Autorizzazione all'uso dei cookies

NEL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO IMPERIALE C’È IL PRIMO SCRITTORE IN PROSA DELLA LETTERATURA LATINA: CATONE IL CENSORE ...

Lezione N.: 
4

Prof. Giuseppe Nibbi       Lo sapienza poetica ellenistica di stampo imperiale   2-3-4  novembre 2011

NEL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA ELLENISTICA DI STAMPO IMPERIALE

C’È IL PRIMO SCRITTORE IN PROSA DELLA LETTERATURA LATINA: CATONE IL CENSORE ...

     Questa sera abbiamo un appuntamento con una persona che abbiamo imparato a conoscere nel corso di questo viaggio che stiamo compiendo sul territorio dell’Ellenismo. Questa persona è un cittadino della Repubblica romana che vive nel II secolo a.C. quindi nel periodo di passaggio tra l’antica Repubblica [caratterizzato da un’economia tipicamente agricola] al periodo della cosiddetta nuova Repubblica [caratterizzato dall’economia mercantile], questa persona si chiama Marco Porcio Catone detto il Censore e c’è una ragione per cui questo personaggio [che di nome è molto conosciuto] è diventato nostro compagno di viaggio, c’è una ragione che riguarda il tema che dobbiamo affrontare.

     L’argomento su cui stiamo riflettendo in questo viaggio di studio – iniziato tre settimane fa sul territorio della “sapienza poetica ellenistica di stampo imperiale” – riguarda il fenomeno dell’integrazione tra la cultura greca e la cultura latina e, come abbiamo già detto, il riferimento allo “stampo imperiale” non è direttamente legato all’istituzione dell’impero romano perché questo movimento [della “sapienza poetica ellenistica di stampo imperiale”] nasce e si sviluppa al tempo della Repubblica romana e poi si consolida con l’età dell’impero: il riferimento allo “stampo imperiale” – e lo vogliamo ripetere questo concetto – deriva dalla parola latina “imperium” che significa “il centro di comando, il punto da cui partono gli ordini, i decreti”. A Roma l’imperium [come abbiamo studiato nelle scorse settimane] s’incarna nel Senato della Repubblica, poi succederà che l’imperium si trasferirà su alcune persone [i cosiddetti Triumviri] e alla fine [dal 27 a.C.] su una persona sola e allora il Senato diventerà un elemento decorativo ma continuerà ed esistere come istituzione.

     Abbiamo già messo in evidenza il fatto che il fenomeno dell’integrazione tra la cultura greca e la cultura latina è soggetto ad un complesso rapporto di amore e di odio, di attrazione e di repulsione e, prima di prendere il passo sul sentiero di questo quarto itinerario, dobbiamo ancora una volta puntualizzare – in funzione della natura del nostro viaggio – che cosa si debba intendere per Ellenismo. Perché il tema della Cultura e della Letteratura latina, il tema della romanità, lo incontriamo sul territorio dell’Ellenismo? Che cos’è l’Ellenismo? In funzione della natura del nostro viaggio [se vogliamo che si sviluppi in noi una testa ben fatta], e nell’ottica della didattica della lettura e della scrittura, l’Ellenismo è lo scenario delle più grandi operazioni di integrazione culturale che siano mai state fatte nel corso della Storia del Pensiero Umano: prima l’integrazione tra la cultura greca e le culture orientali [persiana, indiana, cinese: il viaggio di due anni fa in compagnia - nella prima parte del viaggio - di Alessandro Magno], poi l’integrazione tra la cultura greca e la cultura beritica [dell’Antico Testamento: il viaggio dello scorso anno in compagnia di Paolo di Tarso] e dopo l’integrazione tra la cultura greca e la cultura latina [il viaggio attuale].

     Sappiamo che il processo di integrazione tra la cultura greca e la cultura latina – e diciamo subito che senza la cultura greca non ci sarebbero la Letteratura latina e la Filosofia  romana – ebbene, il processo di integrazione tra la cultura greca e la cultura latina è caratterizzato da un complesso e dialettico rapporto di amore e odio. Quando, dove e come – ci siamo chieste e ci siamo chiesti la scorsa settimana – inizia questo rapporto di attrazione spesso fatale e di repulsione a volte indomita tra la cultura greca e quella latina?

     È in questo contesto problematico che emerge la figura di Catone il Censore. Sappiamo – perché lo abbiamo studiato – come sono venuti in contatto i Romani con la Grecia e con “quale” Grecia lo Stato romano è venuto in contatto. Sappiamo anche da che parte sta Catone il Censore: non si presenta come un “filo-ellenista [un amante della cultura greca, anche se ammette di subirne il condizionamento in molti aspetti che lui non considera negativi]” ma appare come un “contro-ellenista [sospettoso soprattutto nei confronti della filosofia greca di stampo scettico]”.

     Ma perché – ci siamo domandate e domandati – si manifesta proprio con Catone il Censore la storia del complicato rapporto di amore e di odio tra la cultura greca e la cultura latina? Noi sappiamo che il presupposto da cui ha preso le mosse la nostra riflessione sul tema del rapporto di attrazione e di repulsione tra la cultura greca e la cultura latina riguarda un avvenimento che si è verificato nell’anno 155 a.C..

     Nell’anno 155 a.C. Roma aveva già vinto – nel corso dei decenni precedenti – la prima e la seconda guerra punica [conquistando la Sicilia - quindi la Mega Hellas o la Magna Grecia - e costringendo Cartagine ad una pace onerosa] e poi aveva esteso il suo potere nel Mar Mediterraneo orientale sottomettendo [come abbiamo studiato nel secondo itinerario del nostro viaggio] prima il Regno di Macedonia che dominava sul territorio dell’Ellade e successivamente il Regno di Siria con tutti i piccoli Stati del territorio dell’Asia Minore. Sappiamo che, in seguito a queste conquiste, il Senato romano aveva proclamato ipocritamente di aver restituito “l’indipendenza e la libertà alla Grecia” mentre, in realtà, aveva smembrato in tante piccole entità statali quei territori e aveva imposto loro una gravosa tassazione.

