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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON LA DEFINIZIONE DELLA NATURA E DEGLI OBIETTIVI DEL VIAGGIO DI STUDIO ...

Lezione N.: 
1

Prof. Giuseppe Nibbi    La sapienza poetica e filosofica dell’età medioevale            8-9-10  ottobre  2014

François Rabelais

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON LA DEFINIZIONE DELLA NATURA E DEGLI OBIETTIVI DEL VIAGGIO DI STUDIO ...

 

   Ben tornate e ben tornati a Scuola alle veterane e ai veterani, e ben venute e ben venuti a Scuola alle persone che per la prima volta si apprestano a viaggiare in un Percorso promosso dalla Scuola pubblica degli adulti!

   Il vostro ritorno e il vostro ingresso a Scuola [e sono felicissimo di vedervi qui] significa che in questo Paese ci sono cittadine e cittadini convinti del fatto che sia importante “non perdere mai la volontà di imparare”. “Coltivare la propria capacità di apprendere” è l’atto che dà il significato alla parola “cultura”: una parola che è affine e combacia con il termine “coltura”.

   La parola “cultura” oggi viene utilizzata a tutto campo e, quindi, il suo significato è diventato ambiguo ed è più che mai necessario chiarire che la “cultura è l’attività [che si esplicita attraverso una serie di azioni] mediante la quale la persona coltiva il proprio intelletto” per raccogliere frutti che possano favorire la cura della persona stessa, e la “spina dorsale” della  “cultura” è lo “studio”, e voi sapete che in latino la parola “studium” e la parola “cura” sono sinonimi.

   Il concetto di “cultura” così come deve essere formulato - “attività mediante la quale la persona coltiva il proprio apprendimento” - ha preso forma nel corso dell’Età medioevale e noi ci stiamo proprio accingendo a partire per un viaggio di studio sul territorio dell’Età medioevale, su di un Percorso che cronologicamente appartiene ai secoli dal X al XV. Dopo un lungo periodo che ha preso il nome di Alto-medioevo [dal V al X secolo, e siamo reduci da un viaggio nel corso del quale abbiamo osservato gli scenari intellettuali di quest’epoca] stiamo per entrare nel cuore del Medioevo dove in una città che si chiama Toledo nasce una Scuola nella quale [come già ben sapete, ma dobbiamo riparlarne] si puntualizza che la parola “cultura” deriva dal verbo “coltivare” e il verbo “coltivare” sul piano della didattica è strettamente legato al termine “alfabetizzazione”. Questa considerazione formulata nel Medioevo è valida tutt’oggi: così come alla base di ogni “coltura” ci deve essere un avveduto sistema di coltivazione così alla base della “cultura” deve esserci un adeguato sistema di alfabetizzazione che dia l’opportunità ad ogni cittadina e ad ogni cittadino di acquisire competenze utili per favorire una più lucida “lettura del mondo” in modo che la persona possa dare “un nome alle cose” per poter interpretare e descrivere i vari aspetti di questa sfuggente società “liquida [così è stata definita la società all’inizio del terzo millennio]” nella quale stiamo vivendo. Un liquido prende la forma dell’oggetto che lo contiene: l’alfabetizzazione è la disciplina che deve provvedere alla progettazione e alla costruzione delle “forme intellettuali” che sappiano dotare la persona di una testa ben ordinata.

   L’alfabetizzazione è, quindi, l’essenza della “cultura”, e senza la promozione di un’attività graduale e continua di alfabetizzazione, di cui le persone possano usufruire, non si sviluppa una “dinamica culturale” nella società. Ed è per questo motivo che il “Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura”, che inizia questa sera, è un’offerta formativa di “Alfabetizzazione funzionale e culturale” nell’ambito della Scuola pubblica degli Adulti: l’agenzia che ha il dovere istituzionale [secondo l’art.34 della Costituzione] di promuovere l’istruzione oltre l’obbligo scolastico, per tutto l’arco della vita.

   Un “Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura” è assimilabile [metaforicamente] ad un viaggio, e il viaggio che ci accingiamo a intraprendere - come tutti quelli che abbiamo compiuto in questi anni [dal 1° ottobre del 1984] - è piuttosto impegnativo, ma i viaggi più difficoltosi sono, spesso, anche i più interessanti. Un viaggio inizia sempre con la partenza, e vorrei che il tradizionale “rituale della partenza” che dobbiamo celebrare fosse il più stringato e il più vario possibile ma i riti - e la partenza è, da sempre, un vero e proprio rito - sono, per loro natura, complessi e ripetitivi. Il “partire” non è mai un’operazione facile [ci sono sempre problemi in partenza, sebbene tutti risolvibili], e mettersi o rimettersi in cammino, come nel nostro caso, è sempre un’operazione che comporta delle difficoltà.

   La prima difficoltà che incontriamo in partenza consiste nel fatto che bisogna “prendere il passo”: dobbiamo “prendere il passo” tutte e tutti assieme, ma siccome siamo “viandanti” con diverse esperienze [di vita, di studio, di relazioni, di nazionalità], ciascuna e ciascuno di noi deve trovare il “suo passo”, armonizzandolo però, per quanto è possibile, con il passo della comitiva, della carovana, della compagnia. Ricordate che cosa scrive Aristotele nel Secondo libro del trattato intitolato Politica [ta Politika] che risale al 327 a.C.? Scrive Aristotele: «La riuscita di un viaggio dipende soprattutto dalla compagnia [dal fatto che tutti i membri della compagnia viaggiante s’impegnino perché tutte le persone in cammino possano tenere il proprio passo di marcia]». E quindi, la Scuola deve, in partenza, raccomandare alle persone in viaggio di essere pazienti, tenaci e determinate: e queste sono le qualità di chi si dedica allo studio secondo la tradizione della Scolastica [secondo lo Statuto degli studenti della facoltà delle Arti di Parigi del 1247, e noi stiamo per partire proprio per intraprendere un viaggio sul territorio della Scolastica]. Ebbene, noi, queste qualità [queste virtù] - la pazienza, la tenacia, la determinazione - le possediamo senz’altro [voi le possedete senza ombra di dubbio].

