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Biblioteca Comunale di Impruneta, 14 giugno 2013 …

Lezione N.: 
29

Biblioteca Comunale di Impruneta, 14 giugno 2013

    Buona sera!  Benvenute e benvenuti.

     Dovrei dire [guardandovi]: benvenute e benvenuti a Scuola? In effetti il nostro incontro prolunga l’anno scolastico, ed è per questo [visto che: “finché c’è Scuola c’è Speranza”] che è ancor più doveroso ringraziare Lara Fabbrizzi [per le cose che ha detto e per il modo in cui le ha espresse] e Francesca Buccioni, assessore alle politiche della formazione e della comunicazione di questo Comune, per aver invitato un “alfabetizzatore” [questo gesto è significativo e mi conforta, anche perché il mio computer - non so il vostro - sottolinea in rosso la parola “alfabetizzatore” e, tutte le volte che scrivo questa parola, mi chiedo con una certa inquietudine se questo termine, per il lessico informatico, non esista più, o non esista ancora?] e, poi, il ringraziamento è doveroso, soprattutto, per l’invito rivolto alle cittadine e ai cittadini [accorsi numerosi] che animano le attività didattiche della Scuola Pubblica degli Adulti nel territorio di Impruneta, di Bagno a Ripoli e di Firenze [nella zona del Quartiere 4].

     Questo invito – all’interno di una [interessante] manifestazione intitolata “Impruneta che scrive” – ci dà la possibilità di “ricordare” i trent’anni [ormai prossimi] di un’esperienza scolastica finalizzata alla didattica della lettura e della scrittura: sto parlando dei “Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura” [per dirlo bisogna prendere fiato e, per imparare a memoria questa dicitura, ci vogliono davvero trent’anni].

     L’esistenza di questo lungo-itinerario-scolastico è caratterizzata da molte vicende che [in parte] sono state raccontate per iscritto dalle cittadine e dai cittadini che le hanno vissute come studentesse e come studenti [senza essere propriamente delle scrittrici e degli scrittori], e queste testimonianze sono contenute in una serie di pubblicazioni conservate in Biblioteca, in quattro libri intitolati: A due passi da San Gersolè [1988], Scrivere a mezzanotte [1989], Un’esperienza scolastica illegale? [1996], Con quattro parole [1997] e poi nei testi dei ventitré numeri di una rivista-interattiva intitolata L’Antibagno stampata [per un decennio] con ritmo semestrale dal 1999 al 2010.

     Che cos’è un “Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura”? È un viaggio di studio che si articola in 28 itinerari, che dura da ottobre ai primi di giugno [il tempo di un anno scolastico] e si snoda su un determinato territorio culturale, e serve a favorire – nella mente di chi partecipa – la messa in movimento delle azioni con cui si apprende: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare e valutare.

     Ma questa breve descrizione burocratica è riduttiva, e la cosa più interessante è che, dopo trent’anni, il catalogo delle risposte a questa domanda è diventato molto lungo perché chi ha partecipato, e chi partecipa a questa esperienza didattica, di solito, vivendola [è più facile viverla che raccontarla], trova una propria definizione che deriva anche da una ulteriore riflessione: a che cosa mi serve frequentare la Scuola in età adulta? Perché devo mettere in moto le “azioni cognitive [le azioni che servono per imparare]”?

     La prima definizione che ho dato [per accogliere e per cominciare a far riflettere i partecipanti], la sera del primo ottobre 1984, quando, questa attività ha avuto inizio è stata: un “Percorso di didattica della lettura e della scrittura” è un oggetto che ha a che fare con la “salute”, ed è, soprattutto, per questo motivo che si deve frequentare la Scuola. Come sarebbe a dire? Ho conservato gli appunti della breve Lezione introduttiva del primo ottobre 1984 [una paginetta scritta a lapis contenente un embrione di questionario, sono Ligure e non butto via niente] e ho pensato di cogliere l’occasione per scriverla e per riproporla [naturalmente alla luce - o all’ombra - del tempo presente, quindi, facendo alcune digressioni sull’attualità].

     La sera del primo ottobre 1984 [quando ha preso il via questa esperienza] ho sottolineato [e lo sottolineo anche ora] che tutte le studiose e gli studiosi che lavorano per l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono d’accordo nel dire [ufficialmente dal 1948] che l’attività di alfabetizzazione e, in particolare, l’esercizio della lettura e della scrittura: «favorisce il mantenimento della buona salute fisica e psichica della persona». Rita Levi Montalcini [che conoscete] indica anche un efficace dosaggio, e scrive: «La lettura di almeno quattro pagine giornaliere di buona letteratura [per un tempo di dieci minuti circa] e la scrittura di almeno quattro righe contenenti un pensiero autobiografico [in circa dieci minuti] sono esercizi che favoriscono il mantenimento dell’elasticità dei neuroni [le cellule del cervello] contribuendo al mantenimento della salute della persona». In queste affermazioni si capisce che il valore della parola “salute” va inteso nel suo significato più ampio [perché tutte e tutti noi, chi più e chi meno, abbiamo qualche acciacco, e in questo momento - di fronte a queste affermazioni - viene da domandarsi: ma è possibile che leggendo, scrivendo, studiando, non ci si ammali più?].

     Il filosofo Lucio Anneo Seneca [che quest’anno abbiamo studiato durante il viaggio sul territorio dell’Età tardo-antica che si è appena concluso], in un’opera intitolata Lettere a Lucilio scrive: «Se traiamo vantaggio dallo studio, se ci dedichiamo a leggere e a scrivere siamo in salute anche se il nostro corpo soffre a causa di una malattia». E, allora, quand’è che ci possiamo considerare “in salute”?

     Una persona è in salute [una persona “si sente bene”] nel momento in cui è capace di percepire la “pienezza della vita” e soprattutto nel momento in cui è capace di “trovare [di dare] un senso” al proprio vivere quotidiano. E siccome, per definizione, l’UNESCO [l’Organizzazione della Nazioni Unite che si occupa della promozione dell’alfabetizzazione] dichiara: «La lettura e la scrittura sono due attività che favoriscono la percezione della “pienezza della vita” e agevolano la capacità di “dare un senso” al vivere quotidiano», ecco che, in ragione di questa affermazione, il “leggere” e lo “scrivere” sono due attività che fanno bene alla salute e la Scuola degli Adulti deve farsene carico.

