scritto) del profeta Geremia che consigliava ai deportati (per lettera, e abbiamo letto questa Lettera) di accettare di buon grado la punizione dell’esilio, di fare autocritica e – secondo lo schema del proclama di Amos – di assumersi ciascuno le proprie responsabilità.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – nella prima e nella terza parte del Libro di Geremia (come abbiamo studiato nell’itinerario della scorsa settimana) – mettono in evidenza la trafila delle responsabilità che riguarda: la separazione tra le tribù, la corruzione morale della corte e delle classi dirigenti, la pratica generalizzata dell’ingiustizia anche dei deboli sui loro simili. Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] distribuiscono per iscritto (come abbiamo studiato) le responsabilità in eguale misura tra le varie classi sociali. Questa operazione di distribuzione paritaria delle responsabilità dà forma al procedimento (già iniziato – come sappiamo – durante l’esilio a Babilonia dagli scrivani della seconda generazione) che porta alla codificazione del concetto di popolo che diventa l’oggetto unificante (l’aspirazione all’unità). Una volta costruita l’idea di popolo, gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale], possono mettere per iscritto l’affermazione che «Dio fa ricadere la punizione sul suo popolo» [che si ripete in modo martellante nella Bibbia].

     Sembra paradossale ma l’idea di popolo separato [eletto]” trova la sua codificazione soprattutto nel concetto di punizione: «siccome tu mi stai a cuore – ed è la voce di Dio che parla per mezzo degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – io ti punisco perché tu possa modificare i tuoi comportamenti, rispettare i patti, applicare la Legge, in modo da non perderti, da non auto-distruggerti».

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale], facendo ricadere la punizione di Dio sul popolo d’Israele, compiono – utilizzando la Scrittura – una grande operazione strategica dal punto di vista psicologico: fanno sì che, coloro i quali (tanto gli eredi degli esiliati quanto gli eredi di quelli che sono rimasti a morire di fame nella terra di Canaan) possano pensare di aver ereditato la punizione di Dio (perché il castigo ciascuno lo sente pesare singolarmente su di sé), come se avessero ottenuto (come se avessero ereditato) la patente per poter essere ammessi al programma che Dio stesso ha predisposto in modo che il popolo nel suo insiemepossa ricevere il perdono e possa ambire alla redenzione.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] codificano l’idea – per mezzo della Scrittura – che ciascun membro del nuovo Stato giudaico, indipendentemente dalla classe sociale di cui fa parte, sente di appartenere al popolo separato [eletto]” proprio nel momento in cui prende coscienza del fatto che Dio punisce . Questo è il senso dell’espressione Dio punisce il suo popolo che ricorre continuamente soprattutto nel testo della Letteratura dei profeti, come dire Dio riconosce questo popolo come suo e chi accetta la punizione [sotto forma di esilio o di miseria] entra di diritto a far parte del popolo d’Israele .

     Ma gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] sanno bene che non è possibile mettere in evidenza e calcare la mano solo sugli aspetti negativi (l’infedeltà, il peccato, la punizione) perché questo fatto determinerebbe l’emergenza nella società (all’interno delle varie classi sociali) di una situazione di continuo sconforto e di persistente frustrazione.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] compiono, quindi, un significativo investimento in intelligenza quando mettono in evidenza (oggi diremmo mettono in rete) le parole-chiave rappresentative di ogni gruppo sociale (l’aristocrazia, la borghesia, il proletariato) e le fissano nel corpus della Scrittura con l’obiettivo che ogni classe, ogni ceto, ci si riconosca. Questo fa sì che ciascun membro della comunità, vedendo riconosciuti i valori in cui s’identifica nel catalogo dei princìpi su cui si fonda lo Stato, possa sentire di appartenere al popolodi una Nazione.

     Quali sono queste parole-cardine che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] collocano strategicamente nel testo della Scrittura per indicare una via che possa portare ogni individuo – indipendentemente dalla propria classe sociale, dal proprio ceto – a sentirsi membro dello Stato e a sentirsi parte di un popolo in cammino che procede verso la realizzazione dell’unità (dell’autonomia, della piena indipendenza) nazionale? Queste parole-cardine noi le conosciamo bene, e – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – le abbiamo spesso già incontrate sul nostro Percorso e le abbiamo studiate, in diversi dei loro aspetti caratteristici, anche proprio a scopo propedeutico: in correlazione ai temi che dobbiamo ancora studiare.

     Le parole-cardine che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] collocano avvedutamente nel testo di una serie di Libri della Letteratura beritica, in modo che ogni classe sociale riconosca la Scrittura nel suo insieme come patrimonio di tutto il popolo sono: la parola tempio (che viene ad assumere sempre di più un efficace valore simbolico), la parola legge(nel senso di Legge uguale per tutti) e la parola servo(un termine che non abbiamo ancora incontrato da vicino), e queste tre parole, naturalmente, vengono accompagnate (dal marchio di fabbrica, potremmo dire) dalla parola berit, il patto di solidarietà.

     Nella parola tempiosi riconoscono, prima di tutto, i membri della classe aristocratico-sacerdotale, nella parola legge– per la precisione nel codice legislativo composto a Babilonia dagli scrivani in esilio della seconda generazione – si riconosce, principalmente, il ceto produttivo, e nella parola servo si possono riconoscere gli ebionim” [i diseredati] i quali, nonostante il loro stato di emarginazione, possono venire alla ribalta e assumere un ruolo nello Stato nazionale.

     Sul significato della parola servo – che in ebraico corrisponde al termine ‘ebed e  che ha la stessa radice della parola ebionim – dobbiamo aprire una piccola parentesi perché ci meraviglia il fatto che gli ebionim” [i diseredati] possano gradire di riconoscersi in questo termine che, per noi, suona in modo negativo. Il termine servo” [‘ebed] nel movimento della sapienza poetica beriticaviene attribuito a coloro che sono chiamati da Dio a collaborare più strettamente con lui. Il termine servo” [‘ebed] è un titolo dato a quelle persone a cui è affidata una missione particolare nei riguardi del popolo. Il termine ebraico ‘ebed, che noi traduciamo con la parola servosi riferisce senz’altro ad una persona subalterna rispetto ad un’entità superiore ma, nel movimento della sapienza poetica beritica, indica un collaboratore, una collaboratrice, piuttosto che un servitore, piuttosto che una domestica. Questo termine [‘ebed] viene attribuito spesso al personaggio di Mosè – che sta prendendo la sua forma definitiva con gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – in quanto mediatore della berit” [l’alleanza] e, a questo proposito, si può consultare il Libro dell’Esodo al capitolo 14 (andate a leggerlo). Il termine servo” [‘ebed] viene attribuito anche a Davide che risulta, nell’immaginario degli ebionim” [dei diseredati], la figura regale per eccellenza e, a questo proposito, si può consultare il Secondo Libro di Samuele al capitolo 7 (andate a leggerlo). Il termine servo” [‘ebed] viene attribuito ai Patriarchi (l’invenzione dei Patriarchi, fatta in esilio dagli scrivani della seconda generazione, viene perfezionata e completata dagli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale]): il servo per eccellenza è Abramo e, a questo proposito, si può consultare il Libro della Genesi al capitolo 26, ed è servo Isacco e, a questo proposito, si può consultare il Libro della Genesi al capitolo 24 (andate a leggere questi brani). Naturalmente, prima che a tutti gli altri, il termine servo” [‘ebed] è già stato applicato ai profeti a cui è stata affidata la missione di conservare la berit” [il patto] e, a questo proposito, si può consultare il Libro di Amos al capitolo 3 e il Libro di Geremia al capitolo 7 (andate a leggere anche questi brani).