   Ma gli ostacoli che sorgono nel “prendere il passo” in un Percorso di studio non sono causati tanto dalla nostra mancanza di qualità: la difficoltà a “prendere il passo”, e a “trovare il passo giusto”, può dipendere da un impedimento di natura “comunicativa” perché viviamo in un contesto dove si sta perdendo sempre di più il senso delle parole. Voi conoscete a memoria l’inizio di una delle opere più importanti della Storia del Pensiero Umano [che abbiamo incontrato sistematicamente nei nostri viaggi e continueremo ad incontrare]: il Vangelo secondo Giovanni. L’incipit di quest’opera [l’inizio del celebre Prologo del Vangelo secondo Giovanni] mi viene in mente ogni volta in cui sento [sempre più spesso] fare “discorsi sconnessi” e, per giunta, amplificati senza alcun motivo plausibile dal sistema mediatico: i “discorsi confusi”, sempre più all’ordine del giorno, fanno aumentare il disordine mentale fino a produrre una situazione che prende il nome di “congelamento del pensiero [o Logos pektos]” e voi sapete che il termine “pensiero” e il termine “parola”, in greco, si traducono entrambi con il sostantivo “o Logos” mentre l’aggettivo “pektos” significa “gelato”. Ebbene, il Prologo del Vangelo secondo Giovanni inizia con un’affermazione alternativa al “congelamento del pensiero” perché invita ogni lettrice e ogni lettore ad una riflessione [tanto di carattere religioso quanto di carattere laico]. Ebbene, l’inizio del Prologo del Vangelo secondo Giovanni contiene un’affermazione difficile da dimenticare, dice: «All’inizio c’è la Parola [En arche en o Logos] e la Parola è presso Dio, la Parola è Dio e tutte le cose che esistono è la Parola ad averle create» e, quindi, nella situazione di confusione, di “congelamento del pensiero” in cui viviamo oggi, l’incipit di quest’opera ci aiuta a capire che dobbiamo “recuperare il senso delle parole” proprio perché, a maggior ragione, siamo al passaggio di un’epoca e, quindi, noi dobbiamo guardare alla realtà con una prospettiva ben più ampia rispetto a quella ridotta che ci propone la cronaca.

   Sappiamo ormai da decenni che l’Età moderna è finita ma non sappiamo ancora che epoca sta cominciando [e ciascuna e ciascuno di noi è chiamato - sarebbe chiamato - a governare questo passaggio partecipando a dare un nome alle cose]: per un certo periodo di tempo abbiamo usato il termine “post-moderno”, oggi parliamo di “società liquida” e, nel corso dei cambiamenti epocali, succede che si amplifichi il fenomeno della perdita del senso delle parole e, di conseguenza, anche le persone smarriscono il senso della loro esistenza e il senso del limite e quello dei diritti e quello dei doveri. Questa situazione – il fatto che ci troviamo in un Mondo e in un Paese che perde sempre di più “il senso delle parole” – è già stata descritta in maniera molto efficace, nei primi decenni di quella che oggi chiamiamo l’Età moderna, dallo scrittore François Rabelais.

   François Rabelais [1494-1553 o 1554] è l’autore di un’opera emblematica, un’opera tra le più significative della Storia del Pensiero Umano che s’intitola Gargantua e Pantagruel. Questo romanzo è formato da quattro Libri pubblicati nella loro forma definitiva nel 1552 e, come ben sapete, racconta le straordinarie avventure del gigante Gargantua, già mitico personaggio della letteratura popolare, e di suo figlio Pantagruel. Naturalmente l’autore utilizza questo racconto tradizionale come pretesto per interrogarsi e per riflettere sul senso della vita e sul significato della comunicazione umana, e noi, ora, utilizziamo alcuni frammenti di quest’opera per dare inizio alla celebrazione del rituale della nostra partenza.

   Nel romanzo Gargantua e Pantagruel l’autore costruisce delle straordinarie allegorie. Nel Libro IV al capitolo 56, a un certo punto del loro viaggio, Pantagruel e i suoi compagni - Panurgo, Fra Gianni e il nocchiero della nave - giungono nel mare Artico e trovano che il cielo è ingombro di parole ghiacciate. Da quei ghiaccioli sospesi in alto provengono suoni, brontolii, sillabe storte, mozziconi di frasi, urla e risate ma nessun discorso che sia minimamente comprensibile: le parole non parlano più, hanno perso il loro senso, il pensiero si è congelato  [ò Logos pektós]. Questo è uno dei tanti apologhi, delle tante parabole con le quali Rabelais descrive la condizione umana, e nonostante l’allegria dei lazzi e delle burle con le quali l’autore condisce il testo della sua opera, le parole di ghiaccio, le parole sorde e mute, mettono in evidenza la totale impossibilità di comunicazione tra le persone e l’incomunicabilità [ci fa sapere Rabelais con cinque secoli di anticipo] è il presupposto dell’estinzione.

   A cinquecento anni di distanza questa immagine costituisce una ineccepibile descrizione della attuale realtà comunicativa caratterizzata dall’irresponsabilità. Rabelais lancia - nella prospettiva dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale [ecco perché dà l’avvio al nostro Percorso] - un messaggio in favore dello “studio” come strumento che sappia rendere competenti le persone nello scongelare le parole perché “tutte le cose che esistono è la Parola ad averle create”.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il romanzo “Gargantua e Pantagruel” di François Rabelais, oltre che nella biblioteca pubblica, lo trovate probabilmente anche nella vostra biblioteca domestica: leggete il capitolo 56 del Libro IV di quest’opera [il testo di questo capitolo è contenuto in una pagina perché i capitoli di quest’opera sono brevi in modo da poterne leggere comodamente uno al giorno senza stancarsi] e così potrete comprendere che cos’è “l’argentangina”...  Non rinunciate a mettervi in ricerca: andate a scoprire a che cosa corrisponde, secondo  Rabelais, il termine “argentangina”…

 

   E ora, per dare inizio al rituale della partenza, leggiamo due frammenti tratti dal capitolo 56 del Libro IV del Gargantua e Pantagruel di François Rabelais.

 

LEGERE MULTUM….

François Rabelais, Gargantua e Pantagruel  Libro IV  capitolo 56

- Non vi spaventate di nulla, signore - rispose il pilota della nave. - Qui è il confine del Mar Glaciale, sul quale al principio dell’inverno gelano del tutto le parole e nella buona stagione si scongelano appena un po’.

