Autorizzazione all'uso dei cookies

IL LIBRO DI GEREMIA: COME SE FOSSE IL TESTO DI UNA COSTITUZIONE …

Lezione N.: 
14

Prof. Giuseppe Nibbi       Lo sapienza poetica beritica  2008     30-31 gennaio - 1 febbraio  2008

IL LIBRO DI GEREMIA: COME SE FOSSE IL TESTO DI UNA COSTITUZIONE …

     Dopo l’esilio babilonese (dopo il 538 a.C.) nella terra di Canaan si ricostituisce lo Stato giudaico: sull’onda del famoso” Editto di Ciro. Questo nuovo Stato (uno Stato cuscinetto, uno Stato di frontiera) nasce tra mille difficoltà. Della classe dirigente di questo nuovo Stato – come sappiamo – fanno parte anche gli scrivani della terza generazione degli ex esiliati a Babilonia: gli scrivani (cosiddetti, dalla seconda metà del 1700) del “Codice Priester”, del Codice sacerdotale” [“Priester è parola tedesca che significa prete, sacerdote”] e sono proprio questi scrivani a rappresentare la categoria più adatta ad affrontare i gravi problemi di ordine sociale, politico, culturale, religioso che mettono a repentaglio la nascita e l’esistenza del nuovo Stato giudaico.

     Il primo grave problema che gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” si trovano a dover affrontare è quello della ribellione degli ebionim(dei diseredati, di cui abbiamo fatto la conoscenza la scorsa settimana) che si rivela come una vera e propria emergenza.

    La scorsa settimana abbiamo preannunciato che nell’itinerario di questa sera –procedendo sulla strada che porta verso il territorio del Libro del Deuteronomio – ci saremmo trovati ad attraversare i luoghi, impervi ma non desolati, del Libro di Geremia. Sappiamo – e abbiamo capito – che il testo del Libro del Deuteronomio [“deuteronomioè parola greca che significa: la seconda versione della Legge”] diventa lo strumento indispensabile per garantire una sorta di unità tra le componenti sociali della ricostituita  nazione giudaica. Sappiamo che la nascita del nuovo Stato giudaico, dopo l’esilio, dopo la conquista di Babilonia da parte di Ciro il Grande, è frutto di una ricostituzione un po’ forzata e sappiamo che in seno a questo Stato si agitano da sempre – per tutta una serie di ragioni: storiche, sociali, politiche, religiose – molti contrasti.

     L’argomento che abbiamo di fronte – il tema della costituzione del nuovo Stato giudaico dopo l’esilio babilonese – è molto complesso, e noi dobbiamo affrontarlo tenendo conto di quelle che sono le finalità (i limiti) del nostro Percorso, cioè in funzione della didattica della lettura e della scrittura e, quindi, questa sera dobbiamo, ancora una volta, rifare il punto della situazione, dobbiamo rimasticareil tema della ribellione degli ebionim, da un’altra angolazione: quella della stratificazione sociale. Questa visuale permette di fare delle osservazioni utili per capire meglio che cosa sia il Libro del Deuteronomio: quello che viene considerato il capolavoro degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”.

     Voi vi ricordate – vero? – che quando Nabucodonosor, nel 587 a.C., deporta gli Ebrei a Babilonia, non deporta tutti, ma solo la classe dirigente (il re con la corte, con i dignitari e gli scrivani), i lavoratori specializzati, il ceto produttivo: la parte che sta meglio della società del regno di Giuda. Tutti gli altri, i poveri – i contadini, i pescatori e soprattutto i pastori – li lascia lì, su un territorio di cui il regno di Babilonia si disinteressa completamente: sul territorio povero della terra di Canaan, i nuovi conquistatori (i Babilonesi) non hanno intenzione di esercitare alcuna amministrazione perché i diseredatiche vagano in quest’area dai confini incerti non hanno nulla da dare, sono solo un peso di cui sarebbe bene potersi liberare. È inevitabile che alla fine dell’esilio, con la costituzione del nuovo Stato giudaico esploda, tra le varie classi sociali, un serio problema di convivenza.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Il tema della “convivenza” (in tutti i suoi vari aspetti) è un tema molto delicato: secondo la tua esperienza c’è qualcosa che aiuta a fluidificare questa situazione?…

Puoi rispondere scrivendo anche una sola parola, un solo enunciato, quattro righe…

     Nel momento della costituzione del nuovo Stato giudaico (nel 538 a.C.) assistiamo – lo abbiamo potuto constatare la scorsa settimana – ad uno scontro violento, uno scontro di carattere sociale, politico e religioso, che potrebbe avere conseguenze davvero disastrose (scatenare una sanguinosa guerra civile) se gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, non fossero stati capaci, con lo strumento intellettuale, con la Scrittura, di scongiurare tutto ciò e di evitare il peggio. Abbiamo già affrontato questo tema la scorsa settimana quando abbiamo studiato il procedimento di formazione – ad opera degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” – del testo del Secondo Libro dei Re: con l’inserimento della figura del re Giosia che costituisce un primo punto di unione tra le varie stratificazioni sociali, tra gli eredi degli ex deportati che diventano (per decreto) classe dirigente e i diseredatiche erano rimasti sul territorio della terra di Canaan a morire di fame e ora devono assoggettarsi a fare i sudditi.

     A questo punto dobbiamo – e abbiamo affrontato altre volte questa tematica nei nostri Percorsi – ricordare, nelle sue grandi linee, la stratificazione sociale che prende corpo nel momento in cui si costituisce, nel 538 a.C., il nuovo Stato giudaico. Le poche famiglie più facoltose (della tribù di Giuda e di Beniamino) che tornano da Babilonia, incentivate a trasferirsi con l’elargizione di beni materiali (avremo le idee più chiare su questo argomento quando incontreremo il Libro di Esdra, ma, in questo momento, non è ancora stato scritto, dobbiamo aspettare circa due secoli), rientrano nella terra di Canaan con il mandato (secondo l’Editto di Ciro) di assumersi il ruolo di classe dirigente. Queste famiglie tornate dall’esilio ricevono un titolo di nobiltà che viene attribuito loro dalla corte persiana perché assumano un atteggiamento collaborazionista: il titolo di nobiltà è un privilegio che costa la sottomissione alla monarchia mesopotamica. Queste famiglie che tornano dall’esilio accettano questa forma di collaborazionismo con l’obiettivo di ricevere dal governo persiano i finanziamenti per ricostruire il Tempio di Gerusalemme che avrebbe dovuto essere il simbolo materiale dell’autonomia del nuovo Stato. Dobbiamo ricordare che da questo gruppo sociale avrà origine qualche secolo dopo, nel II secolo a.C., il partito dei Sadducei (che sentiamo nominare nella Letteratura dei Vangeli).

     Dall’esilio, poi, tornano anche un certo numero di famiglie del ceto produttivo: artigiani, commercianti, impiegati. Costoro si sentono ideologicamente subito separati-perugiim dal ceto aristocratico-sacerdotale perché questa (che potremmo chiamare) proto-borghesia vorrebbe investire i finanziamenti (gli incentivi), provenienti dalla Persia, non tutti nella ristrutturazione del Tempio, ma anche per costruire un’economia autonoma (per rilanciare il mercato). Dobbiamo ricordare che da questo gruppo sociale avrà origine, sempre nel II secolo a.C., il movimento dei Farisei, dei separati-perugiim (che sentiamo nominare molto spesso nella Letteratura dei Vangeli).

     Questi due ceti – il ceto aristocratico (la classe dei sacerdoti addetti al culto dentro al Tempio che esercitano il potere politico) e il ceto produttivo (in seno a questa classe si sviluppano le figure dei rabbi, dei maestri laici esperti nell’interpretazione della Legge che operano all’esterno del Tempio) – si trovano molto spesso, da subito, in aperto contrasto. Per il ceto produttivo il centro della cultura di Israele non è tanto il Tempio in quanto luogo di culto, come pensa il ceto aristocratico-sacerdotale, ma è la Scrittura in quanto luogo delle regole, in quanto spazio delle norme: e si capisce che la differenza di vedute tra queste due classi sociali è sostanziale.

     Comunque, questi due gruppi sociali – il ceto aristocratico-sacerdotale e il ceto produttivo – al ritorno dall’esilio, si impongono e conquistano praticamente tutti gli spazi di potere. Il ceto aristocratico-sacerdotale controlla il potere politico istituzionale e il potere religioso, mentre il ceto produttivo controlla vasti strati della società civile e anche il potere intellettuale perché gli scrivani, in quanto categoria impiegatizia, appartengono al ceto produttivo ma verranno assunti anche dal ceto aristocratico-sacerdotale per far funzionare la pubblica amministrazione e per dare un canone al grande patrimonio della Scrittura composto durante l’esilio a Babilonia soprattutto dagli scrivani della seconda generazione (quelli del proclama di Amos, per intenderci).

