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LO SGUARDO DI HEGEL SULLA COSCIENZA, L’AUTOCOSCIENZA, L’ETICITÀ…

Lezione N.: 
28

Prof. Giuseppe Nibbi                        Lo sguardo di Hegel  2006                    24-25-26  maggio  2006

LO SGUARDO DI HEGEL

SULLA COSCIENZA, L’AUTOCOSCIENZA, L’ETICITÀ…

     E così siamo arrivati anche all’ultimo itinerario di quest’anno scolastico 2005-2006 che ha offerto due Percorsi di studio, il primo intitolato Il sorriso di Erodoto e il secondo intitolato Lo sguardo del “giovane Hegel”.

     Come abbiamo già annunciato, lo studio del pensiero e del sistema di Hegel non si esaurisce in questo Percorso; e questo fatto, dal punto di vista didattico, non si presenta come un problema perché, per quanto riguarda la filosofia di Hegel, gli studiosi hanno sempre fatto una netta distinzione tra “il giovane Hegel” e “l’Hegel sistematico”, quindi in questo Percorso abbiamo catalogato le parole-chiave e le idee significative che riguardano “il giovane Hegel” e nel prossimo anno scolastico ci occuperemo de “l’Hegel sistematico” che riprende, spiega in modo più approfondito e complica anche i significati delle stesse parole e i contenuti delle stesse idee che “il giovane Hegel” aveva già catalogato.

     Sei settimane fa siamo partiti da Tubinga e abbiamo toccato alcune importanti città tedesche ed europee e questa sera ci troviamo a Jena. Qui, una sera d’estate dell’anno 1801, Schelling, Hölderlin e Hegel – ancora una volta riuniti insieme – vanno a teatro ad assistere alla rappresentazione di Amleto di Shakespeare.

     Schelling, Hölderlin e Hegel, quindi, questa sera, ci portano a Jena, una città che noi abbiamo già visitato due anni fa (nel maggio 2004 attraversando il territorio del “romanticismo titanico”): ma in certi luoghi bisogna periodicamente ritornare (prima di tutto perché ci sono nuove persone che, nel frattempo, si sono messe in viaggio nei nostri gruppi e poi perché uno dei compiti, un diritto/dovere, delle cittadine e dei cittadini che si dedicano allo studio, è quello di “ripassare”, e “ripassare” significa “rilanciare” e “ampliare”); e allora, prima di proseguire dobbiamo fare una visita a questa interessante città della Turingia. Anche Jena, con Weimar e Heidelberg, è una delle capitali del romanticismo. E, sempre utilizzando l’enciclopedia, l’atlante, la guida della Germania, la rete: facciamo due passi per Jena in modo da incentivare – in funzione della didattica delle lettura e della scrittura – l’approfondimento della visita. Secondo la tradizione, cominciamo la nostra passeggiata virtuale dall’Università, fondata a Jena nel 1558 (in età moderna) dal principe elettore Giovanni Federico I. La fondazione dell’Università ha trasformato questa cittadina di commercianti in un centro culturale di prim’ordine. L’Università di Jena, oggi, ha sede in un grattacielo cilindrico di 26 piani, alto 120 m. Accanto al grattacielo universitario, però, c’è sempre l’edificio in cui si trovava l’Università: questo edificio si chiama: Collegium Jenense, ed è stato la sede di un monastero domenicano del XIII secolo. Quindi dal punto di vista architettonico, questo edificio, è un tradizionale monastero medioevale con un bel cortile interno: oggi è la sede del museo dell’Università. In questo museo troviamo documentata la storia culturale di Jena (la visita, anche virtuale, ai musei di Jena è utile per “ripassare”, per “rilanciare” e per “ampliare”) e scopriamo che, quando Schiller tenne la sua prima lezione nel 1789 fece infiammare, con le sue idee liberali, l’animo di tutti gli studenti, che, a decine s’iscrissero al suo corso di Storia e conosciamo (perlomeno molti di voi conoscono) questo episodio.

     Scopriamo che, qualche problema, lo ebbe invece, nel 1798, il filosofo Johann Fichte, che dovette difendersi dall’accusa di ateismo e fu sospeso dall’incarico di professore; ma Fichte lo abbiamo incontrato su questo Percorso e conosciamo questo episodio.

     Scopriamo che a Jena si è formato un gruppo di intellettuali che furono chiamati “romantici”, e finirono per identificarsi con questo nome: quindi, Jena va considerata, almeno per quanto riguarda il nome, una delle culle del “romanticismo”. Questi intellettuali, che si chiamano Novalis, Schlegel, Tieck, Brentano, (a suo tempo abbiamo fatto la loro conoscenza) s’incontravano nella casa in cui, dal 1795 al 1799, alloggiava Fichte: oggi questa Casa, che si trova nel centro storico di Jena è un museo che si chiama Romantikerhaus (La casa dei romantici): andate a cercarla sulla guida.

     Sempre nel museo dell’Università scopriamo che, dopo la sconfitta di Napoleone, quindi dopo il 1815, le decisioni reazionarie e conservatrici del Congresso di Vienna (he rimetteva in ordine l’Europa dopo la Rivoluzione francese e le Campagne napoleoniche) delusero profondamente gli studenti di Jena che fondarono un’Associazione degli studenti: nacque il movimento studentesco, in senso moderno, che ebbe un ruolo importante nel processo di unificazione della Germania.

     Ci sono tanti e interessanti monumenti a Jena, andate a visitarli sulla guida: ci sono le chiese; ci sono i bei palazzi; ci sono alcuni pittoreschi bastioni medioevali; c’è un bel tratto delle mura del ‘400 con la famosa Torre delle polveri (la Pulverturm); c’è il museo degli strumenti ottici (Jena è la città delle lenti); c’è, nella chiesa gotica di San Michele, la lastra di bronzo, fusa nel 1551, che avrebbe dovuto coprire la tomba di Martin Lutero a Wittenberg: come mai è rimasta lì? Questa lastra di bronzo ha una storia e noi, ora, non abbiamo tempo per raccontarla, ma la trovate sulle guide: divertitevi a documentarvi.

     Ebbene tra i tanti e interessanti monumenti che ci sono a Jena dobbiamo ricordare ancora il Giardino botanico che contiene circa 12 mila specie di piante, alcune rare. Questo Giardino botanico (molti di voi lo ricordano) lo ha realizzato Goethe, che, qui, ha sperimentato la sua teoria sulla “pianta originaria” che, come scrive a Herder,  dice di aver scoperto in Sicilia nel corso del suo Viaggio in Italia. Goethe ha soggiornato, a periodi, dal 1817 al 1830 a Jena con l’incarico di capo-giardiniere, e anche di direttore dell’istituto di scienze dell’Università. Oggi la Casa del capo-giardiniere, dove Goethe ha abitato, è un museo con molti oggetti interessanti da vedere.

     A nord del Giardino c’è il Planetarium (che Goethe aveva pensato ma che è stato realizzato nel 1926): sotto la sua grande cupola c’è posto per 500 persone che possono assistere a varie rappresentazioni. Dove oggi c’è il planetarium, nel 1801 c’era un teatro all’aperto e lì, d’estate, si svolgeva la stagione teatrale: e proprio qui noi ci troviamo in questo momento in compagnia di Schelling, Hölderlin e Hegel.

     Naturalmente, a Jena c’è la Casa dove alloggiò Schiller dal 1789 al 1799, oggi è un museo da visitare: qui scrisse i drammi Wallenstein, Maria Stuarda, La pulzella d’Orleans.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Fai una visita a Jena utilizzando l’atlante, la guida della Germania, la rete: buon viaggio…

     A Jena, una sera d’estate dell’anno 1801, Schelling, Hölderlin e Hegel (ancora una volta riuniti insieme) vanno a teatro ad assistere alla rappresentazione di Amleto di Shakespeare. Tutti sappiamo che la scena più famosa di Amleto di Shakespeare è quella del celebre monologo in cui Amleto tiene in mano il teschio dell’amico Yorick . Durante la recitazione del monologo(come abbiamo già detto alla fine dell’itinerario della settimana scorsa) il “giovane Hegel” è particolarmente inquieto e si agita sulla panca della platea da dove assiste, assieme a Schelling e a Hölderlin, alla rappresentazione: il celebre monologo (Essere, non essere: qui sta il problema) invita certamente alla riflessione, ma che cosa passa nella mente del “giovane Hegel” in questa occasione?

     Hegel dedica un capitolo della Fenomenologia dello Spirito a questo monologo dell’Amleto ed è molto probabilmente, dicono gli studiosi, il primo brano che scrive di quest’opera. Forse, stimolato dalla presenza dei suoi due compagni (con i quali rivaleggia), questo brano lo scrive la sera stessa in cui ha partecipato a questa rappresentazione teatrale. Che cosa passa nella mente del “giovane Hegel” in questa occasione, davanti al teschio di Yorick accarezzato da Amleto? Quando la coscienza della persona è ancora immatura, pensa il “giovane Hegel”, è spinta a credere che lo spirito si riduca ad una realtà materiale…

     La coscienza immatura è spinta a credere che l’essere dello spirito sia un osso, e allora non c’è che una via da seguire: quella di ripercorrere l’itinerario della conoscenza dello spirito ripartendo da questo osso, prendendo le mosse dalla scatola cranica. Gli antichi credevano che l’essere umano pensasse col cuore o con il fegato. Da quando si scoprì, con Galeno, scrive il “giovane Hegel”, che gli esseri umani pensano con il cervello si cominciò a guardare con attenzione alla scatola cranica. Ma rileggiamo le parole di Hegel da:

LEGERE MULTUM….

