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LO SGUARDO DI HEGEL SULL’INDICE DELLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO...

Lezione N.: 
26

Prof. Giuseppe Nibbi       Lo sguardo di Hegel  2007     9-10-11   maggio  2007

LO SGUARDO DI HEGEL

SULL’INDICE DELLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO...

     Il secondo viaggio che ci accingiamo a compiere quest’anno deve iniziare con un ringraziamento nei confronti di Erodoto che ci ha accompagnati su un lungo percorso durato due anni, ma il nostro viaggio deve iniziare anche con un ringraziamento al capitano Agenore di Tiro che, con la sua nave Sidonia, ci ha portato avanti e indietro per il bacino del Mediterraneo (e anche oltre) in questi sette mesi trascorsi: anche il capitano Agenore di Tiro, è tornato a casa sua. Erodoto, dunque, è rimasto a Turi; noi abbiamo fatto un salto (in avanti?) fino al 1800 che è storia recente, mentre il capitano (o presunto tale, perché qui ci viene un dubbio) Agenore – dopo averci salutati uno per uno la scorsa settimana – si è messo in viaggio, con la sua nave, per tornare a casa sua in Fenica. Lui però ha fatto un salto all’indietro (se così si può dire) per tornare a casa sua, un salto all’indietro in uno dei paesaggi della tradizione mitica. Chi è il capitano che così cortesemente si è messo a nostro servizio? Erodoto, prima che ci proiettassimo verso il futuro, ci ha messo al corrente. Agenore non è un capitano di Tiro (era sotto mentite spoglie) ma bensì è un re: Agenore è il re di Sidone, la grande città fenicia che dà il nome alla nave, Sidonia, su cui abbiamo viaggiato. Sappiamo che il re Agenore ha raggiunto il porto di Sidone dove lo aspettava la sua sposa: la regina Telefassa e i due figli. Agenore e Telefassa, infatti, hanno due figli (e molti di voi se li ricordano senz’altro…), un figlio maschio, il maggiore, che si chiama Cadmo (destinato a sposare una fanciulla che si chiama Armonia e abbiamo partecipato, molti di noi,  a quelle nozze) e una figlia, minore, che è una ragazzina di nome Europa, fanciulla bellissima, creativa, atletica (di sana e robusta Costituzione ). In Fenicia i giovani (ragazze e ragazzi) si dedicano alle tauromachie, un gesto atletico molto impegnativo. Le tauromachie sono giochi acrobatici, usando i tori nell’arena come fossero attrezzi ginnici: le atlete e gli atleti ci saltano sopra, pericolosamente, facendo complessi esercizi evitando le corna appuntite! Europa è un’appassionata di questo sport: ama saltare in corsa sulla schiena dei tori, ama cavalcarli e fare evoluzioni sulla loro groppa.

     Sapete anche che cosa è successo lo stesso giorno in cui è tornato Agenore: dopo aver passato il pomeriggio con le sue compagne a raccogliere fiori, sul far della sera, al tramonto, Europa, fanciulla romantica e pensierosa, si è messa a passeggiare sulla spiaggia deserta; il mare è leggermente mosso, lei supera una lingua di sabbia e si trova di fronte a un ampio golfo. Che cosa vede ad un tratto? Vede un toro, che, a nuoto, si avvicina alla riva.  Agli occhi di Europa è davvero  un toro di una bellezza eccezionale, mastodontico, ben modellato: è un toro bianco, con due corna lucenti e stupende. Il toro approda sulla riva e, dopo essersi scrollato l’acqua di dosso (come un cagnolino), lentamente comincia a camminare sulla spiaggia, davanti a lei, sotto gli occhi di Europa, assai sorpresa. Europa non resiste, parte di corsa verso il toro e salta su di lui, lo cavalca con grande piacere, e lo fa correre. Il toro corre, sulla spiaggia, poi entra in acqua e nuota, nuota, sempre più lontano dalla riva, in mare aperto. Per Europa, in questo racconto mitico, comincia un viaggio affascinante e avventuroso che continua ad essere ripercorso (ristudiato) nella letteratura, nell’arte, nella Storia del Pensiero Umano.

     Ecco perché abbiamo rievocato, ancora una volta, questo racconto: perché noi, questa sera, siamo sbarcati nel cuore dell’Europa e non potevamo non ricordare il personaggio mitico che ha dato il nome al nostro continente, di qui – con questa continuità ideale perché è stato ancora una volta Agenore (sull’onda della tradizione mitica) a guidarci, in quanto padre di Europa – comincia il nostro nuovo viaggio.

     Siamo nel cuore dell’Europa all’inizio del 1800. Qual è il punto esatto della nostra partenza? Dove ci aspetta, dove ci ha dato appuntamento il personaggio che dobbiamo incontrare? Dobbiamo incontrare Georg Hegel e lo dobbiamo incontrare in funzione di una presa di contatto con quella che viene considerata la sua opera principale, una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano: la Fenomenologia dello Spirito. Facciamo una premessa metodologica: noi, lo scorso anno, abbiamo già viaggiato su un Percorso dedicato al “giovane Hegel”. Questo primo Percorso si compone di sei itinerari (sei Lezioni) che trovate in questo sito nell’anno scolastico 2005-2006; quindi gli episodi, le avventure, il processo di formazione culturale, le amicizie, il pensiero e le opere giovanili di Hegel le troviamo depositate sulla rete e chi ha la possibilità di farlo le può leggere e studiare. D’altra parte dobbiamo anche dire che, per partire e per prendere il passo su questo nuovo percorso (breve, sono quattro itinerari), è necessario rimettere piede nell’ultimo tratto del percorso precedente. Prima di tutto, rinfreschiamoci la memoria sugli avvenimenti principali della vita del giovane Hegel.

     Georg Wilhelm Friedrich Hegel nasce a Stoccarda il 27 agosto 1770, ed è il primo di tre figli di una famiglia abbastanza agiata. La sua educazione giovanile avviene nella sua città natale, prima nelle scuole elementari e poi nel Real-gymnasium, una scuola a carattere religioso-umanistico con influssi illuministici. Nell’ottobre 1788 si iscrive all’Università di Tubinga per studiare filosofia e teologia e, come la maggior parte degli studenti che vengono da fuori, trova alloggio in un ex convento agostiniano, l’istituto Stift (per molti di noi questo nome è evocativo) che è anche una scuola preparatoria (un seminario) per i pastori protestanti e per gli insegnanti. A partire dal 1790, allo Stift, il giovane Hegel alloggia nella stessa camera con due studenti che, come lui, sono passati alla Storia del Pensiero Umano: Friedrich Hölderlin e Friedrich Schelling. Tra i tre nasce una forte amicizia: insieme – sfidando le autorità – celebrano gli anniversari della Rivoluzione francese e nel cortile dell’Università di Tubinga piantano l’albero della libertà, divulgano il testo della Marsigliese: per questo ricevono severe punizioni.