     Questa è la collocazione strategica in cui – con la fondazione del nuovo Stato giudaico – vengono a trovarsi gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”: la loro è una posizione di mediazione e sapranno essere degli esperti mediatori non solo tra i due ceti che abbiamo presentato ma anche nei confronti del ceto dei diseredati.

     La mediazione si presenta come necessaria perché da tutti i poteri (economici, istituzionali, politici, religiosi), nelle mani del ceto aristocratico-sacerdotale e del ceto produttivo, rimane tagliato fuori tutto il vasto gruppo sociale dei poveri, degli ebionim, dei diseredati.

     Sappiamo che l’amministrazione babilonese – all’atto della conquista nel 587 a.C. – si disinteressa completamente della terra di Canaan e di questi individui, che cercano di sopravvivere adattandosi a fare gli agricoltori in una terra dove non c’era la terra e dove mancava l’acqua, adattandosi a fare i pastori in una terra dove non c’erano pascoli, adattandosi a fare i pescatori in una terra dove, l’invaso d’acqua più grande, il lago di Tiberiade, assomigliava al mare solo per le sue acque salmastre, e dove vivevano pochi pesci e poco pregiati.

     Questi gruppi di diseredati, per sopravvivere, si sono anche dovuti appoggiare alle popolazioni che vivevano intorno a quell’area e questo aveva creato un cambiamento negli usi e nei costumi di questa popolazione di Israele lasciata lì a morire di fame.

     Gli ebionimfanno propri usi e costumi legati alla tradizione del paganesimo mescolandoli con i culti verso il Dio unico d’Israele, inoltre sono influenzati dalla cultura egizia e abbiamo già parlato dei rapporti (contrastanti) tra gli ebionime la nazione egiziana.

     Come capite ci troviamo in mezzo a uno scontro con più fronti: si scontrano tra loro gli eredi degli ex deportati che avevano fatto ritorno e che si riconoscono in due gruppi ben identificati e contrapposti: il ceto aristocratico-sacerdotale e il ceto produttivo. Ma soprattutto gli eredi degli ex deportati (gli aristocratici e i proto-borghesi) si scontrano con gli ebionim, con i diseredati che erano rimasti lì. Tanto il ceto aristocratico-sacerdotale quanto il ceto produttivo guardano con sospetto questa larga fascia della popolazione che è povera, che si è contaminata con popoli stranieri, come se anche coloro i quali tornavano dalla Mesopotamia non si fossero contaminaticon una cultura straniera.

     Gli ebionim, i diseredati rimasti nella terra di Canaan, si dimostrano naturalmente molto ostili con i nuovi venuti da Babilonia e non li riconoscono come classe dirigente. I ritornati da Babilonia, a loro volta, si dimostrano altrettanto ostili nei confronti di questi morti di fame che sentono molto diversi da loro e che non vogliono sottomettersi al potere del nuovo Stato.

     E allora – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – cerchiamo di concretizzare: qual è l’oggetto del contendere, come si configura lo scontro? Si configura nei termini di un quesito: chi è il vero Israele? Chi rappresenta veramente il popolo di Dio nel nuovo Stato? Chi è il resto d’Israele su cui deve innestarsi la nuova nazione?

     Il concetto del resto d’Israeleè una chiave fondamentale, è un’idea-cardine che si sviluppa nel movimento della sapienza poetica beriticanel momento successivo all’esilio a Babilonia, nel momento in cui una minoranza (un resto) di ex deportati fa ritorno (come classe dirigente) a Gerusalemme. Da chi è formato il resto d’Israele? È formato dagli eredi degli ex deportati che tornano da Babilonia in virtù dell’Editto di Ciro oppure è formato dagli ebionim che sono rimasti (e qui c’è un altro resto che pretende di essere riconosciuto come tale) a presidiare il territorio?

     La disputa che ne nasce è una disputa epocale e tocca agli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” sbrogliare la situazione utilizzando il potere della Scrittura e usando tutta la loro capacità di mediazione. Inizialmente il ceto aristocratico-sacerdotale si appropria subito di questa prerogativa: «il resto d’Israele– affermano – siamo noi che abbiamo patito l’esilio per scontare i peccati di tutto il popolo». Questo atteggiamento – ed è comprensibile perché genera un clima di emarginazione sociale – scatena la rabbia degli ebionimi quali controbattono rivendicando di essere rimasti a patire la fame su questo territorio affidato da Dio a loro che rappresentano il vero resto d’Israele.

     Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” si assumono – come responsabili della pubblica amministrazione (quelli che hanno in mano le carte) – la responsabilità di suturare questa lacerazione. Il lavoro di ricucitura (la rapsodia), attuato dagli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, parte da finalità di tipo sociale ma principalmente di tipo politico: che cosa significa ciò?

     Noi dobbiamo tenere conto del fatto che la categoria degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” fa riferimento, dal punto di vista ideologico, al ceto produttivo, alla classe dei perugiim, a quello che sarà, in futuro, il partito dei Farisei e che è già in incubazione. La categoria degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” in quanto classe intellettuale rappresenta anche – come ci ricordano le studiose e gli studiosi di filologia biblica – la frangia più politicizzata del ceto produttivo e lo si capisce chiaramente dalle scelte strategiche (che andiamo a studiare) fatte in funzione della costruzione del testo, per dare alla Scrittura (un taglio) una valenza politica ancor prima che religiosa. La categoria degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” è politicizzata anche perché ha un ruolo – apparentemente non di primo piano ma certamente strategico – nella gestione del potere. La categoria degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, con responsabilità amministrative, vive a stretto contatto con il ceto aristocratico che governa, ma cerca anche forme di aggregazione (cerca intese) con gli ebionim . Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” pensano – e lo si capisce perfettamente dal tono, dalle forme, dai contenuti con cui ristrutturano i testi della Letteratura che hanno ereditato dagli scrivani dell’esilio a Babilonia producendo un nuovo filone nel movimento della sapienza poetica beritica– che non si tratta solo di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, di ristrutturare il santuario d’Israele ma soprattutto ritengono che sia necessario ristrutturareil testo della Scrittura in funzione di un obiettivo politico ben preciso. Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” coltivano una precisa ideologia e hanno un concreto progetto politico: pensano che sia necessario rifondare lo Stato d’Israele, unito, libero dal collaborazionismo con i Persiani, e indipendente (dal punto di vista politico, economico e religioso) come Nazione.

     Per realizzare questo progetto – ricordiamoci che lo Stato giudaico, all’atto della sua fondazione, è succube e ha poca libertà d’azione – sarebbe stato necessario (quando sarebbe venuto il momento) anche combattere per la piena indipendenza e, in vista di questa eventualità, c’era bisogno delle forze popolari. Per questo motivo strategico (di natura politica) gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” (che del ceto aristocratico si fidano poco), sviluppano un pensiero che possa dare – per iscritto – anche agli ebionim un’identità che li qualifichi a pieno titolo come: resto d’Israele. Sono molto pratici gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”: piuttosto che prendere in considerazione un resto solo, pensano sia meglio sommarne insieme due di resti per poterli recuperare entrambi.

     Questo pensiero viene sviluppato dagli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” in un midrash (in una singolare rapsodia), in uno straordinario racconto cerimoniale – disseminato ad arte all’interno dei testi della Letteratura beritica – nel quale si tiene conto delle ragioni dei deportati a Babilonia che erano andati a scontare (giustamente, con dignità) i loro peccati di classe dirigente, ma dove soprattutto si rivendica il fatto che coloro i quali non erano stati deportati e che, quindi, sono rimasti nella terra di Canaan, sono stati scelti da Dio: eletti per rimanere lì, a fare da baluardo su questa terra che, a esilio finito, deve contenere la nuova nazione. Il Dio unico ha fatto una scelta e il popolo eletto, quindi, non può essere identificato solo nella classe dirigente (anche in quella), ma bensì si deve tener conto del fatto che il popolo elettoè formato soprattutto dai diseredati: sono soprattutto loro (ma non solo loro) – i diseredati, gli ebionim – il resto del popolo d’Israele.

     E, a questo punto, gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” capiscono – mentre mettono mano al Libro del Deuteronomio – di dover intervenire anche sulla Letteratura del profeti posteriori. La Letteratura dei profeti (anteriori e posteriori) – già abbiamo studiato questo tema – aveva una sua conformazione data dalle Scuole di costruzione del testo fondate dagli scrivani della seconda generazione dei deportati a Babilonia (una forma data dallostile del proclama di Amos) quindi, per gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, intervenire su questo settore della Scrittura (i Libri dei profeti anteriori e posteriori) non è stata un’impresa molto difficile.