     Per ora chiudiamo questa parentesi sul significato della parola servo” [‘ebed] dicendo che la riapriremo fra poco per fare luce su un punto che riguarda l’itinerario che stiamo percorrendo questa sera e poi la riapriremo ancora quando, prossimamente, rincontreremo il Libro di Isaia (il Deutero-Isaia).

     E, ora – in funzione della didattica della scrittura – è necessario riflettere, in senso autobiografico, sulle parole servo e serva, nel loro legame con il concetto della collaborazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Ci sono momenti in cui il “servire” risulta gradevole perché ci si rende conto della sua utilità: quando il vostro “servizio” è stato utile, necessario, gratificante ? … Scrivete quattro righe in proposito…

     Con l’ausilio di queste parole-chiave (tempio, legge, servo) gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] possono quindi elaborare, oltre alla sequela dei demeriti, anche quella che viene chiamata – dalle studiose e dagli studiosi di filologia biblica – la sequenza dell’equilibrio dei meriti.

     Ma prima di addentrarci nei particolari di questo argomento dobbiamo aprire una parentesi in funzione della didattica della lettura e della scrittura perché il tema, che il movimento della sapienza poetica beriticaci ha messo di fronte, riguardante la sequela dei demeriti ci porta a puntare l’attenzione sullo sviluppo della Letteratura in età moderna.

     I grandi temi esistenziali che il movimento della sapienza poetica beritica pone sono gli stessi temi che la maggior parte degli scrittori del 1600 e del 1700 affrontano con il genere letterario del romanzo e dell’opera teatrale. C’è da dire – come preambolo – che dalla metà del 1600, in Europa, nasce e si sviluppa un vasto interesse da parte degli intellettuali per i testi della Bibbia, in particolare per i grandi racconti allegorici (densi di metafore esistenziali) che la Letteratura beritica contiene. Il protestantesimo, nella Mitteleuropa e nell’Europa del nord, ha facilitato l’accesso ai testi biblici e, nell’Europa cattolica è stato proprio il divieto imposto, nel 1564, dal Concilio di Trento a stimolare ancora di più la curiosità sulla Letteratura biblica (ciò che è vietato incuriosisce maggiormente).

     Senza dubbio il patrimonio letterario prodotto dal movimento della sapienza poetica beritica ha fecondato la Storia del Pensiero Umano durante l’età moderna e una significativa corrente letteraria (e filosofica), che si sviluppa in Europa dalla seconda metà del XVII secolo e si prolunga nel XVIII, prende il nome di corrente dei moralisti seicenteschi e settecenteschi. Nelle opere di questi intellettuali, che precorrono e affiancano l’Illuminismo e le Rivoluzioni della seconda metà del 1700, appare assiduamente il tema beritico della sequela dei demeriti (un tema che andrà sempre di più consolidandosi nel genere letterario del romanzo e nelle opere teatrali): le cose vanno male – affermano spesso le scrittrici e gli scrittori dell’età moderna parafrasando gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – perché gli individui si comportano male, non rispettano i patti, non rispettano le regole date dalla Legge morale, approfittano del loro potere, non rispettano il loro ruolo che va sempre onorato con spirito di servizio.

     E, a questo proposito, questa sera, sul nostro itinerario incontriamo per primo un autore che risulta essere non molto conosciuto, si chiama Alain-René Lesage (1668-1747). L’incontro con questo scrittore provoca – come spesso succede nei nostri itinerari, in questo caso sulla scia del movimento della sapienza poetica beritica – una specie di carambola intellettuale la quale metterà in gioco diversi personaggi (reali e letterari) che non possiamo (proprio perché le radici dell’età moderna affondano nel terreno della sapienza poetica beritica) fare a meno di prendere in considerazione. Il primo personaggio letterario che – in relazione al tema beritico della sequela dei demeriti – incontriamo sul nostro itinerario è stato creato da Alain-René Lesage ed è forse più famoso del suo autore: si chiama Turcaret. E Turcaret è il nome di una commedia in cinque atti, scritta da Alain René Lesage e rappresentata per la prima volta nel 1709.

     Chi è Turcaret? Turcaret è un personaggio che, nell’ottica della sequela dei demeriti, rappresenta un modello. Turcaret è un ex cameriere, un ex usuraio arricchitosi facendo l’appaltatore delle imposte, il quale quando arriva all’apice della sua potenza finanziaria, si vergogna della propria moglie, sposata in povertà e, pagandole una piccola rendita, la tiene segregata in campagna, mentre lui a (Babilonia) Parigi si dà alla bella vita facendosi passare per scapolo. Convive con una sedicente baronessa di cui si è invaghito e da cui si lascia allegramente spennare. Questa (fasulla) nobile dama accetta e pretende i doni di Turcaret per farne omaggio a un certo cavaliere d’industria, suo amante. Ma l’altro significativo personaggio di questa commedia si chiama Frontino ed è il servo del cavaliere d’industria, dell’amante della sedicente nobile damadi cui si è invaghito Turcaret. Frontino è la più reale delle figure della commedia: aiuta la baronessa a derubare Turcaret, aiuta il cavaliere a derubare la baronessa e a sua volta arraffa quanto più può, per se stesso, al suo degno padrone! Turcaret, ammaliato dalla baronessa, è spinto perfino a rubare in modo così sfrontato e palese che viene accusato, arrestato e imprigionato. Frontino, quando Turcaret viene portato via dalle guardie, può ben dire: «Ecco finito il regno del signor Turcaret, adesso comincia il mio!».

     In questa commedia – significativo esempio della sequela dei demeriti – non c’è un solo personaggio onesto, e c’è (già a distanza di ottant’anni) un presentimento dello stato d’animo che porterà alla Rivoluzione e le parole che Alain René Lesage mette in bocca a Frontino suonano come un avvertimento. La commedia Turcaret si presenta come la prima opera teatrale tutta improntata a quel realismo (che s’incentra sull’esaltazione e sulla denuncia dei demeriti) che in seguito emergerà in tanta parte del teatro (non solo francese) europeo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quale di questi termini – difetto, colpa, peccato, vergogna, disonore, mancanza, scorrettezza, torto, infrazione – mettereste per prima accanto alla parola “demerito”?

Sceglietela (pensando alla vostra esperienza) e scrivetela…

     Il personaggio di Frontino, servo furbo, intelligente e arguto, cinico e interessato, ha ispirato – vedete che un personaggio tira l’altro – un’altra figura letteraria, questa volta molto nota perché tutte e tutti noi l’abbiamo sentita nominare, e più che nominare: l’abbiamo sentita cantare! Il personaggio di cui stiamo parlando si chiama Figaro e ci fa pensare, in primo luogo, al melodramma. Il personaggio di Figaro è stato creato da uno scrittore che si chiama Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732-1799). Pierre de Beaumarchais, creando il suo Figaro, ha ben presente (lo ha scritto nelle sue Memorie) la figura di Frontino in Turcaret di Lesage. Figaro è un discendente, ingentilito e perfezionato, dello scaltro Frontino e anche nelle opere di Pierre de Beaumarchais, in cui Figaro è protagonista, spicca il tema beritico dell’esaltazione e della denuncia dei demeriti soprattutto rivolta contro l’aristocrazia.