     Con la complicità del professor Tadeus Fortunius – che è uno dei protagonisti della loro formazione intellettuale e umana – partecipano, pur essendo consegnati, alla famosa conferenza che Johann Fichte tiene a Tubinga il 31 gennaio del 1793. Il professor Fortunius li presenta a Fichte che è stato studente di Fortunius a Lipsia e a Jena. Johann Fichte è diventato famoso perché nell’anno precedente (1792), si è messo in luce per la pubblicazione di un’opera intitolata Critica di ogni rivelazione. Quest’opera è stata scritta e pubblicata da Fichte sotto il patrocinio di Immanuel Kant (1724-1804), il quale, in questo momento, sulla soglia dei settant’anni, dopo la pubblicazione delle sue tre Critiche – della Ragion pura (1781), della Ragion pratica (1787) e del Giudizio (1790) – è considerato uno (il grande vecchio) dei più eminenti pensatori europei. La storia della pubblicazione della Critica di ogni rivelazione di Johann Fichte risulta essere – con il coinvolgimento di Kant – un avvenimento molto curioso nella storia della cultura e dell’editoria perché questo saggio che circola anonimo con grande successo per la Germania e per l’Europa, viene ritenuto da tutti scritto da Kant perché i temi e i ragionamenti sono quelli del filosofo di Königsberg. Un mese dopo Kant – il quale da una parte si sente lusingato per aver scoperto un pensatore di valore e dall’altra è un po’ preoccupato che un giovane possa essere considerato al suo livello – interviene pubblicamente per chiarire l’equivoco, dichiarando che la Critica di ogni rivelazione è stata scritta da Johann Fichte, mentre lui ne ha favorito solo la pubblicazione. È chiaro che, a questo punto, Fichte (nell’ambito degli istituti che si dedicano alla cultura) diventa uno dei pensatori più in vista in Europa e dall’ottobre del 1792 comincia ad essere invitato a tenere conferenze in tutte le sedi universitarie più importanti della Germania. Johann Fichte comincia a divulgare il pensiero di una nuova corrente filosofica: l’Idealismo etico che abbiamo studiato a suo tempo.    

     La vita e il pensiero di questi personaggi (Johann Fichte, Friedrich Hölderlin, Friedrich Schelling, Tadeus Fortunius, il giovane Hegel stesso) e gli avvenimenti dal taglio romanzesco in cui sono coinvolti costituiscono la trama degli itinerari, delle Lezioni, del precedente Percorso (dell’anno 2006) sul giovane Hegel e le potete leggere sul sito: ora non possiamo soffermarci se non su alcuni particolari.

     Terminati gli studi universitari nell’estate del 1793, il giovane Hegel, per alcuni anni (per guadagnarsi da vivere), fa il precettore prima a Berna (1793-1796) e poi a Francoforte (1797-1800) e inizia anche a comporre le sue prime opere che poi prenderanno il nome di Scritti giovanili. Nel gennaio 1801 si trasferisce a Jena, ospite di Schelling il quale, pur essendo più giovane, è già famoso e insegna (ha già una cattedra) nell’Università di questa bella città. A Jena il giovane Hegel pubblica la sua prima opera importante intitolata Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, dove sintetizza i concetti fondamenti dell’Idealismo apportando delle modifiche che costituiscono i primi punti del suo pensiero.

     Nell’estate del 1801 il giovane Hegel consegue l’abilitazione all’insegnamento universitario e nell’autunno comincerà a tenere le sue lezioni. Così comincia, per il giovane Hegel, il periodo di permanenza a Jena, dove una sera d’estate dell’anno 1801 Schelling, Hölderlin e Hegel si ritrovano ancora una volta riuniti insieme e decidono (forse molti di voi lo ricordano) di andare a teatro ad assistere alla rappresentazione di Amleto di Shakespeare.

     Ma adesso – prima di andare a teatro con i nostri tre compagni di viaggio – facciamo una visita a questa interessante città della Turingia, nella quale abbiamo (virtualmente) soggiornato più di una volta (ma non tutti noi però), e che merita di essere rivisitata (i luoghi vanno rivisitati). Anche Jena, con Weimar e Heidelberg, è una delle capitali del romanticismo e proprio durante il Percorso nel territorio del Romanticismo titanico siamo stati ospiti di alcuni importanti personaggi che abitavano in questa città. Secondo la tradizione la visita a Jena comincia dall’Università, fondata nel 1558 (in età moderna) dal principe elettore Giovanni Federico I.  La fondazione dell’Università ha trasformato questa cittadina di commercianti in un centro culturale di prim’ordine. Oggi l’Università di Jena ha sede in un grattacielo cilindrico di 26 piani, alto 120 metri. Accanto al grattacielo universitario, però, c’è sempre l’edificio della vecchia Università: questo edificio si chiama: Collegium Jenense, ed è stato la sede di un monastero domenicano del XIII secolo. Quindi dal punto di vista architettonico, questo edificio è un tradizionale monastero medioevale con un bel cortile interno: oggi è la sede del museo dell’Università. In questo museo troviamo documentata la storia culturale di Jena, e qui scopriamo che, quando Friedrich Schiller (1759-1805) tenne la sua prima lezione nel 1789, fece infiammare, con le sue idee liberali, l’animo di tutti gli studenti che, a decine, s’iscrissero al suo corso di Storia, e abbiamo studiato (molti di voi hanno percorso questo itinerario “romantico”) questo episodio che ha delle ripercussioni – come abbiamo detto poc’anzi – anche sull’esperienza studentesca di Hölderlin, di Schelling e del giovane Hegel.

     Qui, nel museo dell’Università di Jena, scopriamo che qualche problema lo ebbe, nel 1798, il filosofo Johann Fichte (che abbiamo citato poco fa), che dovette difendersi dall’accusa di ateismo e fu sospeso dall’incarico di professore, e molti di voi conoscono questo episodio.

     Nel museo dell’Università scopriamo che a Jena si è formato un gruppo di intellettuali che furono chiamati “romantici”, e finirono per identificarsi con questo nome: quindi, Jena va considerata – almeno per quanto riguarda il nome – una delle culle del “romanticismo”. Questi intellettuali, che si chiamano Novalis, Schlegel, Tieck, Brentano, (a suo tempo abbiamo fatto la loro conoscenza) s’incontravano nella casa in cui, dal 1795 al 1799, alloggiava Fichte: oggi questa Casa, che si trova nel centro storico di Jena è un museo che si chiama Romantikerhaus (La casa dei romantici). Sempre nel museo dell’Università scopriamo che, dopo la sconfitta di Napoleone, quindi dopo il 1815, le decisioni reazionarie e conservatrici del Congresso di Vienna – che rimetteva in ordine l’Europa dopo la Rivoluzione francese e le Campagne napoleoniche – delusero profondamente gli studenti di Jena che fondarono un’Associazione degli studenti: nacque il movimento studentesco, in senso moderno, che ebbe un ruolo importante nel processo di unificazione della Germania.

     Ci sono tanti e interessanti monumenti a Jena: ci sono le chiese, i bei palazzi, alcuni pittoreschi bastioni medioevali, c’è un bel tratto delle mura del ‘400 con la famosa Torre delle polveri (Pulverturm), c’è il museo degli strumenti ottici (Jena è la città delle lenti); c’è, nella chiesa gotica di San Michele, la lastra di bronzo, fusa nel 1551, che avrebbe dovuto coprire la tomba di Martin Lutero a Wittenberg: come mai è rimasta lì? Questa lastra di bronzo ha una storia e noi, ora, non abbiamo tempo per raccontarla, ma la trovate sulla guida della Germania nelle pagine dedicare a Jena.

     Ebbene tra i tanti e interessanti monumenti che ci sono a Jena dobbiamo ricordare ancora il Giardino botanico che contiene circa 12 mila specie di piante, alcune rare. Questo Giardino botanico (molti di voi lo ricordano) lo ha realizzato Goethe, che qui ha sperimentato la sua teoria sulla “pianta originaria” che, come scrive a Herder,  dice di aver scoperto in Sicilia nel corso del suo Viaggio in Italia. Goethe ha soggiornato a periodi dal 1817 al 1830 a Jena con l’incarico di capo-giardiniere, e anche di direttore dell’istituto di scienze dell’Università. Oggi la Casa del capo-giardiniere – dove Goethe ha abitato – è un museo con molti oggetti interessanti da vedere.