     Dal punto di vista teologico, poi, c’è già una definizione precisa che può essere utilizzata perché il Dio del Profeti, El-nebiyim, opera una inequivocabile scelta di classe: sceglie, come proprio strumento di comunicazione, i pastori, che rappresentano i diseredati(gli ebionim) per eccellenza.

     Diciamo subito che la conflittualità tra ceto aristocratico, ceto produttivo ed ebionim sarebbe stata sicuramente suicida per il popolo d’Israele se la Scrittura non avesse fatto da collante: gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” hanno il merito politico, sociale e culturale di aver evitato una presumibile tragedia. Questi artigiani del racconto cerimoniale, questi rapsodi, questi artisti del midrash – facendo tesoro di tutta l’esperienza accumulata nei secoli dalla loro categoria (a cominciare dagli antichi scrivani di corte del regno di Salomone, e poi dagli scrivani dissidenti che danno vita al movimento dei pastori-profeti, e poi dalla prima generazione, quella delle Lamentazioni, degli scrivani in esilio a Babilonia, e ancora dalla seconda generazione degli scrivani in esilio a Babilonia, quella del proclama di Amos) – hanno saputo, dopo l’esilio, dare un ruolo mitico a tutte le componenti della società giudaica, in modo da coinvolgere tutti (o per lo meno in modo da scontentare tutti il meno possibile), facendo in maniera che ogni componente sociale fosse protagonista nell’occupare la terrache continuava a rimanere promessa. Il racconto della storia del popolo della Bibbia segue questa logica complessa.

     E quando, dopo l’esilio, gli scrivani della terza generazione – che sono gli eredi degli ex deportati a Babilonia – tornano a Gerusalemme e assumono il ruolo di scrivani nell’amministrazione del nuovo Stato giudaico (oggi li chiamiamo gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”) devono mettere in ordine tutto il materiale in loro possesso (scritto e riscritto, raccontato e ri-raccontato nel periodo dell’esilio e subito dopo l’esilio) tenendo soprattutto conto della situazione politica e sociale, che, a grandi linee, abbiamo cercato di raffigurare.

     Quindi, mentre intervengono sui Libri dei Re (vale a dire sui Libri dei profeti anteriori) – componendo il testo del Secondo Libro dei Re con l’introduzione del personaggio di Giosia (come abbiamo studiato la scorsa settimana), una figura gradita a tutte le componenti sociali – contemporaneamente agiscono sulla Letteratura dei profeti posteriori in particolare sul Libro di Geremia e anche sul Libro di Isaia.

     Sul testo del Libro di Geremia gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” introducono tutta una serie di citazioni (interi brani) che predicono la sconfitta, l’esilio e prefigurano la liberazione e, ora che l’esilio è terminato, è possibile dare anche un senso più preciso alle predizioni molto vaghe che gli scrivani della seconda generazione (della Scuola di Geremia) avevano scritto a Babilonia: ora è possibile completare i testi tenendo conto del nuovo contesto. Si può, per esempio, far affermare al profeta Geremia che l’esilio serve per selezionare il resto d’Israele.

     È evidente che questo concetto non è frutto del pensiero degli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia, degli scrivani della Scuola di Geremia che hanno scritto il testo base (la prima versione) di questo Libro, la loro intenzione – come sappiamo – era di mettere in evidenza le responsabilità (della sconfitta e dell’esilio) della generazione dei loro padri

     E allora, a questo punto (come abbiamo già anticipato), per renderci conto – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – del modo in cui hanno lavorato gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, facciamo un’incursione nel Libro di Geremia (un libro di una certa consistenza, siamo nell’ordine delle quaranta pagine) per capire alcuni importanti aspetti del lavoro di ricucitura (di rapsodia) fatto dagli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” in funzione della creazione di una cultura condivisa nel nuovo Stato giudaico.

     La seconda versione del Libro di Geremia (quella che troviamo oggi nella Bibbia), riscritta dagli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” dopo l’esilio, non risulta pienamente comprensibile alla lettura se non si è consapevoli del fatto che si tratta, fondamentalmente, di un documento di natura politica prima ancora che religiosa: il Libro di Geremia si presenta come se fosse il testo di una Costituzione che contiene – sotto forma di ammonimento – una serie di elementi (di princìpi) che possono essere condivisi da tutte le componenti sociali dello Stato (dal ceto aristocratico-sacerdotale, dal ceto produttivo, dagli ebionim) per garantire (per ricostruire e mantenere) l’unità della nazione.

     Innanzi tutto dobbiamo affermare che gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” hanno tutta la competenza necessaria per poter intervenire sui testi di Geremia e di Isaia (di cui ci occuperemo ancora prossimamente) perché questi scrivani (come sappiamo) appartengono alla terza generazione degli esiliati a Babilonia e le Scuole di costruzione del testo più influenti nell’ultimo periodo dell’esilio babilonese sono proprio, insieme a quella di Amos: la Scuola di Geremia e la Scuola di Isaia. Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” conoscono bene la prima versione del testo del Libro di Geremia e quindi si inseriscono ad arte nel corpus di quest’opera con le loro consistenti interpolazioni.

     Se si legge il Libro di Geremia (e la Scuola aveva già consigliato la lettura di questo Libro, ricco di seduzioni) senza le necessarie chiavi si finisce per mettersi le mani nei capelli dalla disperazione, perché? Perché – e questa è una costante nei Libri della Bibbia – incontriamo ripetizioni incomprensibili, ci troviamo di fronte a cambiamenti di stile repentini, cogliamo un apparente disordine che disorienta e tutto questo dipende semplicemente dal fatto che la storia della composizione di questi Libri è (come sappiamo) assai complessa. Ci sono molte ripetizioni perché vengono sovrapposte diverse riscritture del testo, ci sono cambiamenti repentini di stile perché cambia la maniera (la forma) di scrivere da un generazione all’altra di scrivani.

     Facciamo un appunto – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – e ricordiamo brevemente la trafila delle categorie di scrivani con cui siamo, per ora, entrate/entrati in contatto: nella storia della composizione dei testi del movimento della sapienza poetica beritica ci sono una serie di generazioni di antichi scrivani di corte e di antichi scrivani dissidenti soprannominati pastori-profeti, che operano dal X al VI secolo a.C.; poi, nel VI secolo a.C. ci sono le tre generazioni di scrivani dell’esilio a Babilonia, la prima detta delle Lamentazioni, la seconda detta del proclama di Amos e la terza che, dopo il 538 a.C., combacia con la prima generazione detta degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”; tra il 538 e il 330 circa a.C. è stato individuato il lavoro di almeno quattro generazioni di scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, e la trafila continua e, strada facendo, aggiorneremo il catalogo.

     Nei testi dei Libri della Letteratura beritica troviamo un grande disordine narrativo perché chi scrive non è interessato alla costruzione della trama ma ha altri obiettivi legati spesso alla composizione di documenti di valore politico e religioso.

     La figura leggendaria del profeta Geremia è (secondo la tradizione profetica che abbiamo studiato) la metafora di un movimento di scrivani dissidentiche opera tra il 609 e il 587 a.C.: questi vent’anni, precedenti all’esilio, sono stati molto importanti per la vita del popolo ebraico e hanno condizionato fortemente la composizione delle versioni dei Libri della Letteratura dei profeti anteriori e posteriori. Questo periodo di storia è già stato analizzato durante il tempo della deportazione a Babilonia dagli scrivani della seconda generazione i quali (come abbiamo già studiato) volevano – scrivendo il primo strato del testo del Libro di Geremia – che si prendesse coscienza delle cause e delle responsabilità della classe dirigente che hanno portato, i Regni d’Israele e di Giuda, alla sconfitta, alla disfatta e all’esilio.

     Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” – eredi di questa tradizione – ristrutturano il testo di Geremia nell’ottica della nuova situazione, stando ben attenti a dare un ruolo (e la giusta responsabilità nel bene e nel male) a ciascuna delle componenti sociali che devono trovare, nel presente, un’unione nel nuovo Stato giudaico. Se – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – andiamo ad osservare da vicino il testo del Libro di Geremia (e tutti possediamo una Bibbia e possiamo fare questo esercizio) ci rendiamo conto (abbastanza facilmente) che questo testo è diviso in tre parti che corrispondono a tre diversi (e principali) gradi di scrittura. La prima parte riguarda i primi 24 capitoli del Libro ed è opera degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” che hanno un obiettivo ben preciso: quello di attenuare l’attacco durissimo, portato dagli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia, contro tutta la classe dirigente d’Israele.

