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NEL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO IMPERIALE C’È IL MITO DI SATURNO, DIO DELLA DISTRUZIONE, DELL’INESORABILE FENOMENO CHE SCANDISCE IL CAMMINO UMANO ...

Lezione N.: 
8

Prof. Giuseppe Nibbi      Lo sapienza poetica ellenistica di stampo imperiale  30 novembre  1-2 dicembre 2011

NEL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO IMPERIALE

C’È IL MITO DI SATURNO, DIO DELLA DISTRUZIONE, DELL’INESORABILE FENOMENO CHE SCANDISCE IL CAMMINO UMANO ...

     Con l’inizio del mese di dicembre siamo in viaggio da otto settimane. Per l’anno 2011 ha inizio il conto alla rovescia e, a proposito del calendario delle Lezioni, dobbiamo precisare che il prossimo giovedì è l’8 dicembre, il giorno in cui si celebra la festività dell’Immacolata Concezione [o dell’Immacolata Concepita] e il nostro Percorso [nei giorni 7 8 9 dicembre] fa una pausa e, quindi, si torna regolarmente a Scuola mercoledì 14, giovedì 15 e venerdì 16 dicembre per percorrere l’ultimo itinerario dell’anno 2011: il ventottesimo anno di questa esperienza di alfabetizzazione culturale e funzionale.

     Da otto settimane stiamo attraversando il territorio della “sapienza poetica ellenistica di stampo imperiale”: un vasto spazio culturale [che in modo specifico non avevamo mai attraversato] dove si assiste – in un rapporto complesso e dialettico di odio e amore – all’integrazione tra la cultura greca e la cultura latina.

     La scorsa settimana abbiamo continuato ad attraversare lo spazio più antico e misterioso di questa ampia area, uno spazio [in latino “latium”] leggendario che è stato chiamato [come ormai ben sapete] del “mondo di Janus”, e nell’acquitrinoso e boscoso “mondo di Janus” abbiamo visto comparire due figure cardine della mitologia romana: la dèa Vesta e il dio Saturno. Le due figure mitiche di Vesta e di Saturno sono entrate in scena perché – nel corso dell’itinerario scorso – abbiamo studiato le caratteristiche di quelle antiche composizioni che precedono il fenomeno della Letteratura latina vera e propria e che si chiamano “carmina” e sappiamo che questo termine lo possiamo tradurre con la parola “canti” [sono canti religiosi – il Carmen Saliare e il Carmen Arvale –, sono canti conviviali, canti trionfali, nenie funebri]. Al singolare la parola “carmen” [che diventa anche un nome proprio] – come abbiamo potuto constatare – è molto evocativa dal punto di vista letterario e questo termine può essere tradotto con la parola “voce”, una parola-chiave che ha delle potenzialità enormi perché “voce” è suono, richiamo, esclamazione, fiato, nota, gemito, ammonimento, suggerimento, e l’elenco che questa parola evoca potrebbe continuare; inoltre la “voce” risulta essere un tratto che caratterizza anche la nostra personalità e chissà quante volte abbiamo fatto delle considerazioni sulla nostra voce o su quella di altre persone! C’è anche sulla scia del temine “carmen [la voce della poesia]” la bella rivista Voce Viva, viaggio nei sentieri nascosti del linguaggio espressivo di Alberta Bigagli, curata da Fiorella Falteri. Non è casuale il fatto che tra le caratteristiche della dèa Vesta ci sia anche quella della “fermezza della voce”, intesa tanto in senso materiale quanto in senso metaforico, e come scrive Tito Livio [lo abbiamo incontrato strada facendo]: «La voce di Vesta rivolta a Saturno è come una lex horrendi carminis [una legge dal tenore rigoroso, inflessibile]».

     Si sa che l’antica mitologia latina mette in relazione le figure di Vesta, di Janus e di Saturno e tra poco avremo modo di constatare questo fatto. Per la composizione dei “carmina”, come sappiamo, viene utilizzato il “verso saturnio” e questo genere di verso è ancora in uso, nel III secolo a.C., nelle opere di due personaggi che vengono considerati i primi scrittori della Letteratura latina e che appartengono alla generazione precedente a quella di Catone il Censore.

     Ci siamo già chieste e chiesti molte volte quali siano le origini della Letteratura latina; noi siamo andate e siamo andati a cercare le radici più profonde di questo avvenimento che si presenta come un fenomeno di integrazione culturale, un fenomeno a cui la filologia dà il nome di “cultura ianuaria” che però, di solito, passa inosservata e noi dopo aver scoperto, in queste settimane di viaggio, l’esistenza del “mondo di Janus” dovremmo domandarci: come mai esiste una sorta di rimozione nei confronti di questo tema?