     E la “didattica della lettura e della scrittura” è una disciplina che persegue l’obiettivo di promuovere l’attività del leggere e dello scrivere nella vita quotidiana delle persone [perché prendano la buona abitudine di leggere quattro pagine al giorno e di scrivere quattro righe al giorno], sollecitandole ed invogliandole ad entrare in relazione con le parole [con le parole-chiave e con le idee-cardine della Storia del Pensiero Umano] perché la “relazione filologica [il rapporto che abbiamo con le parole]” favorisce i processi di apprendimento [a Scuola si va, soprattutto in età adulta, per imparare ad imparare].

     Avete ricevuto una pagina che s’intitola REPERTORIO E TRAMA, per investire in intelligenza [anzi due pagine uguali, così: una la utilizzate, e l’altra la tenete per ricordo]. Questa pagina serve per entrare dentro a questa conversazione e, soprattutto, per raccogliere le vostre idee, i vostri pensieri, le vostre riflessioni e per esercitarsi a stabilire una “relazione filologica”. Le vostre opinioni servono per dare una “forma complessiva” a questa conversazione [perché non è la conversazione che vi deve entrare in testa ma è la vostra mente che deve entrare nella conversazione per determinarne la forma]. Dovreste avere una penna o un lapis in modo da poter rispondere a queste domande – c’è da scrivere una parola e poi da mettere delle crocette –, alla fine potete consegnare questo REPERTORIO [depositarlo in questo sofisticato strumento tecnologico], e durante l’estate verrà fatta una lettura dei dati e [a ottobre] potremo vedere-leggere che forma abbiamo dato alla conversazione di questa sera [potremo depositare questa forma in Biblioteca].

     Per prima cosa è doveroso riflettere sulla parola “salute”. Abbiamo affermato che leggere e scrivere sono due attività che fanno bene alla salute, quindi, [creiamo una relazione filologica e ...] puntiamo la nostra attenzione sul riquadro Uno.

     Quale di queste azioni mettereste per prima accanto alla parola “salute”? Scrivetene una sola di queste azioni [che sono tutte appropriate] e sappiate che “scegliere”, su un catalogo di parole, il termine che si avvicina di più alla nostra esperienza odierna, è un esercizio che corrisponde ad un investimento in intelligenza perché, per operare una scelta, si mettono in moto le “azioni cognitive”.

     Che cos’è salutare per voi oggi?

Uno

Leggere e scrivere sono due attività che fanno bene alla salute

Quale di queste azioni mettereste per prima accanto alla parola: salute ?

 nutrirsi  riposarsi  innamorarsi  applicarsi  arricchirsi  muoversi  ...

                   [potete anche aggiungere un verbo che ritenete più opportuno e che qui non c’è ...]

Fate la vostra scelta, senza indugiare ...

Sceglietene una sola e scrivetela qui …  _______________________________________

 

     Creare le condizioni perché tutte le cittadine e i cittadini  diventino delle lettrici e dei lettori, delle scrivane e degli scrivani: non è una cosa facile. La Scuola è necessaria.

     Puntiamo la nostra attenzione su “l’esercizio della lettura”. Lo ha fatto [seppur parzialmente, circa un mese fa] il Presidente della Repubblica [al quale va tutta la nostra stima] alla Mostra del Libro di Torino. Il Presidente ha pronunciato un frase lapidaria, ha detto: «In Italia si legge poco», e questa dichiarazione ha fatto notizia per mezza giornata [sul ring dell’informazione], come se ci si dovesse meravigliare! Penso che il Presidente abbia fatto questa affermazione guardando [con preoccupazione, immagino] non solo i dati forniti dal sistema editoriale, che calcola il numero dei lettori in rapporto alla vendita dei libri [in base alle esigenze del mercato], ma, il numero dei compratori di libri – e anche il numero di coloro che prendono visione dell’oggetto [sappiamo che il libro è un oggetto affascinante e a volte - tenendolo in mano, guardandolo, sfogliandolo, annusandolo - ci sembra anche già di averlo letto e magari,  dichiariamo di averlo fatto, ad un eventuale intervistatore] –, ebbene, il numero dei compratori di libri non corrisponde al numero di chi si dedica all’attività della lettura. Quando il Presidente ha detto che “in Italia si legge poco” si riferiva al dato – derivante da una ricerca specifica sul tema – che, ogni anno, ci fornisce l’Osservatorio sulla lettura e la scrittura dell’Università di Trento [diretto dal sociologo Marino Livolsi], ebbene, i cittadini che [nella fascia tra i 18 e 64 anni], nel nostro Paese, hanno letto almeno un libro all’anno, nel 2012, sono stati diciotto su cento [siamo tra gli ultimi posti nel mondo, e non ci consola del tutto il fatto che ...]. Nella fascia dai 6 ai 17 anni siamo intorno al 43% [leggono i ragazzi, soprattutto le ragazze] e questo per merito della Scuola e, quindi, senza l’indirizzo dato dalla Scuola, l’esercizio della lettura si blocca  [diventa un fenomeno di nicchia].

     Vorrei dire che il Presidente parlava ad una platea di Editori [tutti in pena per la crisi dell’Editoria] ai quali ha dovuto dire che il Governo prenderà provvedimenti [sgravi fiscali] per far sì che l’industria editoriale possa “fare libri sempre più belli [il Presidente ha usato questa formula poetica]” in modo che il numero dei lettori aumenti. Ma la “bellezza dei libri” incide molto relativamente sul numero dei lettori [anche se le belle copertine fanno vendere più volumi. Ma questo non vuol essere un rimprovero al Presidente, che ha già tanti rospi da ingoiare! E poi non parlava davanti ad una platea di alfabetizzatori, anche perché la categoria degli alfabetizzatori non è ben identificabile].

     Perché in Italia si legge poco? In Italia si legge poco per un motivo ben preciso, considerato così banale che non viene neppure preso in considerazione: in Italia si legge poco perché le persone che “non sanno leggere” sono moltissime – sono l’81% nella fascia della popolazione attiva [dai 18 ai 64 anni] e, quindi, per incrementare il numero delle lettrici e dei lettori [perché gli Editori continuano ad ignorare questa realtà? Sono importanti gli sgravi fiscali ma ancor più importante sarebbe sgravare la popolazione dall’ignoranza per ottenere una ricaduta positiva sui consumi culturali], e, quindi, in Italia è necessario promuovere una “Permanente Campagna Nazionale di Alfabetizzazione funzionale e culturale” [e sarebbe stato necessario promuoverla anche nel 1984, visto che il primo ottobre ho fatto lo stesso discorso che ho fatto ora, e allora - in questi trent’anni - non è cambiato niente? No qualcosa è cambiato, nei numeri].