     A nord del Giardino botanico c’è il Planetarium (che Goethe aveva pensato ma che è stato realizzato nel 1926): sotto la sua grande cupola c’è posto per 500 persone che possono assistere a varie rappresentazioni. Dove oggi c’è il Planetarium nel 1801 c’era un teatro all’aperto e lì, d’estate, si svolgeva la stagione teatrale: proprio qui noi ci troviamo in questo momento in compagnia di Schelling, Hölderlin e Hegel.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Se vuoi fare una visita molto più approfondita a Jena puoi utilizzare l’atlante, la guida della Germania, la rete: buon viaggio …

     Noi ora dobbiamo cominciare ad occuparci dell’opera più significativa di Hegel: la Fenomenologia dello Spirito che è anche uno dei testi più importanti, più complessi, più studiati e commentati della Storia del Pensiero Umano. Per prima cosa è indispensabile che noi si vada a teatro con i nostri tre amici. A Jena, una sera d’estate dell’anno 1801, Schelling, Hölderlin e Hegel – ancora una volta riuniti insieme – vanno a teatro ad assistere alla rappresentazione di Amleto di Shakespeare. Tutti sappiamo che la scena più famosa dell’Amleto è quella del celebre monologo in cui Amleto tiene in mano il teschio dell’amico Yorick. Durante la recitazione del monologo – molti di noi abbiamo già assistito a questa rappresentazione – il giovane Hegel è particolarmente inquieto e si agita sulla panca della platea da dove assiste, assieme a Schelling e a Hölderlin, alla messa in scena del dramma: il celebre monologo dell’Amleto di Shakespeare sul teschio di Yorick invita certamente alla riflessione, ma che cosa passa nella mente del giovane Hegel in questa occasione?

     Hegel dedica un capitolo della Fenomenologia dello Spirito a questo monologo dell’Amleto ed è, molto probabilmente – dicono le studiose e gli studiosi – il primo brano che scrive di quest’opera. Che cosa passa nella mente del giovane Hegel davanti al teschio di Yorick accarezzato da Amleto? Quando la coscienza della persona è ancora immatura, pensa il giovane Hegel, è spinta a credere che lo spirito si riduca ad una realtà materiale. La coscienza immatura è spinta a credere che «l’essere dello spirito sia un osso», e allora non c’è che una via da seguire: quella di ripercorrere l’itinerario della conoscenza dello spirito ripartendo da questo osso, prendendo le mosse dalla scatola cranica. Gli antichi credevano che l’essere umano pensasse col cuore o con il fegato. Da quando si scoprì, con Galeno – scrive il giovane Hegel – che gli esseri umani pensano con il cervello si cominciò a guardare con attenzione alla scatola cranica. Ma ri-leggiamo le parole di Hegel:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1807)

Osservando il teschio di Yorick accarezzato da Amleto mi è venuto in mente che la povertà strutturale della scatola cranica contrasta certamente con le straordinarie proprietà del suo contenuto, il cervello.

Da un lato sta una moltitudine di quiete regioni craniche, mentre dall’altro lato abbiamo una moltitudine di proprietà spirituali, la cui quantità e determinazione dipenderanno dallo stato degli studi psicologici. Sappiamo bene che una qualsiasi scatola di cartone potrebbe contenere delle pietre preziose, ma nel caso del cranio la cosa è più complicata.

La scena in cui Amleto riflette sulla fragilità della vita tenendo in mano il cranio di Yorick contiene già in sé il contrasto tra la povertà materiale delle ossa craniche e lo stimolo a riflettere che esse producono: è vero che anche un cranio può suscitare in noi, come quello di Yorick in Amleto, ogni sorta di meditazioni; di per sé però il cranio è solo una cosa cruda e indifferente, nella cui immediatezza non è possibile scorgere né assumere altro che il cranio stesso e difatti quando la coscienza della persona è ancora immatura è spinta a credere che lo spirito si riduca ad una realtà materiale. La coscienza immatura è spinta a credere che l’essere dello spirito sia un osso, e allora non c’è che una via da seguire: quella di ripercorrere l’itinerario della conoscenza dello spirito ripartendo da questo osso, prendendo le mosse dalla scatola cranica.

     Per il giovane Hegel non c’è che una via da seguire: quella di ripercorrere l’itinerario della conoscenza dello spirito ripartendo da questo osso, prendendo le mosse dalla scatola cranica, prendendo le mosse dalla realtà materiale. Il giovane Hegel definisce l’itinerario della conoscenza dello spirito con la parola “fenomenologia”. Il termine “fenomenologia” deriva dal greco e contiene la parola logos sulla quale abbiamo riflettuto per tutto l’anno scolastico sulla scia del movimento della sapienza poetica orfica e poi contiene la parola fenomé che significa mostrarsi, apparire e indica la determinazione dei momenti in cui si viene manifestando la formazione dello spirito. Quindi Fenomenologia dello Spirito significa: discorso, ragionamento sul modo in cui si manifesta (si determina) lo Spirito. Secondo il giovane Hegel lo Spirito si manifesta in determinati momenti apparendo sotto forma di figure, di metafore, di allegorie, di icone. La fenomenologia è l’itinerario che il giovane Hegel percorre, all’interno della propria coscienza, per descrivere i modi e le vicende attraverso cui lo spirito umano si sviluppa, si mostra, dal grado più basso (dall’osso, dalla materia) fino a quello più alto: il grado all’eticità, dell’adultitudine di pensiero.

     Questo concetto del viaggio intellettuale che l’essere umano deve intraprendere –partendo dalla materia per dirigersi verso lo Spirito – è un punto di riferimento fondamentale nella Storia del Pensiero umano. Ed è anche un elemento fondante del fatto che noi, cittadine e cittadini, siamo qui, nella Scuola pubblica, ad animare un’esperienza didattica e a costruire un itinerario di studio che possa contribuire ad elevare il nostro Spirito per poter dare un valore alla materia nella quale siamo immersi: ciascuno di noi è protagonista della propria fenomenologia, ciascuno di noi deve essere interprete e animatore dell’itinerario all’interno della propria coscienza: ogni volta che noi leggiamo, riflettiamo e scriviamo (nel passare dal repertorio alla trama e viceversa) noi facciamo apparire una figura dello Spirito…

     Il giovane Hegel matura l’idea del viaggio intellettuale, sviluppa l’idea dell’itinerario all’interno della propria coscienza – procedendo dalla materia in direzione dello Spirito – sulla scia di uno degli elementi più importanti della sua formazione culturale: come sappiamo il tema della formazione intellettuale del giovane Hegel è complesso e ce ne siamo occupati nel Percorso precedente: ora dobbiamo rimettere in gioco alcuni frammenti per procedere.

     Tutta la generazione romantica si è formata alla cultura dell’Umanesimo e della civiltà greca: le parole-chiave e le idee-cardine della cultura greca, del movimento della sapienza poetica orfica di cui conosciamo molte cose, hanno permeato profondamente il pensiero della modernità e della contemporaneità; in particolare la generazione romantica si è formata sulla filosofia di Platone e sul suo sviluppo, vale a dire sul pensiero del  Neoplatonismo. In tutti gli Istituti (come lo Stift di Tubinga), in tutte le facoltà di teologia e di filosofia delle Università europee, tra il 1700 e il 1800, si tengono percorsi di studio sui Dialoghi di Platone e sulle Enneadi di Plotino, nonostante siano opere guardate con una grande diffidenza dagli apparati di potere civile e religioso. Sappiamo che il Cristianesimo ha mutuato dal Neoplatonismo tutto l’impianto filosofico per dare una base solida alla sua dottrina e questo fatto (questa grande operazione culturale) è stato rimosso.