Georg Hegel, La fenomenologia dello Spirito (1807)

Osservando il teschio di Yorick accarezzato da Amleto mi è venuto in mente che la povertà strutturale della scatola cranica contrasta certamente con le straordinarie proprietà del suo contenuto, il cervello.

Da un lato sta una moltitudine di quiete regioni craniche, mentre dall’altro lato abbiamo una moltitudine di proprietà spirituali, la cui quantità e determinazione dipenderanno dallo stato degli studi psicologici. Sappiamo bene che una qualsiasi scatola di cartone potrebbe contenere delle pietre preziose, ma nel caso del cranio la cosa è più complicata.

La scena in cui Amleto riflette sulla fragilità della vita tenendo in mano il cranio di Yorick contiene già in sé il contrasto tra la povertà materiale delle ossa craniche e lo stimolo a riflettere che esse producono: è vero che anche un cranio può suscitare in noi, come quello di Yorick in Amleto, ogni sorta di meditazioni; di per sé però il cranio è solo una cosa cruda e indifferente, nella cui immediatezza non è possibile scorgere né assumere altro che il cranio stesso e difatti quando la coscienza della persona è ancora immatura è spinta a credere che lo spirito si riduca ad una realtà materiale. La coscienza immatura è spinta a credere che l’essere dello spirito sia un osso, e allora non c’è che una via da seguire: quella di ripercorrere l’itinerario della conoscenza dello spirito ripartendo da questo osso, prendendo le mosse dalla scatola cranica.

     Per il “giovane Hegel” non c’è che una via da seguire: quella di ripercorrere l’itinerario della conoscenza dello spirito ripartendo da questo osso, prendendo le mosse dalla scatola cranica, prendendo le mosse dalla realtà materiale. Il “giovane Hegel” definisce l’itinerario della conoscenza dello spirito con un termine: con la parola “fenomenologia”. Il termine “fenomenologia” deriva dal greco fénomé che significa “mostrarsi”, “apparire” e indica la determinazione dei momenti in cui si viene manifestando la formazione dello spirito. Lo spirito, secondo il “giovane Hegel”, si manifesta in determinati momenti apparendo sotto forma di “figure” (metafore, allegorie, icone). La “fenomenologia” è l’itinerario che il “giovane Hegel” percorre, all’interno della propria coscienza, per descrivere i modi e le vicende attraverso cui lo spirito umano si sviluppa dal grado più basso (dall’osso, dalla materia) fino a quello più alto (all’eticità).

     Questo concetto del viaggio intellettuale che l’essere umano deve intraprendere, partendo dalla materia per dirigersi verso lo Spirito, è un punto di riferimento fondamentale nella Storia del Pensiero umano. Ed è anche un elemento fondante del fatto che noi, cittadine e cittadini, siamo qui, nella Scuola pubblica, ad animare un’esperienza didattica e a costruire un itinerario di studio che possa contribuire ad elevare il nostro spirito per poter dare un valore alla materia nella quale siamo immersi: ciascuno di noi è protagonista della propria “fenomenologia”, ciascuno di noi deve essere interprete e animatore dell’itinerario all’interno della propria coscienza…ogni volta che noi “leggiamo, riflettiamo e scriviamo” (nel passare dal “repertorio” alla “trama” e viceversa) noi facciamo apparire una “figura dello Spirito”.

     Il “giovane Hegel” matura l’idea del viaggio intellettuale, sviluppa l’idea dell’itinerario all’interno della propria coscienza, procedendo dalla materia in direzione dello Spirito, sulla scia di uno degli elementi più importanti della sua formazione culturale (come sappiamo il “tema della formazione intellettuale” del “giovane Hegel” è complesso). Tutta la generazione romantica si è formata alla cultura dell’Umanesimo e della civiltà greca (le parole-chiave, le idee significative della cultura greca hanno permeato profondamente il pensiero della modernità e della contemporaneità), in particolare la generazione romantica si è formata sulla filosofia di Platone e sul suo sviluppo, il Neoplatonismo. In tutti gli Istituti (come lo Stift di Tubinga), in tutte le facoltà di teologia e di filosofia delle Università europee, tra il 1700 e il 1800, si tengono percorsi di studio sui Dialoghi di Platone e sulle Enneadi di Plotino, nonostante siano opere guardate, dagli apparati di potere, con una grande diffidenza.

     Il “giovane Hegel”, e tutta la generazione romantica, tuttavia conosce bene le opere di Platone e le Enneadi di Plotino (il professor Fortunius ha una formazione intellettuale e didattica di tipo “neoplatonico”). Noi sappiamo già che il concetto del viaggio intellettuale che l’essere umano deve intraprendere, partendo dalla materia per dirigersi verso l’Uno, è il tema fondamentale delle Enneadi di Plotino e delle Lezioni del suo maestro Ammonio Sacca.

     Quindi il primo fattore che gli studiosi mettono in evidenza, quando si accingono a leggere e a commentare La fenomenologia dello Spirito, è quello del richiamo alla cultura del Neoplatonismo che costituisce uno degli elementi fondamentali della formazione intellettuale del “giovane Hegel” e di tutta la generazione “romantica”.

     Abbiamo già accennato al fatto che la cultura del Neoplatonismo è sempre risultata poco gradita agli apparati di potere della Cristianità: per quale motivo? Perché il Neoplatonismo, dal I al VI secolo contende il potere al Cristianesimo e il Cristianesimo si afferma fagocitando il pensiero neoplatonico e costruendo su di esso le basi della filosofia cristiana. Il Cristianesimo, con una grande operazione culturale, ha utilizzato le strutture filosofiche del Neoplatonismo per costruire un potente pensiero filosofico dominante. Il Cristianesimo ha utilizzato (non senza difficoltà) il pensiero di Platone per svincolarsi dalle strutture dell’ebraismo e quindi ha “cristianizzato” il Neoplatonismo: questa operazione (una volta portata a termine, nel corso di qualche secolo) è stata, il più possibile, non rivelata, sottintesa.

     Papa Giulio II  (Giuliano della Rovere) nel 1508 (molti di voi dovrebbero ricordare questi avvenimenti ai quali, per la fine del millennio, abbiamo dedicato un Percorso)  ordina a Raffaello, di affrescare le Stanze vaticane. Nella prima Stanza, che doveva essere la camera da letto del papa  – che poi diventa la cosiddetta Stanza della segnatura (dove il papa firma i documenti) –, Giulio II vuole che Raffaello dipinga La Scuola di Atene, vuole che tutta la filosofia greca stia ufficialmente inglobata per sempre nel cuore del potere della Chiesa. Una mossa politica e culturale di grande valore strategico: è sulla “filosofia greca” che si regge il pensiero del Cristianesimo e questa straordinaria operazione culturale è stata fondamentale per la sopravvivenza e lo sviluppo del Cristianesimo stesso. La Scuola di Atene di Raffaello è,  per volere del papa, l’ammissione di questo fatto.

     Se osserviamo l’affresco raffigurante La Scuola di Atene possiamo notare sulla sinistra (che, per noi che guardiamo è la destra) nella parte alta, la figura del cosiddetto “nobile vecchio”: questa figura, vestita di marrone francescano, è stata dipinta davanti alla parete chiara e quindi risalta ancora di più. Chissà perché, nel corso dei secoli, questa figura de La Scuola di Atene di Raffaello è stata sempre chiamata la figura del “nobile vecchio” piuttosto che col nome del personaggio che inequivocabilmente rappresenta? Il fatto è che questo personaggio, insieme ai tre personaggi che gli stanno intorno, produceva (e forse produce tuttora) uno stato d’inquietudine. Questa figura rappresenta un personaggio scomodo, tanto lui quanto il suo Maestro la cui immagine, ne La Scuola di Atene, è stata affrescata vicino a lui. La figura del “nobile vecchio” rappresenta Plotino: uno dei più importanti pensatori che la Storia della cultura abbia conosciuto.

     Plotino è il grande codificatore del Neoplatonismo, la corrente filosofica che fornisce al Cristianesimo la solida piattaforma ideologica che il Cristianesimo possiede; e all’inizio del ‘500 (ma per tutto l’Umanesimo e il Rinascimento) il Neoplatonismo è in auge e lo stesso Raffaello appartiene a questa corrente di pensiero. Ma Plotino di Licapoli ,città dell’Egitto nella quale è nato nel 205, non è un cristiano, anche se è nato probabilmente in una famiglia di cultura cristiana. Plotino, con grande rispetto, critica il Cristianesimo perché vede nel Cristianesimo una religione mitica, misterica, nella quale la ragione deve essere messa da parte; Plotino sostiene che il Cristianesimo è una “teosofia cannibalica”, esasperata, dove all’equilibrio della ragione prevale il “fanatismo della fede”: ed effettivamente il Cristianesimo, nel II e nel III secolo, possiede in modo sovrabbondante dei connotati di natura orfico-dionisiaca che, secondo Plotino, ostacolano la reale conoscenza della realtà e di conseguenza il cammino verso la salvezza. Il Cristianesimo diventa una “fede matura” quando, assimilando la cultura ellenistica, fa propria una “linea apollinea”, assumendo il pensiero neoplatonico come “filosofia di supporto” dove la ragione gioca un ruolo considerevole nello sfrondare la mentalità del Cristianesimo delle origini appesantita da molti elementi di settarismo.                                                                     

     Il tema del rapporto tra il Cristianesimo e l’Ellenismo lo abbiamo affrontato un po’ di anni fa  studiando la “letteratura dei Vangeli”, le Lettere di Paolo di Tarso e studiando il pensiero dei Padri della Chiesa: da Giustino alla Scolastica. Sappiamo anche che questi temi di carattere religioso interessano molto ai “romantici”; queste questioni teologiche interessano molto al “giovane Hegel” e costituiscono il contenuto delle sue prime opere, quelle che ha scritto a Berna (1793-1796).