     Gli scrivani della seconda generazione (quella dei figli) in esilio a Babilonia danno un giudizio severissimo contro tutta la classe dirigente d’Israele della prima generazione dei deportati (quella dei loro padri, e abbiamo studiato questo tema a suo tempo): questo giudizio severissimo (questa condanna senza attenuanti) offusca il ruolo della classe dirigente di per sé, svaluta il concetto stesso di classe dirigente, come dire che, inequivocabilmente, tutte le classi dirigenti sono corrette o sono, inevitabilmente, soggette a corrompersi. Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” vogliono fare una distinzione all’interno della classe dirigente, se non altro perché in questo momento – in quanto appartenenti alla pubblica amministrazione – anche loro sono parte integrante della classe dirigente e sentono di avere delle responsabilità: sono o non sono eredi del proclama di Amosche richiama l’assunzione di responsabilità? È proprio vero – si domandano gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” – che i governanti sono sempre tutti corrotti? (Si facevano strane domande).

     Il loro ragionamento ha come obiettivo quello di dare una credibilità (una legittimazione) al gruppo dei governanti del nuovo Stato giudaico tornati dall’esilio che, prima di tutto, sono i nipoti dei primi deportati e quindi non possono essere considerati responsabili della sconfitta di cinquant’anni prima e, per lo meno, vanno messi alla prova, ma soprattutto gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” capiscono che è necessario mettere per iscritto regole e principi che siano conosciuti, capiti e condivisi da tutti.

     Vogliono poi – con questi primi 24 capitoli del Libro di Geremia – distribuire su tutti, su tutto il popolo (con le sue varie componenti) le responsabilità della sconfitta, della disfatta e dell’esilio di cinquant’anni prima: nel nuovo Stato giudaico tutti dovrebbero avere le stesse responsabilità in modo da avere le stesse opportunità.

     Il primo capitolo del Libro di Geremia ci appare come una presentazione: è una prefazione che contiene in modo chiaro il messaggio sulla suddivisione delle responsabilità. Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” hanno ben presenti nella loro mente gli elementi principali del proclama di Amos: la presa di coscienza e l’assunzione di responsabilità. Ma mentre l’autore del Libro di Amos – scrivano appartenente alla seconda generazione (quella dei figli) in esilio a Babilonia – la presa di coscienza e la assunzione di responsabilità la pretende esclusivamente dalla classe dirigente della prima generazione dei deportati (quella dei padri collusi con il potere che si lamentano senza fare autocritica), ora, al ritorno dall’esilio, con la fondazione del nuovo Stato giudaico gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”  la presa di coscienza e la assunzione di responsabilità la chiedono a tutto il popolo, a tutte le componenti sociali della nazione.

     I primi tre versetti del primo capitolo del Libro di Geremia, scritti dagli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, vogliono presentare il quadro storico – attraverso il catalogo dei personaggi – del ventennio precedente alla disfatta del Regno di Giuda che ha come conseguenza la deportazione a Babilonia della classe dirigente, del ceto produttivo e degli scrivani di corte. Questi versetti servono per ricordare a tutti, nel nuovo Stato giudaico, la complessità degli avvenimenti e per introdurre una riflessione sulla diversità di comportamento tra i vari protagonisti, sulle loro diverse responsabilità e sulla necessità che ognuno prenda coscienza del proprio ruolo in funzione dell’unità della nazione.

     Leggiamoli questi tre versetti:

LEGERE MULTUM….

Libro di Geremia  1, 1-3

Messaggi e fatti della vita di Geremia. Egli era figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che abitavano ad Anatot (piccolo villaggio a circa 5 km a nord di Gerusalemme), nel territorio della tribù di Beniamino. Il Signore cominciò a parlare a Geremia nel tredicesimo anno del regno di Giosia figlio di Amon, re di Giuda. Il Signore gli parlò di nuovo quando era re Ioiakim figlio di Giosia, fino al termine dell’undicesimo anno di regno di un altro figlio di Giosia, Sedecia. Nel quinto mese di quell’anno (Giosia regna dal 640 al 609 a.C., Ioiakim dal 609 al 598 a.C. e Sedecia dal 598 al 587 a.C.; il tredicesimo anno di Giosia corrisponde al 627-626 a.C., mentre il quinto mese dell’undicesimo anno di Sedecia corrisponde al luglio del 587 a.C.), gli abitanti di Gerusalemme furono condotti in esilio…

     Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” vogliono creare le basi perché tutti i membri, nel nuovo Stato giudaico, possano imparare a coltivare una memoria comunee soprattutto possano imparare a mettere in comune le memorie: che è il presupposto fondamentale per creare l’unita nazionale. A questo proposito ritengono sia necessario chiarire (a distanza di oltre mezzo secolo) che cosa è successo, tra il 609 e il 587 a.C., nel piccolo regno di Giuda quando questo staterello si è lasciato coinvolgere nel gioco delle grandi potenze (l’Egitto, la Siria, Babilonia), e finisce (sconsideratamente) per essere schiacciato: è passato un certo periodo di tempo da questi avvenimenti e gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” che (come sappiamo) appartengono alla terza generazione dell’esilio a Babilonia possono guardare a questi fatti con occhio ormai più distaccato, più smaliziato e, a questo proposito, (come abbiamo studiato la scorsa settimana) sappiamo che gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, proprio per fare chiarezza su questi avvenimenti, compongono il Secondo Libro dei Re come compendio al loro contemporaneo intervento sul testo del Libro di Geremia.

     Che cosa è successo tra il 609 e il 587 a.C. nel piccolo regno di Giuda? Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” vogliono far ricordare a tutti i membri del nuovo Stato giudaico che il Regno di Giuda viene sconfitto da Nabucodonosor una prima volta nel 597 a.C.: questo significa che (a distanza di dieci anni) c’è una prima e una seconda volta (c’è stato un primo esilio e un secondo esilio) e gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” ci tengono a chiarire che c’era stato già un chiaro avvertimento per tutti. Nabucodonosor, la prima volta, nel 597 a.C., lascia intatta Gerusalemme ma conduce in esilio, con tutta la corte, il re Ioiakim, figlio di Giosia. Sappiamo già che Giosia (che abbiamo incontrato la scorsa settimana) viene esaltato come l’ultimo baluardo dell’unità e dell’indipendenza d’Israele e proposto, a tutti, come modello di unione nel nuovo Stato giudaico (non tutti i re sono inetti e corrotti, almeno uno si distingue in termini positivi, e soprattutto i più deboli socialmente lo ricordano e lo evocano). Dieci anni dopo Nabucodonosor ritorna a Gerusalemme per punire lo sconsiderato re Sedecia (altro figlio degenere di Giosia) che voleva fare lo strafottente. Questa volta Nabucodonosor distrugge la città, anche il Tempio (ma quando mai il Tempio non è stato in rovina?), e deporta a Babilonia la classe dirigente, gli scrivani di corte, il ceto produttivo e, nel territorio di Giuda, rimane soltanto la gente più povera: sfruttata, maltrattata e costretta ad una dolorosa transumanza. Questi sono gli avvenimenti e i personaggi che troviamo collocati nel testo del Libro di Geremia in tutte e tre le stratificazioni più importanti.

     Il fatto è che questi avvenimenti e questi personaggi vengono presentati in modo molto disordinato ma noi sappiamo che, tanto gli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia (che hanno scritto la prima versione) quanto gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” che operano e riscrivono il testo del Libro di Geremia a Gerusalemme dopo l’esilio, non hanno nessuna intenzione di scrivere la storia ma di costruire un documento politico-religioso che possa giovare alla stabilizzazione del nuovo Stato giudaico: un documento politico-religioso nel quale emergano le diverse responsabilità (Giosia è capace, i suoi figli sono inetti e corrotti) perché le classe dirigenti non sono tutte uguali, la bontà della classe dirigente dipende dal valore morale, dal senso di giustizia, dallo spirito di umanità delle persone.

     Abbiamo letto i primi tre versetti del primo capitolo che servono agli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” per sintetizzare il quadro storico. Ma noi sappiamo che il loro intento (dichiarato) non è quello di fare la storia (la trafila di avvenimenti ormai lontani e contraddittori) ma quello di incamminarsi sulla strada del primo obiettivo che vogliono raggiungere.

     Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, dal versetto 4 al versetto 15 del primo capitolo del Libro di Geremia, lasciano intatto il testo redatto dagli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia prima di tutto perché, al versetto 10, (e abbiamo già studiato questo tema) si trova il programma della Scuola di scrittura di Geremia fondata dagli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia. Nella prima versione del testo di Geremia (scritta a Babilonia) si raccoglie un concetto che viene espresso con quattro verbi distruttivi: sradicare e demolire, distruggere ed abbattere,  e due verbi costruttivi: piantare e edificare. In questi verbi (lo abbiamo studiato nella prima lezione dell’anno 2008) troviamo esemplificato il lavoro di costruzione del testo che compiono gli scrivani della seconda generazione nei loro Laboratori: sradicare e demolire, distruggere ed abbattere sono azioni che esprimono il pessimismo totaletipico degli scritti prodotti dalla prima generazione di scrivani (nelle Lamentazioni), mentre le azioni di piantare e di edificare rappresentano il presupposto all’assunzione di responsabilità (a cui il profetarichiama), cioè a patteggiare (il riferimento è alla berit), ad accordarsi e a legiferare (il riferimento è alla torah, alla Legge). Questo programma (queste azioni programmatiche) viene assunto anche dagli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” che hanno come obiettivo principale quello di far stipulare il patto sociale tra tutte le componenti del nuovo Stato (da subito, come abbiamo visto, in conflitto) e di riscrivere la Legge uguale per tutti.

     Leggiamo dal versetto 4 al versetto 15 del primo capitolo del Libro di Geremia dove, oltre al programma della Scuola, ci sono due visioni: un ramo di mandorlo (simbolo di accordo da perseguire) e una pentola che bolle (simbolo di distruzione da scongiurare).

LEGERE MULTUM….

Libro di Geremia  1, 4-16

Il Signore mi disse:

- Io pensavo a te prima ancora di formarti nel ventre materno. Prima che tu venissi alla luce, ti avevo già scelto, ti avevo consacrato profeta per annunziare il mio messaggio alle nazioni.

Io risposi:

- Signore mio Dio, come farò? Vedi che sono ancora troppo giovane (l’età minima per parlare in pubblico si aggirava sui trent’anni) per presentarmi a parlare.

Ma il Signore mi disse:

- Non preoccuparti se sei troppo giovane. Va’ dove ti manderò e riferisci quel che ti ordinerò. Non aver paura della gente, perché io sono con te a difenderti. Io, il Signore, ti do la mia parola.

Allora il Signore stese la mano, mi toccò la bocca e mi disse:

- Io metto le mie parole sulle tue labbra. Ecco, oggi ti do autorità sulle nazioni e sui regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare.

Il Signore mi domandò: - Geremia, che cosa vedi?

Io risposi: - Vedo un ramo di mandorlo.

Il Signore aggiunse: - Hai visto bene. Ricordati che anch’io sto ben attento perché si realizzi tutto quel che dico.

Il Signore mi domandò ancora: - Che cos’altro vedi?

Risposi: - Vedo una pentola che sta bollendo, inclinata da nord verso sud.

Il Signore mi spiegò:

«È proprio dal nord che si rovescerà la distruzione su tutti gli abitanti di questa regione. Io infatti sto per radunare tutte le tribù e i regni del nord. Essi verranno, e ogni re porrà il suo trono davanti alle porte di Gerusalemme. Circonderanno le sue mura e attaccheranno tutte le città di Giuda. Lo dico io, il Signore».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Non possiamo fare a meno di lasciarci sedurre da queste due visioni che probabilmente, in modo molto concreto, fanno parte della nostra esperienza… Che cosa ti ricorda “un ramo di mandorlo”? 

Scrivi quattro righe in proposito… 

Che cosa ti ricorda “una pentola che bolle”? 

Scrivi altre quattro righe in proposito…

     Gli ultimi quattro versetti (dal 16 al 19) del primo capitolo del Libro di Geremia sono opera, invece, degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”: dopo aver preparato il terreno danno la prima stoccata: vogliono distribuire su tutte le componenti sociali (nessuna della componenti sociali – i re, i capi, i sacerdoti e tutta la gente – ha ascoltato la voce del profeta) le responsabilità della sconfitta, della disfatta, dell’esilio, per affermare che nel nuovo Stato giudaico tutti dovrebbero avere le stesse responsabilità in modo da avere le stesse opportunità.

LEGERE MULTUM….

Libro di Geremia  1, 16-19

«Allora io punirò gli abitanti della Giudea per tutto il male che hanno commesso: hanno abbandonato me per offrire sacrifici a divinità straniere e per andare a buttarsi in ginocchio davanti a idoli che loro stessi si sono fabbricati. Ma tu tieniti pronto per andare a riferire loro quel che io ti ordinerò. Non aver paura di loro, altrimenti sarò io a farti tremare davanti a loro. Oggi io ti rendo capace di resistere, come una città fortificata, come una colonna di ferro e un muro di bronzo contro gli attacchi di questa regione: i re di Giuda, i suoi capi, i sacerdoti, tutta la sua gente. Si metteranno tutti contro di te, ma non potranno vincerti perché ci sarò io con te a difenderti. Te lo prometto io, il Signore!»

     Dal capitolo 2 al capitolo 23 del Libro di Geremia gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”, identificandosi con la figura del profeta (come già avevano fatto gli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia che si sono immedesimati nei profeti-pastori), consolidano l’idea che nel nuovo Stato tutti devono condividere le responsabilità. Fino al capitolo 22 si sostiene e si afferma che le colpe della sconfitta, della disfatta e dell’esilio sono state di tutto il popolo d’Israele nel suo complesso.

     Che cosa determina questa operazione semantica? Si comincia a determinare il fatto che la parola popolonon definisce più una realtà, ma diventa una parola che non nomina, che non dice nulla perché il termine popolo diventa il non luogo della politica, perché non è la classe, non è la moltitudine, non è la folla solitaria, non è la gente, non è il pubblico, non è l’audience, non è il mercato dei consumatori, non è la comunità, non è la società: la parola popolo, nel testo del Libro di Geremia, definisce un’astrazione.

     Però il capitolo 23 – che è molto significativo dal punto di vista letterario – contiene il testo di una sorta di Costituzione (chiamiamola così) con un forte ammonimento verso la nuova classe dirigente – di cui gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” fanno parte – e, in particolare, il testo si riferisce ai re (ai capi del mio popolo), e tratteggia anche l’immagine di una figura ideale di dirigente(questo è un brano molto famoso). Alla classe dirigente si chiede, con molta determinazione, che operi per realizzare una buona amministrazione dello Stato: è un testo di speranza per il futuro.

LEGERE MULTUM….

Libro di Geremia  23, 1-8

«Guai ai capi del mio popolo, - dice il Signore. - Sono come pastori che distruggono e disperdono il mio gregge». A proposito di questi pastori che dovrebbero prendersi cura del suo gregge, il Signore Dio d’Israele dice: «Voi avete rovinato e disperso il mio gregge e non ve ne siete occupati. Ebbene, io mi occuperò di voi e della vostra cattiva amministrazione. Radunerò io stesso quel che resta delle mie pecore da tutte le regioni dove le avevo disperse. Le farò ritornare ai loro pascoli, saranno feconde e aumenteranno di numero. Manderò ad esse pastori che avranno cura di loro e così non dovranno più temere né spaventarsi: non ne mancherà nemmeno una all’appello». Questo dice il Signore. «Verranno giorni nei quali io farò sorgere il germoglio di Davide, un suo discendente legittimo, - dice il Signore. - Questo re governerà con saggezza e attuerà il diritto e la giustizia nel paese. Durante il suo regno il popolo di Giuda sarà liberato e quello d’Israele vivrà sicuro.

Chiameranno il re con questo nome: Il Signore-nostra-salvezza [nostra-giustizia.

Il Signore dice: «Sta per venire il momento in cui la gente non dirà più: Giuro per la vita del Signore che ha fatto uscire il popolo d’Israele dall’Egitto…”.  Invece diranno: Giuro per la vita del Signore che ha fatto uscire i discendenti d’Israele dalla terra del nord, da tutte le regioni dove li aveva dispersi, e li ha riportati a vivere nella loro patria”».

     Queste ultime cinque righe che abbiamo letto sono un esempio tipico dello stile degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” che stanno revisionando le forme e i contenuti della Scrittura in funzione della costruzione del nuovo Stato giudaico e agiscono con molto pragmatismo: teniamo pure conto dei miti – affermano – come quello che rimanda al Libro dell’Esodo e all’uscita leggendaria del popolo d’Israele dall’Egitto ma, prima di tutto, facciamo i conti con la realtà odierna: i vari gruppi (i vari spezzoni, i vari resti) che tornano in patria da posti diversi (da Babilonia tornano a piccoli gruppi in un certo lasso di tempo), che tornano dai territori limitrofi (dal nord), devono trovare un accordo, devono fare un patto sociale, una nuova berit .

