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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE, CON LA SCOPERTA DELL’ALBERO DI PORFIRIO E IL DIBATTITO INTORNO ALLA QUESTIONE DEGLI UNIVERSALI, PRENDE FORMA LA FILOSOFIA CRISTIANA ...

Lezione N.: 
5

Prof. Giuseppe Nibbi    La sapienza poetica e filosofica dell’età medioevale            5-6-7  novembre  2014

Ipazia

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE,

CON LA SCOPERTA DELL’ALBERO DI PORFIRIO

E IL DIBATTITO INTORNO ALLA QUESTIONE DEGLI UNIVERSALI, 

PRENDE FORMA LA FILOSOFIA CRISTIANA  ...

 

   Siamo al quinto itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale” e, come sapete, ci troviamo di fronte al “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini”.

   Nel paesaggio che abbiamo di fronte, come sappiamo, risaltano quattro concetti-cardine che corrispondono alle parole-chiave: Dio, il Mondo, l’Essere umano e l’Anima: e il sistema legato a questi quattro concetti-fondamentali è ancora fortemente radicato nella nostra mente.

   Questi quattro concetti-cardine [Dio, il Mondo, l’Essere umano e l’Anima] – che costituiscono i lati del perimetro che contiene l’immagine “medioevale” dell’Universo – sono, come sappiamo, nella loro essenza, termini di stampo neoplatonico: il “Dio-trinitario” cristiano [Padre-Figlio-Spirito Santo] ha la stessa forma della triade Uno-Intelletto-Anima [En-Nous-Psiche] delle Enneadi di Plotino, il “Mondo creato” ha la stessa struttura del Timeo di Platone, “l’Essere umano” è un soggetto corredato dalle virtù prescritte dall’Etica Nicomachea di Aristotele e ragiona con le categorie dell’Isagoge di Porfirio e “l’Anima immortale” è un oggetto di stampo orfico-dionisiaco, modellato da Platone e sagomato dalle Scuole ellenistiche [epicuree, stoiche, scettiche, eclettiche].

   E, proprio per la loro energia intellettuale, questi concetti-cardine sono serviti gradualmente [secolo dopo secolo, e lo abbiamo studiato in questi ultimi anni, pensiamo a Clemente Alessandrino, a Origene, a Giustino, a Gerolamo: solo per fare quattro nomi significativi] a rafforzare la dottrina cristiana fino a renderla egemone sul territorio dell’Ecumene e ora, alla fine del IX secolo, questi concetti ibridi, neoplatonico-cristiani, vengono utilizzati dagli intellettuali scolastici [a cominciare da Giovanni Scoto Eriùgena che traduce il Dionigi Areopagita di Proclo, l’Isagoge di Porfirio e i Dialoghi di Platone] per porre le basi della Filosofia cristiana: qui comincia, nel “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini”, l’avventura della Filosofia cristiana e comincia in sordina perché i pensatori cristiani [da Clemente Alessandrino, a Origene, a Giustino, a Gerolamo] si erano sempre chiesti se fosse lecito, se fosse possibile che la buona notizia della risurrezione di Gesù [il vangelo] potesse diventare una “filosofia” e, difatti, per ora, avevano sempre operato perché fosse “il vangelo” a fare breccia nei sistemi “filosofici ellenistici” già esistenti e ben strutturati, come il Neoplatonismo che era stato “costretto” – con la composizione del Dionigi Areopagita – a cristianizzarsi.

   Il primo dei quattro concetti-cardine [Dio, il Mondo, l’Essere umano e l’Anima] di cui ci siamo occupate ed occupati nelle scorse settimane è quello dell’Anima. Il concetto-cardine dell’Anima immortale ha avuto un maggior peso nel dibattito culturale alle origini della Scolastica perché la penetrazione dell’idea dell’Anima immortale nel territorio della dottrina cristiana [senza che ci fosse alcuna presa di posizione ufficiale da parte della gerarchia ecclesiastica] ne ha fortemente rafforzato la struttura. Gli intellettuali della Scolastica nell’intento di conferire al concetto dell’Anima una “natura cristiana” studiano il pensiero di Platone – sappiamo che i testi dei Dialoghi di Platone sono stati tradotti in latino da Giovanni Scoto Eriùgena attraverso la mediazione araba, la Scuola di Toledo, e costituiscono un’assoluta novità in Occidente [si parla della “scoperta di Platone” nel paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini] – e formulano l’ipotesi che anche l’Anima cristiana sia “un’Idea sublime”, vale a dire: un’entità spirituale, eterna, immutabile, eccelsa e preziosa, simile all’Idea del Bene e proveniente dal Mondo delle Idee [dall’Iperuranio] platonico [e questa è l’immagine preminente che noi continuiamo ad avere dell’Anima anche in Età contemporanea].

   Gli intellettuali della Scolastica, studiando i testi dei Dialoghi, scoprono che Platone ha sì le idee chiare sulla natura delle idee [entità spirituali, eterne, immutabili, sublimi] ma è incerto nel definire la loro provenienza e la loro collocazione [le Idee stanno nell’Iperuranio, stanno nella nostra mente, stanno nelle cose?]; allora ricevono uno stimolo intellettuale [Platone è “profetico” in questo senso per il movimento della Scolastica perché il suo è un “pensiero aperto”] e iniziano ad esprimere i loro pareri, cominciando a codificare [a scrivere sotto forma di “trattato”] le proprie opinioni in relazione alla provenienza e alla collocazione delle Idee e, soprattutto, cominciano a confutare le idee degli altri in proposito [«Si confutano con le idee le idee sulle Idee» direbbe Achille Campanile giocando con le parole].