     Il Senato romano, nel puntiglioso tentativo di dare un’identità alla cultura latina che, come sappiamo, nasce e si sviluppa in integrazione con diverse “colture”, ha voluto anche stabilire per decreto l’inizio della Storia della Letteratura latina e qui si apre una bella questione sulla quale è necessario riflettere. Una bella questione che dovremmo definire – così ci suggeriscono le studiose e gli studiosi di filologia – una “misteriosa questione”: perché “misteriosa”? Il Senato romano stabilisce la data d’inizio della “latinità”, dichiara il genere letterario con cui la Letteratura latina comincia il suo cammino nella Storia della cultura, ma non dice nulla sui contenuti. Come è possibile che ci sia questa lacuna che ha tutta l’aria di essere voluta? Perché il Senato romano s’impegna a fare un’affermazione sulla “forma” della prima opera letteraria della latinità ma vuole, contemporaneamente, censurare o ignorare ciò che in questa forma è contenuto? Prendiamo il passo e procediamo con ordine.

     Nei primi cinque secoli della sua storia Roma conquista l’Italia centrale e meridionale, delinea il proprio volto aggressivo, impone una mentalità in cui distrugge per ricostruire, forgia il proprio ordinamento giudiziario, le proprie istituzioni politiche e religiose ma – nonostante l’influenza della Letteratura greca – non crea nessuna opera letteraria: i Romani sono troppo occupati nella guerra di conquista ad imporre il loro “imperium”. Nei primi cinque secoli della sua storia Roma non produce nulla di specificatamente letterario ma solo embrionali forme artistiche anonime e orali – abbiamo studiato il genere dei “carmina” – di cui restano scarsi documenti di difficile interpretazione e, a partire dal III secolo a.C., in Senato, ci si rende conto che Roma ha sì conquistato militarmente vasti territori ma culturalmente sta subendo una colonizzazione. Solo alla metà del III secolo a.C., sotto l’influenza della cultura ellenistica della Magna Grecia, ha inizio la Letteratura vera e propria con la rappresentazione di un dramma teatrale: alle origini della Letteratura latina vera e propria c’è il teatro di un autore che si chiama Livio Andronico.

     La tradizione fa risalire a Livio Andronico l’inizio della Letteratura latina perché nel 240 a.C., sotto il consolato di Gaio Claudio e di Marco Tudebano, il Senato affida a questo autore l’incarico di scrivere e di allestire per i “Ludi romani” la rappresentazione di un dramma. Per i Senatori non ha importanza che questo dramma sia tradotto dal greco purché, adattato al gusto del pubblico romano, faccia effetto nell’ambito delle solenni cerimonie per celebrare la vittoria nella prima guerra punica e per esaltare l’annessione della Sicilia che diventa [nel 241 a.C.] la prima provincia romana. Le studiose e gli studiosi di filologia, in relazione a questo avvenimento, hanno costruito un catalogo di citazioni che sono diventate una serie di indizi i quali fanno pensare che l’opera prodotta da Livio Andronico – che è diventata il punto di partenza ufficiale della Letteratura latina – abbia dato adito ad una frizione tra lo scrittore e le Istituzioni romane.

     Livio Andronico è un artista [si sa che gli artisti non si lasciano condizionare dalle aspettative del potere] e quindi non si limita a tradurre qualcosa dal greco come chiedeva il Senato [piacevano molto le storie sulla guerra di Troia] e questo lavoro lo avrebbe saputo fare bene perché Livio Andronico non è un romano ma è originario della Magna Grecia; però lui non vuole copiare i tragici greci ma vuole portare in scena le radici del mito latino attraverso le quali vuole far riflettere – il ruolo dei poeti è quello di provocare la riflessione – e ha l’intenzione anche mettere in guardia i Romani sul fatto che la loro invadenza [quello che chiamano “imperium”] si basa soprattutto sulla distruzione [c’è Saturno in origine] e questo tarlo ha già contaminato l’umore e l’indole dei Romani.

     Sembra che Livio Andronico abbia sorpreso tutti scrivendo e mettendo in scena un dramma che aveva come argomento l’amore non ricambiato di Saturno per Vesta. A questo proposito uno degli indizi raccolti dalle studiose e dagli studiosi di filologia viene dall’opera di Tito Livio quando scrive una frase [che abbiamo già ricordato] che sembra una citazione: «La voce di Vesta rivolta a Saturno è come una lex horrendi carminis [una legge dal tenore rigoroso, inflessibile]». Tito Livio, con questa citazione, allude all’opera scomparsa di Livio Andronico di cui ci stiamo occupando? Ecco perché prima abbiamo usato il termine “misterioso” per definire questa questione.

     Sembra che Livio Andronico abbia scritto un dramma che aveva come protagonista Vesta [la nutrice della prole] la quale non ne vuole sapere di Saturno [che mangia i bambini] quando s’innamora di lei: il fatto è che Saturno è suo padre perché Vesta risulta essere la figlia di Saturno e di Carmena. Saturno vorrebbe a tutti i costi che Vesta tornasse ad essere la ninfa Carna, così simpatica, scherzosa, gioconda, trasgressiva ma Vesta resiste alle pressioni di Saturno e gli preferisce Janus che lei ha domato e Saturno, quindi, s’incupisce [tramonta], assume il suo carattere saturnino: diventa il dio della distruzione, di quell’inesorabile fenomeno che scandisce il cammino umano e il susseguirsi degli eventi naturali che risultano indomabili. Il Senato romano, molto probabilmente, non ha gradito e ha reagito intimando di stendere un velo sui miti delle origini, sul “mondo di Janus” e quando Saturno viene citato lo si presenta – e lo abbiamo già detto – come il protagonista dell’età dell’oro; ma il tarlo della “distruzione” rimane e l’invito a riflettere di Livio Andronico è pertinente anche se il testo di questa suo dramma – con il quale paradossalmente ha inizio la Letteratura latina vera e propria – è sparito dalla circolazione: la Letteratura latina inizia con un capolavoro scomparso, con un’opera fantasma, con un dramma rimosso che forse s’intitolava Vesta.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Sapete che un asteroide – uno tra i più grandi – si chiama Vesta?...