- Per dio - disse Panurgo. - Ma non si potrebbe vederne qualcuna? Mi ricordo di aver letto che ai piedi dalla Montagna dove Mosè ricevette la Legge degli Ebrei, il popolo vedeva le voci materializzarsi in parole. -

Appena il pilota si avvicinò con la nave, Pantagruel cominciò a staccare le parole gelate che erano appese al cielo e le gettò sul ponte a piene mani, che sembravano confetti perlati di colori diversi. Tra esse c’erano parole di gola di colore rosso, di sinopia di colore verde, di cielo di colore azzurro, di sabbia di colore nero e di colore d’oro. Tenendole in mano, le parole si scongelavano un po’, si sentivano al tatto ma all’orecchio non si sentivano che piccoli muggiti in lingua barbara.

Una parola abbastanza grossa, tuttavia, che Fra Gianni aveva riscaldato tra le mani, scoppiò, come fanno le castagne gettate sulla brace senza essere castrate, e quello scoppio fece trasalire tutti dalla paura, perché nessuno è abituato al costume del far scoppiar parole.

Donar parole è costume degli innamorati et Verba dat omnis amans [l’innamorato fa dono di parole] ci insegna Ovidio nella sua Arte.

Vender parole è costume d’avvocati, anche se il più famoso, Demostene, vendette anche il silenzio mediante la sua argentangina. Non conoscete l’argentangina?

Il ponte della nave era colmo di parole, che Pantagruel raccoglieva a manate. Si vedevano parole pungenti, parole sanguinose, parole orribili e disgustose, sembrava che si fossero gelate le parole di una battaglia, e anche lì, al confine del Mar Glaciale, battaglia c’era stata tra gli Arimaspii e i Nefelibati.

Dalle parole appena un po’ sgelate si poteva udire: hen, his, tic, torc, lorgn, brededen, brededoc, frr, bu, tracc, trrrr, on, uuuuon, got, maot E Panurgo fece gli sberleffi a tutte le parole, poi esclamò: - Piacesse a Dio che avessi qui, senza proceder oltre, la parola profumata che sta dentro alla divina Bottiglia, amen. -

 

   Quindi un linguaggio che non serva per “pensare”, per “riflettere”, per “investire in intelligenza” ma che è dichiaratamente costruito per suscitare una comunicazione di carattere schizofrenico, ripetitivo, superficiale, e per produrre una presunta informazione che utilizza metafore al livello esegetico più basso approfittando dell’ignoranza generalizzata e sfruttando l’analfabetismo di milioni di persone, non può far altro che contribuire a mantenere uno stato di “congelamento del pensiero”. E con il “pensiero congelato [ò Logos pektós]” la persona trova molta difficoltà a seguire un “ragionamento progressivo” che è il dispositivo virtuoso [il meccanismo specifico] proprio dei “percorsi di natura intellettuale” come: leggere un libro, seguire un discorso articolato, osservare un’opera d’arte, trovare la soluzione di un problema, costruire un proprio catalogo di conoscenze, scrivere frammenti della propria autobiografia.

   Per favorire la propria “attività intellettuale” è necessario che la persona impari a “ragionare ordinatamente”, a “riflettere in profondità”, ad “esprimersi con chiarezza”: “soffrire di analfabetismo” non significa tanto non essere un grado di leggere e scrivere [condizione nella quale si trovano tuttavia circa due milioni e novecentomila Italiane e Italiani adulti] ma significa soprattutto non essere competenti nella gestione di queste “azioni intellettuali [ragionare, riflettere, esprimersi]”,  ed è un’incompetenza che tocca l’81% della popolazione nella fascia dai 18 ai 65 anni.

   Questo Percorso didattico [il nostro viaggio di studio del quale stiamo celebrando il rituale della partenza] ci propone di esercitarci a selezionare le parole-chiave, a catalogare le idee-cardine, a controllare consapevolmente il flusso dei nostri pensieri perché è attraverso questa dialettica che procede un “ragionamento progressivo”. Quindi, per noi, i passi che compieremo uno dopo l’altro - i passi con cui ci muoviamo nel nostro viaggio intellettuale - si identificano con i segmenti di un “ragionamento progressivo” e, di conseguenza, i nostri itinerari, le Lezioni, si svolgono secondo questa dinamica, in modo pertinente a questo andamento.

   La Lezione [ogni Lezione, ogni itinerario didattico] sul terreno dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale è utile si svolga secondo la dinamica del “ragionamento progressivo” che per noi corrisponde metaforicamente al “susseguirsi dei passi” di un Percorso da compiere. Ogni Lezione si configura come un itinerario didattico che ricalca l’attività del nostro intelletto, e l’intelletto corrisponde alla “capacità di comprendere”, una facoltà mediante la quale si sviluppa il processo dell’apprendimento, un processo che, come ben sapete, si concretizza facendo entrare in movimento le sei principali azioni [le azioni cognitive] attraverso le quali s’impara: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare.

   In ogni itinerario che [di settimana in settimana] percorreremo, faremo in modo di attivare la dinamica delle “azioni cognitive [attraverso le quali si sviluppa l’apprendimento]” cercando di governare la loro potenzialità tenendo conto che la scansione delle azioni dell’apprendimento non ha un andamento regolare – non è che prima si conosce poi si capisce poi ci si applica poi si analizza poi si sintetizza e infine si valuta – ma le sei principali “azioni cognitive” [accompagnate da altre quaranta azioni secondarie] interagiscono simultaneamente, aritmicamente, nella nostra mente e noi dobbiamo essere il più possibile consapevoli del funzionamento di questo “meccanismo” straordinario che è “l’imparare”, e l’obiettivo fondamentale per cui è utile frequentare la Scuola è quello di “imparare ad imparare”, è quello di saper amministrare la nostra capacità cognitiva.

   Quindi, concretamente, nel corso di ogni tappa, ci eserciteremo a “conoscere le parole-chiave” più rappresentative [una o due] del REPERTORIO: senza “conoscere” il senso delle “parole chiave” della Storia del Pensiero Umano [come ben sapete] non s’impara a leggere. Ci eserciteremo a “capire le idee più significative” elaborate nel corso della Storia dell’Umanità e presenti nei repertori delle nostre tappe: come ben sapete, non s’impara a leggere senza “capire” le idee-cardine della Storia del Pensiero.