     Il Neoplatonismo ha giocato, nel III – IV - V secolo, un ruolo fondamentale nella costruzione della teologia del Cristianesimo: è quindi chiaro che nei confronti di Plotino, del suo maestro Ammonio Sacca e del Neoplatonismo originario, c’è sempre stata nella Cristianità (finché è esistita la Cristianità) una forma di “rimozione”, di “fastidio” e un senso di imbarazzato distacco: perché? Perché Plotino, nel pieno dell’emergere della religione cristiana, decide di costruire un itinerario di cultura e di morale laica che conduca la persona alla salvezza e alla pienezza contando sulle risorse che la persona ha in sé, facendo tesoro delle risorse date dalla ragione.

     Il Cristianesimo, dopo avere preso atto che il ritorno del Signore non era cosa imminente (come la prima generazione di discepoli aveva pensato) ha dovuto radicarsi culturalmente nella realtà, inserirsi nel mondo, cercare le risorse nell’uso della ragione: ha dovuto costruire la fede con il supporto fondamentale della ragione. L’itinerario di Plotino ha fornito agli intellettuali cristiani la linea attraverso la quale il Cristianesimo si è gradualmente imposto culturalmente: è evidente, quindi, che Plotino è un personaggio scomodo che deve stare in secondo piano: si sarebbe preferito dimenticarlo, lasciarlo nel territorio dell’oblio.

     Ma Plotino, insieme ad Ammonio, a Origene e a Longino (i quattro neoplatonici), ha il posto che gli spetta nella Scuola di Atene di Raffaello. Nella Scuola di Atene di Raffaello, papa Giulio II vuole che il “nobile vecchio” (e gli altri tre neoplatonici) sia in posizione strategica e, pur non desiderando che siano chiamati per nome, tuttavia suggerisce che ne venga esaltata la presenza: difatti nella Scuola di Atene noi vediamo il “dito che indica il cielo” di Platone, la “mano protesa che indica la terra” di Aristotele e poi vediamo (ma questo non viene mai messo in evidenza) il “piede” di Plotino: con questo piede la filosofia cristiana ha cominciato a camminare e, nel Rinascimento (1508), con questo “piede” sta camminando ancora.

     La Scuola di Atene è un oggetto che serve alla Cristianità per guardarsi dentro (la coscienza e l’autocoscienza) dal punto di vista culturale (e magari anche – viene sempre il momento – per fare autocritica); allora Plotino (insieme agli altri tre neoplatonici, insieme alla Scuola di Ammonio), sebbene senza essere nominato e sotto forma di allusione, di “figura”, deve avere, nella storia della cultura, il posto che gli spetta.

     Il “giovane Hegel”, e tutta la generazione romantica, nel momento storico in cui è vissuto, ha guardato con molto interesse alle parole-chiave e alle idee significative del Neoplatonismo e l’impostazione de La fenomenologia dello Spirito, ci dicono gli studiosi, è influenzata da questo pensiero.

     Oggi, nel momento in cui le cittadine e i cittadini devono operare per mettere in primo piano i valori dell’Umanesimo, devono anche conoscere (con tutte le sue contraddizioni) quella straordinaria stagione culturale apertasi ad Alessandria nel III secolo. So che molti di voi conoscono bene gli avvenimenti, i personaggi e i pensieri di questa stagione, ma forse non tutti (ci sono nuovi studenti…) hanno ancora fatto due passi nell’Alessandria del III secolo, e soprattutto nessuno di noi ha visitato Alessandria insieme al “giovane Hegel”, quindi è necessario un ripasso, per “rilanciare” e “ampliare” (reperita iuvant).

     Plotino è nato a Licapoli in Egitto nel 205 e, dopo una prima fase di studi nella sua città, si trasferisce nella metropoli di Alessandria che, in questo momento è una delle grandi capitali economiche e culturali del bacino del Mediterraneo. Chi ci racconta queste notizie su Plotino? Ce le racconta uno dei suoi discepoli diretti: Porfirio di Tiro (in Fenicia), nato nel 234. Porfirio ci ha lasciato in eredità la Vita di Plotino e le Enneadi di Plotino. Plotino ha scritto 54 trattati e Porfirio li raccoglie per argomenti, li mette in ordine in sei gruppi di nove opere e li pubblica. Un insieme di nove oggetti – nove in greco si dice ennéa – è un’enneade. (Dodici uova – o dodici libri – formano una “dozzina”, nove uova – o nove libri – sono “un’enneade”, in latino si parla di “novena”). Quindi Enneadi significa: gruppi di nove opere e, su cinquantaquattro, ne vengono fuori sei.

     Nella Vita di Plotino, scritta da Porfirio, lo scrittore ci racconta che, ad Alessandria, Plotino vuole studiare filosofia, e comincia a frequentare le Scuole più famose della città, gestite da celebri e costosi maestri eristici, gnostici. Ma, scrive Porfirio, usciva dalle loro lezioni “pieno di scoraggiamento e di afflizione”. Un giorno (siamo nella primavera dell’anno 233) Plotino, deluso e amareggiato, va a mangiare in una bettola nella zona del porto: lì, a pranzare in quella osteria, c’è un uomo maturo, che ha tutta l’aria dello studente (ad Alessandria ci sono decine di Scuole e centinaia di studenti di tutte le età). Nelle osterie del porto si mangia allo stesso unico tavolo e questa persona, ad un certo punto, visto che ci sono solo loro due, inizia a parlare con Plotino, che non ha nessuna voglia di comunicare perché è “scoraggiato e afflitto”, mentre quest’altro è un individuo “motivato e sereno” che guarda al di là del proprio orizzonte personale. Plotino risponde all’interlocutore ed entra in sintonia con questa persona e gli racconta le sue disavventure di studente non soddisfatto dei grandi, dei celebri e dei costosi maestri Alessandrini, tanto che sta meditando di tornarsene a casa, a Licapoli.

     Il suo interlocutore lo ascolta e, scrive Porfirio, “capisce il desiderio dell'anima di Plotino” il quale ha ventotto anni ed è molto deluso perché era venuto ad Alessandria pensando di poter dare una svolta alla sua vita. Allora quest’uomo, alla fine del frugale pranzo che hanno consumato insieme, gli fa una proposta e gli dice: «Guarda, io sto andando a Scuola, perché non vieni ad ascoltare il mio maestro? Abita qui vicino, a dieci minuti di strada, e verso le cinque comincia la lezione». Plotino non ne ha molta voglia e ribatte dicendo: «Ma che maestro è questo? Possibile che non ne abbia avuto notizia? Ho già frequentato tutte le Scuole più importanti qui ad Alessandria, le ho girate tutte…».

     Il suo interlocutore lo mette al corrente. Questo maestro si chiama Ammonio, non si fa pubblicità e non vende il suo sapere perché è un “vero discepolo di Platone” (Platone disapprova che la “cultura” venga venduta come una merce). Ammonio abita nel quartiere più popolare della città e lavora al porto come “saccoforòs”, come scaricatore: scarica, con altre centinaia di operai, i sacchi dalle navi (nel porto di Alessandria il lavoro non manca mai), e anche per questo lo chiamano Sacca di soprannome. «Ora ho capito!, risponde Plotino, ho sentito tutti i grandi e celebri maestri che ho frequentato dire peste e corna di questo Sacca! E io non me ne sono curato… ». «Ne dicono male, ribadisce il suo interlocutore, perché vive come i più umili e lavora per mantenersi e insegna per passione, per l’eros (l’Amor platonico)…».

     Plotino naturalmente si è incuriosito e decide di seguire il nuovo amico, che intanto si presenta, si chiama Origene ed è nato ad Alessandria nel 185, ha 48 anni e frequenta anche la Scuola della comunità cristiana diretta da Clemente Alessandrino. Plotino, insieme a Origene, va all’appuntamento che modifica la sua vita. La Scuola di Ammonio si svolge nel cortile davanti alle due stanze dove Ammonio abita, c’è una pergola per stare all’ombra e, quando arrivano sul posto, il cortile è già pieno di scolari che attendono in silenzio, e via via ne arrivano altri.