Fate una ricerca in proposito con l’enciclopedia e con la rete

Il musicista Gaspare Spontini ha composto un’opera lirica che è stata rappresentata con successo a Parigi nel 1807 e che s’intitola “La Vestale”: quest’opera viene considerata il capolavoro di questo musicista...   Utilizzando l’enciclopedia ne potete anche leggere la trama che è inerente ai temi che stiamo studiando e sulla rete, forse, ne potete ascoltare anche qualche brano...    Mettetevi in ricerca...

     Ma chi è Livio Andronico il primo scrittore latino non romano? È una costante il fatto che la maggior parte dei più significativi scrittori latini non siano romani e questa circostanza è significativa.

     Prima di incontrare Livio Andronico – per giunta anche lui è curioso di saperlo – dobbiamo riflettere su quanta strada abbia fatto il tema della “distruzione”, un’idea cardine che risulta essere l’elemento distintivo che qualifica – e che ha caratterizzato nei secoli fino all’età moderna e contemporanea – la figura mitica di Saturno. Il “mondo di Janus”, il mondo del miti latini, trova la sua collocazione nell’età di Saturno che è il dio della terra e, contemporaneamente, il dio della distruzione: di quell’inesorabile fenomeno che scandisce il cammino umano e il susseguirsi degli eventi naturali che sono difficilmente governabili, e la naturale modificazione della terra avviene mediante la “distruzione” e per costruire dobbiamo distruggere. L’era di Saturno, il dio della distruzione, è la mitica età dell’oro dei Romani: è questo retaggio che ha fatto di loro dei conquistatori, degli aggressori, dei distruttori che, paradossalmente, sono stati capaci di assecondare questo inesorabile fenomeno?

     A questo proposito – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – prima di incontrare Livio Andronico abbiamo un appuntamento con un personaggio contemporaneo che già abbiamo avuto modo di citare altre volte. La scorsa settimana abbiamo annunciato che avremmo incontrato un viaggiatore solitario [ogni tanto ne incontriamo uno], un viandante saturnino che, a piedi e zaino in spalla, attraversa il territorio della regione in cui vive per constatare che la terra rispecchia soprattutto la “storia della sua distruzione” e Storia naturale della distruzione è anche il titolo di un’opera che questo personaggio ha scritto.

     Il viandante saturnino di cui stiamo parlando è il professor W.G. Sebald [1944-2001] tedesco di nascita, insigne germanista trasferitosi a Londra nel 1970, insegnante di Letteratura tedesca all’Università di Norwich. Il professor W.G. Sebald lo abbiamo incontrato nell’anno 2006 [e penso che molte e molti di voi se ne ricorderanno] quando è stato pubblicato per la prima volta in Italia un libretto, scritto da lui nel 1998, intitolato Il passeggiatore solitario; e non è lui, in questo caso, il passeggiatore solitario del titolo perché questo libretto è stato scritto da Sebald in ricordo di un altro straordinario viaggiatore saturnino: lo scrittore   Robert Walser [ve lo ricordate?] di cui noi abbiamo studiato la vita, rievocato la morte – avvenuta il giorno di Natale del 1956 –, preparato il terreno per la lettura dei suoi romanzi e dei suoi racconti e osservato le caratteristiche del suo singolarissimo stile di scrittura. Il professor Sebald vuole ribadire, con il testo de Il passeggiatore solitario, l’importanza di Robert Walser nella Storia della Letteratura perché questo scrittore è stato un modello per i più importanti autori del ‘900 [per Kafka, Musil, Canetti, Benjamin] e anche il pensiero e il modo di scrivere del professor Sebald è stato influenzato da quel viandante saturnino che è Robert Walzer.