     Nel nostro paese “l’esercizio della lettura” si [è sempre presentato e si ] presenta come un fenomeno marginale e bisogna dire che c’è anche qualcosa di paradossale legato a questo fatto. “Leggere” – secondo tutti gli studi fatti [in campo medico, psicologico, pedagogico e didattico] – fa bene alla salute anche perché è considerata un’attività che appartiene alla sfera dei piaceri: infatti, “leggere” è anche un piacere che ha, per giunta, pochissime contro-indicazioni. E, difatti, un grandissimo numero di persone condivide istintivamente il fatto che “leggere sia un piacere”. È chiaro che a noi viene subito un dubbio: come mai, se “leggere” è considerato un piacere [e ai piaceri si rinuncia mal volentieri], “l’esercizio della lettura” si presenta come un fenomeno marginale nel nostro Paese?

     L’indagine, condotta dall’Istat nel 2011, sul tema de “L’esercizio della lettura in Italia”, rivela che alla domanda: «Secondo te leggere è un piacere?» l’89% delle persone intervistate risponde di “sì” con convinzione. Ma il dato più rilevante è che nessuna delle persone intervistate si assume la responsabilità di rispondere “no” in modo categorico: infatti, del restante 11%, 6 rispondono “sì, leggere è un piacere, però” non lo faccio [quasi] mai perché “trovo difficoltà a capire ciò che leggo” o perché “ho poco tempo da perdere” o perché “gli argomenti non mi interessano” o perché “i libri costano troppo”.  I rimanenti 5 rispondono “non so se leggere sia un piacere perché non leggo mai” e completano la loro risposta affermando: “la lettura non fa per me, leggono le persone importanti [che sarebbero quelle che sanno leggere?]”.

     Da questa indagine sembra emergere un quadro positivo sulla “predisposizione all’esercizio della lettura” nel nostro Paese – la quasi totalità delle persone dichiara che “leggere è un piacere” e ciò fa pensare che, di questo piacere, ne vogliano usufruire – ma, in realtà, questo dato dimostra che c’è qualcosa che non funziona: se 89 persone su 100 dichiarano che “leggere è un piacere” ma, poi, 82 [nella fascia attiva della popolazione] non leggono mai significa che la loro risposta affermativa è un dato sul piano delle “aspirazioni”. E, difatti, gli esperti indagatori dell’Istat hanno formulato questa domanda: per sondare il “tasso di aspirazione”. E perché [mi domando] questo alto [anzi, altissimo] “tasso di aspirazione”, una volta sondato, non viene utilizzato per dare uno sbocco concreto a questa tendenza? [perché non si dà forma a questo sotterraneo bisogno di alfabetizzazione espresso inconsapevolmente?]. Le cittadine e i cittadini di questo Paese aspirerebbero a leggere ma non leggono perché esiste un problema di carattere strutturale che riguarda le competenze alfabetiche e intellettuali della popolazione italiana.

     Eurostat [l’Istituto europeo di statistica], nel 2009 ha pubblicato e diffuso i dati di una Ricerca condotta negli Stati dell’Unione Europea per sondare il “livello di alfabetizzazione delle popolazioni”, e ha sottoposto [con un lavoro durato due anni] a diverse prove di lettura [di test, a vari livelli] molti campioni di persone. I risultati emersi sulle “competenze di base degli Italiani” sono preoccupanti ma non si prendono provvedimenti, si rimuove il problema [il mondo dell’informazione non si è mai occupato di questo dato], e ciò provoca il perpetuarsi di una situazione anacronistica [emersa anch’essa dalla Ricerca] per cui il cittadino analfabeta, invece di prendere coscienza del suo svantaggio per cercare di rimediare [di guarire], si nasconde. I cittadini analfabeti [e questo fenomeno lo abbiamo studiato noi alfabetizzatori nell’area di Scandicci nel primi anni ‘80] hanno acquisito molte “competenze” nel mimetizzarsi [farebbero molto meno fatica ad imparare a leggere e a scrivere di quanta ne facciano per dissimulare], e sono diventati “abili” a trovare delle scusanti [perché si vergognano, ed esiste un catalogo persino comico sulle scusanti inventate] per coprire le loro lacune e questo corrisponde ad un aforisma di Oscar Wilde, che scrive: «Gli analfabeti sono persone che hanno nascosto la testa nella sabbia e non si ricordano più dove».

     Chi li dovrebbe aiutare ad orientarsi, e come, e perché? Ebbene, secondo la ricerca di Eurostat [come abbiamo detto poco fa], il 46% degli intervistati ha dimostrato di non saper leggere i testi proposti, ritenendoli troppo difficili, e rinunciando a concludere la prova, mentre il 35% ha dimostrato, dopo aver letto, di non capire il significato del testo: quindi l’81% degli Italiani [nella fascia tra i 18 e i 64 anni] si trova nell’area dell’analfabetismo. L’11% degli intervistati è da considerarsi sufficientemente alfabetizzato, il 6% ben alfabetizzato e solo il 2% possiede un più che buon livello di alfabetizzazione e di comprensione del testo.

     Il problema della mancanza di competenze alfabetiche della popolazione italiana [un fenomeno in aumento] è grave soprattutto perché “senza alfabeto” – come troviamo scritto sulle Carte dell’UNESCO – è a rischio la democrazia, “senza alfabeto” non c’è sviluppo materiale [economico], né culturale, né spirituale e soprattutto non c’è la “fruizione del piacere intellettuale” dato dall’apprendimento, che, ha un effetto curativo e salutare sulla persona.

     Oltre ad essere [come abbiamo detto] “fonte di piacere” ci sono altre buone ragioni – legate al “dovere” – per cui è bene prendere l’abitudine di leggere [quattro pagine al giorno, per dieci minuti di tempo] e, infatti, oltre ad essere “fonte di piacere”, la lettura svolge un’importante “funzione di comunicazione” e, inoltre, serve a formare e a sviluppare “la capacità di pensiero” …

     Su questi tre elementi è bene esprimere le nostre opinioni.

     Nei riquadri Due, Tre e Quattro del REPERTORIO... ci sono tre interrogativi che c’invitano a riflettere sulle principali caratteristiche legate all’esercizio della lettura: come “fonte di piacere”, come veicolo di “comunicazione” e come dispositivo per lo “sviluppo del pensiero”.

     Osservate il riquadro Due e fate la vostra scelta senza indugiare…

Due

L’esercizio della lettura è “fonte di piacere

In che cosa consiste, secondo voi, questo piacere ? ...  Scegliete una sola risposta

□ Leggere è un piacere perché il gusto particolare per la lettura non si può spiegare con precisione

□ Leggere è un piacere legato alla promessa di divertimento che un libro fa alla lettrice e al lettore

□ Leggere è un piacere perché è un’avventura che porta alla scoperta di qualcosa di nuovo

□ Leggere è un piacere perché è un mezzo per soddisfare l’immaginazione e per evadere dalla realtà 

 

     Leggere [secondo voi] corrisponde ad un gusto particolare, o ad una promessa di divertimento, o a un’avventura, o a un mezzo per soddisfare l’immaginazione?