     Alle cinque Ammonio apre la porta, esce nel cortile, saluta tutti cordialmente e inizia la sua lezione: commenta i Dialoghi di Platone. Bastano poche battute e Plotino si rivolge a Origene, lo ringrazia e gli dice: «Ecco la persona, ecco il maestro che cercavo…». Da quel pomeriggio, per undici anni, Plotino frequenta la Scuola di Ammonio, e così diventa “Plotino”. Ma lì, in quell’umile cortile nel quartiere del porto, ci sono tanti studenti che diventeranno protagonisti di grandi eventi intellettuali che faranno nascere la nostra cultura: oltre a Plotino, c’è Origene, c’è Cassio Longino.

     Ammonio ò Saccoforòs è il fondatore del Neoplatonismo e, come tutti i veri “grandi personaggi”, vive appartato e vuol vivere nell’ombra. Solo in un posto Ammonio accetta che si accendano i riflettori su di lui (i riflettori dell’intelligenza) – ed è l’esempio che ci lascia in eredità –: questo posto è la Scuola e la Scuola è sulla strada, sulla strada, pubblica, della nostra vita quotidiana. Anche quello che sappiamo di Ammonio lo sappiamo da Porfirio. Ammonio è nato ad Alessandria nel 175, è nato in una famiglia agiata e di cultura cristiana ed è stato educato nell’ambito della cultura cristiana. Di lui non possediamo che pochissime notizie, sembra che abbia viaggiato verso Oriente e sia arrivato sulle sponde dell’Indo, un viaggio che allora molti intellettuali facevano per motivi di studio: andavano a frequentare le Scuole di cultura vedica, le Scuole delle Upanishad (abbiamo incontrato la cultura indiana insieme ad Erodoto). C’è chi sostiene (è una supposizione) che il soprannome Sacca contenga anche, oltre ai sacchi, il nome Sakyamuni, il mistico della famiglia dei Sakya, il soprannome di Gotamo Siddarta, prima che diventasse l’Illuminato di Benares. Ci sono tuttavia, nel personaggio di Ammonio, una serie di interessanti implicazioni multiculturali secondo la tradizione dell’Ellenismo: la cultura greca di Platone, la cultura indiana, il profetismo ebraismo e l’afflato del cristianesimo. Lo stile di vita di Ammonio è un modello di tipo monastico in senso laico e si caratterizza per la frugalità, per il lavoro, per lo studio, per la Scuola. Ammonio muore nel 244 e da quel momento tutti i suoi studenti prendono la loro strada. Nella sua Scuola, Ammonio propone un itinerario di salvezza (studium-cura) basato sulla ragione e sulla ricerca del bene attraverso l’intelligenza, secondo l’itinerario di Platone. Il bene, la salvezza, il senso della vita si costruisce con l’intelligenza: attraverso la luce che deve illuminare l’Idea del Bene.

     Come è fatta la realtà per Ammonio? Il centro della realtà per Ammonio è l’Essere umano, è la Persona e ogni Persona è un Mondo, è un Universo, è l’Uno. La Persona è l’Uno, e l’Uno è la sintesi dei valori umani (sapienza, giustizia, fraternità), e l’Uno è capace di trascendere tutte le cose (di unificare il molteplice). La Persona, in quanto Uno, è separata da tutte le cose (dal molteplice), perché non è un oggetto. La Persona è l’Uno perché è il Soggetto che ha il dono del pensare. Ciascuno di noi è l’Uno, e L’Uno è capace di pensare se stesso e l’Uno che pensa se stesso è l’Intelletto, e l’Intelletto a sua volta risponde al pensiero dell’Uno e lo riconosce, e procede verso di lui, e l’Intelletto che procede verso l’Uno è l’Anima, è lo Spirito. In ciascuno di noi, secondo Ammonio, procedono tre forme: Uno, Intelletto e Anima. L’Anima è in grado di conoscere la realtà perché è capace di venire a contatto con le idee (con le forme) contenute nelle cose, presenti negli oggetti di cui è fatto il Mondo. L’Uno si manifesta nell’Intelletto e l’Intelletto, facendosi Anima, è capace di cogliere le Idee che sono l’essenza della realtà, che Ammonio chiama l’Anima del Mondo. La vita ha senso quando, attraverso un itinerario di studio, siamo capaci di percepire l’Anima del Mondo; oggi potremmo dire: quando siamo capaci a imparare ad imparare e ne proviamo soddisfazione, ne proviamo gioia. La Persona, ciascuno di noi, si manifesta in quanto Uno, Intelletto e Anima: siamo “una cosa sola” che si manifesta in “tre ipostasi”, in tre idee distinte ma intimamente unite.

     Questo ragionamento è la prima immagine di quella che diventerà la Santissima Trinità: la forma del Dio cristiano, e sarà Origene, attraverso la Scuola di Ammonio, a costruire per primo questa potente immagine.

     Compito della Scuola, secondo Ammonio, è curare il nostro Essere-Uno in quanto corpo, il nostro Essere-Intelletto in quanto ragione, pensiero, e il nostro Essere-Anima in quanto intelligenza, in quanto esercizio cognitivo della ricerca del bene.

     Plotino raccoglie l’eredità intellettuale di Ammonio e codifica, nelle sue opere, le Enneadi, messe in ordine da Porfirio, i concetti del Neoplatonismo. Plotino fa diventare universale il ragionamento di Ammonio: se la realtà della Persona si presenta come Uno, Intelletto e Anima, anche la realtà dell’Universo deve essere così. Il Tutto, tutta la realtà universale, spiega Plotino nelle Enneadi, deriva, viene emanata dall’Uno. L’Uno è la sintesi della trascendenza, è il concetto supremo, ineffabile che trascende Tutto (la quantità, la qualità, l’anima, Dio, il pensiero, la volontà). L’Idealismo (Fichte, Schelling, Hegel) vede nell’Uno, con le dovute variazioni, il modello dell’Assoluto (dell’Io puro, dell’Assoluto In-differente). L’Uno, per emanazione naturale e necessaria produce l’Intelletto (il Noùs, il Logos, il mondo delle Idee). L’Uno, attraverso l’Intelletto (il Nous, il Logos), continua a emanare l’Anima del Mondo. Ecco, spiega Plotino nelle Enneadi, la realtà universale è formata da questi tre elementi: Uno, Intelletto, Anima. La realtà quindi è un “mondo intelligibile”, conoscibile attraverso la ragione. La Materia, che Plotino chiama il Non-essere, è il prodotto della lontananza dall’Uno. La Materia, senza un’anima intelligibile, è assolutamente inerte (quante volte ci troviamo a dire: “bisogna dare un’anima alle cose”…). La Persona possiede in sé l’ultima propaggine dell’Uno imprigionata nella materia: l’Intelletto individuale, l’intelligenza. L’intelligenza della Persona si manifesta, spiega Plotino, attraverso una grande inquietudine: perché? Perché il desiderio profondo che il principio razionale comunica alla Persona è quello di tornare al suo supremo principio: all’Uno. Quindi il senso della vita, il cammino di salvezza, consiste per la Persona, in un processo di graduale liberazione che conduce all’Uno. Dobbiamo vivere la nostra vita, spiega Plotino nelle Enneadi, in funzione del nostro “ritorno” all’Uno, all’Essere.

     Plotino per tradurre la parola “ritorno”, “viaggio di ritorno” usa il termine: epistrophé. Plotino parla di un “ritorno” di carattere non mitico, non misterico, non sacrale, ma intellettuale. L’epistrophé è il cammino dell’intelligenza, è il risultato di un investimento continuo in intelligenza. Plotino è preoccupato di essere preso per un visionario, per un utopista: lui crede nella concretezza della sua proposta scolastica.

     Leggiamo un frammento dalle Enneadi, uno dei tanti su cui si è formato il “giovane Hegel” e tutta la generazione dei pensatori dell’Idealismo.

LEGERE MULTUM….

Plotino, Enneadi

Il ritorno, l’epistrophé è possibile e necessario e, perché tale, è condizione di salvezza. Ma non si tratta di un ritorno a un passato storico o psicologico, non è un andare indietro ma un andare avanti, non è un andare dentro ma nel profondo.

Se il ritorno all’Uno è il massimo trascendimento che sia possibile all’anima, esso è, di fronte a istituzioni religiose e a complessi dogmatici, il più netto dei superamenti: qualsiasi religione storica è inadeguata a rappresentare il mistero del Sacro e, in quanto tale, non è il termine dell’epistrophé.

L’anima più desiderosa è la più saggia perché il ritorno implica una purificazione etica

che elimina l’accessorio, il contingente, l’effimero per tendere all’essenziale.

È dunque un ritorno metafisico che ristabilisce l’ordine ontologico dei valori e l’epistrophé è il riconoscimento della superiorità della vita contemplativa rispetto a quella convulsa degli affari; l’epistrophé è un richiamo a non risolvere tutta l’esistenza nelle ansie e nei travagli del sistema…

     E come si costruisce l’epistrophé, il “viaggio intellettuale”? C’è tutto un programma, un percorso che era già nella didattica della Scuola di Ammonio. Per prima cosa, spiega Plotino nelle Enneadi, bisogna educare l’Anima a prendere le distanze dalla Materia coltivando le quattro “virtù cardinali”: sapienza, temperanza, fortezza, giustizia. Le quattro “virtù cardinali” si rispecchiano in quattro azioni: studiare (è sapienza), lavorare (è temperanza), meditare (è fortezza), patteggiare (è giustizia). Poi è necessario coltivare le tre vie: la musica, l’amore solidale, la filosofia cioè l’esercizio di trascendere le cose per imparare a contemplare l’essenza ideale delle cose, l’Uno. Questo stato di felicità, di calma, di piacere intellettuale è l’Estasi.