     Il giovane Hegel – e tutta la generazione romantica – tuttavia conosce bene le opere di Platone e le Enneadi di Plotino [il professor Fortunius, il primo educatore di Schelling, di Hölderlin e di Hegel all’Istituto Stift, ha una formazione intellettuale e didattica di tipo neoplatonico]. Noi sappiamo già che il concetto del viaggio intellettuale che l’essere umano deve intraprendere,  partendo dalla materia per dirigersi verso l’Uno, è uno dei temi fondamentali del movimento della sapienza poetica orfica, ed è il tema principale delle Enneadi di Plotino e delle Lezioni del suo maestro di Alessandria, Ammonio Sacca. Plotino – invitato da Origene, che incontra casualmente – si iscrive alla Scuola di Ammonio nella primavera del 233 e la frequenta per undici anni. Dobbiamo ricordare, ancora una volta, che Plotino ha scritto 54 trattati e non li ha pubblicati: sono i testi delle Lezioni che tiene nella sua Scuola. I 54 trattati di Plotino sono stati messi in ordine da Porfirio di Tiro, il suo discepolo più fedele, che li raccoglie per argomenti, e li divide in sei gruppi di nove opere e li divulga. Un insieme di nove oggetti – nove in greco si dice ennéa – è un’enneade (Dodici uova o dodici libri formano una dozzina, nove uova o nove libri sono un’enneade, in latino si parla di novena). Quindi Enneadi significa: gruppi di nove opere e, su cinquantaquattro, ne vengono fuori sei.

     Quindi il primo fattore che le studiose e gli studiosi mettono in evidenza, quando si accingono a leggere e a commentare la Fenomenologia dello Spirito, è quello del richiamo alla cultura del Neoplatonismo che costituisce uno degli elementi fondamentali della formazione intellettuale del giovane Hegel e di tutta la generazione romantica.

     Plotino nelle Enneadi scrive: «Dobbiamo vivere in funzione del nostro ritorno all’Uno, del nostro itinerario verso l’Essere: la persona – e questo è il senso che ha la vita – desidera intraprendere questo viaggio di ritorno ed è triste fino a che non ne prende coscienza». Queste parole devono aver fatto riflettere il giovane Hegel. Plotino per tradurre la parola ritorno, utilizza il termine epistrophέ epistrophé che, letteralmente, significa viaggio di ritorno.  Plotino parla di un viaggio di ritornoche è di carattere non mitico, non misterico, non sacrale, ma è di carattere intellettuale: l’epistrophé (il viaggio di ritorno) è il cammino che compie l’intelligenza dalla conoscenza delle cose materiali alla comprensione delle cose spirituali. E come si costruisce l’epistrophé, come si realizza in pratica il viaggio intellettuale che ci avvicina all’Essere?  L’epistrophé, il viaggio intellettuale che ci avvicina all’Essere si identifica con un programma, con un percorso scolastico che già aveva preso forma nella didattica della Scuola di Ammonio.

     Per prima cosa, spiega Plotino nelle Enneadi, bisogna educare l’Anima a prendere le distanze dalla Materia coltivando le quattro virtù cardinali: la sapienza, la temperanza, la fortezza, la giustizia. Le “quattro virtù cardinali” si rispecchiano in quattro azioni: studiare [studiare è sapienza], lavorare [lavorare è temperanza], meditare [meditare è fortezza], patteggiare [patteggiare è giustizia].  Poi è necessario coltivare le tre vie: la musica, l’amore solidale e la filosofia. La filosofia è l’esercizio di trascendere le cose per imparare a contemplare l’essenza ideale delle cose: l’Uno. Le “cose” valgono non per quello che possono rendere ma per il grado di ben-essere (di felicità) che procurano. Questo viaggio di studio, nel suo procedere, procura uno stato di felicità, di calma, di piacere intellettuale che Plotino chiama: l’Estasi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quale di queste parole – rapimento, esaltazione, entusiasmo, visibilio, incanto, ebbrezza, visione, contemplazione, elevazione – metteresti per prima accanto alla parola “estasi” ? … 

Scrivila …

     Era necessario ripetere ancora una volta questi concetti perché il giovane Hegel sviluppa l’idea dell’itinerario all’interno della propria coscienza – procedendo dalla materia in direzione dello Spirito – sulla scia del pensiero neoplatonico. Tutta la generazione romantica si è formata alla cultura dell’Umanesimo e del movimento della sapienza poetica orfica, e in particolare sulla filosofia di Platone e del Neoplatonismo.

     La fenomenologia è l’itinerario che Hegel percorre, all’interno della propria coscienza, per descrivere i modi e le vicende attraverso cui lo spirito umano si sviluppa dal grado più basso (dall’osso, dalla materia) fino a quello più alto: il grado dell’eticità, dell’adultitudine di pensiero. Deve essere bello leggere quest’opera che c’insegna da elevarci moralmente! In teoria possiamo subito rispondere: «Sì, è bello leggere la Fenomenologia dello Spirito!». In pratica però sorgono molti problemi. Il testo della Fenomenologia dello Spirito di Hegel ha sempre esercitato ed esercita un particolare fascino sulle studiose, sugli studiosi e sulle lettrici e sui lettori, anche se la lettura di quest’opera non è facile: la lettura di quest’opera è molto complicata. Hegel scrive per dare ordine a quello che sta pensando (la scrittura ha soprattutto questa funzione) ma non sempre è in grado di esprimere pienamente, con le parole, il suo pensiero e inoltre, ogni tanto, si lascia prendere la mano e amplia, oltre misura, certi argomenti andando al di là del tema che si era prefissato.

     Il testo della Fenomenologia dello Spirito – anche per queste ragioni – è attraente sia per la straordinaria ricchezza del contenuto sia per le contraddizioni che in esso si possono rilevare: è chiaro che le contraddizioni fanno aumentare le difficoltà di comprensione del testo perché danno addito a molte interpretazioni. Difatti il tema più rilevante della filosofia di Hegel è proprio quello dell’interpretazione (dell’ermeneutica) del pensiero di Hegel. (Il cosiddetto tema ermeneutico del pensiero di Hegel – per essere precisi – riguarda l’interpretazione delle “conoscenze” con cui viene interpretato il pensiero di Hegel). Le difficoltà di comprensione (per cui nella lettura bisogna affidarsi continuamente alle note) rappresentano da una parte una sfida per chi si avvicina a quest’opera, e dall’altra il fascino di avventurarsi su territori non usuali.