     Nel 155 a.C. lo staterello di cui era capitale Atene invia a Roma una delegazione composta da tre ambasciatori che ha il compito di chiedere una moratoria sugli onerosi tributi da pagare e poi ha il compito di far sospendere l’esecuzione di un decreto del Senato che prevedeva l’allontanamento dalla città di Roma di tutti gli insegnanti di retorica e di filosofia: questi insegnanti erano quasi tutti greci di Atene e a Roma avevano trovato un buon lavoro che li aveva, per ora, salvati dalla disoccupazione. Chi ha ispirato questo decreto approvato dal Senato? Il primo ad ispirare e a far approvare questo decreto è Catone il Censore.

     Catone il Censore – sebbene sia consapevole del fatto che la cultura greca ha condizionato positivamente la cultura latina e anche la sua formazione culturale – capisce che tutta una serie di degenerazioni che sono diffuse sul territorio dell’Ellenismo – il lusso sfrenato delle corti; la divinizzazione dei monarchi assoluti; la pratica delle congiure di palazzo; la furbizia e la disonestà proliferate con la crescita del sistema mercantile; la spettacolarizzazione della cultura a scapito della sua funzione educativa – costituiscono un pessimo esempio per tutti i cittadini della Repubblica, soprattutto per i giovani, e un pericoloso contagio per coloro che aspirano a ricoprire cariche pubbliche. Catone il Censore, quindi – come già abbiamo avuto occasione di dire –, si fa difensore degli austeri costumi tradizionali della civiltà latina delle origini [l’antica Repubblica] basata su tre elementi fondamentali: l’ager [la terra da coltivare], l’agri-cultura [il sistema economico più sobrio e più virtuoso] e la familia [l’organismo politico e religioso - laborioso, frugale, disciplinato, palestra di virtù - in cui, fin dalle origini, i ruoli sono ben definiti e funzionali al sistema].

     L’ottantenne Catone il Censore nel 155 a.C. è il punto di riferimento di un movimento di opinione che è stato chiamato il partito degli agricoltori che esalta i valori [o presunti tali] dell’antica civiltà agricola romana e che in Senato ha ancora un certo peso politico.

     Sappiamo che uno dei tre ambasciatori, che nel 155 a.C. giungono a Roma da Atene per perorare la causa dei maestri di retorica greci cacciati dall’Urbe per decreto del Senato, si chiama Carneade e la scorsa settimana abbiamo potuto conoscere [e così anche don Abbondio si è ricordato chi fosse costui: siete andate, siete andati a leggere il capitolo VIII de “I promessi sposi”?] questo importante maestro di Scuola scettica che fa scandalizzare Catone il Censore dimostrando nelle sue conferenze la non esistenza della verità oggettiva. Ci racconta Plutarco di Cheronea nelle Vite parallele [e lo abbiamo letto la scorsa settimana] che, a Roma, Carneade riscuote, come conferenziere, uno straordinario successo nel Foro davanti ad una platea di giovani entusiasti [l’amore per la cultura greca si manifesta nelle nuove generazioni] e allora Catone il Censore si muove al contrattacco [monta in lui il disappunto per la cultura greca e lo manifesta concretamente] e chiede al Senato di votare contro e di respingere le richieste degli Ateniesi in modo che questi ambasciatori [“grandi chiacchieroni”, li chiama Catone] se ne tornino alle loro Scuole e i giovani romani possano invece tornare ad ascoltare le Leggi, i Magistrati e soprattutto tornino ad imparare le antiche Tradizioni. Quali sono le antiche Tradizioni di cui parla Catone il Censore: lui che cosa propone? Questo è un tema complesso di cui ci dobbiamo occupare strada facendo andando a curiosare tra i frammenti che ci restano delle sue opere.

     Catone il Censore nel 155 a.C. vince temporaneamente la sua battaglia contro il filosofo e ambasciatore ateniese Carneade di Cirene ma davanti alla storia è destinato, di lì a poco, ad essere uno sconfitto perché lui non si è accorto, oppure non se ne vuole accorgere, che il mondo è cambiato e che sono cambiati anche profondamente i connotati della Repubblica romana dopo le guerre puniche e le guerre asiatiche. L’ideale pedagogico di Catone il Censore, incentrato sul primato della vita agricola  sia nella produzione che nel costume [secondo i parametri dell’antica Repubblica romana], non è più in grado di far fronte alle nuove responsabilità di uno Stato che ormai ha dilatato i suoi confini fino ai paesi dell’Oriente e poi, con la sconfitta e la distruzione di Cartagine, fino all’Africa mediterranea.

     Anzi, la distruzione di Cartagine [e Catone il Censore ha sbagliato a insistere che “bisognava distruggere Cartagine”] trasforma Roma nella più grande potenza commerciale del bacino del Mediterraneo e, quindi, l’ideologia agraria di Catone tramonta decisamente perché i governanti romani – e da questo momento sarà la borghesia mercantile e non il sempre più debole partito degli agri-cultores a controllare il Senato e a governare – hanno dovuto, opportunisticamente, cambiare mentalità e questo cambiamento ha delle forti ripercussioni sul piano politico, legislativo e soprattutto culturale. Roma, infatti, diventa il centro di coesione della pluralità delle tradizioni dei popoli conquistati e la cultura latina saprà far tesoro delle Tradizioni altrui e questa scelta garantirà all’impero romano una vita più lunga di quella che avrebbe potuto avere.