     Alla morte di Ammonio, quando ha 39 anni, Plotino lascia Alessandria. A Roma nel 247 Plotino apre la sua Scuola cercando di seguire lo stile di Ammonio, non vuole comunicare un messaggio rivelato, ma vuole educare ad una disciplina che favorisca il “ritorno” all’intelligenza, che stimoli l’investimento in intelligenza. L’Impero romano è in profonda crisi, è un’epoca di ansie, di insicurezze, di angosce. Un numeroso pubblico frequenta la Scuola di Plotino a Roma e tra gli studenti c’è anche l’imperatore Galieno e sua moglie Salonina. Ma Plotino non dev’essere stato molto contento dell’impegno dei suoi studenti. Cerca di fondare in Campania una città ideale, Platonopoli, sullo stile della Repubblica di Platone, ma il progetto fallisce. Plotino si ammala gravemente, lascia Roma e viene ospitato da un amico in una casa a Minturno (potete cercare questi “luoghi plotiniani” sulla carta) dove muore, quasi in completa solitudine, nel 270. Non gli tocca la morte di Socrate in mezzo a tutti i suoi amici, né quella di Epicuro in mezzo a tutti i suoi discepoli nella sua comunità. Plotino muore raggiunto all’ultimo momento dal suo allievo, il medico Eustochio e le sue ultime parole sono: «Ti ho aspettato, o Eustochio, per dirti: se vuoi essere felice, spogliati di ogni cosa…». E queste sono le ultime parole delle Enneadi: “Beate le persone, felici le persone che sanno spogliarsi di ogni cosa”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

“Spogliarsi di ogni cosa” non è facile ma cominciare a “spogliarsi di qualcosa che appesantisce la nostra vita” è possibile: di che cosa – secondo te – bisogna cominciare a spogliarsi?

Scrivi quattro righe in proposito…

     Era necessaria questa lunga cavalcata nel pensiero del Neoplatonismo? È necessaria perché il “giovane Hegel” – ci dicono gli studiosi – sviluppa l’idea dell’itinerario all’interno della propria coscienza, procedendo dalla materia in direzione dello Spirito, sulla scia del pensiero neoplatonico. Tutta la generazione romantica si è formata alla cultura dell’Umanesimo e della civiltà greca e in particolare sulla filosofia di Platone e sul Neoplatonismo. La “fenomenologia” è l’itinerario che Hegel percorre, all’interno della propria coscienza, per descrivere i modi e le vicende attraverso cui lo spirito umano si sviluppa dal grado più basso (dall’osso, dalla materia) fino a quello più alto (all’eticità).

     La Fenomenologia dello Spirito di Hegel è un testo che ha sempre esercitato ed esercita anche oggi un particolare fascino sugli studiosi e sui lettori, anche se la lettura di quest’opera non è facile. Il testo della Fenomenologia dello Spirito è affascinante sia per la straordinaria ricchezza del contenuto sia per le difficoltà di comprensione. Le difficoltà di comprensione (per cui nella lettura bisogna affidarsi continuamente alle note) rappresentano da una parte una sfida per chi si avvicina a quest’opera, e dall’altra il fascino di avventurarsi su territori non usuali. Uno dei primi studiosi della Fenomenologia è il classico biografo di Hegel e suo ex alunno Karl Rosenkranz che nel 1844 pubblica la Vita di Hegel in cui è contenuta questa definizione della Fenomenologia dello Spirito:

LEGERE MULTUM….

Karl Rosenkranz, Vita di Hegel (1844)

La Fenomenologia è la linea di confine assoluta non soltanto fra due filosofie, ma nello stesso tempo anche fra due diverse concezioni del mondo in generale; Hegel stesso espresse energicamente tale consapevolezza in occasioni solenni, in discorsi conclusivi delle sue lezioni universitarie, nelle prolusioni in occasione del conferimento di una cattedra e nelle prefazioni. Lo spirito dell’umanità si sofferma su quest’opera per un attimo onde render conto di ciò che esso è divenuto fino ad allora per il suo concetto. Esso esamina tutto il suo passato e pone Hegel come il suo Dante filosofico, che conduce la coscienza dall’inferno della naturalezza, attraverso il purgatorio dell’azione umanamente etica al paradiso della conciliazione religiosa e della libertà scientifica.

     Karl Rosenkranz paragona il viaggio che Hegel fa fare alla sua coscienza nella Fenomenologia dello Spirito al viaggio che nella Commedia fa fare Dante Alighieri alla sua anima. Tutti i maggiori filosofi che sono venuti dopo hanno sentito il fascino della Fenomenologia, tra tutti citiamo Feuerbach e Marx che dovremo incontrare prossimamente sulla scia delle conseguenze che ha prodotto il pensiero di Hegel. Qualcuno ha scritto che la Fenomenologia è come la Nona Sinfonia di Beethoven: entrambe terminano con i versi di Schiller. La Nona Sinfonia termina con i famosi versi della poesia Alla gioia, la Fenomenologia con i versi dell’Amicizia, ed entrambe le citazioni di Schiller mostrano la necessità del dolore se si vuole arrivare alla gioia. La Fenomenologia dello Spirito è un viaggio personale dell’autore, è un viaggio della sua coscienza in cui egli ripercorre tutte le sue esperienze giovanili precedenti, in essa troviamo tutto l’itinerario del “giovane Hegel” ripensato e organizzato: tutto l’itinerario che noi abbiamo cercato di percorrere.

     Leggiamo ancora un frammento di:

LEGERE MULTUM….

Karl Rosenkranz, Vita di Hegel (1844)

Tutto quanto Hegel ha scritto a Berna e a Francoforte sul mondo antico, sul cristianesimo e il suo destino, ciò che aveva elaborato a Jena intorno alla vita di un popolo e al suo organizzarsi; tutti questi sviluppi che lo avevano condotto alla sua filosofia e al pensiero del suo tempo, ora egli li riproduce nella Fenomenologia.

E allora ci si domanda se quest’opera non rappresenti l’itinerario filosofico personale di Hegel il quale, in età avanzata, definiva la Fenomenologia come i suoi viaggi di scoperta…

     Hegel quindi nella Fenomenologia presenta il suo personale itinerario perché le lettrici e i lettori possano trovare il proprio. In questo senso quest’opera è stata definita “un romanzo di formazione”, cioè un itinerario in cui l’individuo passa attraverso varie esperienze prima di giungere alla meta finale, che poi “meta finale” non è mai, ma bensì un sempre nuovo punto di partenza per altri viaggi intellettuali. Ma la Fenomenologia non è naturalmente solo l’itinerario della coscienza individuale, essa segue anche un percorso molto più ampio che è quello della storia del mondo, in cui lo Spirito ha manifestato se stesso attraverso le diverse epoche dell’umanità. (E quando la parola Spirito, nella Fenomenologia – ci avvertono i filologi – è scritta con la lettera maiuscola, indica lo Spirito assoluto, mentre il termine spirito con la minuscola indica lo spirito particolare, l’individuo).

     Scrive Hegel nella Prefazione della sua opera:

LEGERE MULTUM….

Georg Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1807)

Poiché persino lo Spirito del mondo ha avuto la pazienza di attraversare queste forme per l’intera loro durata temporale e di addossarsi l’immane fatica della storia del mondo – durante la quale esso ha di volta in volta incarnato in ciascuna forma, secondo quanto questa lo comportasse, l’intero contenuto di se stesso – e poiché non gli sarebbe stato possibile pervenire alla consapevolezza di sé con minore fatica: allora, secondo la Cosa stessa, l’individuo non può giungere a concepire la propria sostanza percorrendo un cammino più breve.

Lo Spirito del mondo ha già manifestato se stesso nella storia dell’umanità e allora all’individuo non resta altro, per giungere a concepire la propria sostanza che ripercorrere nella sua coscienza lo stesso itinerario, rivivendo dentro di sé quelle tappe che lo Spirito ha già percorso nella storia del mondo la civiltà mesopotamica, la civiltà egiziana, il mondo greco e romano, il Medioevo, il Rinascimento, la Riforma protestante, l’Illuminismo, il Romanticismo.

     Che cosa significa quello che abbiamo letto? Che cosa ci vuol dire Hegel? E che cos’è lo Spirito del mondo? Lo Spirito del mondo è, per Hegel, quel “complesso di relazioni fra gli esseri umani che fonda e configura la vita collettiva”, è il complesso dei Pensieri (l’Intelletto universale) di una collettività in cui gli individui s’impegnano a comunicare fattivamente tra loro a livello intellettuale, a livello culturale. Lo Spirito del mondo, secondo Hegel, ha già percorso nella storia le sue tappe: la civiltà mesopotamica, la civiltà egiziana, il mondo greco e romano, il Medioevo, il Rinascimento, la Riforma protestante, l’Illuminismo, il Romanticismo. Lo Spirito del mondo ha già manifestato se stesso nella storia dell’umanità e allora all’individuo non resta altro, per «giungere a concepire la propria sostanza», che ripercorrere nella sua coscienza lo stesso itinerario, rivivendo dentro di sé quelle tappe che lo Spirito ha già percorso nella storia del mondo (Fenomenologia dello Spirito significa anche “itinerario di Storia del Pensiero Umano”).