     Osservate ora il riquadro Tre e fate la vostra scelta senza indugiare…

Tre

L’esercizio della lettura svolge una “funzione di comunicazione”  …

Qual è, secondo voi, l’elemento comunicativo più significativo da attribuire all’esercizio

della lettura ? ...  Scegliete una sola risposta

□ Leggere è fonte di informazione e arricchimento delle conoscenze …

□ Leggere è un invito a fare nuove esperienze di vita …

□ Leggere è il principale mezzo di contatto con le grandi opere della Storia del Pensiero Umano …

□ Leggere è un potere, perché - a determinate informazioni -, si accede solo mediante la lettura …

 

     Osservate ora il riquadro Quattro e fate la vostra scelta senza indugiare…

Quattro

L’esercizio della lettura serve a formare e a sviluppare “la capacità di pensiero

C’è uno stretto legame tra il linguaggio e il pensiero: il pensiero umano si sviluppa in rapporto alle nostre capacità di linguaggio. Il nostro cervello non ha una parte destinata al pensiero e un’altra destinata al linguaggio, le due cose risultano interdipendenti. Più parole si conoscono, più si è capaci di pensare. L’esercizio della lettura arricchisce il linguaggio della persona e, quindi, fa migliorare anche le capacità di pensiero della persona. La lettura è utile per mantenere in esercizio il cervello e per evitare il decadimento dell’intelligenza …

Quale di queste funzioni, legate all’esercizio della lettura, mettereste per prima ? …

Scegliete una sola risposta …

□ Leggere serve per imparare a parlare meglio …

□ Leggere serve per imparare a scrivere meglio …

□ Leggere serve per mantenere in esercizio la propria mente …

□ Leggere serve per favorire l’attività dello studio …

 

     Dopo aver detto queste cose sull’esercizio della lettura – che si riassumono nelle parole: piacere, comunicazione e pensiero – noi ci domandiamo perché, anche molte persone che sanno leggere [che hanno buone competenze alfabetiche], sentono una specie di “estraneità” nei confronti della lettura: tre laureati su cinque, per esempio, – c’informa l’Osservatorio sulla lettura – sono dei non-lettori. Che cosa, secondo voi, – riflettendo anche sulle vostre esigenze e sui vostri gusti –non favorisce la lettura?

     Osservate il riquadro Cinque e fate la vostra scelta senza indugiare…

Cinque

Che cosa non favorisce la lettura di libri ? ...

Quale di queste affermazioni mettereste per prima ? ...  Scegliete una sola risposta  ...

□ Il fatto che i libri siano difficili da capire …

□ Il fatto che i libri siano troppo lunghi …

□ Il fatto che i libri siano strumenti superati …

□ Il fatto che i libri facciano perdere tempo …

□ Il fatto che i libri costino troppo …

 

     Le studiose e gli studiosi che, in questi ultimi decenni, si sono dedicati allo studio del fenomeno della lettura hanno raccolto, attraverso le loro interviste [registrate], delle testimonianze, e le hanno tradotte in “risposte emblematiche” che fanno parte di un catalogo.

Leggiamo, ora [per concludere questo esercizio], un testo rappresentativo – tratto dal capitolo delle “esperienze mancate” – riportato sul punto Sei del REPERTORIO … è la significativa testimonianza di un uomo anziano che ha vissuto una vita piena di esperienze e, tuttavia, ha qualcosa da recriminare sul piano delle aspirazioni.

Sei

Università di Trento, Dal catalogo delle risposte emblematiche in Studi sul tema del fenomeno della lettura in Italia

Sapessi quante esperienze ho fatto io! Quante volte ho cambiato mestiere, casa e indirizzo. Però c’è un’esperienza che mi sarebbe tanto piaciuto fare. So di non poterci più riuscire, eppure, ci ho provato qualche volta. Macché. Per me è troppo difficile, ormai. Sarebbe un’esperienza straordinaria, emozionante, quella di leggere un libro. Io lo dico sempre ai miei nipoti: «Voi siete giovani, voi avete le possibilità di farlo». Ma loro rispondono che leggere non gli piace. I lavori che ho fatto piacciono ai miei nipoti: sarà perché me li hanno visti fare? Quando gli racconto i miei viaggi mi ascoltano con ammirazione e, questo, perché sanno, che, li ho fatti? Quando gli dico: «Leggete un libro», dicono che non gli piace, sarà, forse, perché sanno che io non lo so fare e, che, ho vissuto bene lo stesso anche senza leggere mai? Non capiscono che, senza leggere, sono cieco anche se ci vedo ancora abbastanza bene, sono sordo anche se ci sento ancora abbastanza bene, sono un uomo sano, affetto da una malattia inguaribile: non ho mai letto un libro.

 

     Se avesse potuto frequentare un “Percorso di alfabetizzazione culturale, in funzione dell didattica della lettura e della scrittura” sarebbe potuta guarire questa persona? Forse… Comunque, avrebbe avuto il diritto di provare visto che si sentiva in dovere di farlo.

     Ed è per questo motivo che, la sera del primo ottobre 1984, quando questa attività ha avuto inizio, mi sono premurato di dire che: un “Percorso di didattica della lettura e della scrittura” è un oggetto che ha a che fare con la “salute”.

     Il primo ottobre 1984 [era un lunedì], alle 9 di sera, si sono presentate – nei locali della Scuola Media di Impruneta [allora si chiamava] “Accursio da Bagnolo” [oggi si chiama “Primo Levi”] – una ventina di persone per frequentare un “Percorso di alfabetizzazione” offerto dalla Scuola pubblica degli Adulti nell’ottica dell’Educazione Permanente, benché, non ci fosse alcuna norma che ne prevedesse l’esistenza, perché, l’esperienza didattica, di cui questa sera ricordiamo il [prossimo] trentennale, è nata in clandestinità, fuori dalle norme, come un’attività scolastica illegale. La normativa prevedeva, per gli studenti adulti, un Corso finalizzato al recupero della Licenza media [della durata di un anno scolastico] e non Percorsi finalizzati all’Educazione Permanente [come dice la Carta dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, la quale prevede che la Scuola vada frequentata per tutto l’arco della vita] e, quindi, il rapporto tra queste persone e la Scuola pubblica degli Adulti si era già esaurito [erano stati licenziati perché avevano ottenuto la Licenza media ma erano anche stati “licenziati” dalla Scuola che “è aperta a tutti.” L’articolo 34 della Costituzione garantisce la Scuola per tutto l’arco della vita].