     Per avvicinarci alla Fenomenologia dello Spirito dobbiamo riflettere su un argomento molto complicato che è quello della composizione dell’opera (dobbiamo affermare che su questo Percorso non c’è argomento che non sia complicato ma non possiamo passare la vita a respirare il facilese perché se no c’illudiamo di campare (come dice il parroco del paese nel film Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini). Hegel ha cominciato a pensare (siamo stati poco fa, a Jena, a teatro insieme a Hegel e ai suoi amici) alla composizione di quest’opera dal 1801. Ci ha lavorato con impegno dal 1806 al 1807 e in questi anni Hegel è travagliato da gravi problemi, e questo fatto ci aiuta a capire alcune caratteristiche della sua opera, come per esempio una certa confusione presente nella composizione. Lo ammette lo stesso Hegel in una lettera a Schelling del 1° maggio 1807, subito dopo la pubblicazione della Fenomenologia: leggiamo questo interessante frammento di duecento anni fa:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Epistolario (a Schelling, 1°  maggio 1807)

Il mio scritto è stato infine portato a termine; ma anche ne la consegna delle copie ai miei amici si presenta la medesima infelice confusione che ha dominato l’intero corso editoriale e tipografico, così come in parte la stessa composizione Sono curioso di ciò che dici dell’idea di questa prima parte, che è invero l’introduzione – infatti oltre l’introduzione, in mediam rem, non sono ancora arrivato. Stare a lavorare fino al particolare, sento che ha danneggiato la prospettiva dell’insieme; ma questa stessa è, per sua natura, un tale incrocio di va e vieni che anche se la volessi migliorare, mi costerebbe ancora molto tempo prima di averla più chiara e compiuta. Che anche le singole parti esigessero ancora vari interventi per arrivare a dominarle, non ho bisogno di dirtelo, lo vedrai da te abbastanza bene. Per la sproporzione delle ultime parti, la tua indulgenza tenga conto del fatto che ho terminato la redazione finale nella mezzanotte precedente la battaglia di Jena. Nella seconda edizione, che verrà presto – si diis placet?! (se agli dèi farà piacere?! – tutto sarà migliorato e con questo voglio consolare me e gli altri

     Questo frammento epistolare è già di per sé molto significativo: intanto, per prima cosa, veniamo a sapere che la Fenomenologia dello Spirito doveva essere solo un’introduzione di un’opera molto più vasta. Quindi – all’atto della pubblicazione – la Fenomenologia rappresenta per Hegel la premessa ad un’opera che deve occuparsi di Logica e di Metafisica per poi approfondire la filosofia della Natura e dello Spirito. Per questo Hegel, nel frammento della lettera a Schelling che abbiamo letto, fa presente che quanto ha scritto è solo l’introduzione, è solo la prima parte di un vasto saggio e afferma di non essere neppure all’inizio della trattazione.

     Successivamente Hegel scrive molte altre opere (tra queste, due sono considerate le più importanti: la Logica e l’Enciclopedia delle Scienze filosofiche) dove in effetti non fa altro che riprendere e sviluppare i temi della Fenomenologia. Altro elemento a cui fa accenno Hegel nel frammento epistolare che abbiamo letto è la sproporzione delle parti di quest’opera, e se osserviamo la sua struttura interna ce ne rendiamo subito conto.

     E allora approfittiamo di questa osservazione di Hegel per fare un esercizio di analisi (magari poi ci fermiamo qui ma è già qualcosa sul piano dell’apprendimento) sull’indice della Fenomenologia dello Spirito. L’indice della Fenomenologia dello Spirito è formato da un catalogo di parole significative: una rete di parole-chiave che costituisce l’immagine della struttura di quest’opera. La struttura della Fenomenologia dello Spirito è composta da una “Prefazione” che è stata scritta per ultima, ad opera compiuta, formata da 40 pagine (nel contare le pagine seguiamo la prima edizione del marzo 1807), poi viene l’“Introduzione” di 9 pagine. Il testo è quindi diviso in tre parti di diversa lunghezza e contrassegnate anche con le lettere dell’alfabeto: la prima parte contrassegnata con la lettera A s’intitola “Coscienza”, la seconda parte, la B, s’intitola “Autocoscienza”, la terza parte, C,  è senza titolo. Questa terza parte, la C, si divide a sua volta in quattro segmenti: (AA) “Ragione”, (BB) “Spirito”, (CC) “Religione”, (DD) “Sapere assoluto”. Mentre la parte A occupa 39 pagine e la parte B occupa appena 28 pagine, la parte C si prolunga per ben 302 pagine. Oltre a questa divisione in tre parti, la Fenomenologia è suddivisa in 8 capitoli con sproporzioni ancora maggiori:

     - il primo capitolo ha come titolo “La certezza sensibile” ed ha 7 pagine;

     - il secondo s’intitola “La percezione” ed è di 10 pagine;

     - il terzo s’intitola “Forza e intelletto” ed è di 20 pagine;

     - il quarto s’intitola “La verità della certezza di se stesso” ed è di 28 pagine;

     - il quinto s’intitola “Certezza e verità della ragione” ed è di 105 pagine;

     - il sesto s’intitola “Lo spirito” ed è di 124 pagine;

     - il settimo s’intitola “La religione” ed è di 58 pagine:

    - l’ottavo s’intitola “Il sapere assoluto” ed è di 12 pagine.

     Questa suddivisione – secondo le studiose e gli studiosi – indica che Hegel non ha un progetto ben preciso quando inizia a scrivere la Fenomenologia. Quindi il testo che avrebbe dovuto essere solo un’introduzione al suo pensiero, è cresciuto su se stesso ed è diventato un insieme autosufficiente, un’esposizione di tutto il sistema hegeliano: questo testo avrebbe dovuto essere solo una premessa e invece è diventato – senza che l’autore se n’accorgesse – la sua opera più significativa, una delle opere più importanti della Storia del Pensiero Umano.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Come primo esercizio di analisi vai a leggere l’indice della “Fenomenologia dello Spirito” (puoi ricostruirlo utilizzando il testo di questo REPERTORIO): è un primo passo sul piano della conoscenza del catalogo degli argomenti (le parole-chiave, le idee-cardine) di cui quest’opera tratta,  è un primo passo sul piano della comprensione dei temi (non facili) ai quali ci si deve avvicinare …

     Hegel, nella lettera a Schelling del 1° maggio 1807, nel frammento che abbiamo letto, scrive: «C’è un’infelice confusione che ha dominato l’intero corso editoriale e tipografico, così come in parte la stessa composizione» e questa confusione – Hegel non la dice tutta – dipende anche dal fatto che il periodo in cui scrive la Fenomenologia (dal 1806 al 1807) è un momento del tutto particolare della sua vita, un momento influenzato dal bisogno di denaro, dalla ricerca di una cattedra universitaria, dall’ambizione di voler emergere come filosofo, dai grandi avvenimenti storici, come la battaglia di Jena, nella quale – suo malgrado – si trova coinvolto e, inoltre, c’è anche un’altra ragione che lo preoccupa molto e gli fa confondere le idee (ma bisogna andare con ordine).

     Quando Hegel giunge a Jena, nella primavera del 1801 – dopo sette anni di esperienza come precettore a Berna e a Francoforte – non è più il “giovane Hegel” che abbiamo seguito lo scorso anno in queste due città e prima ancora a Stoccarda e a Tubinga. Hegel arriva a Jena come uno sconosciuto discepolo di Schelling il quale è più giovane di lui di cinque anni ma ha già fatto carriera. Hegel ha 31 anni (e all’inizio dell’800 un trentenne era un uomo maturo…) e, sotto il forte stimolo che gli viene da Schelling, il quale ha già elaborato il suo sistema (che abbiamo studiato lo scorso anno), vuole anche lui far emergere il suo programma filosofico.

     Dobbiamo ricordare che Hegel, per un anno, vive ospite a casa di Schelling, poi viene assunto all’università di Jena: è precario ma può mantenersi da solo e può andare a vivere per conto suo.  Hegel trova una camera in affitto, con bagno e con uso di cucina, in casa di una piacente signora: Christiane Fischer. Tra Hegel e la signora Fischer – giorno dopo giorno – nasce una simpatia che si trasforma – mese dopo mese – in un appassionato rapporto amoroso.