   Ci eserciteremo ad “applicare”, e questa azione, nell’ambito del nostro Percorso, significa “leggere e scrivere”, due attività, come ben sapete, fortemente trascurate dalla stragrande maggioranza delle cittadine e dai cittadini del nostro Paese [solo il 14% delle Italiane e degli Italiani adulti si dedica a scrivere e a leggere costantemente]. Dobbiamo prendere la buona abitudine di applicarci nella lettura e nella scrittura almeno per dieci minuti al giorno, utilizzando, per guida, la “trama” del REPERTORIO proposto [scrive Rita Levi Montalcini: «La lettura di almeno quattro pagine giornaliere di buona Letteratura e la scrittura di almeno quattro righe contenenti un pensiero autobiografico sono esercizi che preservano l’elasticità dei neuroni, le cellule del cervello, contribuendo al mantenimento della salute della persona»].

   Avete tra le mani e sotto gli occhi un fascicolo che s’intitola REPERTORIO E TRAMA ...  che è lo strumento che ci consente [e, in questo momento, state facendo questo esercizio] di orientarci meglio sul nostro cammino [per favorire l’azione del conoscere e del capire] e, inoltre, ci propone un compito [per favorire l’azione dell’applicarci nell’uso dell’analisi, della sintesi e della valutazione]. A questo proposito devo dire che riceveremo più di trecentocinquanta pagine di REPERTORIO E TRAMA... Questo materiale viene stampato dalla Scuola “Francesco Redi” di Bagno a Ripoli alla quale dobbiamo versare un contributo perché c’è una produzione di circa 90 mila pagine. È un contributo necessario - per la carta, per il toner, per la manutenzione del ciclostile elettronico - però è un contributo volontario come sono volontari tutti i contributi - qualche spicciolo - legati alle spese di produzione di questa impresa e alle azioni di solidarietà che dobbiamo mettere in atto.

   La buona abitudine ad applicarci intellettualmente [a leggere e a scrivere] per dieci minuti al giorno [legĕre multum et scribĕre multum, dove il termine latino “multum” significa leggere e scrivere quotidianamente e con la massima attenzione] favorisce un “investimento in intelligenza” che ha una ricaduta positiva sul nostro ben-essere e su quello della società in cui viviamo.          

   Ci eserciteremo ad “analizzare”, e “analizzare” significa riflettere per mettere in ordine i pensieri che affiorano nella nostra mente attraverso la TRAMA proposta dal REPERTORIO: «Senza corteggiare i nostri pensieri, scrive Denis Diderot nel dialogo intitolato Il nipote di Rameau (1761),  non può esserci conversazione con noi stessi e di conseguenza con il nostro prossimo e con il mondo che ci circonda».

   Ci eserciteremo a “sintetizzare”, e “sintetizzare” significa “mettere per iscritto” un nostro pensiero: la scrittura e l’esercizio sintetico vanno di pari passo e bastano quattro righe scritte per materializzare un nostro pensiero e per realizzare un buon “investimento in intelligenza”.

   Infine dobbiamo esercitarci a “valutare”, ad “auto-valutare” l’andamento del nostro cammino intellettuale, e questo dispositivo dell’auto-valutazione è legato allo svolgimento del “compito” che - sebbene facoltativo - la Scuola propone di eseguire invitando ciascuna e ciascuno di voi ad utilizzare il REPERTORIO E TRAMA... [il fascicolo che avete tra le mani] in un tempo che va dai dieci minuti alle due ore, nel corso della settimana, nell’intervallo tra un itinerario e l’altro.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il materiale riguardante tutta l’attività didattica messa in atto in questo Percorso lo si trova contenuto su due siti che potete consultare e ai quali è utile iscriversi: www.inantibagno.it e www.scuolantibagno.net… 

Dai siti potete scaricare il testo integrale della Lezione e la registrazione della Lezione stessa, c’è inoltre una pagina facebook intitolata “a scuola con Giuseppe”...

E tutti questi strumenti sono utili per favorire l’attività di studio che il viaggio propone...

 

   Nel corso del nostro viaggio visiteremo un certo numero di “paesaggi intellettuali” ricchi di forme e di contenuti, e avremo a che fare con molte nozioni, enumereremo molti dati, citeremo molte date, visiteremo molti luoghi, faremo conoscenza con molti personaggi, formuleremo molti ragionamenti, ma - come dicono i manuali di tecnologia dell’apprendimento - “dei contenuti di un Percorso didattico [di un viaggio di studio], in media, oltre il 70% va disperso e [solo, all’incirca] il 30% - per tutta una serie di cause, soggettive ed oggettive, - rimane in modo frammentato nella nostra mente”, quindi, di questa conversazione solo “tre oggetti su dieci” rimangono nella mia mente [ma è già una buona acquisizione], e questo perché, come ben sapete, l’obiettivo principale dell’apprendimento cognitivo non è quello di immagazzinare nozioni [le nozioni sono importanti e dobbiamo ritenerne un certo numero], ma l’obiettivo dell’apprendimento consiste nell’esercitare la mente all’ascolto, alla selezione, alla catalogazione perché «il compito della Scuola, come ci ricorda Michel de Montaigne nei suoi Saggi (1580-1588), consiste nel favorire la formazione di una testa ben fatta piuttosto che di una testa ben piena [l’azione dell’apprendimento riguarda la qualità piuttosto che la quantità]» e questa affermazione che conoscete a memoria ha la funzione di una bussola che serve per non farci perdere l’orientamento nel corso di nostri “viaggi di studio”.

   E adesso, consapevoli di questa affermazione, secondo una consuetudine ormai consolidata che fa parte della celebrazione del “tradizionale rituale della partenza”, cominciamo a prendere il passo con la lettura di un libro, e ci aspetta un’opera la quale ha a che fare con la “testa ben piena”. Perché incontriamo proprio questo libro e che cosa c’entra con questo libro la “testa ben piena”? Tutte e tutti noi rischiamo di avere una “testa ben piena” a causa del frastuono mediatico che [volenti o nolenti] ci circonda, quindi, la presa di coscienza di avere “una testa ben piena” è il primo passo verso l’acquisizione di “una testa ben fatta”.