     Il professor W.G. Sebald – che purtroppo è prematuramente scomparso nel 2001 – è autore di una serie di opere molto importanti dedicate al concetto della “distruzione”, un tema fondamentale nella Storia del Pensiero Umano che lui ha coltivato e al quale ha dedicato i suoi studi e la sua grande capacità di osservatore, di filologo e di narratore. Le opere di W.G. Sebald non sono facili da leggere perché utilizza la scrittura per fare esercizio di ricerca personale e antropologica: «Non scrivo espressamente per il mercato editoriale – afferma Sebald – ma come pretesto per camminare». Le sue opere più importanti – le date fanno riferimento alla pubblicazione in italiano – sono Austerlitz [2002], Vertigini [2003], Storia naturale della distruzione [2004], Il passeggiatore solitario [2006], Gli emigrati [2007], Secondo natura [2009] e Gli anelli di Saturno che è apparso per la prima volta nel 1995. Naturalmente W.G. Sebald lo incontriamo su questo sentiero proprio in ragione de Gli anelli di Saturno, un bel libro, di non facile lettura, che va letto al ritmo di poche pagine al giorno con la cadenza del viaggiare a piedi, zaino in spalla. Il libro intitolato Gli anelli di Saturno ha un sottotitolo che recita Pellegrinaggio in Inghilterra, e, difatti, si tratta di un viaggio solitario, compiuto d’estate e per lo più a piedi  e con i mezzi pubblici, nel Suffolk, la regione dell’Inghilterra dell’est dove Sebald ha vissuto sino all’ultimo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzate l’atlante e una guida della Gran Bretagna, e andate a scoprire dove si trova questa regione, il Suffolk…

     Sebald si muove in uno spazio delimitato dal mare, dalle colline e da qualche città costiera, cammina attraverso grandi proprietà terriere in decadenza, ai margini dei campi di volo dai quali si alzavano i caccia per contrastare le incursioni dell’aviazione nazista e poi per bombardare la Germania. Sebald, da viandante saturnino, racconta – lungo dieci stazioni di un itinerario che assume anche i contorni di una fuga – gli incontri con interlocutori bizzarri, con amici, con oggetti, in cui si rispecchia quella «storia naturale della distruzione» che scandisce il cammino umano e il susseguirsi degli eventi naturali: la distruzione è una delle poche realtà innegabili.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A che cosa vi fa pensare la parola “distruzione”: annientamento, abbattimento, rovina, sterminio, devastazione, disfatta... Che cosa vi fa venire in mente il termine “distruzione”?...

Basta una parola per rispondere: scrivetela...

     Sebald, strada facendo, racconta la storia della produzione della seta – e il filo della seta fa da filo conduttore –, poi racconta la storia della pesca delle aringhe e via via narra di altri vagabondaggi ed emigrazioni, di cui la sua vicenda personale diventa un’eco: quelli di Michael Hamburger, poeta e traduttore di Hölderlin, profugo dalla Germania; di Joseph Conrad, che nel Congo conosce la malinconia dell’emigrato e gli orrori del paese di tenebra; di Chateaubriand, esule in Inghilterra e di molti altri curiosi personaggi che, secondo Sebald, non vanno dimenticati perché solo la memoria rappresenta l’estremo tentativo che fa da contrappunto all’inevitabile distruzione dovuta a terremoti, a diluvi, a catastrofi della natura, a guerre di attacco o di difesa ma anche a recenti scelte dovute ad un’economia rapace che, con la scusa di costruire, distrugge …  I segni della “distruzione” – gli anelli di Saturno [la bellezza, il fascino degli anelli di Saturno è il frutto della distruzione di una luna che si è avvicinata troppo] – sono [ruotano] intorno a noi e Sebald, mentre li registra con il suo implacabile occhio di osservatore attraverso una scrittura senza enfasi ma dotta e visionaria che assume un tono quasi mitico, c’insegna ad identificare gli oggetti della “distruzione” con la vaga speranza che vi sia sopravvivenza nella metamorfosi [Ovidio ride sotto i baffi e fa l’occhiolino a Livio Andronico] e nella capacità intellettuale ed estetica, che dovremmo maturare, di saper cogliere il fenomeno “poetico sapienziale” della metamorfosi che ci permette, comunque, di vedere che c’è del bello in ogni cosa.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Siamo sempre stati attorniati da oggetti che sono in via di distruzione: descrivetene uno, bastano quattro righe in proposito...

     E ora leggiamo alcune pagine inquietanti da Gli anelli di Saturno in cui lo scrittore narra di quando si fa portare sull’isola, adiacente alla costa [cercatela sulla carta geografica, ne sentirete e ne vedrete il nome] che era stata la sede del più importante centro segreto di ricerca militare britannico e visita, tutto solo, quello spazio abbandonato, in via di distruzione, che è diventato spettrale e gli oggetti presenti, in via di trasformazione [in principio è la metamorfosi], assumono delle forme imprevedibili capaci di generare allegorie tali da modificare il ruolo che era stato pensato per quel posto.

LEGERE MULTUM….

W.G. Sebald, Gli anelli di Saturno

Gli anelli di Saturno consistono in cristalli di ghiaccio e particelle di pulviscolo di presumibile origine meteoritica che ruotano in orbite circolari intorno al pianeta, all’al-tezza dell’equatore. Sono verosimilmente frammenti di un’antica luna che, troppo vicina al pianeta, fu distrutta dalle sue forze di marea (→ limite di Roche).