   Il tema dell’Anima immortale passa in secondo piano – si dà per scontato che l’Anima sia “un’Idea sublime” – e sulla scena appare un nuovo argomento che porta gli intellettuali della Scolastica verso uno stadio più avanzato sul piano culturale: si tratta di capire da dove vengano e dove siano collocate le Idee e questo esercizio comporta l’acquisizione di competenze sul piano della riflessione a cominciare dallo studio di quello strumento, legato alla “logica”, che si chiama la “dialettica”. Lo strumento della “dialettica” attira l’attenzione degli intellettuali della Scolastica come “dispositivo per decodificare la Realtà” e, in tal senso, questo strumento finisce per essere identificato con “l’attività stessa della Ragione” e non solo come una “tecnica per esprimersi nel modo migliore possibile”.

   L’emergere dell’importanza dello “strumento dialettico” è dovuta al fatto che Giovanni Scoto Eriùgena,  dopo averlo reperito alla Scuola di Toledo, traduce, dal greco in latino [facendo sì che si diffonda in Occidente tra gli intellettuali della Scolastica alle sue origini], il testo dell’Isagoge di Porfirio [e, dopo la scoperta di Platone, assistiamo, nel paesaggio intellettuale della Scolastica, alla “scoperta di Porfirio”: una scoperta molto importante perché il pensiero di Porfirio diffonde gli elementi della Logica di Aristotele]. L’Isagoge di Porfirio era già stata tradotta in latino, intorno al 523, da Severino Boezio con titolo di De quinque vocibus perché aveva utilizzato un testo greco intitolato Peri ton pente phonon [Le cinque voci] che però era piuttosto edulcorato e privo di molte sue parti. Nel testo dell’Isagoge di Porfirio si esplicita che ogni concetto per essere vero deve essere analizzato in una prospettiva “categoriale [o dialetticamente predicabile, secondo la Logica di Aristotele che però Porfirio interpreta in senso neoplatonico]” perché ogni idea rientra in un’idea più generale, di maggiore estensione e di minore comprensione, finché non giunge al concetto più ampio e meno comprensibile, oltre il quale non si può andare, al quale Aristotele ha dato il nome di “categoria”. Tra poco osserveremo l’Isagoge di Porfirio: la scoperta di quest’opera ha avuto un influsso notevole sullo sviluppo del pensiero della Scolastica.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di queste parole – classe, serie, specie, genere, ordine, divisione, parte, grado, gruppo, o quale altra … - mettereste per prima accanto alla parola “categoria”…

Voi a quali “categorie” pensate di appartenere?…

Fate l’elenco per iscritto

 

   Sul tema della provenienza e della collocazione delle Idee si sviluppa un vivace dibattito che ben presto diventa un duro scontro tra diverse correnti di pensiero. Ed è proprio sulla scia della polemica intellettuale, suscitata da questo tema, che comincia a prendere forma la Filosofia cristiana. Con il “tema della provenienza e della collocazione delle Idee” si sviluppa – nell’ambito del movimento della Scolastica – una significativa e grande questione: la famosa “questione degli universali”. Di che cosa si tratta?

   Prima di affrontare la complessa “questione degli universali” è bene che ci rendiamo conto che anche i nostri compagni di viaggio, Millemosche, Pannocchia e Carestia, vorrebbero riflettere sulla ragione per cui uno di loro dice «Quelli sono mercenari che assediano un castello» e l’altro controbatte dicendo «Quello è un castello assediato dai mercenari». Loro non hanno tempo per riflettere sul perché stanno guardando il mondo in modo diversificato: hanno altro a cui pensare e noi – prima di dedicarci alla “scoperta di Porfirio ” [dell’albero di Porfirio] e alla complessa “questione degli universali” – siamo curiosi di sapere che cosa combinano i nostri anti-eroi leggendo un altro episodio da Storie dell’anno Mille.

 

LEGERE MULTUM….

Tonino Guerra  Luigi Malerba,  Storie dell’anno Mille

MEGLIO DI GUERRA CHE DI FAME

Un mucchio di pietre rosse al sole insieme a una lucertola verde al sole anche lei sul mucchio di pietre rosse. Poi una mano magra e sporca. La lucertola si nasconde in una crepa. Adesso vengono fuori tre teste piene di capelli e sei occhi delusi perché la lucertola è scappata. C’è molta stanchezza in quelle facce e in quegli occhi e anche molta fame. Sono Millemosche Pannocchia e Carestia. Davanti a loro c’è una valle con ciuffi di piante selvatiche e pietre rotolate chissà da dove e al centro un castello e intorno al castello una quantità di tende e soldati a piedi e a cavallo.

«Quelli sono mercenari che assediano un castello».

«E quello è un castello assediato dai mercenari».

... continua la lettura ...

 

   E ora andiamo ad assediare [si fa per parafrasare, perché siamo noi le assediate e gli assediati dalle correnti scolastiche] la complessa “questione degli universali” senza dimenticare che questa “questione” dipende dalla “scoperta di Porfirio”. Prima di tutto dobbiamo rispondere alla domanda: che cosa sono gli “universali”?