     Catone il Censore è un uomo colto, ed è uno scrittore che ha il suo posto nella Letteratura latina [fra poco, dopo questa introduzione utile per riprendere il passo, ci occuperemo del Catone scrittore], sappiamo che legge e parla in greco anche se dinanzi ai Greci usa solo la lingua latina. Catone il Censore è il portavoce di coloro che vorrebbero continuare a pensare che il destino di Roma possa ancora essere quello di una polis legata ad un retroterra agricolo – per Catone il Censore tutto il sistema economico, sociale e politico deve essere basato sull’agricoltura e lui ha scritto un’opera che s’intitola Agricoltura e che, nel suo genere, è un piccolo capolavoro e oggi risulta essere una miniera di dati di carattere antropologico che utilizzeremo – ma il destino di Roma è ormai, nel 155 a.C., quello di essere la capitale di molti popoli diversi e il potere economico e politico deve essere gestito con una pluralità di sistemi.

     La nuova classe dirigente della Repubblica romana – da quando Roma ha cominciato a governare l’Ellade e il Medio Oriente – si sta formando nella casa degli Scipioni [tutte e tutti noi conosciamo gli Scipioni] i quali, nel 155 a.C., hanno dato ospitalità agli ambasciatori ateniesi, a Carneade, manifestando grande interesse per la “sapienza poetica ellenistica”. Avremo modo di entrare anche noi nel “circolo” degli amici di Scipione l’Emiliano che è un’associazione culturale molto attiva nella quale le idee su cui si fonda l’umanesimo greco [la  paideia paideia] vengono travasate negli stampi della tradizione romana: di qui nasce il concetto della “humanitas” latina, ma questo – abbiamo detto – è un tema che tratteremo prossimamente quando incontreremo un personaggio che si chiama Polibio.

     Lo scontro del 155 a.C. tra Catone il Censore e Carneade di Cirene nasce da una differente visione ideologica delle cose e per sintetizzare la differenza di pensiero tra il romano Catone e l’ateniese Carneade abbiamo utilizzato, la scorsa settimana, un gioco di parole: l’ateniese Carneade si occupa della “natura della cultura [dell’analisi e dell’indagine intellettuale dei vari sistemi culturali per metterne in evidenza pregi e difetti]” in cui è la cultura a condizionare la natura delle cose, mentre il romano Catone il Censore si occupa della “cultura [o della coltura] della Natura [dell’efficacia che hanno i cicli della Natura sulla vita umana]” in cui è la natura a condizionare la cultura umana. Il fatto è che l’ideologia catoniana di stampo agricolo [i cicli della natura che condizionano la cultura] ha le sue radici nel pensiero ellenico di carattere orfico-dionisiaco e la Grecia c’era già passata qualche secolo prima attraverso questa fase.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Fate due esempi: un primo esempio in cui sia la natura a condizionare la cultura [pensate alla potenza che hanno le stagioni nel determinare i sentimenti] e un secondo esempio in cui sia la cultura a condizionare la natura [come preferite fare un mazzo di fiori?]

Basta scrivere due righe per rispondere

     A questo punto la scorsa settimana abbiamo aperto una parentesi sulla scia della parola-chiave “Natura [scritta con la N maiuscola]”, una parentesi che non abbiamo ancora chiuso. Sulla scia della parola-chiave “Natura [scritta con la N maiuscola]”, abbiamo imbastito una riflessione perché anche il complesso rapporto tra la cultura greca e la cultura latina si sviluppa partendo da questo termine fondamentale.

     Sappiamo che la parola-chiave “Natura” – nel corso dell’Età assiale della storia – condiziona tanto l’antica cultura mitica dell’Ellade quella che chiamiamo “cultura orfico-dionisiaca [un tema vastissimo che abbiamo avuto occasione di studiare in molti Percorsi]” così come condiziona l’antica cultura latina quella che è stata chiamata “cultura januaria” e di questo tema [che forse suona nuovo alle nostre orecchie] cominceremo ad occuparcene con l’aiuto dello scrittore Catone il Censore. Il primo passo che – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – abbiamo fatto la scorsa settimana di fronte alla parola-chiave “Natura” è stato quello di riprendere un argomento che avevamo lasciato in sospeso.

     Nel corso dei primi due itinerari abbiamo letto un breve romanzo intitolato La sirena scritto, tra il 1955 e il 1957, da Giuseppe Tomasi di Lampedusa: la lettura di questo testo ci è servita per tornare sul territorio della “sapienza poetica ellenistica”. Giuseppe Tomasi di Lampedusa – lo abbiamo già detto ma lo ripetiamo – con il testo di questo breve romanzo ci suggerisce che se vogliamo dare un senso alla nostra vita dobbiamo fare in modo di essere sempre virtualmente in viaggio: di essere sempre con la mente sulla strada di un percorso culturale, sul tragitto di un itinerario intellettuale che ci permetta di dipanare intrecci filologici utili per poterci esercitare ad investire in intelligenza. Lo scrittore questa metafora la spiega bene quando il giovane Paolo Corbera viene invitato a casa del senatore e lì, passando nel suo studio, scopre che cosa sta leggendo il vecchio studioso di cultura greca e, quindi, dovrebbe anche capire il significato allegorico del fatto meraviglioso che lui sta per raccontargli: un fatto [l’incontro con la sirena Lighea] in cui il mistero della Natura viene trasfigurato attraverso la Cultura. Sul tavolo del senatore Rosario La Ciura ci sono dei libri che hanno ispirato a Tomasi di Lampedusa la composizione del racconto.

     Sul tavolo del senatore – cioè nella mente dello scrittore Tomasi di Lampedusa – c’è, come sapete, anche Ondina che è il titolo di un famoso romanzo scritto nel 1811 dal barone Friedrich Heinrich Karl de La Motte-Fouqué: conoscete l’autore, conoscete il racconto di cui abbiamo letto tre pagine significative la scorsa settimana dicendo che avremmo avuto ancora qualcosa da osservare in proposito, difatti, sul tavolo del senatore Rosario La Ciura c’è anche il testo di una commedia in tre atti intitolata Ondina che s’ispira al racconto di La Motte-Fouqué. Questa commedia è stata scritta dal drammaturgo francese Jean Giraudoux [1882-1944] ed è stata pubblicata e rappresentata a Parigi per la prima volta nel 1939.