     La vita di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais può essere considerata un vero romanzo d’avventura: nasce a Parigi nel 1732 e a tredici anni abbandona gli studi per diventare, come il padre, un orologiaio. Si associa poi a un banchiere che fa bancarotta e per questo subisce un processo. Riesce a introdursi alla corte di Luigi XV, compie missioni segrete per Luigi XV e per Luigi XVI e nel 1776 organizza una spedizione di armi in aiuto ai coloni americani insorti contro l’Inghilterra. Si batte anche per il riconoscimento del diritto di autore e nel 1783 avvia a sue spese la pubblicazione delle opere complete di Voltaire. Durante la Rivoluzione – essendo stato a servizio dei monarchi – per precauzione si rifugia in Germania e rientra in Francia completamente rovinato ma intraprende nuove attività e riesce tuttavia a risollevarsi in breve tempo. Pierre de Beaumarchais muore a Parigi nel 1799.

     La fama di Beaumarchais è dovuta soprattutto alle sue opere teatrali che sono direttamente legate alla sua turbinosa esperienza. Dopo due drammi poco significativi intitolati Eugenia (1767) e I due amici (1770), nel 1775 mette in scena Il barbiere di Siviglia o la precauzione inutile. Il successo di questa commedia e poi de La folle giornata ovvero Il matrimonio di Figaro (1784) si spiega con la vivacità delle situazioni, con il linguaggio sciolto e spiritoso, con l’intensa caratterizzazione dei personaggi e, soprattutto, con la mordace satira sociale. Il personaggio di Figaro rivendica la propria dignità di uomo innamorato di fronte al cinico libertinismo del padrone, il conte di Almaviva, e rappresenta la mentalità risoluta e intraprendente della borghesia, ormai in conflitto aperto con l’aristocrazia inetta, viziosa, senza meriti e pretenziosa nonostante sia soprattutto: ricca di debiti e di demeriti. La trilogia iniziata con il Barbiere di Siviglia e continuata con il Matrimonio di Figaro si conclude con il dramma La madre colpevole (1792).

     Leggiamo, adesso, un frammento da La folle giornata ovvero Il matrimonio di Figaro che costituisce il seguito de Il barbiere di Siviglia. Come ne Il barbiere di Siviglia anche ne Il matrimonio di Figaro la trama è piuttosto complicata ma i personaggi [tanto maschili quanto femminili] e il contenuto è abbastanza noto: se non lo fosse cogliamo l’occasione per informarci in modo da conoscere, capire e applicarci [l’applicazione, in questo caso, riguarda, oltre al leggere e scrivere, anche l’ascolto di musica e l’eventuale partecipazione allo spettacolo teatrale, quando capita]. Sono passati tre anni e, nell’intreccio de Il matrimonio di Figaro: Rosina è diventata la contessa di Almaviva ma il conte, stanco della vita coniugale, corteggia Susanna, la cameriera della moglie, che sta per sposare Figaro. Da parte sua la contessa è turbata dalla devozione amorosa che le dimostra il giovanissimo paggio Cherubino, suo figlioccio. Sfruttando la gelosia che il conte dimostra per Cherubino, le due donne (Rosina, Susanna) e Figaro si beffano di lui. Poi Susanna finge di concedere al conte un appuntamento al quale si recherà invece Rosina con in dosso gli abiti della cameriera. A questo punto Figaro si crede ingannato e si apposta per sorprendere i due.  Incontra però proprio Susanna vestita degli abiti della contessa che lo mette al corrente dell’inganno. Il conte, sopraggiunto, crede di scoprire la moglie con Figaro e minaccia di vendicarsi, ma, alla fine, tutto viene spiegato e Figaro può sposare Susanna.

      Ora leggiamo un frammento della commedia per ascoltare il linguaggio e per percepire il ritmo scenico di Beaumarchais. Qui – per quanto riguarda la sequela dei demeriti – c’è il conte di Almaviva che pretenderebbe di poter usufruire, nonostante sia stato abolito, dello jus primae noctis (del diritto della prima notte) e lo rivendica (con la mediazione di Basilio) nei confronti di Susanna, l’attraente cameriera della moglie Rosina, che sta per sposare Figaro.

LEGERE MULTUM….

Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, La folle giornata ovvero Il matrimonio di Figaro (1784)

(Susanna, Cherubino)

Cherubino. (entrando di corsa)  Ah, Susanna! Sono due ore che sto spiando il momento di trovarti sola. Ahimé! tu ti sposi, e io sto per andarmene.

Susanna. Come! Il mio matrimonio allontana dal castello il primo paggio di monsignore?

Cherubino. (lamentosamente)  Mi manda via, Susanna.

Susanna. (rifacendogli il verso)  Qualche sciocchezza, Cherubino?

Cherubino. Mi ha trovato ieri sera in camera di tua cugina Fantina: io le stavo facendo ripassare la sua piccola parte da ingenua, per la festa di stasera: ma lui, appena m’ha visto, è montato su tutte le furie! Uscite, – m’ha detto, – piccolo …”. Non ho il coraggio di ripetere davanti a una donna la parolaccia che ha detto. Uscite, e domani non dormirete al castello.

Se la contessa, se la mia bella madrina, non riesce a calmarlo, è fatta, Susannuccia: io non avrò mai più la gioia di vederti.

Susanna. Di vedere me! È la volta mia, adesso! Dunque non è più per la padrona che sospirate segretamente?

Cherubino. Ah, Susannuccia! quanto è nobile e bella! ma quanta soggezione mi mette!

Susanna. Come dire che io non te ne metto per niente e che con me si può osare

Cherubino. Sai troppo bene, cattiva, che io non oso osare. Ma beata te! vederla ogni momento, parlarle, vestirla al mattino e svestirla alla sera, spillo per spillo   Ah, Susannuccia, Io darei Ma che hai in mano!

Susanna. (canzonandolo) Ohimè! la beata cuffia e il fortunato nastro che la notte racchiudono i capelli di quella bella madrina

Cherubino. (vivamente)  Il suo nastro da notte! dammelo, cuor mio.

Susanna. (tirandolo indietro) Eh, no! Cuor suo! Guarda quanta confidenza! Se non fosse un moccioso qualunque (Cherubino le strappa di mano il nastro). Oh, il nastro!

Cherubino. (girando intorno alla grande poltrona) Di’ che s’è smarrito, che s’è rovinato, che non c’è più. Di’ quello che vuoi.

Susanna. (girandogli appresso) Oh! fra tre o quattro anni, sarete il più gran discolo del mondo, ve lo dico io! Mi volete ridare il nastro? (Cerca di riprenderglielo).

Cherubino. (si cava di tasca una romanza) Lascia, oh! lasciamelo, Susannuccia; io ti darò questa mia romanza; così, mentre il ricordo della tua bella padrona rattristerà ogni mio istante, il tuo sarà l’unico raggio di gioia che potrà ancora rallegrare il mio cuore.

Susanna. (gli strappa di mano la romanza) Rallegrare il vostro cuore, piccolo scellerato! Credete di parlare con Fantina? Vi fate sorprendere in camera sua; e intanto sospirate per la contessa; poi, come se non bastasse, venite a fare certi discorsi anche a me!

Cherubino. (esaltato)  Ma è vero, parola d’onore! Io non so che cosa mi sta succedendo; da qualche tempo mi sento il petto agitato; ho le palpitazioni soltanto a vedere una donna; le parole amore e voluttà mi fanno trasalire, mi turbano. Insomma il bisogno di dire a qualcuno vi amo è diventato così urgente per me che lo dico da solo, correndo nel parco, lo dico alla contessa, a te, agli alberi, alle nuvole e al vento che se

le porta via insieme alle mie inutili parole. Ieri, per esempio, ho incontrato Marcellina

Susanna. (ridendo)  Ah! ah! ah! ah!