Enciclopedia Brockhaus

Così come questa tenuta innumerevoli altri possedimenti si smembrarono negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Le dimore padronali furono lasciate in abbandono o diversamente utilizzate, come collegi per ragazzi, case di correzione o manicomi, ospizi per anziani o campi di raccolta per profughi provenienti dal Terzo Reich. Questo posto fu per molto tempo domicilio e laboratorio del gruppo di ricercatori che, sotto la guida di Robert Watson-Watt, sviluppò il sistema di sorveglianza radar, che con la sua rete invisibile attraversa oggi l’intero spazio aereo. Del resto la regione tra le colline e il mare è ancor adesso occupata da innumerevoli installazioni militari.

... continua la lettura ...

     Sebald ci fa da maestro nel descrivere, con l’uso della “sapienza poetica” il fenomeno inesorabile della “distruzione” e Ovidio ride sotto i baffi – la distruzione è metamorfosi – e fa l’occhiolino a Livio Andronico. Ma chi è Livio Andronico il primo scrittore latino non romano?

     Abbiamo detto – e ora ripetiamo – che è una costante il fatto che la maggior parte dei più significativi scrittori latini non siano romani e questa situazione ha influito sulla formazione della lingua latina e di conseguenza – anche se non ne siamo consapevoli – sulla conformazione della nostra mente: le lingue sono frutto di inventiva, sono prodotti di investimenti in intelligenza e sono esercitazioni e manifestazioni di creatività. L’affermazione che abbiamo fatto rimanda anche al grande tema dell’invenzione della lingua, della creazione delle parole, dell’ideazione del linguaggio scritto, e di questo tema interessante e fondamentale per la nostra vita di relazione – ricordate quando abbiamo detto due settimane fa che Tito Livio viene criticato perché scrive in un latino contaminato dall’inflessione padovana, da un modo di parlare che non è il “romano de Roma”? –, ebbene, del tema della contaminazione linguistica [bisogna fare attenzione che la contaminazione linguistica non ha nulla a che fare con la colonizzazione linguistica: la contaminazione sviluppa anticorpi e quindi arricchisce, la colonizzazione impoverisce la lingua perché è il risultato della sottomissione] ce ne occuperemo in funzione della didattica della lettura e della scrittura perché c’è un personaggio letterario che ci aspetta sulla via del Percorso: è un commissario di pubblica sicurezza. Ma chi è Livio Andronico il primo scrittore latino non romano?

     Livio Andronico è nato nella polis greca di Taranto [avete visitato questa città?] e qui dobbiamo subito aprire una parentesi per dedicare una riflessione di carattere storico su questa importante città della Magna Grecia proprio perché dobbiamo capire come la contaminazione culturale sia stata determinante nella nascita della cultura e della Letteratura latina.

     La polis di Taras è stata fondata da coloni spartani guidati, secondo la tradizione, da Falanto nel 706 a.C., ma il nome Taras sembra di origine messapica:i Messapi erano una delle antiche popolazioni che abitavano la Puglia prima della colonizzazione greca. Il suo porto naturale, la pescosità del mare e la posizione geografica favoriscono il rapido sviluppo della polis di Taras tanto che diventa metropoli [città madre] e fonda altre città tra cui Gallipoli. Taras conquista anche il territorio di altre polis della Magna Grecia come Metaponto e Turi.  crescita in ricchezza e in potenza di Taras avviene soprattutto al tempo di Archita [molte e molti di voi dovrebbero ricordarselo questo personaggio] nella prima metà del IV secolo a.C.: Archita di Taranto, prima di essere un uomo politico, è stato scienziato e discepolo di Pitagora ed amico di Platone. Archita è stato, tra il 367 e il 361 a.C., a capo della città e coordinatore di una grande lega di città italiche.  quest’epoca Taranto raggiunge il suo massimo splendore e il primato su tutta la Magna Grecia, improntando della sua civiltà le popolazioni àpule che vivono nell’interno della regione, anche se poi il territorio che Taranto controlla politicamente non è mai stato molto esteso. re che nel IV secolo a.C. Taranto contasse circa trecento mila abitanti, e le sue mura avessero un circuito di 15 km.

     I Tarantini sono ricchi e, quindi, possono permettersi di comprare eserciti di soldati mercenari che combattano e muoiano per loro e, per esempio, Archidamo, re di Sparta, assoldato dai Tarantini contro i Messapi, muore nel 338 a.C. combattendo sotto le mura di Mandria. Poi uno di questi capitani di ventura, Alessandro il Molosso, re dell’Epiro [l’Epiro era uno Stato che si estendeva, all’incirca, sul territorio dell’odierna Albania], assoldato dai Tarantini contro i Lucani, ad un certo punto rompe il contratto e comincia a svolgere una politica indipendente cercando di creare un grande stato italico, ma muore combattendo intorno al 330 a.C. e il suo ambizioso disegno naufraga. Poi il governo di Taranto chiama, contro i Lucani, Cleonimo di Sparta ed essendosi i Lucani alleati con Roma, ecco che i Tarantini e i Romani si trovano per la prima volta di fronte ma concludono un patto secondo cui le navi romane non devono oltrepassare il promontorio Lacinio [l’odierno Capo Colonna].