     Intanto in Europa (più che di amore) è tempo di guerre napoleoniche e anche Hegel – come molti intellettuali del momento – ammira il primo Napoleone che, come un liberatore, porta le idee della Rivoluzione francese in giro per l’Europa, ma poi esagera e più che i principi della Carta dei diritti dell’Uomo e del cittadino finisce per esportare il suo narcisismo e la sua volontà di potenza. Hegel si trova a Jena (non ha fatto in tempo ad allontanarsi) quando essa è investita dallo scontro tra Napoleone e la Prussia e viene egli stesso coinvolto nelle vicende drammatiche della battaglia di Jena. Il 13 ottobre 1806 la città viene occupata dai Francesi ed Hegel scrive una lettera ad uno dei suoi più cari amici, Friedrich Immanuel Niethammer (1766-1848), pedagogista fautore del neo-umanesimo pedagogico che prevede di dare, nelle Scuole, un grande peso alla cultura classica, ed autore di un’opera, pubblicata nel 1808, intitolata La contesa tra filantropismo e umanesimo. In questa lettera del 13 ottobre 1806 Hegel comunica all’amico la sua gioia, per aver visto Napoleone.  Leggiamone un frammento:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Epistolario (a Niethammer, 13 ottobre 1806)

Ho visto l’imperatore, questa anima del mondo, passare a cavallo per la città per uscire in ricognizione; è, in effetti, una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, stando su un cavallo, s’irradia per il mondo e lo domina.

     L’ammirazione per Napoleone è ancora spropositata: anche Hegel ha assistito con entusiasmo alla sua ascesa. Ma sappiamo che Napoleone riuscirà a deludere tutti quelli che lo avevano esaltato (c’è un filone letterario sui delusi da Napoleone) e anche Hegel, più tardi, quando si trova a Norimberga, comincia a pensare che l’imperatore sia diventato un tiranno e quando gli Austriaci e i Russi liberano la città dai Francesi, tira un sospiro di sollievo.

     Nella stessa lettera Hegel manifesta all’amico Niethammer viva preoccupazione per la sorte dei manoscritti della Fenomenologia spediti per posta mercoledì e venerdì (la lettera porta la data di lunedì): la loro perdita sarebbe per Hegel un danno irreparabile.L’ammirazione per Napoleone e la preoccupazione per i suoi manoscritti (redatti in una sola copia e spediti) si intrecciano, nella lettera a Niethammer, con la drammatica descrizione della battaglia di Jena. Leggiamo un altro frammento:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Epistolario (a Niethammer, 13 ottobre 1806)

Ieri sera verso il tramonto ho assistito da qui agli scontri a fuoco tra le pattuglie francesi e quelle prussiane; i Prussiani sono stati cacciati durante la notte dalla città, e gli spari si sono protratti fino alle 12 e oggi, tra le 8 e le 9, sono entrati in città i tiratori francesi e solo un’ora dopo le truppe regolari; è stata un’ora d’angoscia Alle 11 questa notte, nell’ufficio del commissario Hellfeled, dove ora abito e da dove scorgo la fila dei fuochi che i battaglioni francesi hanno acceso lungo tutto il mercato con i banchi delle macellerie, il ciarpame dei rigattieri ecc

     È un testo scritto in modo concitato e frammentario ma  il peggio deve ancora venire e, scrivendo anche i giorni successivi a Niethammer, Hegel fa un vero e proprio servizio giornalistico sulla battaglia di Jena nella quale è coinvolto e rischia grosso: leggiamo che cosa scrive, a Niethammer, il 17 ottobre 1806:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Epistolario (a Niethammer, 17 ottobre 1806)

Prima ancora della battaglia, le forze francesi hanno cominciato ad entrare nelle case con la violenza e a saccheggiarle. I soldati sono entrati nella casa dove abito e vi sono rimasti per un buon tratto di tempo e ho dovuto dare loro da mangiare e da bere ciò che avevo. Alcuni di loro dall’aspetto di chi è disposto a tutto mi hanno minacciato, per fortuna ho notato sul petto di uno di essi la croce della Legion d’Onore e, indicandola, ho detto che da un uomo insignito di tale onorificenza speravo un trattamento onorevole anche se sono un semplice studioso tedesco, a queste parole i soldati si sono calmati un poco e si sono accontentati di una bottiglia di vino. Intanto l’incendio si è propagato a tutta la città e io mi sono infilato in tasca l’ultimo manoscritto della Fenomenologia da spedire a Bamberga, ho abbandonato i miei libri e le mie carte al loro destino e il 14 ottobre ho trovato rifugio in casa del signor Gabler, il cui figlio è stato mio studente. Il signor Gabler, all’ultimo piano della sua casa, mi ha procurato una cameretta che era vuota in modo che potessi trovare un rifugio temporaneo. La casa di Gabler era protetta perché un ufficiale superiore vi aveva stabilito il suo quartiere. Il giorno successivo Napoleone ha fatto soffocare l’incendio che si diffondeva incontrastato e nello stesso tempo ha restaurato l’ordine in una certa misura. Io sono ritornato subito alla mia abitazione. Ivi ho trovato tutto messo a soqquadro dai soldati. Carta, penna e temperino erano stati portati via. Per scrivere questa lettera ho dovuto rivolgermi a vari amici: la guerra è il diavolo e nessuno se la sarebbe potuta immaginare così terribile.

     In un’altra lettera di alcuni giorni dopo, sempre a Niethammer, Hegel scrive di essere ancora sballottato di qua e di là e molto preoccupato, porta con sé, in tasca, le ultime pagine della Fenomenologia dello Spirito, teme di perderle o che qualcuno gliele sequestri. Hegel è agitato, vive in condizioni di miseria, è rimasto senza soldi, deve finire di consegnare l’ultima parte dell’opera all’editore: ci rendiamo conto che il termine della stesura del testo della Fenomenologia dello Spirito avviene in condizioni veramente drammatiche. Hegel chiede a Niethammer di spedirgli un po’ di denaro perché deve fare la spesa, deve comprare una matita, deve acquistare un po’ di carta su cui scrivere. In questa situazione tragica, di confusione, Hegel termina comunque di scrivere la Fenomenologia, riesce comunque a spedire a Bamberga l’ultima parte (la Prefazione) della sua opera in modo che l’editore possa procedere alla pubblicazione.

     Ma c’è – abbiamo detto – un’altra preoccupazione che affligge Hegel più di tutto in questo periodo: la sua padrona di casa a Jena, la signora Christiane Fischer, che è diventata la sua amante, aspetta un bambino (la levatrice, consultata, dice, già dal secondo mese, che è un maschio, ma per Hegel, questa notizia, non è di conforto). E difatti, secondo le previsioni, nasce un maschietto il 5 febbraio 1807. Dall’inizio dell’estate del 1806 l’attesa di questa nascita ha molto preoccupato Hegel, e questa paternità sarà per lui un tormento continuo per tutta la vita. Questo bambino viene chiamato Ludwig Fischer (con il cognome della madre) e ha un’infanzia difficile e ribelle.