Cherubino. Perché no? è donna, è ragazza! Una ragazza! una donna! Oh, come sono dolci queste parole! come sono allettanti!

Susanna.  Sta diventando matto!

Cherubino.  Fantina è buona: almeno, lei, mi sta a sentire. Tu non lo sei, tu!

Susanna. È proprio un peccato. Via, statelo a sentire, il signore! (Fa per strappargli il nastro).

Cherubino. (gira di corsa intorno alla poltrona) Ah, che! Dovrà uccidermi chi me lo vorrà togliere, capisci? E se non sei contenta del prezzo, vi aggiungerò mille baci. (Le dà a sua volta la caccia).

Susanna. (gira di corsa intorno alla poltrona) Mille schiaffi, se vi accostate. Lo dirò alla padrona; e invece di supplicare per voi, io stessa dirò a monsignore: Ben fatto, monsignore; levatevi di torno quel malandrino; rimandatelo a casa, quel piccolo cattivo soggetto che si dà arie di amare la contessa e che, per contro, vuole sempre baciare me.

Cherubino. (vedendo entrare il conte, si lancia atterrito dietro la poltrona)  Sono perduto.

Susanna.  Eh! che spavento!

(Susanna, il Conte, Cherubino nascosto).

Susanna. (scorgendo il conte)  Ah! (Si avvicina alla poltrona per coprire Cherubino).

Il Conte. (avanzando) Sei turbata, Susannuccia! Parlavi da sola, e il tuo cuoricino sembra così agitato Si capisce: in un giorno come questo.

Susanna. (turbata)  Che volete da me, monsignore? Se vi trovassero qui

Il Conte. Sarei davvero desolato, se qualcuno mi sorprendesse qui; ma tu sai tutto l’interessamento che ho per te. Basilio non deve averti lasciato ignorare il mio amore. Ho solo pochi istanti per esporti ciò che ho in mente. Ascolta. (Si siede nella poltrona).

Susanna. (vivacemente)  Non ascolto niente.

Il Conte. (le prende la mano) Due: parole soltanto. Tu sai che il re mi ha nominato ambasciatore a Londra. Io conduco con me Figaro; gli do un posto eccellente; e siccome è dovere della moglie seguire il marito

Susanna.  Ah, se avessi il coraggio di parlare!

Il Conte. (avvicinandola a sé)  Parla, parla, mia cara; fa’ pure uso di un diritto che da oggi avrai su di me per sempre.

Susanna. (spaventata)  Non lo voglio, monsignore, non lo voglio: lasciatemi, Vi prego.

Il Conte.  Ma di’, prima.

Susanna. (con ira)  Non so più quel che dicevo.

Il Conte.  Si parlava dei doveri delle mogli.

Susanna. Ah, ecco! Quando monsignore portò via la sua dalla casa del dottore e per amore la sposò, quando abolì per lei quell’orribile diritto del signore

Il Conte. (allegramente) … Che tante pene causava alle ragazze! Ah, Susetta! Che magnifico diritto! Se tu, sull’imbrunire, verrai a chiacchierarne un po’ in giardino, io ti darei un tal premio per questo piccolo favore

Basilio. (di fuori)  Non è nelle sue stanze, monsignore.

Il Conte. (alzandosi)  Che è questa voce?

Susanna.  Poveretta me!

Il Conte.  Esci tu, così nessuno entrerà qui.

Susanna. (turbata)  E vi lascio qui?

Basilio. (gridando, di fuori) Monsignore era dalla signora contessa, ma è uscito; vado a vedere.

Il Conte.  Che non ci sia un posto per nascondersi! Ah, dietro la poltrona abbastanza male. Ma tu mandalo via in fretta. Susanna gli sbarra il passo; il conte la spinge dolcemente; lei retrocede e si mette così fra lui e il paggio; ma, mentre il conte si china e prende il posto di quello, Cherubino gira dall’altra parte, e, spaventato, si getta in ginocchio sulla poltrona e vi si rannicchia. Susanna prende il vestito che aveva portato con sé, copre il paggio, e si mette davanti alla poltrona.

(Il Conte e Cherubino nascosti, Susanna, Basilio).

Basilio. Avete visto per caso monsignore, signorina?

Susanna. (brusca)  Eh! Perché dovrei averlo visto? Uscite.

Basilio. (avvicinandosi)  Se foste più ragionevole, non ci sarebbe nulla di strano, nella mia domanda. È Figaro che lo cerca.

Susanna.  Allora cerca l’uomo che più gli vuol male, dopo di voi?

Il Conte. (a parte)  Vediamo un po’ in che modo mi serve, costui.

Basilio. Perché: desiderare il bene d’una donna, significa voler male al marito?

Susanna. No, certo, secondo i vostri orribili principi, agente di corruzione.

Basilio. Ma, infine, vi si chiede soltanto ciò che state per prodigare a un altro. Grazie alla dolce cerimonia nuziale, quel che ieri v’era proibito, vi sarà prescritto domani.

Susanna. Infame!

Basilio.Visto che fra tutte le cose serie il matrimonio è la più buffa, io avevo pensato

Susanna. (irritata)  Delle mostruosità! Chi vi dà il permesso di entrare qui?

Basilio. Via, via, cattiva! Calmatevi, in nome di Dio! Sarà come vorrete Non crediate però ch’io ritenga Figaro il vero ostacolo che si oppone a monsignore; e senza il piccolo paggio

Susanna. (timidamente)  Don Cherubino?

Basilio. (rifacendole il verso) Cherubino d’amore, che vi gira attorno continuamente e che anche stamane ronzava da queste parti per entrare qui dentro, quando io vi ho lasciata. Negatelo, questo.

Susanna.  Che impostore! Andatevene, malvagio che siete!

Basilio. Malvagio, perché vedo le cose come sono. Non è forse per voi quella romanza di cui fa tanto mistero?

Susanna. (adirata)  Ah, sì, proprio per me!

Basilio. A meno che non l’abbia scritta per la contessa! Infatti dicono che, quando serve a tavola, la guardi con certi occhi! Ma stia attento a non scherzarci tanto: è un tasto delicato, con monsignore.

Susanna. (irritata) E voi siete proprio uno scellerato a diffondere certe voci per rovinare un povero fanciullo caduto in disgrazia del padrone.

Basilio.  Me le sono inventate io? Io dico così perché ne parlano tutti.

Il Conte.  Correte, Basilio, e fatelo cacciare via.

Basilio.  Oh, quanto mi dispiace di essere entrato!

Susanna. (turbata)  Dio mio, Dio mio!

Il Conte. (a Basilio)  Si sente male. Facciamola sedere nella poltrona.

Susanna. (respingendolo vivacemente)  Non voglio sedermi. Entrare qui con tanta libertà è una cosa indegna!

Il Conte.  Siamo in due, adesso, mia cara. Non c’è più alcun pericolo!

Basilio.  Non so darmi pace d’aver scherzato a proposito del paggio mentre voi eravate ad ascoltare. Lo facevo soltanto per sondare i suoi sentimenti; giacché in fondo

Il Conte.  Dategli cinquanta doppie e un cavallo, e rimandatelo a casa.

Basilio. Per uno scherzo da nulla, monsignore?

Il Conte.  Un piccolo libertino, che anche ieri ho sorpreso con la figlia del giardiniere.

Basilio. Con Fantina?

Il Conte. E nella sua camera.

Susanna. (ironica) Dove senza dubbio monsignore aveva anche lui qualche cosa da fare!

Il Conte. (allegramente)  Sono contento che tu lo noti.

Basilio.  È l’osservazione di un buon auspicio.