   Dobbiamo fare un viaggio sul territorio del Medioevo e quando sono state raccolte, molte volte, le opinioni delle cittadine e dei cittadini italiani [e non solo degli Italiani] mettendoli di fronte ad un serbatoio di parole e chiedendo loro: che cosa vi fa venire in mente la parola “Medioevo”, quali sono per voi le parole rappresentative del Medioevo? Ebbene, il catalogo che ne è venuto fuori dimostra [ci dicono le studiose e gli studiosi di filologia e di antropologia culturale] come la stragrande maggioranza delle persone sul “tema del Medioevo” abbia la testa ben piena di consolidati e ripetuti luoghi comuni. Vi leggo [ascoltatelo!] l’elenco delle parole [sono quattordici parole] che rappresentano il “Medioevo” per la stragrande maggioranza delle persone e non c’è alcuna difficoltà né a riconoscerle né a capirne il significato –, queste parole sono: il buio, il cavallo, la peste, il latino, i frati, la barba, il falcone, la guerra, la fame, la carestia, gli angeli, i diavoli, le maledizioni, le streghe. Noi ci rendiamo conto che queste parole caratterizzano anche i periodi precedenti e successivi al Medioevo [non sono strettamente vincolate ad un’epoca] e, da questa circostanza degna di essere interpretata con ironia, hanno preso spunto due scrittori i quali hanno iniziato a riflettere insieme [spesso hanno lavorato su progetti comuni] con l’intento, in un primo momento, di costruire la sceneggiatura per un film [che forse avrebbe girato Federico Fellini] che «presentasse [così hanno detto i due scrittori] in modo sarcastico l’immagine ridotta che la gente ha del Medioevo». Il lavoro a quattro mani di questi due scrittori, che si chiamano Tonino Guerra e Luigi Malerba, è diventato un libro [tuttora introvabile se non in biblioteca perché sono quindici anni che non viene ristampato nonostante le pressanti richieste provenienti soprattutto dal mondo della Scuola, e riesce difficile capire in quale modo schizofrenico funzioni l’editoria]. Questo libro s’intitola Storie dell’anno Mille e noi ci serviamo del testo di questo libro per mettere in evidenza le due facce della medaglia sul “tema del Medioevo”: da una parte quella dei luoghi comuni, dei termini convenzionali – buio, cavallo, peste, latino, frati, barba, falcone, guerra, fame, carestia, angeli, diavoli, maledizioni, streghe – generatori delle sarcastiche “storie dell’anno Mille”, e dall’altra quella delle “parole-chiave” provenienti dal patrimonio della “sapienza poetica e filosofica” che caratterizzano il pensiero medioevale e sono riconoscibili soprattutto attraverso “un viaggio di studio”: per esempio, dal serbatoio di termini che è stato proposto alle persone intervistate dal quale estrarre le parole evocatrici del Medioevo, nessuna persona ha scelto la parola “scolastica” che ha una connotazione pienamente medioevale. Ma i nostri autori - Guerra e Malerba - sono stati capaci di costruire un’opera utile [di buon senso] proprio partendo dai luoghi comuni per farci riflettere, attraverso lo strumento dell’ironia, sul fatto che è necessario andare oltre una convenzionalità derivante dall’incompetenza intellettuale [oltre il senso comune] che attanaglia la stragrande maggioranza delle persone che sono private della possibilità di acquisire competenze sul piano dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale.

   I racconti contenuti nel libro intitolato Storie dell’anno Mille rappresentano il terreno sul quale gettare i semi [le parole-chiave] da cui potranno germogliare pianticelle [le idee] che si trasformeranno in alberi robusti [in concetti-cardine] che andranno a costituire la grande foresta [l’insieme dei paesaggi intellettuali] della “sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale”: questa “foresta” rappresenta un patrimonio intellettuale inestimabile, una fonte che produce molto ossigeno [una vitale sapienza] alla quale tutte e tutti noi dobbiamo attingere.

   E, allora, procediamo con ordine nella celebrazione del “tradizionale rituale della partenza” e cominciamo ad utilizzare, come veicolo intellettuale, il libro intitolato Storie dell’anno Mille. Prima di cominciare a leggerne il testo dobbiamo conoscere la forma di quest’opera e dobbiamo capire in che modo l’uso della metafora e dell’elemento paradossale possa stimolare l’esercizio interlocutorio [il farsi delle domande].

   Noi abbiamo usato già un bel po’ di volte la parola “Medioevo” e sappiamo che chi viveva realmente nel Medioevo non era consapevole di vivere nel Medioevo [così come noi non sappiamo il nome dell’epoca in cui stiamo vivendo, lo sapremo tra 400 500 anni e noi attendiamo fiduciosi]: quando è comparso il termine “Medio Evo” e chi ha usato questo termine per la prima volta per indicare un periodo storico? Per rispondere a queste domande dobbiamo procedere con ordine nella celebrazione del “tradizionale rituale della partenza” utilizzando, come veicolo intellettuale, il libro intitolato Storie dell’anno Mille, riflettendo soprattutto sulla sua forma.

   Il libro Storie della anno Mille di Tonino Guerra e Luigi Malerba - pubblicato nel 1972 - è un “romanzo” nel quale una storia compiuta non esiste perché è un’opera formata [sullo stile dell’Officina di Letteratura Potenziale] da una serie di episodi legati l’uno all’altro dalla presenza di tre protagonisti: Millemosche, Pannocchia e Carestia; sono tre figure metaforiche che rappresentano la vita e l’ideologia di quella massa di individui insignificanti che preme sulle città e sulle campagne con l’unico intento di sopravvivere, e Millemosche, Pannocchia e Carestia rappresentano [con leggerezza] quella tipologia di persone che viene raramente menzionata nei libri di testo perché è emarginata dalla Storia. Millemosche potrebbe essere il personaggio principale: si dichiara “cavaliere”, e ritiene che questo titolo gli dia diritto ad avere qualche privilegio rispetto ai suoi due compagni [che sono degli sbandati] ma, tutto sommato, si rivela al loro stesso livello.