     La seconda parte del capitolo 23 contiene, per contro, una vera e propria raccolta (l’inizio del versetto 9 fa da titolo: Contro i profeti) di pronunciamenti contro i cattivi comportamenti dei profeti di corte(conosciamo già questa categoria troppo allineata nel fare gli interessi dei potenti a scapito di chi è subalterno: questo, nel nuovo Stato, non si deve più verificare) e contro i cattivi comportamenti dei sacerdoti troppo dediti al culto come rendita economica (tanto da trasformarlo in superstizione) piuttosto che come strumento di educazione per favorire buone pratiche sociali. Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” stigmatizzano il fatto che i sacerdoti sentano come un pesoil fatto di dover educare alle virtù civiche (considerate un peso) prescritte dalla Legge: preferiscono insegnare ad ingraziarsi la divinità con un rito a pagamento (si cita il dio Baal) piuttosto che invogliare i membri della comunità a fare il proprio dovere (è un peso fare il proprio dovere?) e a rispettare la Legge (è un peso rispettare la Legge?) uguale per tutti.

     Leggiamo la seconda parte del capitolo 23:

LEGERE MULTUM….

Libro di Geremia  23, 9-40

Contro i profeti (questo è l’inizio del versetto 9 che ha una funzione di titolo per introdurre la seconda parte del capitolo 23). Mi si spezza il cuore nel petto, mi sento tutto tremare. Mi sembra d’essere ubriaco, stordito dal troppo vino. È stato a causa del Signore, il Santo, e delle cose che mi ha detto. Il paese è pieno di gente adultera: si precipitano tutti verso il male e sprecano la loro forza in modo disonesto. Perciò il Signore ha maledetto questa terra, l’ha riempita di lutto, ha disseccato tutti i suoi pascoli.

Il Signore dice: «Anche i profeti (di corte) e i sacerdoti sono diventati senza scrupoli: li ho sorpresi a commettere il male perfino dentro il mio tempio. Perciò li farò camminare su una strada sdrucciolevole, brancoleranno nel buio, si urteranno e cadranno a terra. Questa è la sciagura che manderò su di loro quando li punirò. Lo dico io, il Signore. A Samaria avevo visto che i profeti si comportavano da stupidi: essi parlavano in nome di Baal e allontanavano da me il mio popolo. Ma a Gerusalemme vedo che i profeti compiono addirittura azioni orribili: commettono adulterio e vivono di menzogne, incoraggiano a fare il male e così nessuno smette di comportarsi in modo disonesto. Per me, i profeti e gli abitanti di Gerusalemme si sono resi colpevoli come gli abitanti di Sodoma e Gomorra». Perciò questa è la sentenza che il Signore dell’universo pronunzia contro i profeti: «Li costringerò a mangiare erbe amare e a bere acqua avvelenata, perché i profeti di Gerusalemme hanno contaminato tutta la mia terra».

Così dice il Signore dell’universo: «Non date retta a quel che vi dicono questi profeti: parlano, parlano, ma vi riempiono la testa di illusioni vane. Le visioni che vi descrivono sono frutto della loro immaginazione; non gliele ho mandate io. Essi ripetono con insistenza a quelli che mi disprezzano: Vi andrà tutto bene! Lo garantisce il Signore!. A tutti quelli che insistono a fare di testa propria essi assicurano: Non vi accadrà niente di male.

Nessuno di loro ha conosciuto i miei progetti, nessuno ha visto o sentito le mie decisioni, nessuno è stato attento alla mia parola e vi ha ubbidito».

Ed ora il furore del Signore si scatena come una tempesta, come un uragano travolgente si abbatte sulla testa dei malvagi. L’indignazione del Signore non si calmerà finché egli non avrà portato a termine quel che aveva deciso di fare. Un giorno, anche voi comprenderete tutto chiaramente.

Il Signore dice: «Io non ho mandato questi profeti e tuttavia essi vanno di corsa; io non ho rivolto loro la mia parola, eppure essi parlano a nome mio. Se avessero conosciuto i miei progetti, avrebbero riferito le mie parole e avrebbero esortato il mio popolo a non comportarsi più in modo disonesto, a non compiere azioni malvagie».

Il Signore domanda: «Credete che io sia un Dio dalla vista corta, che non possa vedere anche da lontano? Anche se uno cerca di nascondersi nei luoghi più segreti, credete che io non possa vederlo? Non sapete che io sono presente ovunque, in cielo e sulla terra? Così dice il Signore».

«Ho sentito quel che dicono i profeti quando pretendono di parlare a nome mio e annunziano menzogne. Essi dicono: Ho avuto un sogno! Ho avuto una visione!. Per quanto tempo andrà avanti cosi? Che cos’hanno in mente questi profeti quando annunziano cose false, quando raccontano le fantasie che si sono inventate? Si raccontano l’un l’altro i sogni e così credono di convincere il mio popolo a dimenticarsi di me, come hanno fatto i loro antenati quando si sono rivolti a Baal.

Se un profeta fa un sogno, lo racconti come tale. Invece il profeta che ha avuto il mio messaggio, lo proclami con fedeltà. Non confondete la paglia con il grano! La mia parola è come il fuoco, e come un martello che frantuma la roccia! Lo dice il Signore»«Perciò io mi metto contro i profeti che si rubano l’un l’altro le parole e le annunziano come mie. Mi metto contro questi profeti che parlano, parlano e pretendono di rispondere alla gente a mio nome, - dice il Signore. - Mi metto contro quelli che scambiano sogni fantasiosi per profezie. I loro racconti sono menzogne e invenzioni che allontanano da me il mio popolo. Ma io non li ho inviati, non ho dato nessun ordine. Essi non daranno nessun aiuto a questo popolo. Ve lo assicuro io, il Signore».

Il Signore disse a Geremia: «Quando la gente, o un profeta, o un sacerdote ti chiederanno: Qual è il messaggio del Signore, quale peso ci impone?, tu risponderai loro. Siete voi un peso per il Signore ed egli si sbarazzerà di voi. Se un profeta, o un sacerdote o qualche altro dirà ancora che il messaggio del Signore è un peso, io punirò lui e la sua famiglia. Parlando tra di voi, usate piuttosto queste frasi: Che cosa ha risposto il Signore? Che cosa ha annunziato il Signore?. Smettetela di parlare di peso del Signore, altrimenti questa frase diventerà un vero peso per chi la dice. Infatti voi avete interpretato a rovescio le parole del Dio vivente. Signore dell’universo e Dio d’Israele.

«Ai profeti domanderete: Che cosa ha risposto il Signore? Che cosa ha annunziato il Signore?. Se invece continuerete a parlare di peso del Signore contro la mia volontà, vi assicuro che vi prenderò e vi getterò lontano come un peso insopportabile, voi e la vostra città, anche se io stesso l’avevo data ai vostri antenati e a voi. Vi coprirò per sempre di infamia e vergogna e non ve ne dimenticherete più!»

     I primi 23 capitoli del Libro di Geremia scritti dagli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” conducono alla seconda stoccata che gli autori vogliono sferrare con il testo del capitolo seguente,  il capitolo 24. Il capitolo 24 del Libro di Geremia contiene la famosa immagine delle due ceste di fichi. Con questo testo allegorico – che richiama in modo disordinato (ma è una costante nei Libri della Bibbia) avvenimenti e personaggi storici – gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” vogliono fare una distinzione (visto che una classe dirigente è indispensabile e considerato che non si può fare di ogni erba un fascio) tra classe dirigente responsabile (i fichi belli) e classe dirigente irresponsabile (i fichi marci). In esilio – ci tengono a puntualizzare gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” – la classe dirigente ebraica è diventata più responsabile perché il tempo dell’esilio lo ha decretato Dio stesso e secondo il midrash, secondo il racconto cerimoniale, messo a punto dagli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” è il Dio d’Israele – leggiamo nel testo del Libro di Geremia – che ha guidato Nabucodonosor in questa azione punitiva contro il regno di Giuda. Nella fucina dell’esilio la classe dirigente ebraica deportata ha potuto, di generazione in generazione, temprarsi e ha saputo, di generazione in generazione, costruire una futura rinascita in modo che – quando Dio ha deciso di liberare il suo popolo ispirando e guidando, questa volta, Ciro il Grande – la nuova classe dirigente è potuta tornare nella terra di Canaan con il titolo di resto d’Israelee soprattutto con le competenze necessarie (e il patrimonio della Scrittura composto a Babilonia giustificava il fatto che l’esilio era stato una benedizione) per edificare il nuovo Stato giudaico: rinnovato, purificato, degno di ricevere la Legge del Signore.