Il Conte. (allegramente) Ma no: ero andato a cercare tuo zio Antonio, quell’ubriacone del mio giardiniere, per dargli alcuni ordini. Busso alla porta, e passa molto tempo prima che vengano ad aprire: tua cugina ha l’aria impacciata, io m’insospettisco, le parlo e, mentre chiacchiero, osservo la stanza. C’era, dietro l’uscio una specie di tenda, di attaccapanni, di non so cosa, che copriva dei vestiti: facendo mostra di nulla, vado piano piano a sollevare la tenda (per imitare il gesto, solleva il vestito dalla poltrona) e che vedo? (Scorge il paggio) Oh!

Basilio.   Ah! ah!

Il Conte. Questa vale l’altra.

Basilio. È anche meglio.

Il Conte. (a Susanna) A meraviglia, signorina! Appena fidanzata, voi fate di questi scherzi? Dunque era per ricevere il mio paggio che volevate restar sola?

E voi (rivolto a Cherubino), signore, continuate come se niente fosse. Soltanto questo vi mancava di fare: senza alcun rispetto per la vostra madrina, metter gli occhi sulla sua prima cameriera, sulla donna del vostro amico! Ma io non sopporterò che Figaro, uomo che stimo ed amo, sia vittima d’un tradimento come questo. Stava con voi, Basilio?

Susanna. (irritata)  Ma che tradimento e vittima! Stava già qui, quando voi siete entrato.

Il Conte. (infuriato) Che tu possa mentire, dicendo così! Il più feroce nemico non arriverebbe ad augurargli una disgrazia come questa.

Susanna.  Mi pregava di intercedere presso la contessa perché vi domandasse grazia per lui. Il vostro arrivo lo ha tanto impaurito che s’è nascosto su questa poltrona.

Il Conte. (incollerito)  Bella trovata! Se mi ci sono seduto io, quando sono entrato!

Cherubino.  Ahimè, monsignore, allora ero lì dietro che tremavo.

Il Conte.  Altro stratagemma! Se mi ci sono messo io un momento fa!

Cherubino.  Scusate, ma è stato allora che io mi ci sono rannicchiato dentro.

Il Conte. (sempre più irritato) Ma è una biscia, questo serpentello! E stava ad ascoltare!

Cherubino.  Anzi, monsignore, ho fatto il possibile per non sentir niente.

Il Conte.  Ah, perfido!  (A Susanna) E tu, Susanna, non sposerai Figaro.

Basilio.  Calmatevi, viene gente.

Il Conte. (tirando giù dalla poltrona Cherubino e mettendolo in piedi) Sarebbe capace di restarsene lì, davanti all’universo mondo!

     Prossimamente incontreremo ancora Pierre de Beaumarchais e il personaggio di Figaro, così come saremmo obbligati ad incontrare ancora Alain-René Lesage che questa sera abbiamo appena citato presentando la sua commedia intitolata Turcaret in cui domina il personaggio dell’astuto servo Frontino, ma Lesage ha ancora qualcosa da offrirci.

     Ora torniamo sul tema specifico del nostro itinerario. Utilizzando le parole-chiave tempio, legge e servo gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] possono quindi elaborare, oltre alla sequela dei demeriti, anche quella che viene chiamata – dalle studiose e dagli studiosi di filologia biblica – la sequenza dell’equilibrio dei meriti. In che cosa consiste la trama e come si dipana il filo di questa sequenza dei meriti e perché compare, in questo contesto, la parola equilibrio? Per sbrogliare questa matassa partiamo proprio dalla parola equilibrio, l’uso della quale non presenta alcuna difficoltà di comprensione perché abbiamo già messo in evidenza la volontà manifestata dagli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] di distribuire equamente (per quanto sia possibile, con equilibrio) tanto i demeriti quanto i meriti in modo che ogni classe sociale, ogni ceto, possa trovare una gratificazione e possa riconoscere nella Scrittura la fonte dell’unità della Nazione.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] cominciano a costruire la sequenza dell’equilibrio dei meriti dal testo del Secondo Libro dei Re.  Per prima cosa dobbiamo domandarci: qual è la caratteristica di questa sequenza e dove ci porta la riflessione su questa caratteristica? La caratteristica della sequenza dell’equilibrio dei meriti è quella di svilupparsi in modo da poter stabilire una continuità (un ponte) tra più Libri di sezioni diverse. Questo significa che non si tratta di una sequenza formata da anelli strettamente collegati l’uno all’altro all’interno dello stesso Libro ma bensì da elementi che s’incuneano nella struttura dei testi di Libri diversi ricalcandone lo stile e i contenuti, e questo perché l’obiettivo programmatico degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] ha un dichiarato indirizzo canonico: che cosa significa? Significa che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] vogliono anche, con la costruzione della sequenza dell’equilibrio dei meriti, tracciare una linea che possa unire, in modo ordinato, le varie sezioni dei Libri della Letteratura beritica i cui testi o si vanno formando o sono sottoposti ad una significativa revisione. Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] vogliono inserire elementi di saldatura tra il settore del Pentateuco, dei Libri della Legge (della toràh) e i settori dei Libri dei profeti anteriori e posteriori (i nebijim) in modo che si possa affermare con sicurezza che c’è una forte congruenza tra la Legge (la toràh) e i profeti (i nebijim). La necessità di un canone ben ordinato nasce anche dal fatto – e questo lo si può facilmente constatare quando, da lettrici e da lettori, ci si avvicina ai testi biblici – che, all’interno di ogni Libro, c’è disordine (un disordine che nasce, come sappiamo, dall’assemblaggio di varie stratificazioni di scrittura), ci sono molte sovrapposizioni, ci sono continue ripetizioni, ci sono manifeste contraddizioni, ci sono grandi incongruenze ed evidenti paradossi per cui gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] ritengono necessario (pur di conservare tutto, per non perdere nulla) costruire un contenitore che dia la giusta misura (il canone) all’apparato beritico nel suo insieme. La sequenza dell’equilibrio dei meriti – ci suggeriscono le studiose e gli studiosi di filologia biblica – è quindi uno di quegli strumenti che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] costruiscono in funzione della compilazione del canone: un’operazione intellettuale che – come possiamo capire – non consiste solo nel fare l’elenco dei Libri ma consiste, soprattutto, nel cercare di dare – intervenendo sui testi – la maggior congruenza possibile all’apparato della Scrittura nel suo complesso. 

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – come già sappiamo – cominciano a costruire la sequenza dell’equilibrio dei meriti dal testo del Secondo Libro dei Re e, per la precisione, dal capitolo 22: un brano che abbiamo già letto tre settimane or sono (di cui probabilmente ci ricordiamo) e che fa da introduzione alla sequenza. Nel testo del capitolo 22 del Secondo Libro dei Re viene messa in risalto la figura del re Giosia (ve lo ricordate?) che – secondo la tradizione – è considerato il personaggio più unificante ed è la figura di monarca più stimata del periodo precedente all’esilio babilonese (vuole dare alla Nazione una Legge che sia uguale per tutti, vuole avviare una riforma religiosa e morale e conclude la sua esistenza morendo in battaglia per difendere la propria terra). Dobbiamo subito dire – per fare tesoro di ciò che abbiamo studiato poc’anzi – che il re Giosia (e questo è un dato fondamentale) viene presentato, nel capitolo 22 del Secondo Libro dei Re, con queste parole: «Giosia era il servo [‘ebed] del Signore (fece la volontà del Signore) e seguì l’esempio del suo antenato Davide, senza mai prendere una strada diversa».