   Millemosche, Pannocchia e Carestia s’incontrano per caso alla fine di una battaglia mentre i corvi rovistano tra i cadaveri [Pannocchia e Carestia sono rimasti nascosti codardamente in un pozzo per non combattere e sono in difficoltà perché non riescono ad uscire da quel buco buio]; Millemosche riconosce Pannocchioa e Carestia come nemici ma si mette insieme a loro, e tutti e tre iniziano a girovagare perché hanno un problema comune: la fame. Riempire lo stomaco è l’obiettivo principale di questi tre individui [di queste tre creature letterarie] che vivono nell’anno Mille, e le tentano tutte: raccolgono lo sterco di cavallo [le castagnole] per rivenderlo; chiedono la carità a vari conventi; si arruolano in un esercito che assedia un castello sperando che l’assedio duri a lungo per sfamarsi quotidianamente; cucinano un berretto intinto nella farina; subiscono allucinazioni collettive per cui un prato con molti sassi bianchi diventa un pascolo pieno di pecore. Ad un certo punto, per una serie di equivoci, lo stesso Pannocchia viene scambiato per un porco e i suoi due compagni se lo vorrebbero mangiare, come succede a Charlot nel celebre film “La febbre dell’oro” quando viene scambiato per un gigantesco pollo. Per procurarsi il cibo questi tre personaggi incorrono in una serie di avventure che mettono continuamente a repentaglio la loro vita e così il libro è anche la storia di una continua fuga e, in questa corsa senza fine, appaiono personaggi collaterali, quei personaggi convenzionali che si possono incontrare sul palcoscenico della vita medioevale. L’unica donna presente nella trama del romanzo si chiama Menegota ed è una strana figura di contadina per la quale un violento schiaffo [è lei che lo dà] equivale a una dolce carezza [la vita per le donne nel Medioevo è particolarmente dura, e la tenerezza è preclusa].

   Tutto il mondo che circonda i tre protagonisti è ridotto a formule elementari che rispecchiano le loro impressioni e, dal dialogo che s’intreccia tra loro - un dialogo in apparenza privo di grandi concetti intellettuali - viene fuori una filosofia semplice ma non priva di una sua forza: quella del senso comune. Le domande a cui Millemosche, Pannocchia e Carestia tentano di dare risposta sono in apparenza ingenue: «Da dove viene la terra? Che cosa è la vocazione religiosa? È meglio l’acqua o il fuoco?» E le risposte non nascono da un ragionamento complesso [di stampo scolastico] ma sono determinate dagli istinti che muovono i tre personaggi nella loro continua fuga per cui è chiaro che «l’acqua è meglio del fuoco quando spegne un incendio, ma è peggio del fuoco quando minaccia di annegare la gente» per cui tutto è relativo, e anche i dogmi e pure i Comandamenti sembrano essere relativi quando si ha fame, quando si ha freddo, quando si ha paura.

   Le vicende di Millemosche, Carestia e Pannocchia sono scritte con lo stile della favola [in maniera metaforica e paradossale] e i tre protagonisti, inventati da Tonino Guerra e Luigi Malerba, i quali si capisce che si stanno divertendo a scrivere queste storie, vengono animati, come fossero dei pupi, come se avessero la consapevolezza di essere personaggi letterari e come tali, molto spesso, si osservano: gli autori fanno in modo che i tre personaggi osservino se stessi in quanto oggetti allegorici. Per esempio, quando Carestia, rispondendo ad una domanda, esclama: «Siamo nel Medio Evo», si esprime [viene fatto esprimere] con la consapevolezza di essere una figura letteraria [allegorica] e, quindi, manifesta ironicamente la certezza che il termine “Medio Evo” non potrebbe essere contemporaneo a lui se lui fosse davvero un personaggio reale, ed ecco che, attraverso la metafora e l’uso del paradosso, gli autori obbligano le lettrici e i lettori ad interrogarsi, e li stimolano ad investire in intelligenza e, difatti, in questa circostanza - se chi viveva realmente nel Medioevo non sapeva di essere nel Medioevo - non possiamo non domandarci: quando è comparso, allora, il termine “Medio Evo” e chi ha usato questo termine per la prima volta per indicare un periodo storico, e quando? E allora chiariamolo subito questo punto utilizzando la forma del nostro “veicolo intellettuale” con cui stiamo celebrando il “tradizionale rituale della partenza”: una forma che, in chiave metaforica e paradossale, c’invita a riflettere.

   Il termine “Medio Evo” viene utilizzato per la prima volta da un intellettuale tedesco, un filologo e uno storico, professore all’Università di Halle, che si chiama Cristoph Keller [1638-1707], il cui nome è stato anche latinizzato in Cellarius, il quale, nel 1688, ha pubblicato un’opera intitolata Historia Medii Aevi [Storia del Medio Evo] nella quale per la prima volta è individuato come periodo a sé stante il “Medioevo” nei limiti cronologici dal IV secolo al 1453 [l’anno della conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi, e noi capiamo che, come succede per l’inizio anche per la fine del Medioevo le ipotesi sono tante, ma ora è ancora presto per parlarne].

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Nell’elenco delle parole che rappresentano il “Medioevo” per la maggioranza delle persone - il buio, il cavallo, la peste, il latino, i frati, la barba, il falcone, la guerra, la fame, la carestia, gli angeli, i diavoli, le maledizioni, le streghe – quale scegliereste per prima?… 

Dobbiamo sapere che operare una scelta in un catalogo di parole costituisce un utile investimento in intelligenza perché è un esercizio che favorisce la messa in moto delle azioni dell’apprendimento [conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare], quindi, non sottraetevi, non rinunciate a svolgere questo compito e fate una scelta partendo dalla vostra concreta esperienza... 

Quale di queste parole sopra elencate vi piace di più, quale è per voi più evocativa?...  

Scrivetela...

 

   E ora, continuando la celebrazione del tradizionale rituale della partenza, cominciamo a leggere Storie dell’anno Mille.

 

LEGERE MULTUM….

Tonino Guerra  Luigi Malerba,  Storie dell’anno Mille

DUE UOMINI IN UN POZZO

La cornacchia aveva fatto un giro largo sul campo di battaglia, poi era andata a chiamare il branco quando gli uomini avevano finito di fare tutto quel trambusto. Molti si erano allontanati a piedi o a cavallo e quelli rimasti lì per terra erano immobili e silenziosi. Non ce n’era uno che muovesse un dito e anche quelli che avevano la bocca aperta o gli occhi aperti non parlavano e non vedevano niente. Adesso c’era un gran silenzio tutto intorno, una gran calma, si muoveva soltanto il fumo che saliva dai cespugli di sterpi secchi e dai carri incendiati. I carri bruciavano insieme ai cavalli e il fumo si attorcinava nell’aria e poi sì spandeva in una nuvola grigia e densa come quando sta per piovere. Poi era arrivato un merlo nero insieme a una gazza e si davano da fare tutti e due laggiù in mezzo a quella gente immobile e silenziosa. Arrivavano sempre per primi il merlo nero e la gazza, prima delle cornacchie e prima dei briganti che venivano a spogliare i morti.