     Leggiamo il capitolo 24:

LEGERE MULTUM….

Libro di Geremia  24

Nabucodonosor re di Babilonia aveva fatto prigionieri a Gerusalemme Ieconia re di Giuda e figlio di Ioiakim, i capi del popolo, gli artigiani, i fabbri (gli scrivani) e li aveva condotti a Babilonia. Qualche tempo dopo questi avvenimenti, il Signore mi fece notare due ceste di fichi lasciati da qualcuno davanti al tempio del Signore. In una cesta c’erano fichi bellissimi, di prima scelta, mentre nell’altra c’erano quelli di scarto, addirittura immangiabili.

Il Signore mi disse: «Geremia, che cosa vedi?». Io risposi: «Vedo dei fichi: quelli belli sono davvero straordinari, quelli di scarto sono così guasti che non si possono mangiare». Allora il Signore mi fece capire il suo messaggio: «Fa piacere guardare questi bei fichi! Così io guardo con benevolenza la gente di Giuda che ho fatto deportare a Babilonia la tratterò con bontà. Lo dico io, il Signore, Dio d’Israele. Mi interesserò di loro per liberarli e li farò ritornare in questa terra. Li ricostruirò come nazione e non li abbatterò più. Li pianterò saldamente e non li sradicherò mai più. Li renderò capaci di riconoscere che sono il Signore. Allora essi saranno davvero il mio popolo e io sarò il loro Dio, perché ritorneranno a me con tutto il cuore.

«Invece, riguardo a Sedecia re di Giuda, ai suoi ministri, a quelli che sono rimasti a Gerusalemme e nel resto della regione o si sono stabiliti in Egitto, ecco che cosa farò: li tratterò come questi fichi cattivi e immangiabili. Lo dico io, il Signore. Li butterò via, lontano, da ogni parte. Essi saranno per tutti i regni della terra un motivo di spavento; saranno derisi e insultati; saranno disprezzati e maledetti. Manderò contro di loro la guerra, la fame e la peste finché non siano scomparsi tutti dalla terra che io avevo dato ai loro antenati e a loro».

     Con la voce di Geremia gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” vogliono dare una spiegazione ai loro contemporanei – membri del nuovo Stato giudaico – sul significato utile, pragmatico, della tragedia dell’esilio. La figura di Geremia rappresenta un movimento dissidente che, negli anni dei re corrotti (tra il 609 e il 587 a.C.), spera di poter convincere il popolo ad evitare la catastrofe nazionale. Il movimento che s’incarna nella figura di Geremia si oppone ai re, ai capi, all’opinione pubblica, ma non riesce a far mutare la situazione, riesce solo ad elevare a Dio i suoi lamenti. Quando la catastrofe si rivela inevitabile il movimento dissidente in cui si prefigura il personaggio di Geremia (in cui riconosciamo lo stile – lo stile del proclama di Amos – degli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia) afferma la necessità di accettare il predominio dei Babilonesi per evitare ulteriori dolori, ulteriori spargimenti di sangue, per questo motivo il personaggio di Geremia (il movimento dissidenteche raffigura) ha subito l’accusa di disfattismo e di tradimento come se la colpa fosse di chi metteva in guardia dal peccato e non dei peccatori.

     Con il capitolo 25 inizia la seconda parte (dal capitolo 25 al 35) del Libro di Geremia. Quando si arriva a leggere il capitolo 25 del Libro di Geremia ci si accorge che tutto il racconto ricomincia da capo perché così cominciava il Libro di Geremia nella prima versione: la versione scritta a Babilonia nei Laboratori di costruzione del testo degli scrivani della seconda generazione in esilio. Siccome (come abbiamo studiato ora) gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” hanno aggiunto al Libro i primi 24 capitoli ecco che il capitolo 25 del Libro di Geremia corrisponde all’inizio della prima versione del Libro scritta durante l’esilio babilonese (tra il 570 e il 560 a.C.). In questa seconda parte (ex prima parte, ex inizio della prima versione) per dieci capitoli (dal 25 al 35) – di cui si consiglia la lettura – si racconta la missione di Geremia e tutta una serie di avvenimenti (slegati tra loro) della vita del profeta. Naturalmente gli scrivani dalla seconda generazione in esilio a Babilonia inseriscono nel testo molti elementi che riguardano la loro condizione, le loro aspirazioni, le loro speranze: sappiamo che la seconda generazione in esilio a Babilonia è quella dei figli (cresciuti in esilio), è la generazione del proclama di Amos e, a questo proposito, è interessante leggere la prima parte del capitolo 29 intitolato Lettera di Geremia (ogni tanto ricompare il genere letterario delle lettere) in cui s’immagina che il profeta scriva da Gerusalemme ai deportati a Babilonia per invitarli ad inserirsi, ad integrarsi nel paese dove sono prigionieri.

     Leggiamo un frammento significativo del capitolo 29 del Libro di Geremia:

LEGERE MULTUM….

Libro di Geremia   29,  4-7

Questo è il messaggio del Signore dell’universo, Dio d’Israele, per tutti quelli che ha fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia: Costruite case e abitatele, coltivate orti e mangiatene i frutti. Prendete moglie e abbiate figli e figlie. Date moglie ai vostri figli e marito alle vostre figlie perché abbiano anch’essi molti bambini. Crescete di numero lì dove siete, e non diminuite. Lavorate per il benessere della città dove vi ho fatti deportare e pregate il Signore per lei, perché il vostro benessere dipende dal suo. …

     Le parole di questa lettera, attribuita a Geremia (di cui si consiglia la lettura integrale), traducono il pensiero degli scrivani della seconda generazione in esilio a Babilonia: con queste parole vogliono ribadire che è necessario fare i conti con questa situazione, che bisogna smettere di lamentarsi ed è doveroso assumersi delle responsabilità. Leggendo questi capitoli (dal 25 al 35) del Libro di Geremia si colgono gli elementi del proclama di Amos: un tema che abbiamo studiato a suo tempo.

     Con il capitolo 36 ha inizio la terza parte del Libro di Geremia e la composizione di questa terza parte (dal capitolo 36 al 52) è ancora una volta nelle mani degli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]”. Con il capitolo 36 è come se il Libro di Geremia ricominciasse un’altra volta (per la terza volta) da capo. Il capitolo 36 è un punto-cardine per tutto il Libro, infatti, gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” inseriscono qui un testo molto interessante con il quale vogliono giustificare – ancora una volta con un macchinoso racconto allegorico – in che modo è stata scritta quest’opera che si presenta complessa, disordinata, di difficile lettura, ma soprattutto gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” devono trovare una giustificazione al loro lavoro di ristrutturazione dei testi della Scrittura, al loro intervento di revisione sulle opere del patrimonio letterario scritto a Babilonia.

     Che cosa raccontano gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” a proposito della ricostruzione, della riscrittura del Libro di Geremia che loro hanno realizzato in funzione della nuova situazione politica creatasi dopo l’esilio? Raccontano che Geremia non ha scritto questo Libro ma ha affidato il compito di comporlo a un personaggio che si chiama Baruc e fa lo scrivano.  Con questa significativa metafora vogliono alludere al fatto che loro – gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” – stanno completando il lavoro di Baruc e stanno portando a termine la missione di Geremia. Certamente gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” non si sono assunti un compito facile perché devono far fronte – come abbiamo studiato all’inizio di questo itinerario – ad una situazione di forte conflittualità che si crea nel momento della costituzione del nuovo Stato giudaico: la classe aristocratica, il ceto produttivo, la massa degli ebionim (dei diseredati) rivendicano un ruolo privilegiato, e ciascuna di queste componenti pretende di essere il resto d’Israele, vuole essere considerata la componente di base della nuova Nazione.

     Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” compiono una straordinaria operazione politico-istituzionale: intervengono sulla Scrittura – in particolare sui Libri dei Re (e già abbiamo studiato questo tema), sul Libro di Geremia (su cui questa sera abbiamo puntato l’attenzione), sul Libro di Isaia (di cui dobbiamo prossimamente occuparci) e sul Libro del Deuteronomio (stiamo preparando il terreno per studiare questa importante opera) – per attribuire (senza fare un’affermazione esplicita) a ciascuna delle componenti sociali in conflitto tra loro la dignità di resto d’Israele.

     Ma la riflessione su questo tema assai complesso – che condiziona il movimento della sapienza poetica beriticadopo l’esilio babilonese – deve continuare e continuerà nell’itinerario della prossima settimana.