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale], nel costruire il testo dei capitoli 22 e 23 del Secondo Libro dei Re, non vogliono prendere in considerazione gli aspetti politici del regno di Giuda governato da Giosia (non è l’ambigua politica del passato che a loro interessa), ma insistono invece sugli aspetti cultuali (che finiscono per essere fuori dal tempo) per poter mettere in evidenza (tra le righe) i temi riguardanti il quadro politico attuale: la situazione delicata venutasi a creare dopo esilio, dopo il 539 a.C., con la possibilità di costruire un nuovo Stato giudaico.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] scrivono (nei versetti 8-9-10 del capitolo 22 del Secondo Libro dei Re) che nel diciottesimo anno del regno di Giosia (potrebbe essere il 622 a.C.) il sommo sacerdote Chelkia consegna al segretario del re Safan, che a sua volta lo consegni a Giosia, un manoscritto ritrovato nel tempio di Gerusalemme, e contenente la Legge. Alla lettura del testo Giosia viene colto dalla disperazione, nel constatare come la Legge sia rimasta per lungo tempo inapplicata e questo fatto spiega perché il sostegno divino sia venuto meno in tante occasioni, e rende urgente una fedele e attenta applicazione della Legge per evitare altre sciagure altrimenti inevitabili.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] narrano il passato per far riflettere tutti i membri del nuovo Stato giudaico sulla situazione presente (se tutte le classi sociali non si riconoscono nella Legge e non la rispettano si perde l’occasione di costruire uno Stato unitario che possa aspirare alla sua autonomia e alla sua piena indipendenza) e, quindi, rivalutano e utilizzano l’espediente letterario, molto affascinante, del ritrovamento di questo antico manoscritto ma, nel capitolo 22 del Secondo Libro dei Re, non dicono né quale sia né quanto ampio sia il testo ritrovato nel tempio: lo definiscono solo come «il libro della Legge [sēfer hattôrāh.

     Noi capiamo facilmente, a questo punto, che l’intenzione degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] è, prima di tutto, quella di mettere in collegamento tra loro le parole-chiave – il tempio, la legge e il servo – le quali, a loro volta (ricordiamoci che le parole” [dabar] sono cose” [dabar] per la cultura beritica), mettono in relazione le componenti sociali rappresentate da queste parole: la classe aristocratico-sacerdotale (che si riconosce nel tempio), il ceto produttivo (che si riconosce nel codice legislativo, favorevole al commercio, composto a Babilonia dagli scrivani in esilio della seconda generazione) e gli ebionim” [i diseredati] (che portano nel nome che li determina, ebionim, la radice della parola ‘ebed che li qualifica come servi-‘ebedim nel senso di collaboratori del Signore, alla stessa stregua del re Giosia).

     Con questa significativa operazione intellettuale – con la sequenza dell’equilibrio dei meriti – gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] mettono in relazione le principali componenti sociali che devono riconoscersi vicendevolmente, che devono legittimarsi come popoloche pensa, opera e vive nella prospettiva dell’unità della Nazione. L’utilizzo del termine meritoda parte degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] non ratifica soltanto l’equa distribuzione di una gratifica, concessa a tutte componenti della Nazione per facilitarne la nascita, ma contiene qualcosa di più che noi non riusciamo a cogliere se non prendiamo in considerazione – come ci suggeriscono le studiose e gli studiosi di filologia biblica – il termine ebraico, huqqîm (consideriamo il plurale perché è più efficace), che traduce la parola meriti: e allora – direte voi – che cosa c’è da capire? Da capire c’è che la parola ebraica huqqîm oltre a significare i meritisignifica i doveri e, quindi, il senso che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] vogliono dare alla loro operazione è di natura politica e si traduce in un ammonimento che vale per il presente: chi fa il proprio dovere [huqqîm] acquisisce automaticamente il diritto di cittadinanza, il merito [huqqîm] di partecipare alla costruzione dello Stato.

     E ora è necessario riflettere sulla parola merito che ci ha accompagnato, ci accompagna e ci accompagnerà nel corso della nostra vita.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quale di queste parole: qualità, pregio, dote, virtù, benemerenza, valore, premio… mettereste per prima (rifacendovi alla vostra esperienza, alla vostra autobiografia) accanto alla parola “merito”?…

C’è sicuramente un episodio in cui “sono stati riconosciuti i vostri meriti”: scrivete quattro righe in proposito…

     I diritti e i doveri [huqqîm] – secondo il pensiero degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – trovano la loro ragione di essere nella Legge. E il significativo racconto – che possiamo leggere nel capitolo 22 del Secondo Libro dei Re – del ritrovamento nel Tempio del Libro della Legge [sēfer hattôrāh ] che viene consegnato a Giosia, il servo” [‘ebed] del Signore, mette in evidenza quali siano le intenzioni degli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale]. L’elemento metaforico più forte contenuto in questa narrazione è che la Legge, come strumento di governo del nuovo Stato giudaico, non può stare nascosta (non può essere seppellita) nel Tempio; se mai è proprio il Tempio che dovrà funzionare a norma di Legge (e l’aristocrazia-sacerdotale deve cambiare mentalità) e tutte le componenti della Nazione dovranno essere a servizio(soprattutto il ceto produttivo) della Legge uguale per tutti (queste idee entrano nel Pensiero dell’età moderna).

     Il compito più gravoso che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] si sono assunti, all’interno del movimento della sapienza poetica beritica, è senza dubbio quello di scrivere la Legge e la costruzione della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]” è funzionale – oltre che alla composizione del canone – soprattutto all’iniziativa legislativa, all’azione politico-istituzionale (ma anche la composizione del canone rientra in questo progetto), difatti con la sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]” gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] si propongono di costruire un percorso che porti alla composizione del testo del Libro del Deuteronomio (all’ultima versione, che è quella che noi possediamo).

     È chiaro che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – nel momento in cui compongono i capitoli 22 e 23 del Secondo Libro dei Re, cioè l’introduzione della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]” – hanno in mano un corposo codice, che le studiose e gli studiosi di filologia biblica chiamano codice deuteronomistico, e che costituisce il voluminoso strato di base della Legge (della toràh). Il testo di questo codice è antico e la questione delle sue origini e del suo sviluppo – ci informano le studiose e gli studiosi di filologia biblica – è complessa e dibattuta, ed è difficile precisare quale sia il suo nucleo originario e se risalga ai tempi di Salomone, e quali siano stati gli interventi e le sistemazioni posteriori, quelle fatte prima all’epoca della divisione dei due Regni, e poi quelle operate durante l’età dell’esilio a contatto con la cultura babilonese che ha influenzato molto il testo di questo codice. Di sicuro sappiamo che il codice deuteronomistico, dopo l’esilio, viene saggiamente utilizzato dagli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] e costituisce la base del Libro del Deuteronomio.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] hanno predisposto – come sappiamo (facendo tesoro della tradizione culturale di cui sono eredi) – un piano intellettuale ben strutturato perché intendono, nel costruire la sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]”, dare un ruolo ai membri di ciascuno dei principali strati sociali dello Stato giudaico che si va costituendo e, di conseguenza, vogliono creare le condizioni perché le varie classi (l’aristocrazia, la borghesia e il proletariato) s’identifichino con la Scrittura.