   Il problema degli “universali” riguarda le idee, che si possono distinguere in “singolari” e “universali [di qui il nome dato a questo tema]”. Le idee “singolari” sono quelle che riguardano un singolo oggetto, e si riferiscono a tutti i nomi propri: il nostro nome, il nome della città dove siamo nate e nati, il nome del nostro gatto e via dicendo, sono idee “singolari”. Se invece l’idea si riferisce a un’intera categoria di individui si dice “universale”, per esempio l’idea di pianta, l’idea di animale, l’idea di persona, e pertanto esprimono idee “universali” quasi tutti i nomi comuni.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Ricordate quando facevate l’analisi grammaticale alla Scuola elementare: come ve la cavavate con il riconoscimento delle “parti del discorso [verbi, nomi, aggettivi, pronomi, preposizioni, congiunzioni, avverbi]”?…   

Scrivete quattro righe in proposito…

 

   A sollevare il problema degli “universali” era stato già, all’inizio del IV secolo, Porfirio di Tiro con il celebre scritto intitolato Isagoge – in greco “isagoge” significa “introduzione” – e quest’opera è un breve trattato che commenta il testo de Le categorie di Aristotele. Prima di osservare la forma e il contenuto dell’Isagoge in funzione del tema che stiamo trattando dobbiamo fare una riflessione sul personaggio di Porfirio e sulla sua opera di importante intellettuale neoplatonico: perché nel “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini” si parla di “scoperta [o riscoperta] di Porfirio”?

   Porfirio di Tiro [232 circa - 305 circa] – il cui vero nome era Malchos [o Malkos] – ha un merito grandissimo di carattere filologico sul piano della Storia del Pensiero: come si può non ricordare che Porfirio ha raccolto gli scritti di Plotino [il suo maestro] in cinquantaquattro Libri, distribuendoli, per argomenti, in sei Enneadi cioè in sei parti di nove Libri ciascuna [in greco “enneade” significa un “insieme di nove oggetti”] e le Enneadi di Plotino sono una delle opere più importanti della Storia del Pensiero Umano: un’opera senza la quale saremmo meno ricchi sul piano culturale, senza la quale in Età scolastica, l’epoca del nostro viaggio, non ci sarebbe stata una Filosofia cristiana e, quindi, questa sera avremmo molte meno cose da raccontare senza la collaborazione di Porfirio. E dobbiamo ricordare ancora una volta che nell’affresco intitolato La Scuola di Atene, dipinto da Raffaello [dal 1508 al 1510] su commissione di papa Giulio II, la figura di Plotino è quella che, senza dare troppo nell’occhio, sta più in alto di tutte le altre figure e ha in volto i lineamenti di papa Giuliano della Rovere [Giulio II] e il “piede di Plotino” [sebbene nell’affresco risulti meno appariscente] sembra avere un’importanza simbolica persino maggiore [con questo piede si entra nell’Età moderna] del dito puntato verso il cielo di Platone e della mano protesa verso la terra di Aristotele: questo elemento simbolico [“il piede di Plotino” permette al Cristianesimo di fare il passo decisivo verso il territorio della Filosofia] lo dobbiamo a [l’anticristiano] Porfirio che ha scritto la Vita di Plotino [contrariamente non sapremmo quasi nulla di questo appartatissimo personaggio]-

   Porfirio ha fondato [dopo il 270] una sua Scuola ad Alessandria, e la Tarda Accademia di Porfirio [circa un secolo dopo dalla sua fondazione] è stata diretta da Ipazia di Alessandria che, come ben sappiamo, nel 415 è stata trucidata dai parabolani, una banda armata di cristiani fondamentalisti a servizio dell’arcivescovo Cirillo [e conosciamo questa tragica storia].

   Quando il testo dell’Isagoge – tradotto in latino prima da Severino Boezio [intorno al 523] e poi da Giovanni Scoto Eriùgena [prima dell’877] – comincia a circolare nello spazio del “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini”, le autorità ecclesiastiche sono pronte a lanciare i loro anatemi [una condanna di eresia viene comminata contro Giovanni Scoto Eriùgena anche per aver tradotto l’Isagoge] perché il nome di Porfirio ha in sé qualcosa di oltraggioso [Porfirio è considerato persino più pericoloso di Aristotele], perché questo? Questo perché Porfirio [che era morto da cinque secoli e mezzo, ma l’energia intellettuale di certe opere resiste] aveva condotto, da neoplatonico coerente, la polemica contro il Cristianesimo [che stava fagocitando il Neoplatonismo]: a questo proposito ha scritto [intorno al 270] una grande opera [in 15 libri] intitolata Discorso contro i Cristiani [Kata Christianon]. Quest’opera – la più vasta e la più dotta che sia stata scritta per criticare la contraddittorietà dell’ideologia cristiana – è andata perduta perché è stata condannata al rogo e ha subito tre campagne di distruzione: la prima nel 325 [dopo il Concilio di Nicea] per volere dell’imperatore Costantino; poi, visto che qualcuno la conservava e la riproduceva, per volere dell’imperatore Teodosio II nel 435 e poi [siccome ce n’era ancora qualche copia in giro] sotto l’imperatore Valentiniano nel 448.