... continua la lettura ...

 

   E così anche questi tre personaggi cominciano a viaggiare insieme a noi. Immagino che questa estate abbiate viaggiato, soprattutto pellegrinando [si può viaggiare realmente sul territorio così come sulle ali della fantasia], e mi auguro non abbiate viaggiato nelle stesse condizioni di Millemosche, Pannocchia e Carestia.

   L’antropologia culturale c’insegna che si viaggia per tre motivi fondamentali più uno e, come è tradizione, noi dobbiamo ricordarli questi motivi nel celebrare il nostro “rituale della partenza” [si sa che i rituali sono ripetitivi].

   Si viaggia per “migrare”, per motivi di sostentamento e sopravvivenza e questo motivo è legato all’idea del “lavoro”.

   Si viaggia per “conoscere”, per motivi di curiosità e di apprendimento e questo motivo è legato all’idea dello “studio”.

   Si viaggia per “andare in pellegrinaggio”, per motivi legati al mito, al rito, alla cerimonia, al racconto e questo motivo è legato all’idea della “riflessione”.

   Si viaggia per migrare, per conoscere, per andare in pellegrinaggio: tre motivi di carattere antropologico, più uno di carattere psicologico. Sappiamo che il “viaggio” non è uno spostamento qualsiasi ma è quella “fase” che sta tra la partenza e la meta.

   Il viaggio è una situazione che ci offre [come ben sapete] l’esperienza dello “spaesamento”. Lo “spaesamento” è quel momento particolare che ci fa uscire dall’abituale, dalle nostre consuetudini, e ci espone all’insolito. Sicuramente è un’esperienza che abbiamo provato: quando sentiamo di essere in questa situazione - fuori dall’abituale, esposti all’insolito - allora siamo “in viaggio”! Lo “spaesamento da viaggio” è una situazione propulsiva che fa venire voglia di ricordare, di documentare, di descrivere quel momento insolito. Lo “spaesamento” crea memoria, la memoria crea racconto e il racconto crea scrittura e allora è un fatto consequenziale quello di dedicarci alla scrittura quando si viaggia: è doveroso tenere un diario quando si viaggia.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Avete fatto un viaggio quest’estate?...

Scrivete quattro righe in proposito…

 

   Qualunque tipo di viaggio s’intraprenda, di questa esperienza rimane sempre un forte ricordo che spesso è ravvivato dagli oggetti che, immancabilmente, portiamo con noi: ebbene, che cosa resta del viaggio di studio al quale molte e molti di voi hanno partecipato lo scorso anno scolastico [2013-2014]?

   Del Percorso che abbiamo compiuto nello scorso anno scolastico rimane un segno tangibile: resta la “forma [restano le icone filologiche]” che voi, attraverso le vostre preferenze - scegliendo su tre cataloghi di parole contenute nel tradizionale questionario di fine viaggio [ricordate?] - avete dato al territorio [il territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale”] che abbiamo attraversato nel corso del viaggio che si è concluso ai primi di giugno.

   Andiamo, quindi, ad osservare le “icone filologiche” che rappresentano la “forma” che ha preso, secondo il nostro parere, il territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale”: una configurazione che funge tanto da punto di arrivo quanto da punto di partenza.

   Il questionario di fine Percorso dell’anno scolastico 2013-2014 ci ha presentato tre blocchi di parole-chiave. Questa sera osserviamo i risultati dei primi due blocchi in questione.

   Nel primo blocco del questionario c’erano venti  parole-chiave che fanno riferimento alla cultura del territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale”, sono venti termini significativi sui quali abbiamo imbastito una serie di riflessioni, e queste parole-cardine le abbiamo incontrate nei tre grandi “paesaggi intellettuali” che contengono i temi fondamentali della cultura alto-medioevale: il tema della “salvaguardia dei Classici greci e latini”, quello della “Letteratura del Corano” e  quello degli “albori del movimento della Scolastica”. Questi avvenimenti - la “salvaguardia dei Classici greci e latini”, la nascita della “Letteratura del Corano” e l’origine del “movimento della Scolastica - hanno favorito l’inizio di una nuova epoca [il Medioevo] il cui clima intellettuale ha portato alla composizione di Opere fondamentali per la Storia del Pensiero Umano, che ancora incontreremo e che continuano, tutt’oggi, a condizionare il nostro modo di guardare la realtà.

   Il secondo blocco del questionario era formato da quattro “triadi di parole” formulate dal filosofo neoplatonico Proclo di Costantinopoli nel testo dell’opera intitolata Dionigi Areopagita. Bisognava scegliere una parola-chiave per triade in modo da dare forma ad una tetrade [ad un insieme di quattro parole] significativa.

   E adesso, sulle tabelle, osserviamo il risultato delle nostre scelte operate sul questionario al quale hanno risposto 159  persone [49 + 29 + 81].

 

 

Il primo riquadro riporta – secondo la grandezza dei caratteri – la quantità di consensi che hanno avuto le parole che abbiamo incontrato sul territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale”. Sui termini più scelti, secondo noi,  poggia l’edificio medioevale.

l’implosione

il silenzio l’affidabilità

la salvaguardia  la consolazione

la mistica la pietra  la traduzione  la restituzione

il saccheggio  l’abbandono  la caduta  l’arguzia  la scala

la causa  la gerarchia  la malizia  l’etimologia  il travaso     la processione

 