     Che cosa significa identificarsi con la Scrittura? Identificarsi con la Scrittura significa riconoscere l’asse portante in essa contenuto, e questo asse portante corrisponde all’idea che: la Legge sia (debba essere) uguale per tutti perché è proprio il concetto della Legge uguale per tuttiche riduce il divario tra le classi sociali e favorisce la loro integrazione, come popolo, nello Stato unitario. Quindi la costruzione della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]” è un itinerario che deve portare al riconoscimento, da parte di tutti coloro che vivono dentro i confini del nuovo Stato giudaico, del testo della Legge, in particolare del testo del Libro del Deuteronomio che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] stanno riscrivendo sulla base del codice deuteronomistico che raccoglie il patrimonio legislativo dei Regni antecedenti all’esilio e quello acquisito a Babilonia.

     Tuttavia questa categoria di scrivani – che ha imparato, dalla tradizione che ha ereditato, l’arte del compromesso, del patteggiamento (della mediazione beritica), non intende imporre, almeno apparentemente, un testo legislativo che non sia condiviso. Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] sanno – se vogliono che tutti i membri della Nazione si riconoscano nel testo della Legge – di dover concatenare in una sequenza le parole-chiave e le idee-cardine rappresentative di tutti i gruppi sociali che compongono lo Stato, e sanno che l’eventuale fallimento di questa operazione intellettuale porterebbe alla dissoluzione dello Stato stesso.

     Lo stratagemma letterario del ritrovamento del Libro della Legge, che conosciamo [che è il primo tassello della sequenza dell’equilibrio dei meriti, dei doveri”], ha il potere [è la potenza della Scrittura] di saldare la tradizione legislativa del Regno di Giuda [prima della sconfitta e dell’esilio] con il testo di una nuova Legge che faccia da base per la nuova Nazione giudaica: questa mossa [il racconto del ritrovamento del Libro della Legge nel Tempio al tempo del re Giosia, servo del Signore] ha la facoltà [mediante la saggia e sapiente concatenazione della parola leggecon la parola tempioe la parolaservo che unisce le tre principali classi sociali] di portare in secondo piano il fatto che il codice deuteronomistico [che è tornato a Gerusalemme da Babilonia nel 539 a.C., insieme agli eredi degli ex deportati] è stato completamente riscritto dagli scrivani in esilio della seconda generazione e quindi non era più il testo (di circa ottant’anni prima) del tempo del re Giosia. Se gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] non avessero costruito la sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]” sarebbe stato molto difficile comporre il Libro del Deuteronomio e far sì che tutti lo accettassero come testo Legislativo e, quindi, fondativo della nuova Nazione.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] hanno dovuto tener conto del fatto che gli ebionim” [i diseredati] (non essendo stati in esilio, ma abbandonati nella terra di Canaan in condizioni di indigenza) non desideravano che la Legge provenisse da Babilonia ma desideravano che fosse quella stessa Legge in vigore durante il regno di Giosia. La classe sociale degli ebionim” [i diseredati] o ‘ebedim” [la manovalanza, gli operai] era quella che maggiormente si identificava con questo personaggio perché era considerato il servodel Signore il quale aveva difeso (fino alla morte) la terra di Canaan che loro stessi, servidel Signore, avevano presidiato, con grande sacrificio, per tutto il tempo dell’esilio e quindi la parola servo” [‘ebed] volevano che fosse scritta [che fosse benedetta”], volevano sentirla leggere nella Scrittura.

     Poi gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] hanno dovuto tener conto del fatto che il ceto produttivo [i commercianti, gli artigiani, gli imprenditori], che era reduce dall’esilio a Babilonia, pretendeva invece che la Legge mantenesse il taglio più evoluto di stampo mesopotamico (che favoriva gli scambi) e desiderava che la Legge conservasse il testo disegnato dagli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia che avevano già prodotto la prima versione del Deuteronomio che conteneva [benedizioni] favori [sgravi fiscali, meno divieti] funzionali a chi produceva opere e beni di consumo.

     Inoltre gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] hanno dovuto tener conto che la classe aristocratica [dagli inservienti del tempio, ai sacerdoti, ai funzionari di governo] richiedeva che la Legge fosse l’espressione delle esigenze cultuali del Tempio e desiderava che la Legge contenesse [delle benedizioni particolari] delle varianti (dei privilegi) soprattutto per il ceto sacerdotale.

     È evidente che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] si trovano di fronte ad una situazione assai complicata e la affrontano con grande determinazione identificandosi, secondo l’esempio dato dagli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia (secondo lo stile del proclama di Amos) con i profeti.

     Se leggiamo (abbiamo già letto questo testo tre settimane fa da un’altra angolazione) il capitolo 22 del Secondo Libro dei Re (e sappiamo che il capitolo 22 del Secondo Libro dei Re rappresenta, con il capitolo 23, il primo anello, l’introduzione della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]”) ci rendiamo conto – dopo la lunga riflessione che abbiamo fatto – di come gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] siano stati abili nel far partecipare (con la messa in scena delle tre principali parole-cardine) tutte le componenti della società al ritrovamento nel Tempio del Libro della Legge, di conseguenza, tutti coloro i quali hanno un ruolo nella società sono coinvolti nella sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]”: dagli operai, agli artigiani, agli imprenditori, ai custodi del tempio, ai funzionari di corte, al sommo sacerdote, al primo ministro, fino al re, che è il servodel Signore che sta più in alto di tutti (il servo dei servi).   Quindi, il Libro della Legge (che era sepolto nel Tempio e che è stato ritrovato) appartiene a tutti perché i rappresentanti di tutte le componenti sociali hanno avuto il meritodi partecipare – facendo il proprio dovere – al rinvenimento del codice deuteronomistico.

     E, a questo punto, mettono le basi per il raggiungimento dell’obiettivo che si sono prefissati: a questo punto non ha più nessuna importanza se il contenuto del codice deuteronomistico – che loro hanno in mano e al quale hanno dato un’origine mitica – sia fondamentalmente impregnato di cultura giuridica babilonese, l’importante è che la sua formasia riconosciuta da tutti come giosiana, data in origine dal re Giosia, il servo del Signore, la cui figura rimanda all’unità della Nazione.

     E allora leggiamo il primo tassello del testo che rappresenta il primo anello della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]”:

LEGERE MULTUM….

Secondo Libro dei Re   22, 1-10

Giosia, re di Giuda (vedi 2 Cronache 34,1-2)

Giosia divenne re all’età di otto anni e regnò per trentun anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Iedida, era figlia di Adaia e veniva da Boscat. Giosia era servo del Signore (fece la volontà del Signore) e seguì l’esempio del suo antenato Davide, senza mai prendere una strada diversa [Gli scrivani mettono in evidenza la continuità tra Davide e Giosia in quanto “servi”  del Signore].

Il sommo sacerdote ritrova il libro della legge (vedi 2 Cronache 34,8-18)

Nel diciottesimo anno del suo regno, Giosia mandò al tempio il segretario Safan, figlio di Asalia e nipote di Mesullam, con quest’ordine: «Va’ dal sommo sacerdote Chelkia e fagli contare il denaro che i custodi dell’ingresso hanno raccolto dal popolo come offerta al tempio. Chelkia dovrà consegnare questo denaro ai direttori dei lavori nel tempio, perché questi possano a loro volta pagare gli operai addetti alle riparazioni: falegnami, costruttori e muratori. Si dovranno inoltre comprare legname e pietre squadrate per fare le riparazioni. Non si dovranno eseguire controlli sul denaro consegnato loro, perché si comportano onestamente (facendo il loro dovere)» [Gli scrivani mettono in evidenza il “merito].

Il sommo sacerdote Chelkia comunicò al segretario Safan: «Nel tempio ho trovato il libro della legge (sēfer hattôrāh )» e lo consegnò a Safan. Egli lo lesse, poi andò a far rapporto al re: «I tuoi funzionari hanno versato ai direttori dei lavori nel tempio il denaro che si trovava lì». Poi aggiunse: «Il sommo sacerdote Chelkia mi ha dato questo libro». E lo lesse al re.