     Questo significa, secondo Hegel, che c’è un collegamento tra lo sviluppo della coscienza individuale con i momenti della storia in cui lo Spirito si è già manifestato. Nella coscienza individuale i vari momenti delle diverse epoche della storia sono rappresentati da quelle che Hegel chiama le figure (Gestalten), e, nella sua opera le descrive. Le figure, le metafore, le allegorie (torniamo a pensare alle “forme allegoriche” di Erodoto) più significative sono la figura del servo-padrone che si riferisce al mondo greco-romano, la figura della coscienza infelice che diventa il simbolo della religiosità medievale, e la figura del sepolcro (il sepolcro di Cristo) in cui i crociati non trovano il corpo di Gesù, come la coscienza non può trovare il concetto nel mondo sensibile e anche questa figura è legata al mondo medioevale.

     Il fascino della Fenomenologia sta in questa straordinaria ricchezza di riferimenti personali, culturali, intellettuali, allegorici. Il fascino della Fenomenologia sta in questo continuo intrecciarsi della storia della coscienza (della nostra storia personale) con la storia del mondo (con la storia universale) e viceversa. Il fascino della Fenomenologia sta nella suggestiva analisi dell’itinerario della coscienza: e l’itinerario della coscienza, descritto da Hegel nella Fenomenologia dello Spirito,  avviene attraverso le cosiddette “figurazioni”, una serie d’immagini metaforiche. Lo stile di questo modo di costruire il testo è sulla stessa lunghezza d’onda dei racconti dei miti nelle opere di Platone (pensate al racconto del mito della caverna), è sulla stessa lunghezza d’onda delle icone (i racconti mitici, le allegorie) delle Enneadi di Plotino, è sulla stessa lunghezza d’onda degli apologhi nell’Etica di Spinosa e, naturalmente, sulla stessa lunghezza d’onda dei “racconti allegorici” de Le Storie di Erodono. Il “giovane Hegel” nella costruzione del testo della Fenomenologia dello Spirito s’ispira a un modello tradizionale della Storia del Pensiero Umano su cui si è formato.

     Lo spirito della persona (in primo luogo lo spirito dell’autore), nella Fenomenologia, percorre un itinerario che passa dalla Coscienza, attraverso l’Autocoscienza, fino alla Ragione e all’eticità e poi allo Spirito e attraverso la Religione giunge infine al Sapere assoluto, cioè alla scienza, alla filosofia. La Fenomenologia dello Spirito viene considerata una delle opere più belle e più geniali della letteratura filosofica ma, come è noto, è anche una delle opere più difficili di tutta la storia del Pensiero, ed è diventata un’opera oscura e profonda, sebbene sia stata concepita da Hegel come particolarmente accessibile perché l’ha scritta a scopo didattico per guidare il lettore sulla strada della filosofia, della ricerca personale. Ma poi Hegel si è lasciato prendere la mano, si è lasciato prendere dall’entusiasmo e ha scritto soprattutto per sé stesso – per dilettarsi a viaggiare nella propria coscienza e nella storia dello Spirito del mondo – e c’è chi dice che “in certi punti della Fenomenologia solo lui sia in grado di capirsi…”: difatti molti punti di quest’opera possono dare adito a molte interpretazioni per cui la Fenomenologia dello Spirito ha aperto molte vie, e ce ne renderemo conto nel tragitto che la Storia del Pensiero Umano compie dopo Hegel.

     Il “giovane Hegel” comincia a scrivere la Fenomenologia dello Spirito per dimostrare la tesi sulla quale vuole cominciare a costruire il suo sistema filosofico: vuole dimostrare che c’è un’identità tra la Realtà e la Ragione, c’è unità tra ciò che è reale e ciò che è razionale.

     Dobbiamo dire che la questione dell’unità di reale e razionale, posta da Hegel a fondamento del suo sistema, viene affrontata da lui mediante due procedimenti opposti. Prima, nella Fenomenologia dello Spirito, Hegel costruisce un itinerario che parte dall’individuo (da lui stesso) per arrivare alla Ragione universale, cioè alla Ragione che è l’intera realtà e che sa di esserlo. Successivamente Hegel scrive altre due importanti opere – la Logica e l’Enciclopedia delle scienze filosofiche (parleremo di queste due opere in modo più particolareggiato quando, il prossimo anno, riprenderemo e andremo oltre lo sguardo di Hegel) – nelle quali Hegel attua il processo inverso: parte dalla Ragione universale da cui, poi, deduce tutta la realtà.

     Noi, questa sera, nell’ultimo itinerario di quest’anno scolastico, non possiamo far altro che occuparci di descrivere la prima parte – la parte più propriamente teorica – della Fenomenologia dello Spirito, fino al momento in cui, come sappiamo, Hegel cessa di essere considerato il “giovane Hegel”. Nella Fenomenologia dello Spirito, pubblicata nel 1807, Hegel descrive i modi e le vicende attraverso cui lo spirito umano si sviluppa dal suo grado più basso (che è la conoscenza sensibile) fino a quello più alto (che è l’eticità). Abbiamo detto che il termine “fenomenologia” definisce i momenti in cui si viene manifestando la formazione dello spirito soggettivo in concomitanza con la storia dello Spirito universale. Non si tratta di una storia cronologica dello spirito ma di una rassegna di figure (come se fosse una mostra di concetti, una carrellata di idee), come se fosse un’esposizione delle vicende storiche o spirituali, fantastiche o poetiche, in cui lo spirito si mostra nel suo sviluppo mentre percorre la strada verso la sua autocoscienza (dalla conoscenza sensibile alla filosofia all’eticità).

     Hegel ci fa notare che, in tutte queste vicende, lo spirito umano è mosso da un’inquietudine (la stessa inquietudine che troviamo nelle Enneadi di Plotino) che gli impedisce di fermarsi sul gradino su cui ha poggiato il piede, che gli impedisce di “acquietarsi, scrive Hegel, nella figura (nel paesaggio intellettuale) che ha raggiunto”, ma, questa inquietudine è necessaria perché sospinge lo spirito umano a procedere oltre, in direzione dell’autocoscienza. Il concetto dell’inquietudine, di cui l’essere umano è pervaso da sempre, ha una lunga tradizione: dall’Età assiale, ad Erodoto, da Platone, a Plotino.

     Il primo gradino dell’itinerario dello spirito, scrive Hegel, è quello della “coscienza”. Il termine “coscienza” è la prima parola-chiave che incontriamo nel racconto della Fenomenologia dello Spirito. La “coscienza”, scrive Hegel, si realizza in tre momenti: il momento della “certezza sensibile”, quello della “percezione” e quello de “l’intelletto”. La “certezza sensibile”, che è il momento iniziale, si presenta, a prima vista, come la forma di conoscenza più ricca e certa, ma poi si rivela come la forma più povera di conoscenza. Infatti essa rende certi di una cosa singola, rende certi di questa cosa “qui e ora”, ma “il qui e l’ora” che dovrebbero indicare l’oggetto particolare, si rivelano come determinazioni assolutamente “astratte” dello spazio e del tempo, perché basta infatti che io lasci trascorrere del tempo e mi sposti nello spazio, perché “il qui e l’ora” si trasformino in un altro “qui” e in un altro “ora”, togliendo ogni certezza alla mia conoscenza dell’oggetto che io credevo, scrive Hegel, di avere definito con precisione.

     La certezza sensibile lascia quindi il posto a un gradino superiore che è quello della “percezione”, in cui l’oggetto “appare (fénomé) come “uno” (per esempio: un libro) e contemporaneamente come “molteplice” (ha un odore, ha un colore, ha un sapore, ha delle dimensioni): è evidente, scrive Hegel, che l’unità ci “appare” come la forma del reale, cioè come oggettiva, e la molteplicità ci appare come la soggettività (ognuno le caratteristiche dell’oggetto le coglie a modo suo) ma in realtà l’unità è un’oggettività apparente perché il fatto che, con la “percezione”, questo oggetto  sia “uno” non fa altro che arricchire la lista delle caratteristiche della molteplicità. Ogni oggetto, scrive Hegel, viene intercettato dalla soggettività e la “percezione” permette solo una conoscenza frammentaria (non oggettiva, non reale): questo fatto ci fa sentire la necessità di passare a un livello più alto, al gradino de “l’intelletto”.

     L’intelletto, scrive Hegel, non si accontenta della distinzione fra “unità” e “molteplicità”, che è propria della “percezione”, ma l’intelletto rileva che la Cosa  può manifestare quello che essa è solo nei rapporti che ha con le altre cose: il “giovane Hegel” pensa (già lo abbiamo studiato questo concetto) che ogni cosa staccata dal Tutto sia frammentaria e quindi sia incapace di esistere senza il contributo dato dal resto del mondo. Per questo “l’intelletto” vede nel molteplice la manifestazione (cioè il fenomeno) di una forza intrinseca, di una “necessità logica”, ed Hegel, questa “necessità logica” la chiama: il noumeno.

     Il “noumeno”, secondo Hegel, è il “necessario lavorìo dell’intelletto” per creare legami tra gli oggetti e il Tutto, tra il molteplice e l’unità. Quindi, il “lavorio dell’intelletto”, scrive Hegel, dipende dall’idea della Necessità. 