     Però nel 281 a.C. il Senato romano decide di rompere la tregua e le navi romane penetrano nel golfo di Taranto e scoppia quella famosa guerra, dal 280 al 275 a.C., nella quale i Tarantini chiedono aiuto a Pirro, re dell’Epiro, che sbarca a Taranto con una nuova arma: gli elefanti. Pirro contro i Romani vince tutte le battaglie [le famose vittorie di Pirro!] ma, alla fine, perde la guerra perché il suo esercito viene decimato e si deve ritirare: rimane a Taranto un presidio epirota al comando di Milone che nel 272 a.C. patteggia la resa consegnando ai Romani la città a dure condizioni.

     In questa occasione – e noi ci stiamo occupando di Taranto a questo proposito – viene portato a Roma ancora fanciullo uno schiavo comperato da un certo Livio Salinatore: questo fanciullo, che è un volenteroso studente, prende il nome del suo padrone Livio che viene affiancato al suo nome greco Andronico [Andros-néko, coraggioso navigatore]. Questo giovane schiavo farà carriera e poi verrà affrancato e diventerà scrittore, poeta e tragediografo: il primo scrittore ufficiale della Letteratura latina.

     Taranto viene considerata dai Romani città federata ma ha però un presidio romano nella rocca. Nel 212 a.C., durante la seconda guerra punica, i Tarantini si ribellano e si alleano con Annibale, ma la città è riconquistata nel 209 a.C. dal console Quinto Fabio Massimo e viene devastata e saccheggiata: il bottino frutta ai vincitori ingenti ricchezze che vengono trasferite a Roma.

     Taranto culturalmente e intellettualmente è sempre stata ed è sempre rimasta una città greca d’impronta ellenistica e questo fatto ha anche influito sulla formazione di Livio Andronico. Poi Taranto, nell’età di mezzo, è stata una città bizantina, poi saracena, poi ancora bizantina e poi normanna e dopo sveva e poi angioina.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Puglia e sulla rete fate una visita a Taranto: ci sono musei, ci sono monumenti che vanno conosciuti...  Buon viaggio...

     Quindi è un elemento fondamentale il fatto che Livio Andronico sia nato nella polis greca di Taranto, una città nella quale dal IV secolo a.C. fiorisce la “sapienza poetica ellenistica”.

     Livio Andronico viene portato a Roma poco più che adolescente come schiavo in casa di Livio Salinatore e si dedica, come precettore, all’educazione dei figli del suo padrone: la sua lingua materna è il greco ma parla e scrive anche in latino ed è così bravo e responsabile che, quando raggiunge la maggior età, viene affrancato [gli viene restituita la libertà] e continua a dedicarsi allo studio e si guadagna da vivere insegnando lettere latine e greche [facendo il “grammaticus”] ai giovani delle famiglie altolocate e poi naturalmente comincia a scrivere opere, soprattutto per il teatro, con grande successo ed è per questo motivo che [come sappiamo] il Senato gli affida, nel 240 a.C., l’incarico di scrivere il dramma celebrativo per la vittoria nella prima guerra punica: sappiamo che il dramma in questione, probabilmente intitolato Vesta, è caduto nelle maglie della censura perché più che un tono celebrativo aveva, forse, un intento critico in linea con la libertà di espressione di cui godevano gli autori greci. Comunque è da questo avvenimento che, un po’ paradossalmente, ha ufficialmente inizio la Letteratura latina.

    Nel mondo greco gli autori – specialmente gli autori di teatro – sono molto più liberi rispetto al mondo romano dove il Senato svolge una ferrea azione di censura: qualsiasi riferimento alla vita politica e sociale era escluso e i censori esercitavano sui testi [le fabulae] un controllo preventivo e, quindi, ciò che si metteva in scena veniva purgato e questo deve essere successo con il dramma celebrativo di Livio Andronico di cui non resta traccia. Questo episodio non ha comunque offuscato la fama letteraria di Livio Andronico perché il Senato, sebbene molti anni dopo nel 207 a.C., affida a lui, già molto vecchio, durante la seconda guerra punica che andava maluccio, la composizione di un carme propiziatorio in onore di Giunone che viene cantato da ventisette fanciulle e, forse, questo espediente letterario ha aiutato i Romani a vincere anche questa guerra. Livio Andronico chiede che il Senato romano istituisca il Collegium scribarum histrionumque [il Collegio degli scrittori e degli attori] e questo istituto viene creato e a Livio Andronico ne viene affidata la direzione. Lo scrittore muore verso la fine del III secolo a.C. ma non conosciamo la data precisa della sua morte.

     Livio Andronico, probabilmente, ha prodotto molte opere: della sua opera teatrale ci restano solo una cinquantina di frammenti e i titoli di otto tragedie ispirate in parte al ciclo troiano che molto interessava il pubblico anche per le vicende di Enea, l’eroe legato alle origini di Roma. Con molta probabilità lo scrittore – che fa il regista e anche l’attore – inizialmente rimaneggia liberamente opere greche, producendo quella che è stata chiamata la “contaminatio”: un’operazione intellettuale che, attraverso la contaminazione di generi, di stili e di contenuti diversi, genera nuove sintesi culturali. Anche traducendo e imitando testi greci, l’originalità di Livio Andronico è stata quella di aver voluto creare l’opera d’arte in latino e di aver introdotto i versi della poesia greca a servizio della lingua latina e questo ha contribuito senz’altro a fare del “latino” una lingua più aperta, più ampia, con un più alto numero di intersezioni, di confluenze, di intrecci: più adatta alla Letteratura. Una lingua “contaminata” è più idonea alla Letteratura perché la contaminazione è un processo di proliferazione, di crescita, di diffusione.