     Inoltre gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] ritengono di dover coinvolgere in questo avvenimento anche i profeti” [chi è più meritevole dei profeti?] E per giunta anche loro, come gli scrivani d’Israele della seconda generazione in esilio a Babilonia, si ritengono eredi di questa componente essenziale della tradizione) e narrano che il re Giosia – turbato e impaurito perché la Legge non era stata messa in pratica da anni e anni – manda a far leggere il codice deuteronomisticoalla profetessa Hulda la quale afferma che quando la Legge non viene rispettata il Signore maledice e manda in rovina.

     Gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] compiono un’ulteriore opzione strategica: scelgono una donna, una profetessa (come in tutti i momenti decisivi della storia d’Israele) per allargare ancora di più la base del consenso nei confronti del nuovo Libro della Legge che stanno componendo.

     E allora leggiamo il testo del primo anello della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]”:

LEGERE MULTUM….

Secondo Libro dei Re   22, 11-20  23, 1-3

Giosia fa consultare la profetessa Hulda (vedi 2 Cronache 34,19-28)

Quando udì quel che diceva il libro della legge, il re, turbato, si strappò i vestiti. Diede disposizioni al sacerdote Chelkia, ad Achikam, figlio di Safan, ad Acbor figlio di Michea, al segretario Safan e al ministro Asaia. Disse loro: «Andate a interrogare il Signore, per me e per tutto il popolo di Giuda, riguardo al contenuto del libro che è stato ritrovato. Il Signore è certamente in collera con noi, perché i nostri padri non hanno ascoltato quel che è scritto in quel libro e non l’hanno messo in pratica [Qui gli scrivani del codice Prister, seguendo la tradizione degli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia, riprendono la polemica nei confronti dei “padri”, nei confronti della prima generazione di deportati che avevano delle responsabilità nella sconfitta essendo collusi con il potere: questo è un ammonimento nei confronti della classe dirigente del nuovo Stato giudaico – di cui anche loro fanno parte – perché non commetta gli errori del passato]».

Il sacerdote Chelkia, Achikam, Acbor, Safan e Asaia andarono da una profetessa di nome Hulda, che abitava nel quartiere nuovo di Gerusalemme. Era la moglie di un certo Sallum, figlio di Tikva e nipote di Carcas, guardarobiere del tempio. Le spiegarono ogni cosa. Hulda diede loro un messaggio da parte del Signore, Dio d’Israele, per il re. La parola del Signore era questa: «Io manderò una sciagura su Gerusalemme e sui suoi abitanti, come è scritto nel libro che il re di Giuda ha letto [La sciagura – la sconfitta, l’esilio – di cui si parla è già avvenuta]. Essi mi hanno abbandonato e hanno onorato altre divinità. Hanno provocato il mio sdegno con gli idoli da loro fabbricati. Per questo sono in collera contro Gerusalemme, e non è più possibile frenare la mia indignazione». La profetessa continuò: «Al re di Giuda, che vi ha mandati qui a interrogare il Signore, riferite anche queste parole del Signore, il Dio d’Israele: Hai ascoltato le minacce di rovina e di maledizione che ho pronunziato contro Gerusalemme e i suoi abitanti; ti sei umiliato, hai riconosciuto la tua colpa, hai pianto davanti a me e ti sei strappato i vestiti: Io, il Signore, ho ascoltato la tua preghiera [Queste parole in cui si esalta l’autocritica rimandano al “proclama di Amos”]. Ti lascerò morire in pace: non vedrai la rovina che manderò su Gerusalemme [Si tende a minimizzare il fatto che Giosia è morto in guerra]». Chelkia e gli altri riferirono al re questo messaggio.

Impegno di Giosia e del popolo con Dio (vedi 2 Cronache 34,29-32)

Il re Giosia radunò i responsabili di Gerusalemme e della regione di Giuda. Si recò al tempio, accompagnato dalla popolazione di Giuda e da tutti gli abitanti di Gerusalemme: sacerdoti, profeti e gente del popolo di ogni condizione [Si sottolinea la partecipazione di tutte le classi sociali]. In loro presenza lesse il libro dell’alleanza (della berit), che era stato trovato nel tempio. In piedi, accanto alla colonna, prese davanti al Signore il solenne impegno di seguirlo, di ubbidire alle sue leggi, ai suoi comandamenti e alle sue prescrizioni, con tutto il cuore e con tutta l’anima, e di mettere in pratica tutto quel che era scritto nel libro dell’alleanza. Il popolo si unì anch’esso all’impegno assunto da Giosia.

     Quest’ultima frase è stata composta dagli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] per dare forma sapienziale e poeticaal concetto di servo” [‘ebed]: il servoè un collaboratore del Signore perché lo segue, ubbidisce alle sue leggi, ai suoi comandamenti e alle sue prescrizioni, con tutto il cuore e con tutta l’anima, e mette in pratica tutto quel che c’è scritto nel libro della Legge. Collaborare con il Signore, servire il Signore, significa mettere in pratica la Legge.

     La qualifica di servo del Signoreva dunque estesa ad un numero più ampio possibile di membri della società e gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] – nell’ottica della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]” – operano perché tutti gli appartenenti delle varie classi sociali assumano questo spirito di servizio, aspirino ad essere collaboratori del Signore: riconoscano la sua Legge (la Legge che gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] stanno scrivendo) e la mettano in pratica.

     Con il primo tassello, il primo anello della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]” gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] hanno voluto dare – come abbiamo potuto constatare – pari dignità a tutte le classi sociali davanti alla Legge; ma è possibile che a tutte le classi sociali possa essere riconosciuta pari dignità? Nel secondo anello della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]” gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] vogliono rafforzare, esaltare, autenticare il concetto di servo del Signorein cui tutti i membri della comunità si devono riconoscere: è servo il re, è serva la classe sacerdotale, è serva la classe produttiva e sono servi gli ebionim, è servo tutto il popolo nel suo insieme ma è proprio vero che per tutti costoro esistano pari opportunità? [Probabilmente per rafforzare questo concetto – che tutti i membri della società sono servi del Signore, al pari dei re – ci vorrà anche un terzo e un quarto anello della sequenza dell’equilibrio dei meriti, dei doveri”]. Questi interrogativi fanno sì che la figura del servodebba apparire in tutta la sua straordinaria potenza: il servodeve apparire [secondo le regole rituali delle antiche tradizioni pastorali] come la vittima immolata, attraverso il cui sangue la Nazione sarà liberata.

     A questo proposito il tema [molto ambiguo] dell’equilibrio dei meriti lo affronta anche, con il suo stile inconfondibile, il poeta Carlo Alberto Salustri (1871-1950) detto Trilussa nella raccolta in versi intitolata Le favole (1922):

LEGERE MULTUM….

Trilussa, I meriti de la Spada e der Cortello (1922)

Un vecchio Cortello diceva alla Spada: - Ferisco e sbudello la gente de strada,

e er sangue che caccio da quele ferite diventa un fattaccio, diventa ’na lite -

La Spada rispose: - Io puro sbudello, ma faccio ’ste cose sortanto in duello

e quando la lama l’adopra er signore la lite se chiama partita d’onore!

     In quale Libro gli scrivani del Codice Priester” [del Codice sacerdotale] collocano il secondo anello della sequenza dell’equilibrio dei meriti [dei doveri]”?

Lo scopriremo la prossima settimana perché il viaggio continua, accorrete: la Scuola è qui

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Febbraio 15, 2008