      Dove ci porta – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – questa commedia che è diventata celebre per il successo che ha avuto in Europa negli anni ‘50? Questa commedia, Ondina di Giraudoux, ci porta ad incontrare un personaggio che tutti gli anni ci dà un appuntamento sul percorso dei nostri viaggi: lo scrittore Achille Campanile che possiede, nello scrivere, la capacità di dare leggerezza a certi temi ponderosi sui quali, tuttavia, bisogna riflettere.

     Achille Campanile [1900-1977] è uno scrittore versatile che si è dedicato a scrivere anche recensioni teatrali per i giornali: ricordiamoci che è stato anche un valente scrittore di testi teatrali, comici, ironici, surreali. Recentemente è stato pubblicato un volume, A teatro per divagare, che contiene le più significative recensioni teatrali che Achille Campanile ha scritto nel corso degli anni: queste recensioni sono spesso accompagnate da digressioni – lui le chiama “divagazioni” – che  interpretano o rivisitano, sotto forma di racconto [a volte, surreale] il testo della commedia, del dramma o della tragedia a cui assiste.

     Campanile era in platea alla prima teatrale italiana della commedia Ondina di Giraudoux e ne ha scritto una recensione accompagnata da una lunga “divagazione  in cinque quadri [come la chiama lui]” perché, effettivamente, nel testo della commedia  di Giraudoux ci sono cinque episodi che Campanile commenta, o rivisita, a modo suo, mettendo alla berlina certi atteggiamenti tipici [con leggerezza, in modo meno serioso di quanto faccia Giraudoux] della famiglia borghese dei primi anni sessanta; questa “divagazione” poi è stata pubblicata come racconto [con delle piccole variazioni] nel libro intitolato Gli asparagi e l’immortalità dell’anima di cui abbiamo letto, in questi anni, un certo numero di pagine.

     Approfittiamo dell’occasione per fare un esercizio in funzione della didattica della lettura e della scrittura, per dipanare un significativo intreccio filologico [un’esercitazione tipica della cultura ellenistico-alessandrina] seguendone la trafila in compagnia di Achille Campanile in veste di recensore: siamo partiti, leggendo il racconto intitolato La sirena, dall’appartamento torinese del senatore Rosario La Ciura, grande studioso dell’Ellenismo, al quale Giuseppe Tomasi di Lampedusa fa leggere la fiaba di Ondina scritta dal romantico barone La Motte-Fouqué il quale, a sua volta, ispira il teatro barocco d’avanguardia di Jean Giraudoux…e pensare che tutta questa sequenza è partita da un’idea presente nel pensiero di Catone il Censore il quale non credo, in questo caso, abbia nulla da censurare. Secondo me a Catone il Censore, anche se non vuole farsene accorgere, in questo momento scappa da ridere prima di tutto perché è incuriosito dal fatto che nel testo di Ondina ci sia una ninfa che si trasforma in una fonte e a lui questa idea interessa – e bisognerà, strada facendo, indagare sul perché a lui interessa – , e poi gli scappa da ridere anche perché ha già occhieggiato ciò che andiamo ora a leggere.

LEGERE MULTUM….

Achille Campanile, A teatro per divagare

La commedia Ondina, che s’ispira al celebre racconto di La Motte-Fouqué, è stata scritta dal drammaturgo francese Jean Giraudoux nell’anno funesto 1939. La vicenda può essere riassunta in poche parole: Ondina è una divinità acquatica e s’innamora di un mortale, il Cavaliere Hans, e ottiene di poterlo sposare a condizione che egli non abbia mai a ingannarla, pena la morte. Ma dopo qualche tempo Hans s’innamora di una donna normale, una ragazza che passerà regolarmente, a suo tempo, a miglior vita e che si chiama Berthe. Per questo il Cavaliere Hans subisce ineluttabilmente la sua fatate sorte benché Ondina cerchi, forse un po’ tardivamente, di sostenere di essere stata lei ad ingannarlo. Ondina, dal canto suo, dimenticherà del tutto la breve avventura.

... continua la lettura ...

     C’è da pensare che Catone il Censore sia un po’ sconcertato dopo aver ascoltato questo brano in cui emerge, ironicamente, una sorta di disagio nei confronti dell’esperienza, apparentemente fatta di certezze, che è la vita di coppia, e questa specie di malessere – che investe prima di tutto la borghesia, la classe media – conduce ad un nuovo stato d’animo che le donne hanno poi chiamato “coscienza di genere” che contrasta con l’idea di “consapevolezza assoluta del proprio ruolo e del proprio posto nella società”: Catone naturalmente ha una visione ben precisa e ben codificata dei ruoli, soprattutto del ruolo della donna, e questo tema è sempre attuale. Ora è venuto il momento di conoscerlo meglio Catone il Censore, soprattutto come scrittore, una caratterista molto importante di questo personaggio che però passa quasi sempre inosservata, ma procediamo con ordine approfittando anche dell’occasione per fare un viaggio.