     * Queste cittadini e questi cittadini appartenevano ad un gruppo [cinquantaquattro persone] che, nell’anno scolastico precedente [1983-84], avevano frequentato il Corso di Scuola media per Adulti [erano tanti: una classe era ad Impruneta e un’altra era a Tavarnuzze] e, a giugno [del 1984], queste persone avevano superato tutte [con grande soddisfazione] l’esame di Licenza media affermando però: «È un vero peccato che sia finita la Scuola adesso che abbiamo cominciato a divertirci a studiare, a leggere, a scrivere. E ora, il prossimo anno, dopo le vacanze, che si fa? Siamo venute e venuti a Scuola per la Licenza, ma, ora, vorremmo mantenere un legame con l’istruzione». E rivolgendosi a me – l’insegnante di Scienze Umane [che probabilmente ero riuscito a far capire quanto fosse importante l’Educazione permanente per la salute] – ribadivano: «Se studiare, leggere, scrivere, fa bene alla salute, come hai ripetuto per tutto l’anno, fai qualcosa!». E avevo predisposto un piano per “far qualcosa”, ma non era così facile poter operare senza norme: tuttavia c’era, per fortuna, il dettato costituzionale. Ai Corsi “sperimentali” di Scuola Media per Adulti si potevano iscrivere cittadine e cittadini privi della Licenza e duravano [e durano] solo un anno e sono stati istituiti – con una Circolare Ministeriale, che poi è diventata un’Ordinanza – nel gennaio del 1974 e, dopo dieci anni di sperimentazione [dal ’74 all’84], si sentiva il bisogno [da parte di chi lavorava in questo settore della pubblica istruzione] di uscire dalla mentalità [riduttiva] che legava la Scuola degli Adulti al [pur utile e necessario] recupero del titolo di studio [un problema sempre attuale perché nel nostro Paese i diplomati e i laureati continuano ad essere pochi e i ragazzi che abbandonano la Scuola senza conseguire la Licenza media sono il 18% ed è un dato assai preoccupante], ma era opportuno andare oltre [il diplomificio] per entrare nell’ottica dell’Educazione Permanente, in modo da creare un sistema in virtù del quale ogni persona potesse frequentare la Scuola [una o due volte la settimana per un certo numero di mesi all’anno] per tutto l’arco della vita [secondo la Carta dei diritti dell’Uomo e del Cittadino] e come presuppone il lungimirante articolo 34 della Costituzione che dice: «La Scuola è aperta a tutti [punto].». Il primo comma dell’articolo 34 della Costituzione [dal primo gennaio 1948] sollecita l’istituzione di un sistema di Educazione Permanente: tutti i cittadini hanno il diritto e il dovere di frequentare la Scuola per tutto l’arco della vita. La nostra Costituzione [come tutte le Carte costituzionali] garantisce i diritti ma non li dà: tocca al Parlamento, con Leggi apposite, dare concreta attuazione ai diritti e ai doveri, e nel nostro Paese non c’era una Legge per favorire l’Apprendimento permanente, non c’era e non c’è ancora. Ci sarà mai? Il dettato costituzionale troverà applicazione, prima o poi, su questa materia? Quindi, le affermazioni di quelle cittadine e di quei cittadini che [nel giugno del 1984] dicevano: «C’è verso di tornare a Scuola? Non c’è altro per noi? Siamo stati “licenziati” perché abbiamo ottenuto la Licenza-media ma siamo anche stati “licenziati” dalla Scuola aperta a tutti! [avendo letto e studiato la Costituzione erano diventate persone ironicamente consapevoli dell’importanza dell’apprendimento permanente]», ebbene, quelle cittadine e quei cittadini avevano preso coscienza, e queste affermazioni auspicavano una riforma della Scuola pubblica degli Adulti in linea con l’idea e con le buone pratiche dell’Educazione Permanente [i tempi sarebbero stati maturi nel 1984 per una riforma in questo senso] ma questo tema negli anni ’80, gli anni del “rampantismo neoliberista”, non era certo all’ordine del giorno né per il Parlamento, né per Governo, né per l’Opinione pubblica. Io [come insegnante della Scuola pubblica con una cattedra in questo settore] ho sempre pensato che l’Educatore degli Adulti non avrebbe dovuto fare soltanto il “dispensatore di titoli di studio [attività didattica utile, necessaria e propedeutica]” ma avrebbe dovuto mettere a punto un “meccanismo flessibile di formazione continua” proponendo e attuando itinerari di alfabetizzazione culturale e funzionale [si sarebbe dovuta istituire la figura dell’Alfabetizzatore culturale e funzionale] perché il nòcciolo del problema non era [e non è] quello di “far recuperare un titolo mediante un Corso una tantum” ma era [ed è] quello di far acquisire alle persone [indipendentemente dai titoli di studio] – attraverso Percorsi gratuiti, graduali e permanenti – le competenze necessarie per poter allargare il proprio orizzonte cognitivo in modo da poter imparare ad investire in intelligenza, perché [così come abbiamo già detto] il compito della Scuola e, in particolare, dell’Educazione Permanente non è quello di formare persone che abbiano una testa “ben piena” di nozioni ma è quello di favorire l’organizzazione di teste “ben fatte [competenti]” dotate [di forme] di contenitori nei quali saper sistemare le conoscenze in modo funzionale alla dinamica dell’apprendimento permanente.

     Nel giugno del 1984 avevo preparato un “Programma di alfabetizzazione” da proporre alle persone che desideravano [dopo aver frequentato il Corso di Scuola media per Adulti] tornare a Scuola per potenziare le loro capacità di apprendimento e per salvaguardare la loro “salute intellettuale”.

     Nel 1984, in Italia, [abbiamo detto] sarebbe stato necessario ed urgente promuovere una Campagna Nazionale di Alfabetizzazione [nell’ottica dell’Educazione Permanente], così come sarebbe più che mai necessario promuoverla oggi visto che [e lo sentiamo ripetere in continuazione] tutti gli esperti dicono che la crisi dipende soprattutto da un “deficit culturale”, e io mi domando: ma come pensano di ridurlo il “deficit culturale”, ripetendo questo slogan in ogni intervista, in ogni festival, in ogni editoriale, in ogni “notte bianca? Succede che, anche gli spiriti più illuminati, – quelli che denunciano con maggiore veemenza il “deficit culturale” della popolazione italiana [tanto da parlare di “dittatura dell’ignoranza”], – sottovalutino, però, il “tema dell’Educazione permanente” e rimuovano il “problema dell’alfabetizzazione” come se fosse qualcosa di secondario, di remoto, di inverosimile. Se si fosse avviata una “Campagna Nazionale di Alfabetizzazione permanente” in Italia, nel 1984, forse, si sarebbe potuto rallentare il processo di “degrado cognitivo” che ha portato a far aumentare, in modo preoccupante, il “deficit culturale” con tutte le ricadute negative che procura [e il “deficit culturale”, di questo passo, aumenterà ancora!]. Oggi, il “degrado cognitivo [a cominciare da come si parla]” lo si vede anche a occhio nudo: lo si guarda, lo si denuncia e non si propone nulla per ridurlo.