   Di quest’opera di Porfirio, per fortuna, rimangono molte citazioni [molti frammenti, per cui, in parte, è stata ricostruita] perché i Padri della Chiesa, in particolare Gerolamo e Macario di Magnesia [due personaggi molto intelligenti - Gerolamo lo conosciamo bene per la sua opera di salvaguardia dei Classici - i quali si lamentano di non poter disporre del testo completo di quest’opera] hanno utilizzato il testo del Kata Christianon [Discorso contro i Cristiani] di Porfirio come stimolo [come dotta provocazione intellettuale] per costruire la dottrina del Cristianesimo nel modo più equilibrato e più logico possibile [Porfirio aveva ragione a parlare di contraddizioni nella formulazione della dottrina cristiana].

   La critica dottrinale, molto acuta, che Porfirio da neoplatonico fa nel Kata Christianon [Discorso contro i Cristiani] si basa sull’impossibilità di proclamare la resurrezione della carne, la santificazione della materia, l’immortalità, per quanto futura, dei corpi se il fattore vitale [anche per la Letteratura dei Vangeli] è lo Spirito, e lo Spirito [Pneuma] è la sostanza di cui è fatta l’anima, e l’anima risulta essere una realtà assolutamente alternativa al corpo. Solo lo Spirito [sostiene Porfirio] può avere la possibilità di non degradarsi e di continuare a vivere perché è l’anima che dura in eterno e il corpo, la prigione dell’anima, è bene che si disperda nella polvere: la morte del corpo ha un senso, è un evento liberatorio, e [si domanda Porfirio] per quale motivo vogliamo farlo risorgere se la “salvezza” sta nella morte del corpo depositario e causa di ogni male?

   Dai frammenti che ci sono rimasti dell’opera intitolata Kata Christianon [Discorso contro i Cristiani] si capisce che l’autore si contraddistingue per la grande erudizione e per l’acume esegetico. Inoltre Porfirio [e dobbiamo riflettere su questo fatto] dimostra che la Letteratura dei Vangeli è di natura allegorica [non è storica ma spirituale] perché non racconta la storia di Gesù ma l’evento della predicazione su Gesù, e per questo motivo diventa [e Gerolamo e Macario l’hanno intuito] un involontario anticipatore della moderna esegesi biblica: infatti nei verbali dei dibattiti per la preparazione dei Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II [1962-1965] Porfirio di Tiro viene citato molte volte come se fosse un Dottore della Chiesa per la sua competenza filologica.

   In questo caso possiamo dire che i tempi cambiano ma allora, sulla soglia del “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini”, il nome di Porfirio era fuori legge per gli apparati di potere della Cristianità i quali esprimono la loro condanna proclamando che «Porfirio ha gravemente oltraggiato il messaggio della salvezza e per questo merita la morte eterna».

   Ma gli intellettuali cristiani della Scolastica contrastano questo poco lungimirante atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche e sono invece molto curiosi perché capiscono l’importanza che ha un’opera come l’Isagoge sul piano dello sviluppo della Filosofia cristiana e ritengono “oltraggioso” il fatto di non poterla studiare, e difatti la studiano e ne traggono vantaggio sul piano dell’investimento in intelligenza.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Un “oltraggio” è una grave offesa, un insulto, un’ingiuria, un torto, un affronto, un danno, una violenza, un sopruso…  C’è un oltraggio che volete denunciare?…

Scrivete quattro righe in proposito…

 

   Adesso dovremmo tornare sul tema degli “universali” ma dobbiamo ancora rimandare perché il termine “oltraggio” ci costringe – o, per meglio dire, c’invita – a ricordare che la scorsa settimana abbiamo letto tre pagine tratte dal testo del romanzo La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda [un classico della Letteratura del ‘900 composto da un autore conosciuto in tutto il mondo]; in queste pagine, che abbiamo letto, c’è un brevissimo brano, un frammento, dove il protagonista Gonzalo Pirobutirro, per sperimentare “il teorema dell’impulso”, fa cadere da un’altezza troppo elevata un gatto per provare la sua capacità di atterrare sempre sulle sue zampe, ma noi abbiamo letto che: «in quanto gatto, poco dopo morì, con occhi velati d’una irrevocabile tristezza, immalinconito da quell’oltraggio. Poiché ogni oltraggio è morte». Questa sera, sulla scia del termine “oltraggio” concludiamo il nostro incontro con il rancoroso ingegnere Gonzalo Pirobutirro che è uno dei personaggi più importanti della Storia della Letteratura contemporanea perché questa figura [autobiografica] vuole esprimere tutto il malumore dell’autore convinto che «la vita stessa, che si sviluppa nell’incompiutezza di questo mondo, è un oltraggio, e ogni oltraggio è morte, e la morte è l’unico rimedio contro il dolore»: il fatto è che questa situazione così terribile, senza speranza, Gadda la racconta e la descrive con uno stile così ironico, con un sarcasmo che sconfina nella comicità, con un modo così provocatorio sul piano linguistico [tanto formale quanto contenutistico, e lo abbiamo spiegato nell’itinerario della scorsa settimana] per cui ci fa capire che l’unica prospettiva, l’unica consolazione che l’esistenza ci offre, è quella di impegnarci, caparbiamente, nell’investire in intelligenza per diventare competenti nel “dare un nome alle cose” in modo da far saltare – con una sorta di “contro-creazione [non è forse la Parola che crea?]” – tutte “le meschine convenzionalità [il sollecitare la pancia piuttosto che la mente]” e “la turpitudine dei luoghi comuni [ingrassare il corpo piuttosto che affinare l’anima]” generate dall’imbecillità [allevata dai mezzi d’informazione utilizzati solo per imporre il consumo] e non c’è peggiore sciagura del proliferare dell’imbecillità, e Gadda, con le sue metafore pungenti, tratte dai Classici antichi medioevali e moderni, e con le sue macchinose allegorie provocatorie [la lettura è un difficile esercizio innaturale da eseguire con attenzione non con distensione] ne analizza le cause.