   La parola “implosione” è quella che ha ricevuto più consensi, seguita dalle parole “silenzio” e “affidabilità”: un’interessante triade di parole! Segue un’altra bella coppia di parole: “la salvaguardia” e “la consolazione”. Le prime cinque parole di stampo alto-medioevale che sono state scelte - “implosione”, “silenzio”, “affidabilità”, “salvaguardia” e “consolazione” - danno forma ad un quadro che potrebbe illustrare non solo il punto d’ingresso nel territorio medioevale ma potrebbe anche fotografare un’aspirazione nei confronti della realtà odierna: dopo la parola “l’implosione”, che rimanda ad una situazione di drammatica criticità [la “caduta” dell’Impero romano d’Occidente], sembra che con le quattro parole successive [silenzio, affidabilità, salvaguardia e consolazione] si sia voluto come attenuare la drammaticità della catastrofe provocata dall’implosione e, a rinforzo di questa considerazione, contribuiscono anche le quattro parole successive che hanno avuto un buon numero di consensi: “la mistica, la pietra, la traduzione e  la restituzione-

   Poi le scelte hanno cominciato a diluirsi con parole meno rassicuranti: “il saccheggio,  l’abbandono, la caduta, l’arguzia, la scala”. Mentre le parole “causa,  gerarchia, malizia, etimologia, travaso e processione” sono state scelte molto poco. C’è da sottolineare il fatto che nessuna parola è stata esclusa dalla scelta.

 

Il secondo riquadro riporta – secondo la grandezza dei caratteri – la quantità di consensi che hanno avuto le parole contenute in quattro triadi significative - Dio Intelletto Anima, Potenza Sapienza Intelligenza, Buono Bello Giusto, Infinito Molteplice Composito – che, secondo Proclo di Costantinopoli, costituiscono l’essenza della realtà emanata dall’Uno...

Con le nostre scelte abbiamo formulato un’ipotesi: abbiamo costruito una tetrade [un insieme di quattro parole] che definisce, in teoria, una realtà ideale, secondo noi...

Intelletto Sapienza Giusto Infinito

Anima  Intelligenza  Bello  Molteplice

Dio  Potenza  Buono  Composito

 

   Nella prima triade - Dio Intelletto Anima - ha ricevuto il maggior numero di consensi la parola “Intelletto”. Nella seconda triade - Potenza Sapienza Intelligenza - ha ricevuto il maggior numero di consensi la parola “Sapienza”. Nella terza triade - Buono Bello Giusto - ha ricevuto il maggior numero di consensi la parola “Giusto”. Nella quarta triade - Infinito Molteplice Composito - ha ricevuto il maggior numero di consensi la parola “Infinito”.

   Di conseguenza la tetrade più efficace che si è formata per rappresentare l’essenza della realtà è  “Intelletto Sapienza Giusto Infinito”, come seconda scelta abbiamo “Anima Intelligenza Bello Molteplice” e poi, per terza, “Dio Potenza Buono  Composito”.

   Questi due quadri raffigurano la nostra riflessione collettiva sul pensiero della “sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale” quindi indicano un punto di arrivo su cui dobbiamo riflettere ma, soprattutto, le parole “implosione”, “silenzio”, “affidabilità”, “salvaguardia” e “consolazione” che nel primo blocco sono state scelte di più fanno anche da battistrada per il nostro viaggio che sta per avere inizio nel territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale”.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Oggi di queste parole – implosione, silenzio, affidabilità, salvaguardia, consolazione - quale scegliereste per prima?... 

Scrivetela ...

E quale delle tre tetradi che si sono formate - Intelletto Sapienza Giusto Infinito, Anima  Intelligenza Bello Molteplice, Dio Potenza Buono Composito - scegliereste per prima ?...

Scrivetela...

 

   I due riquadri che illustrano i risultati del questionario - di cui abbiamo preso visione questa sera - hanno determinato nella nostra mente una serie d’immagini utili per concludere la celebrazione del tradizionale rituale della partenza. E allora con queste immagini nella mente: accingiamoci a partire.

   Più di una parola del questionario di cui abbiamo analizzato i risultati si addice ai racconti che stiamo leggendo i cui testi formano il veicolo che ci sta facendo entrare nel territorio dell’Epoca medioevale. E allora terminiamo questo primo itinerario leggendo ancora un racconto di Storie dell’anno Mille. La materia contenuta in abbondanza in questo racconto, secondo la tradizione, nel caso venga calpestata, si dice porti fortuna e, allora: buona fortuna a tutte e a tutti noi da parte di Millemosche, Pannocchia e Carestia.

 

LEGERE MULTUM….

Tonino Guerra  Luigi Malerba,  Storie dell’anno Mille

LE CASTAGNOLE D’ORO

Non si sa chi dei tre ha visto per primo le castagnole di sterco di cavallo. Belle e compatte sulla polvere della strada e nelle piazzole e lungo i fossi di confine dove i cavalli vanno a spiluccare l’erba. Su quella strada si vede che sono passati anche dei somari, pecore cani capre gatti randagi e altri animali. Vicino ai campi di battaglia invece si trova soltanto una poltiglia spruzzata in tutte le direzioni da cavalli e uomini, sbandati e impauriti. Ma dai campi di battaglia è meglio starci lontani per tante ragioni.

Il primo a raccogliere lo sterco è Millemosche.

«Lo sterco è oro. Con lo sterco si può avere di tutto: frumento patate riso cavolfiori insalata finocchi orzo granoturco cipolle aglio rape carote zucche e fiori di tutti i tipi e di tutti i colori».

«Le zucche va bene ma con i fiori che cosa se ne fanno?».

... continua la lettura ...

 

   La lettura di queste storie, che descrivono in modo funambolico le peripezie dei nostri eroi dell’anno Mille, continua.

   C’è ancora un blocco di parole su cui abbiamo operato le nostre scelte - parole di derivazione araba - ma dei risultati di questo catalogo ce ne occuperemo la prossima settimana, anche perché la nostra partenza avviene nel territorio dei Califfati arabi della penisola Iberica.

   Ai primi di giugno, prima insieme a Giovanni Scoto Eriugena e poi insieme a Gerberto d’Aurillac siamo arrivati a Toledo ed è da Toledo, quindi, che dobbiamo ripartire. A Toledo ci rinfrescheremo la memoria e prepareremo lo zaino: il metaforico zaino intellettuale nel quale sistemeremo tre oggetti utili per partire puntando in direzione del cuore del Medioevo.

   E così stiamo per prendere il passo con lo spirito utopico che lo studio porta con sé sulla scia dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale e, quindi, buon viaggio a tutte e a tutti voi, persone sagge che sapete quanto sia importante non perdere mai la volontà d’imparare…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 10, 2014