     Proprio nei giorni in cui [ottobre 1984] è cominciata, nell’illegalità [senza le norme che ne avrebbero dovuto garantire l’esistenza], l’esperienza dei “Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura” è successo – in una strana relazione parallela [a distanza di venti giorni] – un fatto eclatante: ricordate gli anni ‘80? [Vedo che siete tutte e tutti troppo giovani!]. Erano anni [dopo gli anni di piombo] caratterizzati da due parole d’ordine: “edonismo” ed “effimero” ma, intanto, l’Istat [nel rapporto del 1983] ci faceva sapere che il 76% degli italiani adulti [nella fascia attiva della popolazione, dai 18 ai 64 anni] avevano problemi di analfabetismo: sapevano appena appena leggere, scrivere e far di conto, ma chi ci badava? [c’era la Milano da bere, la Torino da assaggiare, la Firenze da sgranocchiare, la Roma da mordere]. Si è sempre coltivata la convinzione che fosse meglio “addestrare [facilitare per vendere tecnologia]” piuttosto che “istruire” i cittadini [presentare la “complessità” con cui funzionano le azioni cognitive].

     È evidente che – di fronte a questo dato [76% di analfabeti] – sarebbe stata necessaria, anzi, obbligatoria ed urgente [così diceva l’Istat] un riforma che rendesse più incisivo il settore dell’Educazione degli Adulti [io ero un insegnate che aveva una cattedra in questo settore ed auspicavo e sperimentavo una riforma] e sarebbe bastato un Decreto per promuovere una “Permanente Campagna Nazionale di Alfabetizzazione culturale e funzionale”. Io ne avevo scritto persino uno – un Decreto legge di due articoli – che avrebbe comportato un investimento finanziario irrisorio perché già esisteva [dal 1974, governato seppur in modo precario da un’Ordinanza] il settore dell’Educazione degli Adulti incastonato nel Ministero della Pubblica Istruzione [c’erano delle strutture, c’erano gli insegnanti, poi abbiamo perso entrambe le cose], e sarebbe stato sufficiente rendere “autonomo e flessibile” questo settore sganciandolo dalla Scuola dei bambini, degli adolescenti  e dei ragazzi perché questa incongruente mescolanza di settori scolastici [gli adulti nella Scuola dei bambini e dei ragazzi] comportava [e ha sempre comportato] dei limiti nell’attuazione di programmi didattici finalizzati all’istruzione e all’educazione in età adulta. Sarebbe bastato, quindi, un Decreto di due articoli che istituisse, con un investimento irrisorio, l’Istituto Nazionale di Educazione degli Adulti [parallelo al Ministero della Pubblica Istruzione] con un coordinamento centrale e un organico di alfabetizzatori ben preparati a promuovere attività di Educazione Permanente sul territorio in stretta collaborazione con gli Enti locali [tra l’altro c’era la volontà e c’era ancora entusiasmo tra gli insegnanti del settore].

     Il Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1984 era un signore dal fare deciso che, quando parlava, faceva lunghe pause [mi sono sempre chiesto se fossero “pause di riflessione”] e, di sicuro, non erano tentennamenti dato che è passato alla storia con l’appellativo di “decisionista”. E il Presidente del Consiglio in questione [è poi morto in esilio e bisogna comunque, parlandone, aver pietà] non tentennò quando rientrò precipitosamente da una missione ufficiale a Londra – era il 20 ottobre 1984 [questa esperienza aveva 20 giorni di vita] – per firmare il Decreto. E voi direte: che lungimiranza [che perspicace determinazione] nell’aver saputo subito cogliere una giusta istanza educativa! Un vero decisionista!

     Il fatto è che non si trattava del Decreto sulla Scuola degli Adulti, sull’Educazione Permanete, sulla Campagna di Alfabetizzazione [l’Istat diceva che sarebbe stata necessaria]. E di che Decreto si trattava? Il presidente del Consiglio, il 20 ottobre 1984, è rientrato precipitosamente da una missione ufficiale a Londra per firmare il Decreto che faceva riaccendere le televisioni commerciali – create da un rampante imprenditore milanese [amico del Presidente e cavaliere del lavoro] – che erano state “spente” dalla Magistratura perché violavano varie sentenze della Corte costituzionale [violavano tutte le regole sull’uso dell’etere e la Magistratura non poteva far altro che fare il suo mestiere] e questo Decreto fu un rimedio urgentissimo e utilissimo, non solo a vantaggio degli interessi di una sola persona [un vantaggio che non ha mai utilizzato], ma perché milioni di Italiani piccoli e grandi – che erano entrati in crisi profonda per l’oscuramento dei Puffi, di Dallas e di Uccelli di rovo [una grande palestra educativa] – gioirono quando tutto questo popò di roba tornò in chiaro, per Decreto! [D’altra parte questo imprenditore televisivo - che aveva la vocazione del facilitatore - aveva detto ai suoi collaboratori: “Ricordatevi che gli Italiani, a livello culturale, sono come dei bambini di undici anni, e neppure tanto furbi, quindi i programmi devono essere adeguati a questo target”. Che brava persona, e informata sul deficit culturale degli Italiani, anche perché, in materia, lo consigliava un saggio dell’epoca, certo Licio Gelli, che operava in gran segreto, in clandestinità e fuori dalle norme per “salvare l’Italia”, proprio come noi che avremmo voluto fare degli Italiani degli utilizzatori finali di istruzione più che di televisione].

     Il Presidente del Consiglio quando qualcuno gli faceva notare che quel Decreto era incostituzionale rispondeva [testuale, e senza far pause in questo caso]: «Lo sviluppo della tv commerciale costituisce un progresso per la democrazia, per il pluralismo, per l’economia, e favorirà un aumento della cultura». Difatti aveva ragione lui, perché, in un certo senso, un aumento c’è stato e lo dobbiamo dire “forte e chiaro [così come si esprimeva quel Presidente del Consiglio, tra una pausa e l’altra]”. Quale aumento? L’Istat [nel rapporto del 1983] ci faceva sapere che il 76% degli Italiani adulti erano analfabeti. Nel 2009 – come abbiamo già detto – la Ricerca fatta da Eurostat ci rivela che gli Italiani adulti “analfabeti” sono l’81%. L’analfabetismo è aumentato di 5 punti in questi ultimi trent’anni [che progresso!].