     Catone il Censore nasce nel 234 a.C. a Tùscolo in una famiglia plebea di agricoltori benestanti che avevano saputo ben sfruttare le risorse della loro terra. Dove si trova Tùscolo? Oggi Tùscolo è un sito archeologico e si trova vicino a Frascati e merita di essere visitato utilizzando una guida del Lazio e anche la rete. Da Roma attraverso la famosa via Tuscolana si raggiunge Frascati e da lì, percorrendo una strada panoramica di 5 chilometri, si arriva all’area archeologica di Tùscolo posta a circa 600 metri sul livello del mare. La leggenda vuole che questa antica città latina sia stata fondata da Telegono, il figlio della maga Circe e di Ulisse [dalla cultura greca non si può prescindere]. La città latina di Tùsculum entra nell’orbita di Roma dal VI secolo a.C. ed è la prima città ad essere federata con Roma. Tùsculum è sempre stato un apprezzato luogo di soggiorno, come testimoniano i resti di molte ville sulle colline circostanti. In età medievale la città è cresciuta sovrapponendosi a quella antica ed è appartenuta ai conti Tuscolani che, tra X e XII secolo, hanno dominato Roma e hanno dato alla Chiesa numerosi papi. Dell’antica Tùsculum rimane la via dei Sepolcri, così chiamata perché fiancheggiata da costruzioni funerarie, un anfiteatro [del II sec. d.C.] e il Foro, e poi il Teatro romano [del I sec. a.C.], in pietra vulcanica, che è la struttura meglio conservata. Nella parte alta del monte sono rimasti i resti della città dominata dai conti di Tùscolo che è stata rasa al suolo dalle truppe pontificie nel 1191. Se si sale nella parte più alta dell’area, presso la Croce di Tùsculo [siamo ad un’altitudine di 760  metri], si gode una vista spettacolare sui Castelli Romani fino a Roma, e di lì si vedono le tracce delle mura dell’antica acropoli e di una grande cisterna [del VI sec. a.C.].

     Le prime indagini archeologiche sull’antica città di Tùscolo sono state condotte nell’800 per volere di Luciano Bonaparte, il fratello di Napoleone, che allora era il proprietario della zona. Dopo il Congresso di Vienna la proprietà passò a Maria Cristina di Sardegna, moglie del re Carlo Felice di Savoia, che fece proseguire gli scavi trasferendo i materiali rinvenuti nel castello di Agliè in Piemonte.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Fate una visita a Tùscolo, buon viaggio

     Il giovane Marco Porcio Catone vive a Tùsculum fino all’adolescenza dove riceve la sua formazione di base e poi viene mandato a Roma perché possa fare carriera e appena diciassettenne entra nell’esercito e comincia a prestare servizio nel 218 a.C. all’inizio della seconda guerra punica.

     Catone il Censore è un bravo oratore, possiede una certa cultura e diventa ben presto tribuno militare e poi gli viene assegnata la prima carica importante quella di questore in Sicilia nel 205 a.C. e nel corso di questa esperienza, soggiornando nelle più importanti polis siciliane, lui affina le sue competenze intellettuali a contatto con la cultura della Magna Grecia: impara il greco e legge molte opere importanti della Letteratura ellenica a cominciare da quelle di Omero e di Esiodo.

     Marco Porcio Catone ha un carattere piuttosto intransigente: non approva e critica  aspramente i metodi spregiudicati e l’operato del giovane generale Publio Cornelio Scipione il quale pretende delle tangenti dai nemici sconfitti per firmare trattati di pace meno gravosi per loro; tuttavia Catone collabora attivamente con Scipione per realizzare la spedizione in Africa e per sconfiggere a Zama, nel 202 a.C., Annibale che aveva messo davvero in difficoltà i Romani.

     Catone è pretore nel 198 a.C. in Sardegna, da dove porta a Roma il poeta Ennio [un personaggio che incontreremo], poi ottiene il consolato nel 195 a.C. e nel 184 a.C. assume la carica di censore insieme a Valerio Flacco. Durante questa magistratura – che gli procura il soprannome di “Censore” per eccellenza – Catone accentua la lotta contro il lusso e la corruzione dei costumi tradizionali e, tra l’altro, fa approvare una legge contro gli ornamenti femminili e fa radiare dal Senato, per comportamenti immorali, molti nobili, tra cui Lucio Scipione [rampollo spregiudicato della famiglia più in vista].

     Catone il Censore è un oratore semplice ed efficace e si oppone alla retorica greca che lui ritiene troppo astrusa ed enigmatica e per questo, come sappiamo, contrasta l’influenza della civiltà greca e contribuisce all’espulsione da Roma dei filosofi scettici. Catone il Censore è il rappresentate più autorevole del nazionalismo romano: possiede uno spirito pratico che è una delle caratteristiche fondamentali della “romanità” e il cosiddetto “spirito pratico” dei Romani ha il suo fondamento nel lavoro agricolo e Catone il Censore è orgoglioso di essere – secondo la tradizione dell’antica Repubblica – un buon agricoltore: difatti lui amministra i poderi di famiglia con un senso dell’economia che rasenta l’avarizia e secondo il principio che il proprietario deve vendere più che comprare. Catone il Censore i principi del buon agricoltore romano, e della famiglia intorno alla quale ruota tutta l’attività agricola, li mette per iscritto e, difatti, come abbiamo già detto più volte, questo personaggio ha un posto nella Storia della Letteratura latina e ha scritto, prima di tutto, un trattato intitolato Agricoltura [De agri cultura]. La prima notizia importante da sapere del trattato intitolato De agri cultura, scritto da Catone il Censore nel 160 a.C., è che rappresenta il testo di prosa latina più antico che noi possediamo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Accanto all’espressione “spirito pratico” quale di queste parole – concreto, abile, utile, efficiente, competente, o quale altra parola  – mettereste per prima?…

Scrivetela… 

     La notizia sulla datazione dell’opera De agri cultura di Catone il Censore ci permette di capire che la Letteratura latina in prosa si sviluppa tardi, solo nel II secolo a.C., e questo è un fatto su cui noi dobbiamo riflettere perché è necessario – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – mettere ordine nella nostra mente se vogliono curare il nostro apprendimento in modo da comprendere la complessa vicenda del processo di integrazione tra cultura greca e la cultura latina.