     Nel 1808 Hegel si trasferisce a Norimberga perché – attraverso l’amico Niethammer – viene assunto, come direttore, nel locale Gymnasium. Ludwig rimane a Jena con la madre. Nel 1811 Hegel, a Norimberga, sposa la signorina Marie von Tucher, appartenente ad una famiglia nobile dalla quale avrà due figli: Karl e Immanuel. Nel 1817 Hegel, d’accordo con la moglie e con la signora Fischer, decide di prendere Ludwig – che intanto ha compiuto dieci anni – in affidamento. Ludwig è un bambino ribelle e diventa un adolescente che crea grossi problemi ad Hegel il quale, un giorno, lo caccia da casa perché il ragazzo si è impossessato indebitamente (aveva questa abitudine) di una consistente somma di denaro. Ludwig si arruola nel 1826 nell’esercito coloniale olandese, e muore a Giava il 28 agosto 1831, due mesi prima di suo padre che non ha mai saputo della morte di questo figlio difficile.

     Era necessario, al fine di capire meglio che cosa sia la Fenomenologia dello Spirito, conoscere la situazione storica e psicologica nella quale quest’opera è stata ideata e portata a termine.

     Possiamo affermare che la Fenomenologia dello Spirito non ha avuto una gestazione organica secondo un piano accuratamente prestabilito e meditato. Quest’opera è la conseguenza di una decisione improvvisa (presa a teatro, nell’estate del 1801, a Jena), e poi è stata scritta (tra il 1806 e il 1807) in un tempo incredibilmente breve sotto la pressione di drammatiche circostanze esterne ed interiori, nella paura di perdere i manoscritti spediti all’editore pagina dopo pagina, pezzo per pezzo, mentre l’intento dell’opera non rimaneva sempre lo stesso: infatti da introduzione diventa un trattato vero e proprio. Qualcuno ha detto che sono proprio le circostanze estranee ed ostili a darci l’occasione per rivelare il meglio di noi stessi, e forse Hegel, pressato da tutte queste avversità, ha dato il meglio di se stesso scrivendo la Fenomenologia dello Spirito. Il fatto è che queste avversità, esterne e interiori, questa confusione nella quale viene composta la Fenomenologia non giova al linguaggio che Hegel adopera per scrivere la sua opera. L’intento di Hegel è sempre stato quello di scrivere nel modo più facile possibile e difatti polemizza con quelli che vogliono scrivere in modo difficile. In una lettera della metà di maggio del 1805 al filologo J.H. Voss, che ha tradotto in tedesco l’Iliade e l’Odissea di Omero, Hegel scrive:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Epistolario (a J.H. Voss  15 maggio 1805)

Lutero ha fatto parlare la Bibbia in tedesco, Ella ha fatto parlare in tedesco Omero: è il più grande regalo che possa essere fatto a un popolo; infatti un popolo rimane allo stato selvaggio e non considera come sua proprietà le cose pregiate che viene a conoscere, finché non impara a riconoscerle nella propria lingua. Se Ella vuol dimenticare questi due esempi, Le dirò che il mio sforzo è diretto a far parlare la filosofia in tedesco.

     L’ideale di Hegel è quello di far parlare la filosofia nella lingua del suo popolo, e anche quello di tradurla in una forma chiara e comprensibile: è un ideale ambizioso che trova conferma anche nelle sue prime Lezioni a Jena. Hegel, in queste Lezioni, mette in guardia i suoi studenti dall’uso di un linguaggio vuoto e formale. Leggiamo che cosa scrive in proposito:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel,  Aforismi jenensi  (1803-1806)

Le forme del pensiero sono anzitutto esposte e consegnate nel linguaggio umano

In tutto ciò che diventa per la persona un interno, in generale una rappresentazione, in tutto ciò che la persona fa suo, si è insinuato il linguaggio Molto più importante è che in una lingua le determinazioni del pensiero siano venute a mettersi in rilievo come sostantivi e verbi, ricevendo così l’impronta dell’oggettività. La lingua tedesca si trova in questo modo avvantaggiata in confronto alle altre lingue moderne, molte sue parole possiedono anche la proprietà di aver significati non solo diversi, ma opposti, cosicché anche in questo non si può non riconoscere un certo spirito speculativo della lingua. Per il pensiero può ben essere una gioia, d’imbattersi in codeste parole, e di riscontrare già in una maniera ingenua, lessicalmente, in una sola parola di opposti significati, quella unione degli opposti (si capisce che Hegel ha studiato il movimento della sapienza poetica orfica…) che è un risultato della speculazione, benché sia contraddittoria per l’intelletto. La filosofia non abbisogna perciò in generale di alcuna speciale terminologia.

     Da quello che Hegel scrive possiamo notare la sua intenzione di esprimersi in un linguaggio semplice, concreto, chiaro, in quanto la filosofia, secondo lui, non ha bisogno di una particolare terminologia. Ma se le intenzioni di Hegel sono queste, come si può spiegare il fatto che la lettura della Fenomenologia dello Spirito risulta un’impresa assai ardua? Se la filosofia non ha bisogno di una particolare terminologia, come mai il linguaggio di Hegel è irto di ostacoli a volte insuperabili per quanto riguarda la comprensione? Molte studiose e molti studiosi hanno affermato che nessun interprete di Hegel è in grado di spiegare, parola per parola, una sola pagina dei suoi scritti. Un profondo interprete di Hegel, Ernest Bloch, scrive: «Hegel è difficile, non vi è dubbio, è uno dei più scomodi tra i grandi pensatori. Molte delle sue frasi si presentano come recipienti pieni di una bevanda forte e ardente, ma il recipiente non ha anse o non ne ha a sufficienza. Le infrazioni nei confronti della grammatica normale sono frequenti, e non è solo il purista a prendersi talvolta la testa tra le mani». In effetti il linguaggio di Hegel, al di là delle sue intenzioni, è complicato e ispido e, alcune volte – fa notare ancora Bloch – ha del «mostruoso». Hegel usa spesso dei paradossi e dei modi di dire che sono assai complicati e, a questo proposito, è significativo ancora il commento di Bloch: «Queste forme della terminologia di Hegel: anche se parlano tedesco, si presentano ai non iniziati come un linguaggio da pazzi o una specie di abracadabra».

     Naturalmente, a consolazione di noi lettrici e lettori, la scrittura di Hegel non è tutta così complicata, e soprattutto non è complicato il senso che la Fenomenologia dello Spirito possiede. Come si può definire – per concludere questo itinerario – la Fenomenologia dello Spirito? Uno dei primi studiosi (lo abbiamo già incontrato lo scorso anno) della Fenomenologia è il classico biografo di Hegel e suo ex alunno Karl Rosenkranz che nel 1844 pubblica la Vita di Hegel in cui è contenuta questa definizione della Fenomenologia dello Spirito:

LEGERE MULTUM….

Karl Rosenkranz, Vita di Hegel (1844)

La Fenomenologia è la linea di confine assoluta non soltanto fra due filosofie, ma nello stesso tempo anche fra due diverse concezioni del mondo in generale; Hegel stesso espresse energicamente tale consapevolezza in occasioni solenni, in discorsi conclusivi delle sue lezioni universitarie, nelle prolusioni in occasione del conferimento di una cattedra e nelle prefazioni. Lo spirito dell’umanità si sofferma su quest’opera per un attimo onde render conto di ciò che esso è divenuto fino ad allora per il suo concetto. Esso esamina tutto il suo passato e pone Hegel come il suo Dante filosofico, che conduce la coscienza dall’inferno della naturalezza, attraverso il purgatorio dell’azione umanamente etica, al paradiso della conciliazione religiosa e della libertà scientifica.