     Ma la cosa più significativa da dire della produzione letteraria di Livio Andronico – e di conseguenza delle origini della Letteratura latina come fenomeno di integrazione culturale – è che per le sue necessità di insegnante e anche per far conoscere e stimare ai giovani romani i capolavori della Letteratura greca [si capisce che ormai lo scrittore si sente romano ma si comprende anche che è molto orgoglioso di essere greco] e per iniziarli al gusto artistico, il poeta traduce in versi saturni l’Odissea di Omero, opera che, per il suo contenuto avventuroso e fantastico, riteneva fosse più adatta dell’Iliade: i giovani romani – secondo Livio Andronico – erano già fin troppo incentivati a fare la guerra e a perpetuare la “distruzione” e, quindi, meglio invogliali al viaggio ed educarli  al desiderio della conoscenza. Noi non possiamo sapere quanto questa traduzione – Odissea in latino diventa Odusìa –, che è il primo esempio di epica in latino, fosse fedele all’originale, perché ci sono pervenuti solo una trentina di frammenti, trenta versi sparpagliati. Quest’opera ha avuto una grande importanza storica perché ha insegnato ai Romani ad apprezzare non solo l’epica ma anche la tragedia e la commedia, tanto che essa è rimasta a lungo come libro di testo nelle Scuole. Il primo verso dell’Odissea, dell’Odusìa tradotta in latino da Livio Andronico si è conservato: «Virum mihi, Carmena, insece versutum [Narrami, oh Carmena, dell’astuto eroe, dell’uomo ingegnoso]».

     In questo frammento possiamo notare due cose, una più evidente ai nostri occhi e un’altra meno evidente ma importante. La prima cosa è che al posto della Musa greca c’è la dèa latina Carmena, una figura mitica che noi conosciamo; la seconda è che questo primo verso non è un “saturnio” ma è un “esametro greco” ed è significativo osservare come ci siano in queste poche parole due elementi di contaminazione contrapposti: un preciso verso greco al posto di uno latino meno stabile e una figura mitica latina [Carmena, proveniente dalla cultura ianuaria] al posto di una greca [la Musa, di natura olimpica]. La Letteratura latina – la “sapienza poetica ellenistica di stampo imperiale [è questo il territorio che stiamo attraversando]” – nasce come un efficace avvenimento di integrazione culturale, un fenomeno dialettico in bilico tra l’odio e l’amore.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola “contaminazione” significa anche: intersezione, confluenza, crocevia, innesto, intreccio... Una – o più di una – di queste parole che cosa vi fa venire in mente, forse una strada, un fiume, un mare, un porto, un territorio, una città, un orto, una persona  ?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     La figura letteraria di Livio Andronico rimanda inevitabilmente a ciò che della sua produzione di scrittore è venuto a mancare, e ciò che è scomparso è, in particolare, quel testo che, probabilmente, ha subito la distruzione ad opera della diligente censura romana. Il primo testo della Letteratura latina – datato e indicato nei documenti – è diventato un fantasma, un’apparenza, una parvenza, un simulacro e queste sono tutte caratteristiche che attirano l’attenzione.

     L’attenzione di molte scrittrici e di molti scrittori è stata attirata nel corso dei secoli dai mitici personaggi evocati da Livio Andronico: Saturno e Vesta. È quindi naturale per noi, strada facendo, fare degli incontri in proposito, difatti c’è un altro autore che ci sta aspettando e che merita la nostra attenzione anche perché, in vita, non ne ha avuta molta di attenzione da parte del mondo editoriale. La nostra Scuola questo scrittore – che ha la caratteristica di essere, anche lui come Sebald, come Walser, un personaggio saturnino – lo ha citato più volte: stiamo parlando di Guido Morselli e, più di una volta [anche lo scorso anno], la Scuola ha invitato a leggere una della sue opere più significative, il romanzo intitolato Roma senza papa, pubblicato nel 1974 ma scritto una decina di anni prima. Sì perché di Guido Morselli [Bologna 1912 - Varese 1973] l’editoria si è sempre disinteressata: gli editori non hanno mai voluto pubblicare alcuno dei suoi romanzi considerati molto significativi ma troppo difficili, troppo concettosi e poco vendibili, sebbene di Morselli – giornalista colto, studioso di Letteratura internazionale – fossero stati pubblicati due importanti saggi, Proust o del sentimento [1943] e Realismo e fantasia [1947].

     Però, dopo la tragica morte per suicidio dello scrittore il 31 luglio 1973, è scoppiato in Italia e in Europa il suo «caso letterario». “Come è buffo il mondo: bisogna distruggere per costruire?” direbbe lo scrittore con ironia e Morselli è un romanziere di lucida ironia e di disincantata intelligenza e tratta temi di importanza esistenziale che ci riguardano da vicino e che sono attinenti al viaggio di studio che stiamo compiendo.