     Quando nasce la Letteratura latina? La Letteratura latina nasce [il periodo arcaico o delle origini] alla metà del III secolo a.C., quindi, in un tempo abbastanza recente – quando sul territorio dell’Ecumene le Scuole dell’Ellenismo si sono già sviluppate da tempo – e la data d’inizio della Letteratura latina è stata fissata dai Romani stessi con il loro consueto spirito pratico ma di questo interessante tema ne parleremo prossimamente strada facendo ora torniamo sul sentiero dell’itinerario che stiamo percorrendo e che riguarda la prosa letteraria di Catone il Censore.

     Anche nella Letteratura latina delle origini – così come nella Letteratura greca ma a distanza di circa quattro secoli – predomina la poesia mentre la prosa letteraria si fa strada in seguito come strumento con cui si esprime la classe colta e il ceto dirigente della Repubblica e tanto la poesia latina del III secolo a.C. quanto la prosa del II secolo a.C. nascono per l’influsso della raffinata Letteratura greca: quando i Romani conquistano le polis della Magna Grecia ne subiscono l’influsso culturale e, di conseguenza, la Letteratura latina è comunque un fenomeno che nasce e si sviluppa nel contesto della “sapienza poetica ellenistica” ed è questa situazione a creare il complesso rapporto di odio e di amore.

     Catone, quando nel 205 a.C. ottiene [da vincitore] la pretura in Sicilia, deve imparare il greco [l’influente lingua dei vinti dalla quale non si può prescindere] e prova interesse – senza esaltarsi troppo – a leggere le opere di Omero mentre si appassiona di più leggendo l’opera di Esiodo perché questo autore è realistico e tratta il tema dell’agricoltura, un argomento per il quale Catone il Censore nutre un grande interesse perché il mondo agricolo è il suo universo di riferimento. La maggior parte di voi conosce l’opera di Esiodo perché questo personaggio lo abbiamo incontrato molte volte nel corso dei nostri viaggi ma tuttavia credo sia opportuno rinfrescarci la memoria in proposito proprio perché Esiodo è un importante segmento intellettuale nel processo di integrazione tra la cultura greca e la cultura latina.

     Catone il Censore preferisce lo stile poetico di Esiodo proprio perché è di carattere meno fantasioso ed è più pratico rispetto a quello di Omero. Catone il Censore preferisce Esiodo anche perché la figura di Esiodo non è, come quella di Omero, avvolta nella leggenda: dalle sue opere – nelle quali si trovano importanti particolari biografici – si capisce che Esiodo è un personaggio che è vissuto realmente.

     Esiodo è nato nel VII secolo a.C. ad Ascra, un piccolo villaggio della Beozia posto ai piedi del monte Elicona, uno dei monti sacri alle Muse. La Scuola ha già proposto un viaggio in Beozia la scorsa settimana. Il padre di Esiodo aveva vissuto per lungo tempo in Asia Minore [nella città di Cuma] per dedicarsi al commercio marittimo ma gli affari non devono essergli andati molto bene e quindi era tornato in Beozia per dedicarsi all’agricoltura e alla pastorizia: questo fatto rende senz’altro Esiodo simpatico a Catone il Censore. La leggenda dice che Esiodo da bambino “pascolò il gregge sul monte sacro alle Muse” e – come racconta nella Teogonia [una delle due opere famose di Esiodo, quella che a Catone interessa meno] – “le Muse gli apparvero e gli insegnarono il bel canto”: questa è una metafora per dire che Esiodo ha certamente frequentato una Scuola [un Museo] di sapienza poetica orfica.

     Esiodo ha avuto un fratello, Perse, il quale era uno scioperato, uno scialacquatore, un furbo: infatti Perse, alla morte del padre, cerca di far propria tutta l’eredità a scapito di Esiodo corrompendo anche i giudici. Esiodo, a questo proposito, scrive una serie di esortazioni morali – naturalmente Catone il Censore qui trova ispirazione – rivolte al fratello che costituiscono il contenuto dell’opera intitolata Opere e i Giorni. Opere e i Giorni è il testo di Esiodo che interessa maggiormente a Catone il Censore il quale nei contenuti di quest’opera si riconosce e, quindi, l’opera in versi di Esiodo costituisce il primo elemento fondamentale di integrazione tra la cultura greca e la Letteratura latina scritta in prosa.

     Opere e i Giorni di Esiodo è un poemetto indirizzato al fratello Perse formato da 828 esametri e scritto in lingua ionica antica [la stessa lingua di Omero]. Quest’opera – nel cui testo troviamo alcune basilari parole-chiave – si può dividere in quattro parti: esortazioni al lavoro; precetti sull’agricoltura e sulla navigazione [che è considerata dagli esperti la parte più importante e più poetica]; precetti morali; calendario dei giorni fasti e nefasti [il Sesto Caio Baccelli delle origini]. In questo poemetto c’è un filo conduttore, un motivo dominante [che certamente Catone condivide]: sulla terra, nel mondo, c’è il dolore [lύph-lúpe] e tutti gli esseri umani devono fare i conti con questa realtà che crea – se non se ne prende coscienza – un processo di involuzione. Esiodo ha una mentalità pessimista – anche il pensiero di Catone s’ispira al pessimismo della volontà – ed Esiodo spiega questo concetto raccontando il mito delle età del mondo, dall’età dell’oro a quella del ferro in cui lo scrittore registra un’involuzione nella storia dell’Umanità dovuta ad un incidente di percorso: gli esseri umani sono decaduti dall’età dell’oro [un’età paradisiaca] all’età del ferro [un’età infernale] a causa di un avvenimento non ben identificato: è il concetto del peccato originale che troviamo in quasi tutti i Racconti sulle origini elaborati dalle civiltà dell’Età assiale della storia. Gli esseri umani – scrive Esiodo – possono vincere, o per lo meno attenuare, il dolore coltivando due elementi fondamentali: il lavoro [έrgon-érgon], il lavoro dei campi e la giustizia [dίkh-díke], la giustizia sociale.