     Karl Rosenkranz paragona il viaggio che Hegel fa fare alla sua coscienza nella Fenomenologia dello Spirito al viaggio che, nella Commedia, fa fare Dante Alighieri alla sua anima. La Commedia di Dante è già una fenomenologia ante litteram perché è un viaggio (una epistrophé di natura neoplatonica) che l’anima (l’intelletto) del poeta fa dentro al grande territorio della Cultura utilizzando la forma della poesia orfica e il patrimonio della sua formazione intellettuale. Anche il viaggio di Dante parte dalla Materia (l’Inferno), passa attraverso la purificazione (il Purgatorio) e sale allo Spirito (il Paradiso). Dante è soprattutto un grande poeta e spesso la sua poesia fa passare in secondo piano il contenuto intellettuale della Commedia.

     Hegel non è un poeta, lui lo sa e soffre di questa situazione e cerca di far entrare la poesia del testo della Fenomenologia. Qualcuno ha scritto che la Fenomenologia è come la IX Sinfonia di Beethoven: entrambe terminano con i versi di Schiller. La IX Sinfonia termina con i famosi versi della poesia Alla gioia, la Fenomenologia con i versi dell’Amicizia, ed entrambe le citazioni di Schiller mostrano che se si vuole arrivare alla gioia è necessario il dolore.

     La Fenomenologia dello Spirito è un viaggio personale dell’autore, è un viaggio della sua coscienza in cui egli ripercorre tutte le sue esperienze giovanili precedenti; in essa troviamo tutto l’itinerario intellettuale del giovane Hegel ripensato e organizzato: tutto l’itinerario che noi abbiamo cercato di percorrere nelle sei Lezioni dello scorso anno depositate sul sito. Hegel quindi nella Fenomenologia presenta il suo personale itinerario perché le lettrici e i lettori possano trovare il proprio. In questo senso quest’opera è stata definita un romanzo di formazione, cioè un itinerario in cui l’individuo passa attraverso varie esperienze prima di giungere alla méta finale, che poi “méta finale” non è mai, ma bensì un sempre nuovo punto di partenza per altri viaggi intellettuali.

     Dobbiamo dire che il genere letterario del romanzo di formazione il giovane Hegel e i suoi compagni lo hanno conosciuto e studiato (ricordiamo Rousseau, Goethe) a Tubinga sotto la guida del professor Fortunius e saremo più precisi strada facendo.

     Ma la Fenomenologia non è naturalmente solo l’itinerario della coscienza individuale, essa segue anche un percorso molto più ampio che è quello della storia del mondo, in cui lo Spirito ha manifestato se stesso attraverso le diverse epoche dell’umanità (quando la parola Spirito, nella Fenomenologia – ci avvertono i filologi – è scritta con la lettera maiuscola, indica lo Spirito assoluto, mentre il termine spirito con la minuscola indica lo spirito particolare, l’individuo). Scrive Hegel nella Prefazione della sua opera:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1807)

Lo Spirito del mondo ha già manifestato se stesso nella storia dell’umanità e allora all’individuo non resta altro, per giungere a concepire la propria sostanza che ripercorrere nella sua coscienza lo stesso itinerario, rivivendo dentro di sé quelle tappe che lo Spirito ha già percorso nella storia del mondo la civiltà mesopotamica, la civiltà egiziana, il mondo greco e romano, il Medioevo, il Rinascimento, la Riforma protestante, l’Illuminismo, il Romanticismo.

     E che cos’è lo Spirito del mondo? Per Hegel lo Spirito del mondo è il “complesso delle relazioni fra gli esseri umani su cui si fonda e si configura la vita collettiva”, è il complesso dei Pensieri (l’Intelletto universale) di una collettività in cui gli individui s’impegnano a comunicare fattivamente tra loro a livello intellettuale e a livello culturale. Lo Spirito del mondo, secondo Hegel, ha già percorso nella storia le sue tappe: la civiltà mesopotamica, la civiltà egiziana, il mondo greco e romano, il Medioevo, il Rinascimento, la Riforma protestante, l’Illuminismo, il Romanticismo. Lo Spirito del mondo ha già manifestato se stesso nella storia dell’Umanità e allora all’individuo non resta altro, per «giungere a concepire la propria sostanza», che ripercorrere nella sua coscienza lo stesso itinerario, rivivendo dentro di sé quelle tappe che lo Spirito ha già percorso nella storia del mondo.

     Fenomenologia dello Spirito significa anche “itinerario di Storia del Pensiero Umano”. Questo significa, secondo Hegel, che lo sviluppo della coscienza individuale è collegato con i momenti della storia in cui lo Spirito si è già manifestato. Nella coscienza individuale i vari momenti delle diverse epoche della storia sono rappresentati da quelle che Hegel chiama le figure (Gestalten), e le descrive nella sua opera. Le figure, le metafore, le allegorie (e qui torniamo a pensare alle “forme allegoriche” di Erodoto) più significative che troviamo nella Fenomenologia dello Spirito sono “la figura del servo-padrone” che si riferisce al mondo greco-romano, “la figura della coscienza infelice” che diventa il simbolo della religiosità medievale, e “la figura del sepolcro” – il sepolcro di Cristo – in cui i crociati non trovano il corpo di Gesù, come la coscienza non può trovare il concetto nel mondo sensibile, e anche questa figura del sepolcro è legata al mondo medioevale. Ma il tema delle “figure” lo studieremo, strada facendo, in modo più particolareggiato.

     Il fascino della Fenomenologia sta soprattutto nella straordinaria ricchezza di riferimenti personali, culturali, intellettuali, allegorici. Il fascino della Fenomenologia sta in questo continuo intrecciarsi della storia della coscienza (della nostra storia personale) con la storia del mondo (con la storia universale) e viceversa. Questa affermazione è destinata ad avere un significato straordinario. L’intreccio tra storia della coscienza individuale e storia dell’Umanità significa che, senza conoscere la storia del mondo (senza conoscere il Percorso dello Spirito, la Storia del Pensiero Umano), la persona ha qualche difficoltà a mettere a fuoco la storia della propria coscienza.

     Perché, a volte, ci si trova bene in un Percorso di studio? Perché s’impara a dare un valore, una misura, un senso alla propria coscienza. Lo spirito della persona (in primo luogo lo spirito dell’autore), nella Fenomenologia, percorre un itinerario che dobbiamo imparare a conoscere e il percorso dell’itinerario corrisponde alla forma dell’opera di Hegel. Attraverso l’indice abbiamo studiato come è fatta quest’opera, che forma ha il testo della Fenomenologia dello Spirito. Ma come comincia quest’opera?  Comincia con una domanda. Hegel viene al sodo nell’Introduzione quando scrive:

LEGERE MULTUM….

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito [Introduzione] (1807)

Secondo una rappresentazione naturale, prima di affrontare la Cosa stessa, prima cioè di avviare la conoscenza reale di ciò che è in verità, in filosofia sarebbe necessario chiarire preliminarmente quale tipo di conoscenza va considerata come lo strumento più efficace per impadronirsi dell’Assoluto oppure come il mezzo più adatto per scorgerlo.

    E allora: quale tipo di conoscenza va considerata come lo strumento più efficace per impadronirsi dell’Assoluto? Una domandina da niente… C’è una risposta a questa domandina?

     Perché non provate a correre a Scuola la prossima settimana? Può darsi che una risposta precisa non si possa dare ma il testo della Fenomenologia dello Spirito produce senz’altro molti stimoli di riflessione e gli stimoli di riflessione sono necessari per intraprendere un viaggio nella coscienza.

     La Scuola è qui e prova ad applicare la sua piccola “fenomenologia da viaggio”…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 11, 2007