     Chi è Guido Morselli? Tra quindici giorni cercheremo di conoscere meglio questo personaggio, adesso citiamo soltanto, secondo la data di pubblicazione, i titoli dei suoi romanzi più importanti: Roma senza papa [1974], Contro-passato prossimo [1975], Divertimento 1889 [1975], Il comunista [1976], Dissipatio H.G. [1977], Un dramma borghese [1978], ad essi va aggiunto il saggio Fede e critica [1977] imperniato sull’inconciliabilità fra la perfezione di Dio e l’esistenza del male nel mondo, un tema sempre di grande attualità che Morselli tratta con travaglio e onestà intellettuale.

     Ma ora puntiamo l’attenzione sul romanzo intitolato Un dramma borghese pubblicato nel 1978 ma scritto da Morselli tra il 1961 e il 1962. Perché c’interessa il testo di questo romanzo? C’interessa perché il contenuto ci fa pensare al dramma censurato di Livio Andronico con cui ha inizio la Letteratura latina. Nel testo di Un dramma borghese aleggiano le figure mitiche di Saturno, di Vesta e della ninfa Carna le quali si manifestano nei protagonisti del romanzo. Nel dramma scomparso di Livio Andronico si pensa che Saturno, il dio della distruzione, tenti di insidiare sua figlia Vesta ma lei preferisce proclamare il suo ruolo di nutrice piuttosto che far prevalere la sua natura di Ninfa. Morselli nel suo “dramma” ribalta provocatoriamente questa situazione mitica di carattere incestuoso e racconta la storia dell’amore impossibile tra un padre e una figlia che quasi non si conoscono e si ritrovano insieme per qualche settimana in un albergo svizzero dove, in questo caso, è la giovane figlia diciottenne, la ninfa Mimmina [un personaggio veramente ben disegnato], che con il suo prorompente, pretenzioso e terribile amore sembra insidiare il padre al quale lo scrittore fa compiere una profonda riflessione, al quale affida una serie di attente considerazioni che affondano le radici nella cultura letteraria e filosofica della Storia del Pensiero Umano.

     Il personaggio del padre ha dei risvolti autobiografici non per la storia – Moselli non ha figli – ma per il tipo di persona: è un giornalista colto che vive in ambiente svizzero, una persona solitaria. Morselli analizza con grande acume le contraddizioni laceranti che sono insite nel rapporto tra un uomo e una donna inteso come rapporto amoroso, contraddizioni, in questo caso, complicate dal fatto che quest’uomo e questa donna sono padre e figlia: che cosa vuole questa figlia da suo padre? Il padre dichiara esplicitamente ciò che non vorrebbe: «Non ho il complesso di Saturno: non mangio i figli, non insidio le figlie» e noi capiamo che significato ha questa affermazione fatta da quest’uomo sollecitato a meditare sulla complessità dei rapporti umani, per giunta, in un ambiente lacustre, acquitrinoso, che assomiglia, anche in questo, al misterioso “mondo di Janus” un dio costretto ad ospitare l’insidioso Saturno e a subire l’inflessibilità di Vesta.

     E ora, per concludere leggiamo alcune pagine da Un dramma borghese:

LEGERE MULTUM….

Guido Morselli, Un dramma borghese

Giacché Mimmina è qui, che sta cercando di entrare. Trova chiuso a chiave l’uscio di comunicazione, e allora, l’ignara imputata del processo che mi rifiuto di istituire, esce in corridoio, si ferma, forse esitando, davanti alla porta.

È qui. Involontariamente mi sono alzato; senza pensarci, soltanto per un confuso bisogno di renderle omaggio; difatti, lei entrata, mi sono subito rimesso a sedere.

Ha indosso la solita vestaglietta, color verde-grigio, ben chiusa. Mi si accoccola ai piedi, poggia le due braccia piegate sulle mie ginocchia. Non parla.

... continua la lettura ...

     Interrompiamo la lettura sotto il segno del biancospino, il fiore di Vesta [di cui conosciamo la potenzialità evocativa], ma ne leggeremo ancora qualche pagina di questo romanzo che si trova, a pieno titolo, sul cammino di questo Percorso.

     Tra quindici giorni percorreremo l’ultimo itinerario dell’anno 2011 e incontreremo anche un altro personaggio della Letteratura latina degli albori, contemporaneo di Livio Andronico, che si ribella al sistema della censura perché vuole esprimere pubblicamente le sue opinioni.

     Per fare la sua conoscenza accorrete numerose e numerosi perché l’Alfabetizzazione culturale e funzionale è un bene comune [come il biancospino] e l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona, per questo la Scuola è qui e se vogliamo andare veloci, forse, è utile andare da soli [ma anche il prof. Sebald, sebbene vada da solo procede lentamente] ma se vogliamo andare lontano è bene andare tutti insieme: il viaggio – nel territorio della “sapienza poetica ellenistica di stampo imperiale” – continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Dicembre 2, 2011