   E adesso leggiamo ancora alcune pagine nelle quali non sono esclusi né Platone né Aristotele: Pirobutirro ha mandato a chiamare il dottore di quel paese immaginario di un Sud America che tanto assomiglia alla Brianza per farsi visitare [ma non è malato nel corpo, è malato nell’anima] anche se poi respinge i saggi consigli del buon medico il quale diventa narratore di “grandi intemperanze ma, forse, più favoleggiate che reali perché l’umana insoddisfazione oltraggia costantemente la realtà”.

 

LEGERE MULTUM….

Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore

Certo che [pensava il buon dottore] intorno a quel suo cliente, così fuori da ogni standard, s’erano andate formando a Lukones le opinioni più strane e correvano, da assai tempo, dicerie di ogni genere. La sua cupidigia di cibo, ad esempio, era divenuta favola. Esecravano unanimi, i poveri, i denutriti, i mendichi, quel vizio della gola, che è così turpe in un uomo, e quel barbaro costume, poi, dopo aver mangiato, di berci anche sopra del Nevado, per giunta, o del Cerro; quasiché fosse, il vorace, a banchetto con le ombre de’ suoi Vichinghi.

... continua la lettura ...

 

   Il Timeo di Platone e la “sistematica”, vale a dire, la Logica, cioè Le categorie di Aristotele sono argomenti di cui stiamo parlando insieme agli intellettuali della Scolastica, e come abbiamo potuto constatare Platone e Aristotele stanno a cuore anche a Carlo Emilio Gadda che li cita spesso nelle sue opere, quindi, compìte [portate a compimento con il metodo del LEGERE MULTUM, non più di quattro pagine al giorno,ma in questo caso se ne consiglia una] l’impresa di leggere La cognizione del dolore: è un’impresa ardua ma non è impossibile e, più spesso di quanto si possa credere, si può gustare il piacere del testo nel comprendere come funziona lo stile del “dare un nome alle cose” anche se, a volte, al primo impatto ci sfugge il significato, inconsueto, dei termini e, per leggere Gadda, il dizionario e l’apparato enciclopedico è d’obbligo.

   Adesso dobbiamo tornare nel “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini” sul tema degli “universali”, un tema che ha un contorno piuttosto articolato: dobbiamo, per usare una metafora, salire, in nome della “logica [con spirito dialettico]”, i gradini [quattro gradini] di una scala  che ha una valenza temporale.

   Il primo gradino che porta alla “questione degli universali” riguarda l’incontro tra il pensiero platonico con quello aristotelico e questo importante argomento, in funzione della strada che dobbiamo percorrere, rimanda al testo dell’Isagoge. Ad introdurre il tema degli “universali”, come ben sappiamo, è stato, all’inizio del IV secolo, Porfirio di Tiro con il testo dell’Isagoge – in greco “isagoge” significa “introduzione” – e quest’opera è un breve trattato che commenta il testo de Le categorie di Aristotele apportando, però, delle sostanziali modifiche al sistema aristotelico: contaminandolo in senso neoplatonico.

   L’Isagoge è un’opera con la quale Porfirio di Tiro diventa l’artefice primario dell’incontro tra il pensiero platonico con quello aristotelico [il fondamentale incontro,  e poi lo scontro, tra platonismo e aristotelismo caratterizza tutta la Storia del Pensiero tardo-antico, medioevale e moderno, e ce ne renderemo conto strada facendo]; naturalmente Porfirio propone il pensiero di Aristotele in versione neoplatonica, ed è proprio per questa caratteristica che la “logica” di Aristotele – spiegata e interpretata da Porfirio nel testo dell’Isagoge – attira l’attenzione degli intellettuali scolastici i quali, avendo una mentalità condizionata dai concetti contenuti nei Dialoghi di Platone e nelle Enneadi di Plotino, manifestano un grande interesse per l’opera di Porfirio: non fanno nessuna fatica a pensare che le categorie di Aristotele vengano emanate dall’Uno di Plotino e possano stare nel Mondo delle Idee di Platone oltre che stazionare prima di tutto nell’Intelletto di ogni persona come preferisce pensare Aristotele.

   Porfirio nel testo dell’Isagoge spiega che Aristotele nel suo trattato sulla “logica [la “logica” è lo studio delle leggi che regolano il ragionamento]” intitolato Kategoriai [Le categorie] afferma che tutta la realtà particolare la si può contenere, e definire, dentro una rete formata da una serie di concetti fondamentali [Aristotele identifica dieci concetti generali] che hanno la massima estensione in modo da poter contenere tutti i concetti particolari, e che Aristotele chiama “categorie”.