     Quando faremo in questo Paese una seria riflessione sul tema del “degrado cognitivo”, del “deficit culturale” e sulle responsabilità [di molti] nell’aver favorito l’istaurarsi di una “dittatura dell’ignoranza”? Io ero certo che non ci sarebbe stata nessuna riforma del sistema scolastico di Educazione degli Adulti nell’ottica dell’Apprendimento Permanente: «L’ignoranza è forza, è scritto sulla facciata del Ministero della Verità», e questa frase la si legge nel romanzo di George Orwel [scritto nel 1948] intitolato 1984 dove spicca il personaggio del “Grande fratello”. [“Meglio mettere la gente davanti alla tv / che mandare tutti a Scuola a imparare un po’ di più”, diceva una filastrocca sessantottina che cantavamo nelle manifestazioni, e, almeno questo, nel 1984 si avverava!]. Proprio sulla scia di questi avvenimenti pensavo che fosse più che mai necessario [resistere e] prendere l’iniziativa: bisognava comunque dare inizio ad una “Campagna di alfabetizzazione permanente” partendo dal basso.

     Questa intenzione, e la sua dicitura imperniata sulla parola “campagna”, era piuttosto presuntuosa [era una bella pretesa] ma, se vogliamo giocare con il significato delle parole, in un posto come il Chianti, dove c’era [e c’è] la più bella campagna del mondo, com’era possibile rinunciare a questo termine che qui aveva [e ha] una valenza particolare? Nella mia mente la parola “campagna” non suonava [e non suona] come un termine militaresco [le campagne di alfabetizzazione le lanciano i Movimenti di liberazione nel Terzo Mondo, mi si diceva con disappunto] ma io la parola “campagna” la pensavo, e la penso, come sinonimo di “coltura”. Il paesaggio naturale ed antropico della campagna chiantigiana ha favorito l’insorgere nella mia mente dei paesaggi intellettuali [e degli schemi didattici] utili ad una “Campagna di alfabetizzazione culturale e funzionale” nella quale la “cultura di questo territorio” ha avuto un ruolo fondamentale in quanto scenario di “colture” .

     Per capire quello che sto dicendo è utile leggere [o rileggere] i testi di A due passi da San Gersolè, Scrivere a mezzanotte, Con quattro parole nei quali le parole-chiave della Storia del Pensiero Umano [dell’Albero genealogico lessicale] - paura, bisogno, ritmo, ciclo, rete, rito, cerimonia, racconto, destino, ordine, sogno, ira – s’intrecciano e si fondono con il “patrimonio di conoscenze” contenuto in questa campagna [la campagna chiantigiana è stata il primo motore di una Campagna di alfabetizzazione culturale e funzionale con carattere permanente].

     E poi ero consapevole del fatto che qui c’era già una tradizione di “Campagne di alfabetizzazione [di proficue colture intellettuali di cui fare tesoro]”: eravamo [e siamo] a due passi da San Gersolè dove ancora aleggia lo spirito della maestra Maria Maltoni e siamo, anche, a quattro passi dalla Scuola di Barbiana e, su questo territorio [e sono stato subito messo al corrente dalle studentesse e dagli studenti in quanto genitori di alunni] si è svolta l’opera di “alfabetizzazione creativa” del maestro Giancarlo Bronzi [che sta continuando a dare una permanente Lezione di “creatività” in questa esperienza scolastica, perché il vero maestro è, prima di tutto, una persona che sa trovare in se stesso l’essenza di un alunno].

     E, inoltre, nel 1984, l’assessore alla Cultura del Comune di Impruneta, la signora Giovanna Dolcetti, la pensava esattamente come me sul tema dell’Educazione Permanente e in questo Comune è nata una sensibilità per l’Educazione degli Adulti in uno spazio temporale che va da Giovanna a Francesca [ne è testimonianza la bella lettera che Francesca, in veste di assessore, ci ha scritto nell’ottobre scorso per augurarci buon viaggio (e ne sono testimonianza le parole introduttive di Lara di questa sera)] e, ci auguriamo, che questo clima favorevole continui.

     Sarà per questi motivi che  – tra le tante esperienze di Educazione Permanete avviate in Italia negli anni ’80 – solo questa si è sviluppata ed è sopravvissuta? Io credo ci sia un motivo ulteriore.

     Nell’estate del 1984 ho preparato il programma per un “Percorso di didattica della lettura e della scrittura” nell’ambito dell’Educazione Permanente ma il merito di aver dato inizio ad una “Campagna di alfabetizzazione”, a cominciare da questo territorio, è di quella ventina di persone che lunedì primo ottobre 1984, alle 9 di sera, si sono presentate a Scuola e l’hanno garbatamente occupata [per “Scrivere a mezzanotte”]. Senza di loro c’era un programma con un “repertorio” ma, a questo progetto didattico, sarebbe mancato il corpo e sarebbe mancata l’anima [sarebbe rimasto un sole scuro e un paesaggio vuoto]. Il plauso [e il ricordo per chi non c’è più] va a quelle persone! E, poi, va a tutte le cittadine e i cittadini [a voi che siete qui questa sera, la terza generazione] che, in questi tre decenni, hanno animato questa esperienza didattica: più di milleduecento persone vi hanno partecipato.

     C’è stata caparbietà da parte delle cittadine e dei cittadini nel difendere questo “avamposto educativo [una sorta di fortezza Bastiani dell’articolo 34 della Costituzione]” occupando [molto civilmente] la Scuola [ed è merito loro, ed è merito vostro se questa esperienza ha messo radici] perché, devo dire [senza rancori], che, specialmente all’inizio, dalle Istituzioni scolastiche – anche nel mio settore – non sono stato preso molto sul serio quando ho presentato [nei Collegi scolastici] questo programma didattico e, soprattutto, le modalità per poterlo realizzare ovviando alla mancanza di norme. Sembrava un fatto normale che l’Educazione Permanente fosse fuori legge, senza norme, in questo Paese [e lo sembra ancora oggi].