     Adesso, in conclusione, – e in funzione della didattica della lettura e della scrittura – non è possibile resistere al richiamo della parola resto. E la parola resto rimanda inevitabilmente al titolo di un romanzo che narra una  situazione che s’innesta nel tema che stiamo trattando: il tema dell’unità nazionale e il fatto che questa situazione venga determinata da una Costituzione e dalla crescita culturale della popolazione che deve prendere coscienza dei propri diritti e assumersi la responsabilità dei propri doveri.

     Il romanzo di cui stiamo parlando – e che abbiamo già incontrato in un altro Percorso qualche anno fa (questo significa che qualcuna o qualcuno di voi lo ha già letto, ma è probabile che non tutti lo conoscano) – s’intitola Il resto di niente. Questo romanzo è stato scritto, nel 1986, da Enzo Striano (1927-1987), uno scrittore che di lavoro ha fatto l’insegnante e che ha voluto raccontare, da intellettuale napoletano, uno degli avvenimenti storici più importanti del 700, che chiude la storia di questo secolo: la proclamazione, la breve vita e la fine della Repubblica napoletana del 1799, uno dei contraccolpi più drammatici e creativi della Rivoluzione francese.  Enzo Striano racconta gli avvenimenti della Repubblica napoletana del 1799, attraverso la vita di una protagonista di questa avventura: la marchesa Eleonora Pimentel de Fonseca.

     Eleonora Pimentel de Fonseca, chiamata fin da piccola Lenòr, è stata giustiziata il 20 agosto 1799: era nata a Roma da una nobile famiglia portoghese che si era trasferita a Napoli: volete sapere perché? Leggete (o rileggete) questo romanzo.

     Lenòr era alta, aveva belle forme, aveva occhi e capelli neri; era un’affascinante oratrice, una poetessa, e una persona vivace e fantasiosa: volete sapere come si sa esprimere Lenòr, soprattutto in poesia? Leggete (o rileggete) questo romanzo.

     Eleonora Pimentel de Fonseca è stata amica di Metastasio e ha frequentato giuristi, filosofi, artisti, musicisti come Paisiello e Cimarosa: volete fare un tuffo nella Napoli illuminista di fine 700? Ebbene, leggete (o rileggete) questo romanzo.

     Lenòr, come molti intellettuali illuministi a Napoli, abbraccia gli ideali della Rivoluzione francese e si conquista il titolo di marchesa giacobina. La monarchia dei Borboni (Ferdinando di Borbone e Maria Carolina d’Austria, la sorella di Maria Antonietta, la regina dei Francia), a Napoli, coltiva propositi  antiriformatori e reazionari. Nell’estate del 1798, Lenòr, insieme a molti altri intellettuali illuministi, viene arrestata, accusata di attività rivoluzionarie, ma nell’inverno del 1798 viene liberata nel corso dei moti popolari che precedono la proclamazione della Repubblica partenopea: il 21 gennaio 1799. Volete conoscere questi avvenimenti? Leggete (o rileggete) questo romanzo.

     Lenòr si impegna attivamente nel comitato rivoluzionario che scrive la Costituzione: la scrittura della Costituzione della Repubblica napoletana è un atto importante nella storia dell’Europa democratica e memorabili sono le pagine in cui Enzo Striano racconta le animatissime discussioni all’interno del gruppo costituente che svolge un formidabile lavoro di traduzione pratica della Carta dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, ma emergono, dal testo del romanzo, anche i limiti di comunicazione che questo gruppo dirigente ha con il popolo e, questo errore, sarà fatale. La Costituzione partenopea – un grande documento democratico che riconosce al popolo napoletano la sovranità – viene scritta in francese, in un salotto tutto sottosopra.

     In questo salotto l’autore del romanzo ci fa incontrare gli illuministi napoletani che hanno vissuto, in modo eroico, questa gloriosa pagina di storia: tutti hanno pagato di persona e quindi riscuotono la nostra simpatia. Il più importante di questi personaggi è Mario Pagano (1748-1799) autore dei Saggi politici, e poi Jeròcades, Cirillo, Conforti, Meola, Primicerio, Guidi, Pignatelli, Ruvo, Astore, Delfico, Lauberg, Lomonaco, Manthonè, Marra, Ciaia e Gennaro Serra: se leggete (o rileggete) questo avvincente romanzo potete incontrare questi bei personaggi, scomodi, che non fanno parte della memoria collettiva.

     Eleonora Pimentel de Fonseca, da sola, si è impegnata fino in fondo in un’impresa di comunicazione molto significativa che la rende per sempre, nella nostra memoria, erede di una grande tradizione. Possiamo dire – sulla scia dell’itinerario che stiamo percorrendo – che Eleonora Pimentel de Fonseca è prima di tutto una straordinaria scrivana che sa unire la cultura orfica alla cultura beritica: infatti dal 2 febbraio 1799 (vogliamo celebrare un anniversario, 209 anni fa) dirige, scrive e divulga il Monitore Napolitano, il giornale che avrebbe dovuto informare una larga fascia di cittadine e cittadini napoletani, il popolo, sulle idee di fraternità, uguaglianza, libertà. Con questo giornale la redattrice vuole rendere edotto il popolo sovrano della Repubblica Partenopea sui priori diritti e sui propri doveri proclamati dalla Carta costituzionale.

     Ma il 13 giugno le truppe monarchiche (i capi erano quasi tutti briganti) guidate dal cardinale Ruffo – che aveva saputo far bene propaganda, giocando abilmente sull’ignoranza e sulla superstizione – riconquistano Napoli e la repressione è durissima: un vero e proprio eccidio, e anche Lenòr viene condannata a morte e impiccata sulla piazza del Mercato. Quando sale sul patibolo con dignità e sicurezza, davanti al popolo che avrebbe voluto riscattare culturalmente, e che aveva subito cambiato bandiera soprattutto per ignoranza, declama un famoso verso dell’Eneide di Virgilio: Forsan et haec olim meminisse iuvabit [Forse un giorno sarà bello ricordare anche questo]”...

     Oggi vogliamo soprattutto ricordare la Lenòr nella sua funzione di scrivana, di efficacissima redattrice dei trentacinque numeri del Monitore Napolitano: quattro pagine di impegno culturale e sociale contro l’ignoranza e contro l’ingiustizia.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Prova a cercare sulla rete di internet notizie sul Monitore Napolitano

     L’itinerario di questa sera termina qui, con un personaggio, una donna, che opera e che muore per una causa importante: il diritto e il dovere delle cittadine e dei cittadini ad essere educati e ad educarsi ai princìpi della democrazia. Leggiamo, per concludere, un frammento da Il resto di niente:

LEGERE MULTUM….

Enzo Striano,  Il resto di niente (1986)

Appaiono nuovamente impazienti, vede correre fremiti. Si stancano presto, come, appunto, succede ai bambini, non possono sopportare impegni troppo a lungo. Per un attimo fissa lo sguardo su uno vestito da marinaio. Accigliato, anche lui la fissa. Ma, forse, sono le allucinazioni di chi sta per morire. È Vincenzo Sanges? È lui? Addio, addio anche a te, Vincenzo. Caro Vincenzo della mia giovinezza in questa cara città. Amore mio tu pure, ovunque ti trovi adesso. Speriamo che riesca a salvarti.  Alza gli occhi, verso il mare, che s’è fatto celeste tenero. Come il cielo, come il Vesuvio grande e indifferente. Un piccolo sospiro di rimpianto. Non osa chiedere: vorrebbe, però. Ritrovarli tutti nell’abbraccio di Dio sarebbe bello. Così, invece, che rimane? Niente. Il resto di niente.

Vacilla. Mastro Donato il boia la sorregge, poi la spinge, con delicatezza. Le tiene una mano per farla salire sopra lo scaletto. Prima di dare il calcio la guarda, con occhio serio, un po’ aggrondato [pensieroso]

     Gli scrivani del Codice Priester [del Codice sacerdotale]” compiono una straordinaria operazione politico-istituzionale: intervengono sulla Scrittura per attribuire (senza fare un’affermazione esplicita) a ciascuna delle componenti sociali del nuovo Stato giudaico, in conflitto tra loro, la dignità di resto d’Israelein modo che tutti abbiano – piuttosto che il resto di niente – un restoin cui riconoscersi. Per conoscere, per avere il resto di questo Percorso: il viaggio continua.

     Questi itinerari sono lunghi e pesanti ma: Forsan et haec olim meminisse iuvabit, Forse un giorno sarà bello ricordare anche questo...

     La Scuola è qui, correte

 

Lezione del: 
Venerdì, Febbraio 1, 2008