   Per curiosità filologica Severino Boezio [intorno al 523] traduce la parola greca “kategoria” con il termine latino “praedicamentum [predicato]”, mentre Giovanni Scoto Eriùgena [prima dell’877] latinizza la parola greca e, facendola entrare del dizionario latino, la traduce “categoria”. Porfirio, componendo l’Isagoge [l’Introduzione], porta l’interessante tema aristotelico delle “categorie” sul terreno platonico: fa assomigliare le categorie alle Idee che, dopo essere state emanate dall’Uno, si sono stabilite nell’Iperuranio di Platone  compiendo un’importante operazione di “neoplatonizzazione” del pensiero di Aristotele; questa iniziativa rende il pensiero di Aristotele, in particolare il tema della logica [il tema delle categorie], più metabolizzabile per gli intellettuali della Scolastica abituati a ragionare in termini neoplatonici. Inoltre, da questa operazione di integrazione culturale, che si è svolta in Età tardo-antica [alla fine del IV secolo], gli intellettuali della Scolastica capiscono quanto siano importanti e necessari – sulla strada della costruzione di una Filosofia cristiana – i processi logici di contaminazione intellettuale ma cominciano anche a domandarsi, separando le opinioni, fino a che punto sia sensato, coerente, chiaro, naturale e comprensibile fondere insieme il pensiero di Platone con quello di Aristotele allo scopo di investire in intelligenza.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di queste parole – sensatezza, coerenza, chiarezza, naturalezza, comprensibilità – mettereste per prima accanto alla parola “logica”?...   

Scrivetela...

In quale occasione avete detto: «Credo che questa situazione sia nella logica delle cose»?...

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Che cosa sono [che oggetti sono], e quali sono le categorie di Aristotele? E, soprattutto, in che modo Porfirio nell’Isagoge modifica l’impianto aristotelico? Per prima cosa, in funzione della riflessione da fare, leggiamo un frammento tratto da Le categorie di Aristotele: sfidiamo l’impenetrabilità di questo testo.

 

LEGERE MULTUM….

Aristotele, Le categorie

I concetti sono collegati tra loro, e un concetto è incluso in un altro concetto più generale e questo in un altro più generale ancora. Man mano che, nella scala dei concetti, si sale, diminuisce la comprensione della realtà particolare ma aumenta l’estensione della conoscenza. Si può affermare che tutta la realtà è contenuta in dieci concetti generali, o predicati supremi, che noi chiamiamo categorie, e che trattano di quel che si dice senza alcun legame, ovvero dei termini o espressioni che possiedono un significato al di là della loro eventuale composizione in una frase o in una proposizione. Infatti se si prendono delle proposizioni come «la persona corre» e se ne spezza il nesso, disgiungendo il soggetto dal predicato, si ottengono delle parole senza connessione quali «persona» e «corre», dalla cui combinazione si origina, per l’appunto, la proposizione. Ora, delle cose che si dicono senza nessuna connessione ciascuna significa o la sostanza [ousìa] o la quantità [poson] o la qualità [poion] o la relazione [pros ti] o il dove [pou, il luogo] o il quando [pote, il tempo] o il giacere [keisthai, lo stato] o l’avere [echein] o il fare [poiein] o il patire [paschein].

 

   Aristotele spiega che le “categorie” sono i concetti della massima estensione [i predicati supremi] che ci permettono di definire la realtà particolare [quel che si dice senza alcun legame] e, secondo Aristotele, le categorie sono dieci [e questo è un omaggio alla “decade” pitagorica], e sono: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, l’azione, la passione, il luogo, il tempo, il possesso e lo stato. Ed è attraverso queste dieci categorie che noi siamo in grado di dare un significato al Mondo e di conoscerlo nelle sue forme particolari: per Aristotele le categorie sono “modi di essere, sono predicati che hanno soprattutto valore logico-linguistico e servono per descrivere la Realtà”. Facciamo un esempio [di prima mano] per semplificare, se dico: «Il gatto di Pirobutirro, oltraggiato, è morto», succede che tutte e tutti voi avete capito quello che ho detto anche se non avessimo letto quella pagina da La cognizione del dolore. Perché è comprensibile questa affermazione [e sono comprensibili la maggior parte delle affermazioni che facciamo]? è comprensibile, dice Aristotele, perché il nostro Intelletto possiede “le categorie” e le ha utilizzate correttamente: capiamo che “il gatto” è il nome di un animale comune [un universale] per merito della categoria della “sostanza [ousìa]”, capiamo che è “oltraggiato” in relazione alla categoria della “qualità [poion]” e anche della “passione [paschein]”, capiamo che è “uno” in virtù della categoria della “quantità [poson]”, capiamo che è “di Pirobutirro” per mezzo della categoria del “possesso” e della “relazione [pros ti]”. Ebbene, abbiamo capito il significato di questa proposizione particolare perché l’attività del nostro intelletto è supportata dai concetti generali ma se dicessimo la stessa cosa formulandola per categorie, dovremmo dire: «Una sostanza di qualità e di quantità patisce in relazione a chi ne è in possesso» ma in questo caso la proposizione risulterebbe incomprensibile a causa della sua massima generalità ma se non possedessimo i concetti logici nella loro estensione, se non possedessimo le categorie [di sostanza, qualità, quantità, relazione, azione, passione, luogo, tempo, possesso e stato], non potremmo arrivare a conoscere la realtà particolare… Intuiamo che «Il gatto di Pirobutirro, oltraggiato, è morto» proprio perché in mente abbiamo le categorie della sostanza, dell’azione, della qualità, della quantità, della passione, del possesso e della relazione. E ora saliamo il secondo gradino [senza far cadere il gatto, povero gatto!].