     L’idea della “Necessità” (che equivale all’idea del “destino”) garantisce l’esistenza del Tutto e l’essenza dell’intelletto: noi sappiamo già che la Realtà e la Ragione, secondo Hegel, s’identificano. Per spiegare il concetto della “necessità logica” (del “noumeno)” Hegel scrive un’opera intitolata Logica (1812-1816) nella quale si dilunga a sviluppare questo tema. La Logica, nei suoi temi fondamentali, la incontreremo nel prossimo anno scolastico quando, ripartendo dalle “questioni hegeliane”, procederemo per viaggiare oltre Hegel.

     I tre fattori che abbiamo illustrato (la certezza sensibile, la percezione e l’intelletto) costituiscono ciò che Hegel chiama: la “coscienza”. Quindi la certezza sensibile, la percezione e l’intelletto, se utilizzati – bisogna imparare a utilizzarli e di conseguenza bisogna imparare a conoscere (la sensazione), a capire (la percezione) e ad applicare (l’intelletto) – servono perché, scrive Hegel, “lo spirito individuale possa prendere coscienza”. E quando lo spirito, attraverso la certezza sensibile (il conoscere), la percezione (il capire) e l’intelletto (l’applicare), prende “coscienza”, scrive Hegel, sale su un gradino superiore in cui può cominciare ad avere “coscienza di se stesso” distinguendosi dalla “molteplicità delle cose” in cui finora era immerso, come in uno stato di “alienazione”. Attraverso la certezza sensibile (il conoscere), la percezione (il capire) e l’intelletto (l’applicare) lo spirito prende “coscienza” ed è portato a riflettere su se stesso e ad avvertire, scrive Hegel, tanto gli oggetti che lo circondano quanto gli altri spiriti. La “coscienza”, che lo spirito ha acquisito, avverte gli oggetti e gli altri spiriti che la circondano come un qualche cosa che la limita come un ostacolo da superare (vedete come il tema dell’ostacolo, quindi la questione della dialettica della ragione, posto da Fichte e da Schelling continua a svilupparsi in Hegel).  Naturalmente l’avvertimento dell’ostacolo da parte della “coscienza” è un fatto necessario e fondamentale perché, scrive Hegel, il superamento di questo ostacolo determina il passaggio dalla coscienza all’autocoscienza.

     Il termine “autocoscienza” è la seconda parola-chiave significativa della Fenomenologia dello Spirito. L’autocoscienza, scrive Hegel, è la coscienza consapevole di essere se stessa perché si rende conto di essere diversa e di essere contrapposta agli altri oggetti e alle altre coscienze.

     Per descrivere la contrapposizione che porta la “coscienza” a diventare “autocoscienza”, Hegel utilizza le famose (Gestalten) “figure” (metafore, allegorie, icone, apologhi, parabole).

     La prima figura assunta dall’autocoscienza per determinarsi è quella che Hegel chiama: la figura di signoria e servitù (questa “figura” è diventa famosa e ha dato adito a molte interpretazioni). In che cosa consiste questa “figura”?  Facciamocelo spiegare da Hegel.

LEGERE MULTUM….

Georg Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1807)

L’essere umano si trova in presenza di altri esseri umani e la forma iniziale assunta da tale rapporto, nell’antichità, è quella della lotta e del contrasto, per cui dapprima il vincitore uccide il nemico vinto ma poi gli risparmia la vita per sfruttare il suo lavoro; senonché, perdurando un simile rapporto, il padrone – dipendendo dal lavoro del servo – perde sempre più la sua autonomia, mentre il servo acquista coscienza di sé e del proprio valore in quanto si rende conto che l’egemonia del padrone dipende dal proprio lavoro e in ultima analisi dalla propria remissività. In altri termini il servo diventa padrone del suo padrone e il padrone servo del suo servo.

     Questa prima “figura del servo e del padrone”, costruita da Hegel per descrivere il passaggio dalla coscienza all’autocoscienza, è diventata molto famosa e ha costituito un motivo di riflessione per molti pensatori successivi ad Hegel (e li incontreremo nei Percorsi a venire). Con le “figure”, che propone, Hegel ci fa capire che l’itinerario dello spirito individuale, che da coscienza soggettiva diventa autocoscienza, corrisponde all’itinerario dello Spirito universale nella Storia: infatti la figura del servo e del padrone fa riferimento alla storia antica, al concetto della corvée (quando il servo lavora in cambio del vitto e della protezione). Quindi la storia dello spirito individuale ripercorre la Storia dello Spirito universale.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

C’è una situazione in cui pensi di essere stata asservita o asservito?…  C’è una situazione in cui pensi di essere stata padrona o padrone? 

Scrivi quattro righe in proposito…

     L’autocoscienza, scrive Hegel, proseguendo nel suo itinerario, raggiunge un’altra figura: la figura dello stoicismo. Noi sappiamo che lo “stoicismo” è una Scuola di pensiero fiorita ad Atene verso la fine del IV secolo a.C. per opera di Zenone di Cizio. Il termine “stoicismo” deriva dalla parola “stoà” che significa portico: Zenone e i suoi discepoli si riunivano sotto un portico. La Scuola stoica insegna a vivere con “coerenza” in modo che la persona sappia scegliere sempre ciò che è conveniente alla propria natura di essere razionale. Quindi l’autocoscienza, con la figura dello stoicismo, tende a liberarsi dal vincolo della natura corporea intesa come natura animale, imparando a ridimensionarla. Ma il vincolo con l’animalità, scrive Hegel, permane lo stesso in quanto la realtà della natura corporea viene ridimensionata e ma non negata (l’essere umano è anche corporeità animale). La figura dello stoicismo fa riferimento alla storia greca, all’ellenismo greco-romano.

     Il suggerimento didattico che proviene dalla Fenomenologia dello Spirito di Hegel consiste nel fatto che per intraprendere un viaggio nella nostra coscienza e per passare al piano dell’autocoscienza dobbiamo, a scopo propedeutico, studiare la Storia dello Spirito, dobbiamo incamminarci su un Percorso di Storia del Pensiero. (L’alfabetizzazione culturale ha un importante valore sociale).

     E allora succede che l’autocoscienza passa dalla “figura dello stoicismo”, in cui lo spirito si confronta con la natura animale, alla “figura dello scetticismo”. Lo Scetticismo (ricordate l’opera intitolata Enesidemo di Schulze? Si capisce che nell’indice della Fenomenologia dello Spirito troviamo la trafila della formazione intellettuale del “giovane Hegel”) nega la realtà della natura e pone, scrive Hegel, ogni realtà nella coscienza stessa: ma questa coscienza è la coscienza singola, che è in contrasto con le altre coscienze e nega ciò che esse affermano e afferma ciò che esse negano.

     Con la “figura dello scetticismo” l’autocoscienza entra in contrasto con se stessa e questo contrasto dà luogo a uno sconforto che produce una nuova figura: la figura della coscienza infelice.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quale immagine deprimente, quale situazione sconfortante, quale circostanza avvilente produce in te la figura della “coscienza infelice”? 

Scrivi quattro righe in proposito…

     Quali sono gli effetti della “coscienza infelice”? Leggiamo le parole di Hegel:

LEGERE MULTUM….

Georg Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1807)

L’autocoscienza, con la figura della coscienza infelice, sente il contrasto – già avvertito dallo scetticismo – non come opposizione fra coscienze singole, ma come dissidio tra una coscienza immutabile che è quella divina e l’altra mutevole che è quella umana. L’autocoscienza, con la figura della coscienza infelice, reagisce e incontra la devozione e l’ascetismo: questa figura è tipica della religiosità medioevale che riconosce la miseria e l’infelicità della carne e cerca di liberarsene unendosi con Dio, cioè unendosi con la coscienza immutabile. In virtù di tale unificazione la coscienza riconosce di essere essa stessa la Coscienza Assoluta e cioè di essere ogni realtà. Questa consapevolezza innalza la coscienza allo stadio della ragione, che non considera più il mondo in opposizione con se stessa ma lo riconosce come propria concreta espressione. …  Dapprima la ragione si pone come osservatrice

     Ricapitoliamo. La Fenomenologia dello Spirito, cioè la storia del cammino del nostro spirito individuale, secondo Hegel, percorre un itinerario che passa attraverso “la coscienza”, “l’autocoscienza” e “la ragione”, come abbiamo letto ora: la figura della “coscienza infelice” fa emergere lo stadio della ragione . La prima caratteristica che la ragione possiede, scrive Hegel, è quella di porsi come osservatrice. La ragione ricerca se stessa “osservando” la natura con il naturalismo rinascimentale e poi, attraverso la scienza, con l’empirismo moderno. Purtroppo la legge scientifica, scrive Hegel, appare astratta di fronte alla concretezza della natura e di conseguenza la ragione, delusa dalla scienza, abbandona il suo atteggiamento di osservatrice. E allora subentra nella ragione un atteggiamento attivo: la ragione muove alla propria ricerca non più nelle cose ma in se stessa, nel suo essere pratico, trasformandosi da ragione osservatrice in ragione attiva. Dapprima la ragione, come nel Faust di Goethe scrive Hegel, va alla ricerca del piacere sensibile immediato, ma nella ricerca di questo piacere essa si scontra contro la realtà oggettiva di un destino avverso che sembra travolgerla inesorabilmente. Allora la ragione tenta di appropriarsi di questo destino vivendolo come legge del cuore: qui Hegel allude ai “romantici”, allude alla sua contemporaneità, allude al mondo dei sentimenti come viene rappresentato nella letteratura del romanticismo, dalle Confessioni di Rousseau ai Masnadieri di Schiller. La ragione, scrive Hegel, cerca di imprimere la legge del cuore (il primato dell’interiorità) negli eventi del mondo. Infine, poiché la legge del cuore (non utilitaristica) urta contro la legge di mercato (utilitaristica), la quale sembra imporsi come una potenza superiore, la ragione attiva vive il suo terzo momento: quello della virtù. Quindi nel suo tragitto la ragione assume tre aspetti: la ragione osservatrice, la ragione attiva, la ragione virtuosa. Lo scopo pratico della ragione che si fa virtù – scrive Hegel – è quello di far trionfare la giustizia…

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quale di queste parole  – imparzialità, punizione, diritto, castigo, rettitudine, vendetta, equità -assoceresti (una sola) al concetto di “far trionfare la giustizia”? 