     Nel testo del poemetto Opere e i Giorni di Esiodo si trova la “favola del nibbio e dell’usignolo” che è considerato il primo esempio di favola nella letteratura greca. In questa favola l’uccello rapace aggredisce e uccide l’usignolo perché è più forte e usa i suoi artigli per fare il proprio interesse senza tener conto del valore, della bella voce dell’usignolo che delizia disinteressatamente il mondo intero. Con questa favola lo scrittore vuole condannare la violenza e l’ingiustizia e vuole affermare che solo la virtù – ed è virtuoso chi si guadagna da vivere con il proprio lavoro – può rendere felici.

     Catone il Censore s’ispira all’opera di Esiodo e matura l’idea che è necessario scrivere: lo farà utilizzando il latino – consapevole dell’importanza di creare una Letteratura in lingua latina – e affermando di non aver avuto modelli greci e noi gli perdoniamo questa bugia perché Catone il Censore si è davvero sempre impegnato a scrivere anche se non è particolarmente bravo come Esiodo ma questo fatto oggi risulta secondario.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quando avete provato la soddisfazione di guadagnarvi da vivere con il vostro lavoro ?…

Scrivete quattro righe in proposito…

     Adesso, prima di occuparci delle tre opere in prosa di Catone il Censore, torniamo sul testo con il quale Achille Campanile ha recensito la commedia intitolata Ondina di Jean Giraudoux e leggiamo la seconda e la terza divagazione.

LEGERE MULTUM….

Achille Campanile, A teatro per divagare

Secondo quadro: VIAGGIO DI PIACERE

 

Siamo in viaggio di piacere, io e mia moglie. Abbiamo deciso di fermarci un pomeriggio a , dove pernotteremo anche. Così visiteremo la città e domattina presto ripartiremo. Ci sono ancora due ore buone di luce e le cose principali riusciremo a vederle avanti che sia notte, se faremo presto. L’ignoto, il nuovo, mi attirano straordinariamente, direi che addirittura mi affascinano, se fosse lecito, a un pover’uomo come me, servirsi di termini tanto impegnativi. Mi pare che ci aspettino angoli caratteristici, con qualche strano bassorilievo corroso e umidiccio, piazze e fontane sconosciute, attraverso l’intrico dei fili elettrici e le antenne dei tram, facciate di chiese misteriose e interessanti nel movimento cittadino, caffè scintillanti, pieni di gente.

... continua la lettura ...

     Sappiamo che Catone il Censore reagisce in modo intransigente contro la voglia di lusso che nel II secolo a.C., dopo le conquiste orientali, prende soprattutto le matrone romane appartenenti alle famiglie della nuova classe mercantile che si è arricchita oltre misura. Catone il Censore presenta al Senato e s’impegna per far approvare una legge che contiene una serie di prescrizioni su come le donne romane debbano vestirsi con semplicità e senza eccessi: secondo Catone il Censore tutti avrebbero dovuto essere agricoltori e tutti, servi e padroni senza distinzione, avrebbero dovuto vivere in modo sobrio soprattutto i padroni ai quali correva l’obbligo di dare il buon esempio. Scrive Catone nel De agri cultura: “Il titolo di proprietario ti viene non dal fatto che tu possiedi la terra ma dall’esempio che dai a chi lavora con te sul piano della sobrietà, della moralità e dell’equità nell’amministrare la giustizia”. E ora ci occupiamo delle opere di Catone il Censore, o meglio, ci occupiamo di ciò che rimane delle sue opere: ci rimangono soprattutto dei frammenti.

     Catone il Censore ha scritto nel 160 a.C. il trattato De agri cultura che è considerata la prima opera in prosa della Letteratura latina. Le studiose e gli studiosi di filologia c’informano che il testo di quest’opera faceva parte di un’enciclopedia con la quale Catone il Censore – pieno di astio contro la pedagogia greca – si proponeva di erudire il proprio figlio Marco nato nel 192 a.C.. Questa enciclopedia avrebbe dovuto contenere numerosi precetti e molti consigli sull’agricoltura, sulla medicina, sull’arte oratoria, sull’arte militare. Questa enciclopedia è stata pensata da Catone il Censore come un grande catalogo ricco di formule e di sentenze morali ma di quest’opera si è salvato solo il trattato sull’agricoltura che si presenta come un manuale del perfetto padrone di fattoria. Catone vuole guidare il figlio desideroso di far fruttare la sua azienda agricola e, quindi, lo ammonisce e lo consiglia sulla sistemazione del podere e della casa, sui lavori agricoli da portare a termine nelle varie stagioni, sul mantenimento delle bestie, sulle malattie degli animali e delle piante, sulla conservazione dei vini e dell’olio, sulle formule degli scongiuri, sulle ricette culinarie, sulle preghiere per i sacrifici campestri, sulle contrattazioni legali e sui diritti e i doveri dei lavoratori. Catone ci lascia una miniera di informazioni scrivendo con uno stile duro e stringato con un tono imperativo: la sua prosa non è né poetica né artistica ma è esclusivamente pratica.