   Porfirio studia l’interessante questione de Le categorie di Aristotele e vuole definirne la natura in termini neoplatonici. Aristotele alla domanda: «…ma come ci sono entrate le categorie nella mia mente?» risponde affermando che il sistema logico delle categorie riguarda innanzitutto il piano delle parole [òi logoi], il piano dialettico-linguistico e, quindi, le categorie nella mente ci entrano mediante il processo di astrazione attuato dal nostro pensiero. Porfirio trasforma l’impianto-categoriale aristotelico, dimezza [da dieci a cinque] le categorie di Aristotele e ne modifica la natura: per Aristotele le categorie sono “modi di essere, sono predicati che hanno soprattutto valore logico-linguistico e servono per descrivere la Realtà” mentre per Porfirio le categorie sono “manifestazioni dell’Essere, e hanno un valore ontologico [sono l’essenza della Realtà], danno significato all’Essere ed esprimono [allo stesso modo delle Idee di Platone] la struttura della Realtà”. Porfirio nell’Isagoge dichiara che la Realtà può essere conosciuta attraverso cinque categorie [dimezza le categorie di Aristotele]: il genere, la specie, la differenza, il proprio e l’accidente [o la variabile], e, secondo Porfirio, questi cinque “predicabili” non sono soltanto “parole” ma sono vere e proprie “strutture del pensiero” e, quindi, sono anche “forme dell’Essere” e, di conseguenza, sono presenti nell’Uno, allo stesso modo in cui le Idee [secondo Platone] stanno in un loro Mondo. Questo legame, creato da Porfirio, tra “l’Uno” di Plotino, il “Mondo delle Idee” di Platone e la “Logica” di Aristotele – attraverso la mediazione di molti importanti pensatori [che incontreremo strada facendo] diventa un modello di “pensiero forte” che condiziona la visione del Mondo per tutta l’Età medioevale e moderna.

   Questo modello logico viene chiamato “L’albero di Porfirio ” [arbor Porphyriana] perché dall’Uno, dal genere sommo [dalla radice invisibile ultra-terrena], la sostanza per emanazione discende [sale lungo il tronco], attraverso le varie differenze specifiche, fino alle specie più basse [ai rami più alti proiettati verso il cielo], e Porfirio scrive: «Dalla sostanza si diramano i generi, poi le specie si differenziano in modo proprio con le loro variabili. Così la realtà si articola dalle radici ai rami come un albero».

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Avete mai piantato un albero?Qual è l’albero che vi piace di più, l’albero in cui vi riconoscere nel quale [pensando a “Le metamorfosi” di Ovidio] vorreste trasformarvi Su quali alberi vi siete arrampicate e arrampicati?...  

Scrivete quattro righe in proposito

 

   E adesso saliamo il terzo gradino, a livello del quale si trova l’ultimo capitolo dell’Isagoge di Porfirio chiamato il “capitolo dell’eredità” perché quest’ultima pagina dell’opera porfiriana contiene il lascito [il patrimonio interlocutorio] che genera la “questione degli universali” che caratterizza la forma del “paesaggio intellettuale della Scolastica alle sue origini”, lo scenario al quale siamo di fronte.

   Porfirio dopo aver descritto come e con quale efficacia i “cinque categoremi [o predicabili]”– il genere, la specie, la differenza, la proprietà e l’accidente [o la variabile] – esprimono la struttura della Realtà, deve però ammettere, nell’ultimo capitolo dell’Isagoge, di non essere in grado di risolvere in modo esaustivo il problema di quali siano veramente i rapporti che sorgono fra le idee delle cose [le idee universali] che sono eterne ed immutabili e i vari oggetti materiali che vivono la loro vita provvisoria su questa terra: è difficile, ammette Porfirio, stabilire che rapporto ci sia tra la “forma” delle cose e la “materia” con cui sono fatte.

   Sulla scia di questo problema [che si è posto anche Platone] sorgono una serie di interrogativi ai quali, scrive Porfirio, è difficile dare una risposta definitiva. Quali sono le domande che Porfirio si pone nell’ultimo capitolo dell’Isagoge? Le idee universali, si domanda Porfirio, sono prodotti del pensiero umano o no? E, siccome esistono fuori della nostra mente, le idee universali, si domanda Porfirio, sono corporee e materiali oppure sono incorporee e spirituali? E. si domanda Porfidi, le idee universali esistono nelle cose sensibili o sono fuori di esse? Porfirio ha lasciato in eredità, alla fine del IV secolo, questi interrogativi e gli intellettuali della Scolastica, dal IX secolo, raccolgono questa eredità mentre sta per prendere forma la Filosofia cristiana e si schierano, formulano le loro ipotesi, si dividono in correnti di pensiero e nasce una polemica assai vivace sulla provenienza, sulla collocazione sulla natura delle idee universali.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Pensando alle domande contenute nell’ultimo capitolo de “l’Isagoge” di Porfirio il temine “eredità” significa: insegnamento, messaggio, strada, impronta, orma…

Quale insegnamento avete ereditato?…  Da chi?…  

Scrivete quattro righe in proposito…

 

   E ora saliamo il quarto gradino, il più alto di tutti: quello che ci porta a livello dello scenario culturale della Scolastica alle sue origini, quello che ci porta sul piano del paesaggio intellettuale nel quale sta prendendo forma la Filosofia cristiana.

   Le soluzioni adottate dai vari studiosi circa il problema degli universali [sulla provenienza, la collocazione e la natura delle idee in base alle domande lasciate in eredità da Porfirio] hanno dato vita a quattro correnti di pensiero che corrispondono anche a diversi modi di interpretare il ruolo del Cristianesimo.