Scrivila …

     Ma leggiamo che cosa scrive Hegel in conclusione della prima parte della Fenomenologia dello Spirito: è l’ultimo frammento del LEGERE MULTUM di questo Percorso.

LEGERE MULTUM….

Georg Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1807)

Lo scopo della ragione che si fa virtù è quello di far trionfare la giustizia anche se per questo l’intero mondo dovesse risultarne distrutto. Questa pretesa di ricondurre la realtà del mondo, che è l’essere, all’ideale della virtù che è un dover essere, è però anch’essa destinata a fallire: il mondo, proprio perché concreto, non si lascerà mai piegare a quell’astratto vagheggiamento che è la virtù. Ed ecco allora la ragione realizzare attraverso l’eticità la conciliazione di essere e dover essere: è un’eticità concreta, in antitesi con l’astratta moralità perseguita dalla virtù, che si attua nelle forme storiche che disciplinano la vita delle persone. Nelle istituzioni e nelle leggi, nel diritto e nello Stato, nella famiglia e nella società cessa ogni pretesa della ragione di ricondurre l’essere al dover essere e si placa quella inquietudine che aveva spinto lo spirito ad errare attraverso la triplice vicenda della coscienza, dell’autocoscienza e della ragione.

     Con il concetto della “ragione che si fa virtù” termina la prima parte della Fenomenologia dello Spirito. E questa prima parte ha soprattutto un significato teorico, dopodiché inizia la seconda parte che ha un significato eminentemente pratico. La virtù quando si concretizza nell’eticità, per non essere un astratto vagheggiamento (…«è un’eticità concreta, scrive Hegel, che si attua nelle forme storiche che disciplinano la vita delle persone»…) deve entrare in corrispondenza con la ragione legislatrice, con la ragione che esamina le leggi. La semplice universalità della legge, scrive Hegel in polemica con Kant, non basta a far conoscere se una determinata scelta sia buona o non sia buona. Solo la ragione legislatrice (lo Stato) può dare delle leggi precise. Ma quando una legge è giusta? Hegel, in questa parte della Fenomenologia dello Spirito risponde in modo molto sintetico (approfondirà tutte queste tematiche nelle opere successive…).

     «Una legge è giusta, scrive Hegel, quando corrisponde a quanto esige la Storia, tenendo presente che il soggetto della Storia è lo spirito di un popolo organizzato in uno Stato»…

      «Le leggi quindi non possono essere comandi arbitrari di una coscienza singola (si capisce che Hegel ha letto la Repubblica di Platone), ma la legge, scrive Hegel, è la volontà pura e assoluta di tutti, e le leggi devono essere vissute dal singolo individuo: in questo consiste l’eticità».

     L’eticità è lo spirito vero”, è il momento, scrive Hegel, in cui «la coscienza si riconosce come spirito». 

     «L’eticità, scrive Hegel, è la sintesi del Diritto (che è una tesi) e della Moralità (che è un’antitesi), in quanto la legge del dovere, liberamente accettata dal soggetto morale, si determina in un bene concreto. Questo bene concreto si realizza nella famiglia (che è una tesi), nella società (che è un’antitesi) e nello Stato (che è una sintesi)». …

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

In quale istituzione (in quale “forma storica che disciplina la vita delle persone”) ti riconosci maggiormente: nella famiglia, nella società, nello Stato?  Oppure in nessuna di queste “forme storiche”? 

Scrivi quattro righe in proposito…

Definisci con una parola sola il termine “famiglia” (Hegel dice “tesi”), con una parola sola il termine “società” (Hegel dice “antitesi”) e con una parola sola il termine “Stato” (Hegel dice “sintesi”). Tu che cosa dici?

Scrivi le tue tre parole (hai tutta l’estate per pensarci, buone vacanze di studio.)…

     Gli ulteriori sviluppi dello Spirito nella Storia, nella Religione e nel Sapere assoluto costituiscono la seconda parte della Fenomenologia dello Spirito. La stesura di quest’opera viene portata a termine dal “giovane Hegel” in condizioni difficili: gli ultimi capitoli e la Prefazione vengono scritti in condizioni di grande difficoltà mentre infuria la battaglia di Jena, che termina il 13 ottobre 1806 con la presa della città da parte dei Francesi, per mezzo della quale Napoleone vittorioso occupa la Germania. Oltre alla guerra dobbiamo dire che il “giovane Hegel”, a Jena, trova alloggio, trova una camera in affitto, in casa di una piacente signora: Christiane Fischer e questo fatto lo condiziona (libera lei, libero lui, finiranno per dormire nella stessa camera).

     In questo breve Percorso (sei itinerari) ci siamo appena occupati dello sguardo del “giovane Hegel”, nel prossimo anno scolastico ci occuperemo dello sguardo dell’Hegel (così detto) “sistematico”. 

     Nell’ultimo ventennio del Settecento e nel primo ventennio dell’Ottocento nelle città della Germania, che abbiamo visitato in queste sei settimane, si è manifestata una straordinaria potenza creativa e sembra che lo “Spirito del mondo”, come lo chiama Hegel, abbia trovato qui (sebbene la Germania sia politicamente frantumata) il posto ideale per svilupparsi. Le coincidenze e le corrispondenze possono essere casuali, ma una coincidenza significativa è, ad esempio, il fatto che nel giro degli stessi mesi, tra il 1806 e il 1807, mentre Napoleone sta celebrando le sue sconvolgenti vittorie e conquista la Germania, Beethoven compone la Sesta sinfonia (perché non l’ascoltate prima di andare in vacanza?), Goethe scrive il Faust, e Georg Hegel consegna all’editore la Fenomenologia dello Spirito. Queste tre opere condizionano in modo significativo rispettivamente la Storia della musica, la Storia della letteratura e la Storia della filosofia e tutte tre insieme fecondano il grande territorio della Storia del Pensiero Umano del quale anche quest’anno, dal 1984, abbiamo percorso due sentieri – in compagnia di Erodoto e in compagnia del “giovane Hegel” – due sentieri in funzione della didattica delle lettura e della scrittura. Entrambi i personaggi li rincontreremo il prossimo anno scolastico.

     In autunno rincontreremo Erodoto: perché? Perché ne Le Storie di Erodoto, oltre alla parole e alle idee degli “albori” (che abbiamo catalogato) e oltre alle parole e alle idee delle “grandi civiltà dell’età antica”, dell’Età assiale (che abbiamo catalogato), troviamo soprattutto le parole e le idee della civiltà greca cioè della cultura ionica (il vento dello Ionia – ànemos – lo abbiamo già sentito soffiare, ma appena un po’), della cultura attica e della prima cultura ellenistica della cosiddetta Mega Ellas o Magna Grecia nella quale Erodoto (come sappiamo) ha trascorso l’ultimo periodo della sua vita e dove ha scritto Le Storie. Erodoto ne Le Storie “allude” non solo alle parole-chiave e alle idee significative degli albori e dell’Età assiale ma anche alle parole-chiave e alle idee significative della cultura ionica, della cultura attica e della cultura del primo ellenismo. Per catalogare queste parole e queste idee, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, la partenza è fissata per mercoledì 11 ottobre alla Scuola “Redi”, per giovedì 12 ottobre alla Scuola “Levi”, e per venerdì 13 ottobre alla Scuola “Don Milani”.

     Ci diamo appuntamento a Turi. Erodoto ci aspetta lì. Il sito archeologico di Turi Antica, per non perderci, si trova sullo stesso luogo del sito archeologico di Sibari, sulla costa ionica della Calabria. Il nome di Turi deriva dall’aggettivo greco Thoùrios che significa “impetuoso” e dà il nome ad una fonte, la fonte Thoùria che costituisce la ricchezza per quella zona. La  fonte Thoùria, ci suggerisce Erodoto alludendo, è sempre attiva, e allora per abbeverarci con l’acqua fresca di questa fonte, dopo i calori estivi, correte a Scuola.

     La Scuola è qui …

     Buone vacanze di “studium et cura” a tutti: proprio quando il corpo va in vacanza, l’anima non va in vacanza …

     A quest’autunno…

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 26, 2006