     La seconda opera di Catone il Censore di  cui dobbiamo conoscere l’esistenza è la raccolta delle sue Orazioni. Sappiamo che le Orazioni di Catone erano più di centocinquanta: rimangono i frammenti di circa ottanta Orazioni raccolte dall’autore stesso dall’anno del suo consolato [194 a.C.] fino al 150 a.C.. Il linguaggio che Catone utilizza è volutamente arcaico ed è ricco di vocaboli attinti dal mondo dell’agricoltura e i suoi avversari dicevano: “quando parla Catone sembra una cane latrante”, ma si dimostra un oratore molto abile che si sa far valere nei comizi e in Senato dove conduce la sua crociata di censore contro il patriziato, contro gli Scipioni, contro le matrone dedite al lusso, contro i Greci chiacchieroni e contro gli spregiudicati mercanti cartaginese. Dai frammenti delle sue Orazioni emerge anche tutto l’odio che nei suoi confronti coltivano i membri del partito aristocratico e quelli del partito della borghesia mercantile: difatti Catone viene denunciato 44 volte per calunnia ma è stato sempre assolto nei processi perché le accuse che lancia hanno tutte un fondamento. Anche così frammentarie le Orazioni catoniane sono un notevole documento per capire che aria [effervescente] si respira a Roma nel corso del II secolo a.C..

     La terza opera di Catone il Censore, su cui dobbiamo puntare la nostra attenzione, s’intitola Origini ed è quella che c’interessa maggiormente. Origini è una grande composizione di carattere storico in sette libri: il primo libro conteneva la storia di Roma sotto i re, il secondo e il terzo libro raccontavano le origini delle città italiche – da qui viene il nome dell’opera, Origini – e cioè la storia primitiva dei Liguri, degli Etruschi, dei Galli, dei Veneti, degli Insubri e degli Italioti della Magna Grecia. Il quarto libro narrava la prima guerra punica, il quinto la seconda, e gli ultimi due, il sesto e il settimo, trattavano delle vicende riguardanti le altre guerre condotte dai Romani sino al 151 a.C.. Catone descrive gli avvenimenti evitando di scrivere i nomi dei comandanti dell’esercito e senza elogiare le famiglie aristocratiche da cui provenivano ma segnalando soltanto la magistratura che essi avevano ricoperto. Fino a questo momento le storie romane erano state scritte da annalisti ellenistici in lingua greca i quali non risparmiavano elogi ai vincitori per ricevere qualcosa in cambio. Catone è il primo storico latino che, senza voler fare l’erudito né l’adulatore del patriziato romano, esalti con una prosa vivace e polemica la stirpe italica che combatte contro i Cartaginesi e contro i Greci.

     Perché abbiamo detto che quest’opera, della quale rimane solo un certo numero di frammenti, c’interessa in modo particolare? Quest’opera c’interessa in modo particolare perché nei frammenti che ci sono rimasti troviamo tracce di racconti mitologici e il tema dei miti romani è molto interessante per i problemi filologici che propone e per gli interrogativi che fa sorgere: infatti, le studiose e gli studiosi di filologia da secoli si domandano: sono esistiti davvero i miti romani oppure i miti romani sono miti greci riciclati? Che siano miti greci riciclati è ormai appurato ma il riciclaggio come è avvenuto? C’è poi chi afferma che i Romani erano troppo pratici, troppo duri, troppo presi dalla guerra e dalla conquista della terra per perdere tempo con i miti: c’è chi sostiene che i Romani non ebbero miti propri ma hanno creato in un tempo successivo racconti sulle loro origini [ab origine] e poi – da persone pratiche e concrete quali erano – li hanno trasformati in storia.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Ricordate quale storia mitica c’è all’origine di Roma ?…

Scrivete quattro righe in proposito…

     Perché i Romani avrebbero rifiutato di essere stati aborigeni? Qui emerge una grande questione culturale che viene studiata tuttora e di cui, seppur sinteticamente, ci occuperemo prossimamente.    Catone il Censore è il primo autore che rivendica l’esistenza di una mitologia romana ancorata alla cultura agricola e influenzata dalla sapienza orfico-dionisiaca ma in possesso di una sua peculiarità e sembra rimproverare ai patrizi e al ceto dei mercanti di aver favorito un processo di rimozione generale: peccato che dell’opera intitolata Origini noi possediamo solo dei frammenti ma, tuttavia, in questi frammenti c’è materia per imbastire, la prossima settimana, alcune riflessioni sul tema dei miti romani.

     Ora torniamo sul testo con il quale Achille Campanile ha recensito la commedia intitolata Ondina di Jean Giraudoux e leggiamo, per concludere, la quarta e la quinta divagazione:

LEGERE MULTUM….

Achille Campanile, A teatro per divagare

Quarto quadro: IL GUARDAROBA

A proposito delle cose che, secondo lei, le mancano, un altro suo aspetto che mi fa veder rosso è questo: per qualsiasi occasione, gita, passeggiata, visita, serata, ballo, teatro, tè, cocktail, party, o caffellatte, lei, a sentirla, non ha niente da mettersi addosso, non un vestito, un cappello, un cappotto.

«Andiamo nel tal posto?» le dico. E lei, sgarbatamente: «Come vuoi che vada? Non ho niente da mettermi».  In realtà, non sarebbe proprio opportuno ch’ella si presentasse in pubblico in costume adamitico e non sarei davvero io, non dico a promuovere, ma nemmeno a permettere una cosa simile. Perciò, faccio qualche timida obbiezione. «Ma come?» dico «e il vestito che ti sei fatta la settimana scorsa?»

Mi guarda con occhi di basilisco.  «Secondo te» fa «posso andare con quello?»

... continua la lettura ...

     Catone il Censore rivendica l’esistenza di una mitologia romana ancorata alla cultura agricola e influenzata dalla sapienza orfico-dionisiaca ma in possesso di una sua peculiarità. Sono esistiti davvero i miti romani oppure i miti romani sono miti greci riciclati?

     Su questo interrogativo dobbiamo riflettere e lo faremo la prossima settimana perché l’Alfabetizzazione culturale e funzionale è un bene comune e l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona, per questo la Scuola è qui. Accorrete numerose e numerosi pensando che se vogliamo andare veloci, forse, è utile andare da soli ma se vogliamo andare lontano è bene andare tutti insieme: il viaggio continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 4, 2011