   C’è una prima corrente, detta “realistica o platonica”, che sostiene le idee universali “ante rem [prima delle cose]”: questa corrente considera le idee come modelli o archetipi esistenti prima della costituzione delle cose stesse, indipendentemente dal nostro pensiero e dalla realtà sensibile. Secondo gli intellettuali appartenenti a questa corrente «il triangolo [per esempio] esiste come idea-archetipo, anche se non esistesse nessun oggetto triangolare e non ne avessimo il concetto» e questa tendenza si rifà dichiaratamente a Platone che pone le Idee nel mondo Iperuranio.

   C’è una seconda corrente, detta “aristotelica”, che sostiene le idee universali “in re [dentro alle cose]”: questa corrente considera le idee presenti nelle cose come essenze delle cose stesse, e secondo gli intellettuali appartenenti a questa corrente [per esempio] «l’essenza universale dell’essere umano in quanto animale ragionevole è presente nei singoli individui» e questa tendenza fa riferimento ad Aristotele secondo cui la forma ossia l’universale è presente nelle cose particolari.

   C’è una terza corrente, detta “concettualistica”, che sostiene le idee universali “post rem [dopo le cose]”, e questa corrente considera le idee presenti solo nella nostra mente sotto forma di concetti [tanto Platone quanto Aristotele hanno prospettato anche questa possibilità nelle loro opere].

   C’è, infine, una quarta corrente detta “flatus vocis” [espressione della voce], e secondo gli intellettuali appartenenti a questa corrente le idee sono “puri nomi” che non esistevano, quindi, né prima della costituzione delle cose come archetipi, né come essenze nelle cose, né nel nostro pensiero come concetti, ma le idee sono l’espressione vocale e simbolica [flatus vocis] dei nomi.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Se siete disposte e disposti a schierarvi con una di queste correnti: schieratevi ed entrate direttamente anche voi nella polemica sulla “questione degli universali”… Oggi questa polemica – sebbene la questione degli universali sia ancora un tema di riflessione di grande importanza per esercitare la nostra mente - non sembra interessare le persone

Ebbene, quale corrente - ante rem [prima delle cose], in re [dentro alle cose], post rem [dopo le cose], flatus vocis [espressione della voce] – preferite?… 

Scrivetelo [e fatelo sapere in giro]…

 

   Intorno a queste quattro correnti fioriscono molte Scuole, a cominciare dai monasteri sperduti in mezzo alla campagna e poi nella confusione delle città che stanno crescendo di estensione e di importanza. Le Scuole, a cominciare dal IX secolo, sono strutture in grado di accrescere l’importanza tanto di un monastero quanto di una città.

   Che valore avranno le idee universali – sono modelli, sono essenze, sono concetti, sono nomi – per Millemosche? Ma Millemosche non ha tempo per riflettere su questo tema perché – in una delle invenzioni più stralunate e divertenti di Storie dell’anno Mille – deve sostituire un braccio mancante del capitano dei mercenari, attraverso una sorta di trapianto incruento. Il fatto è che il braccio di Millemosche, fiero di essere diventato il braccio di un condottiero, diventa autonomo come se fosse governato da una sua mente, una mente che ha le sue idee piuttosto “singolari” e molto “universali” e, quindi, non sarà più governabile dal suo possessore. Ma prima Millemosche Pannocchia e Carestia s’accalorano in una animata discussione sul tema “delle braccia e delle gambe umane”, un tema non secondario per la nostra specie. Leggiamo.

 

LEGERE MULTUM….

Tonino Guerra  Luigi Malerba,  Storie dell’anno Mille

IL BRACCIO MORTO

Inciampano nei sassi e nei cespugli un po’ perché non li vedono e un po’ perché alzano male le gambe specialmente dal ginocchio in giù. Arrivano vicino alle prime tende dell’accampamento e la cosa che li meraviglia di più è che non si vede nessuno.

Dove sono i soldati? Ci sono soltanto delle oche e delle galline. Le seguono piano piano decisi a saltargli addosso ma si trovano faccia a faccia con una quarantina di soldati che camminano in silenzio dietro a un piccolo carretto tirato da un mulo.

Sul carretto c’è una cassettina di legno, nera lunga e stretta. Questo è un funerale. Infatti molti stanno piangendo. Millemosche e gli altri due scherzando scherzando si mettono a piangere anche loro. Ci sono mercenari grassi e magri, coperti di corazze rattoppate e ricucite con il filo di ferro. Parla Millemosche:  «Di chi è il bambino?».

... continua la lettura ...

 

   Il bello deve ancora venire, alla prossima Storia.

   Le soluzioni adottate dai vari studiosi circa il problema degli universali [le idee sono modelli, sono essenze, sono concetti, sono nomi?] hanno dato vita a quattro correnti di pensiero: intorno a queste quattro correnti fioriscono molte Scuole e le Scuole, a cominciare dal IX secolo, sono strutture in grado di far crescere l’importanza tanto dei monasteri quanto delle città in cui hanno sede. La prossima settimana faremo sosta in particolare a Auxerre e a Reims. Nelle Scuole di queste città ci aspettano dei personaggi che ci metteranno in condizione di fare una specie di Tour de France: chi sono questi personaggi e che cosa hanno da raccontarci?

   Per rispondere a queste domande dobbiamo seguire il nostro Percorso di Alfabetizzazione culturale e funzionale con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non si deve mai perdere la volontà d’imparare.

   Il viaggio continua, la Scuola è qui, un qui che assomiglia a Auxerre e a Reims…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 7, 2014