     La preside della Scuola di Impruneta [che ricordo con affetto] era piuttosto diffidente ma dovette accettare di aprire la Scuola a queste caparbie cittadine e cittadini [che, in modo garbato, l’avrebbero settimanalmente comunque occupata], ed era anche convinta [e questo la tranquillizzava] che l’esperienza non sarebbe andata oltre le vacanze natalizie. Mi ha detto: «Ma chi glielo fa fare, professore, di imbarcarsi in questa iniziativa, in questo lavoro supplementare, lasci perdere, pensi alla salute!» [Aveva capito tutto?]. Io ho risposto che, prima di tutto, uno come me, che è nato ed è cresciuto in una città portuale non poteva far altro che “imbarcarsi” e che, con questa iniziativa, era proprio alla “salute” che stavo pensando perché l’attività proposta, di “didattica della lettura e della scrittura”, aveva come obiettivo la “salute” nel senso più ampio del termine.

     Le parole della preside sono state “augurali” perché questa esperienza didattica [è andata oltre le vacanze di Natale] e si è sviluppata – senza supporti legislativi, senza una normativa specifica – diventando [per volontà popolare] la sperimentazione di un nuovo modo di concepire l’Educazione degli Adulti [i Centri Territoriali Permanenti, i Percorsi graduali e continui, i Protocolli d’intesa tra Scuole e gli Enti locali], e l’anno scolastico successivo il numero dei partecipanti è raddoppiato, è iniziato un secondo Percorso anche a Bagno a Ripoli [alla Scuola Media “Redi”], poi dall’86 ha cominciato a funzionare un terzo Percorso a Firenze [alla Scuola Media “Gramsci”] e dalla fine degli anni ‘80 circa trecento persone, ogni anno [quest’anno sono state 294], hanno usufruito di questo servizio.

     Quando poi si è insediato ad Impruneta il preside Cesare Cristofolini e a Bagno a Ripoli la preside Elena Dalpino e poi il compianto preside Renzo Galligani hanno contribuito allo sviluppo di questa esperienza didattica che andava difesa in quanto ancorata a norme molto aleatorie e non specifiche.

     * E nel 1997, finalmente, è stata fatta la riforma dell’Educazione degli Adulti, sebbene in modo riduttivo, non in forza di una Legge ma con una nuova Ordinanza ministeriale: l’Ordinanza n.455 firmata dal Ministro Luigi Berlinguer. Io ho fatto parte del gruppo dei 40 esperti che a Tivoli, nel novembre del 1997, hanno scritto il testo della nuova Ordinanza: un testo rivoluzionario che ha istituito i Centri Territoriali Permanenti con un organico fisso, aperti a tutti i cittadini, con attività didattiche organizzate non più su rigidi corsi ma su percorsi graduali e permanenti: il modello della nostra esperienza è diventato norma!Dico solo [con grande disappunto] che le Scuole [in quanto aziende autonome] e le Istituzioni scolastiche in genere, su tutto il territorio nazionale, hanno saputo utilizzare poco e male questo prezioso documento, l’Ordinanza n.455 [forse proponeva un modello di Scuola troppo avanzato e poi i docenti della vecchia guardia o erano usciti di scena o erano troppo delusi e i nuovi arrivati non avevano nessuna esperienza nel settore]. Le Scuole hanno sfruttato la flessibilità data dalla nuova Ordinanza per organizzare una sorta di mercato dei corsetti a pagamento, una “frammentata corsetteria”, spesso anche ben gestita e non certo priva di utilità [i corsi di lingue, i corsi d’informatica], ma questa prassi ha ancor di più allontanato l’idea della necessità di istituire un sistema integrato di Educazione permanente che promuovesse una “Campagna di alfabetizzazione culturale e funzionale”. Nel 1997 i “Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura erano entrati nella legalità” e, forse, rappresentavano l’esperienza più fedele al dettato dell’Ordinanza n.455 ma, paradossalmente, risultavano ancor più anomali di prima: come se fossero una sorta di idea fuori dal tempo e dallo spazio. Nel 2008 poi la Legge 133 [Gelmini Tremonti], una delle peggiori controriforme che la Scuola pubblica abbia subìto, ha nuovamente ridotto l’istruzione degli Adulti al mero recupero dei titoli di studio e noi, fautori dell’Educazione Permanente, in teoria, siamo tornati fuori legge.

     Sono passati i decenni, sono cambiati i tempi, si sono avvicendate le generazioni di studentesse e di studenti, e questa esperienza ha continuato a trovare la sua ragion d’essere, forse perché, come trent’anni fa, nel nostro Paese, viene ancora a mancare la consapevolezza che la parola “studio [studium]” è sinonimo della parola “cura”.

     Forse noi – su questo territorio – abbiamo vinto una piccola battaglia ma ci possiamo rallegrare solo un po’ perché negli ultimi trent’anni, in Italia, non c’è stato alcun progresso nella diffusione dell’Educazione permanente, il livello delle competenze intellettuali della popolazione è diminuito e, tuttavia, questo fatto, fortemente negativo, sembra irrilevante. Questa situazione, invece, contribuisce a far crescere un “malessere” diffuso che dobbiamo contrastare e nei confronti del quale dobbiamo reagire. Come?

     Lo possiamo fare ripartendo – dopo la vacanza – per un nuovo viaggio di studio perché “imparare ad apprendere” è un diritto che la Scuola pubblica degli Adulti deve [anche senza norme certe] garantire a tutte le cittadine e i cittadini in virtù del primo comma dell’art. 34 della Costituzione [“La Scuola è aperta a tutti.”], e lo deve garantire prima di tutto a chi – come voi – sente il bisogno, la necessità, il desiderio, il piacere di alfabetizzarsi per esercitarsi ad investire in intelligenza.

     So che il prossimo “Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura” attraverserà il territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale” .

     La partenza è prevista per mercoledì 9 ottobre, dalle ore 21, alla Scuola “Francesco Redi” [a Bagno a Ripoli], e per giovedì 10 ottobre, dalle ore 21, alla Scuola “Primo Levi” [a Tavarnuzze], e per venerdì 11 ottobre, dalle ore 17, nello Spazio-Soci della Coop. di Ponte a Greve [a Firenze].

     Che viaggio sarà? Non so rispondere perché in questi trent’anni, ho sempre pensato, in partenza, di seminare narcisi e, alla fine, ho visto fiorire tulipani e mi sono stupito, e ho pensato che la Storia del Pensiero Umano nasce dallo stupore, dallo stupore che il primo essere umano ha provato in sé per essersi reso conto di “stare al mondo”, ed è lo stesso stupore che provo, ora, nel pensare a quanta strada abbiamo percorso insieme: grazie!

     E …avanti per i prossimi trent’anni? Forse è meglio pensare che un grande viaggio inizia sempre con un piccolo passo quindi arrivederci ad ottobre…

            Buone vacanze di “studio” a tutte e a tutti voi…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Giugno 14, 2013