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LO SGUARDO DI ERODOTO SU AMBIGUITÀ E VENDETTA …

Lezione N.: 
7

Prof. Giuseppe Nibbi        Lo sguardo di Erodoto             23-24-25  novembre  2005

LO SGUARDO DI ERODOTO

SU  AMBIGUITÀ  E VENDETTA

     In questi vent’anni – da quando la Scuola pubblica degli Adulti mette in programma i Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura – tutte le volte (sono quasi mille volte) in cui sono arrivato in aula, ho provato – e tutt’ora provo – una sensazione particolare. Provo una sensazione di “meraviglia” nel constatare che – con qualsiasi tempo, in qualsiasi stagione, nonostante l’incombente palinsesto televisivo o le epidemie di influenza o le crisi di stanchezza e di sonno – gli studenti, i cittadini, non mancano mai, non sono mai mancati e sono cresciuti di numero. La “meraviglia” (fate attenzione a questa parola) parte da un pensiero tanto piacevole quanto preoccupato: ma chi glielo fa fare (con questo freddo, con questo caldo, con questa epidemia, con questo sonno) di venire a Scuola?

     Poi, i sociologi, ultimamente (bontà loro: erano due decenni che li aspettavamo al varco), hanno dato una risposta (tanto piacevole quanto preoccupante): esiste nel nostro paese un “ceto medio riflessivo” – così lo hanno chiamato – una fascia, non ben quantificata, di cittadini, che come dice il nome, sente la necessità, il bisogno, il desiderio di “riflettere” e cerca e utilizza delle opportunità (ma sembra che, queste opportunità, siano molto poche e scarsamente pubblicizzate) . Forse questa esperienza didattica – questo Percorso di studio che la Scuola pubblica degli Adulti offre – è una delle opportunità date per “riflettere”: e allora riflettiamo.

     Ma, se io rifletto – nonostante l’autorevole responso fornitoci degli studiosi della realtà sociale – devo constatare che continuo, ogni volta che arrivo – anche ora, guardandovi – a provare un sentimento di “meraviglia”.

     Questa sera, poi, sono anche condizionato dal fatto che, la parola “meraviglia”, e i termini “meravigliosa”, meraviglioso” sono rimasti “sospesi nell’aria”, qui, dalla scorsa settimana, Se ricordate, la scorsa settimana abbiamo concluso il nostro itinerario lasciando in sospeso una serie di questioni che sono saltate fuori da quello straordinario testo, di grande attualità, scritto da Erodoto 2500 anni fa, e che s’intitola Le Storie. L’opera di Erodoto è una miniera di parole-chiave e di idee significative su cui riflettere – secondo la natura di questo Percorso – in funzione della didattica della lettura e della scrittura.  

     Perché è saltata fuori la parola “meraviglia” e sono saltati fuori i termini “meravigliosa”, “meraviglioso”? Perché Erodoto, ne Le Storie, usa spesso questi termini. Per esempio, coltiva l’idea che: viaggiare è una cosa meravigliosa, ma questa “meraviglia” – ci ricorda Erodoto – scaturisce paradossalmente da una condizione di “fastidio”, di “disagio”, di “nausea”. Nel greco ionico di Erodoto la parola “meraviglia”, nel suo significato, definisce tanto una “cosa stupenda” quanto una “cosa orribile”. Si definisce “meraviglioso” tanto lo splendore quanto l’orrore. Quindi è necessario riflettere sui termini e sul loro significato altrimenti rischiamo di leggere e di non capire il concetto che risiede nelle parole lette. Nel greco ionico di Erodoto la parola “meraviglia”, i termini “meravigliosa”, “meraviglioso” corrispondono alla parola “deinòs”. Questa parola – che corrisponde all’espressione latina “mirabile monstrum” (da cui deriva il termine italiano “meravigliosa”, “meraviglioso”) – significa contemporaneamente “meraviglioso” e “mostruoso”, “stupendo” e “orribile” (con la parola “mostro” definiamo tanto un criminale quanto un genio)”. Attenzione quindi al significato dei termini: quando Erodoto dice che viaggiare è una cosa “meravigliosa”, quando afferma che i Persiani, gli Egiziani, gli Sciti, i Tauri, i Greci sono “meravigliosi”, quando annuisce sul fatto che il mondo è “meraviglioso” dobbiamo fare i conti semantici con il termine greco “deinòs” che significa contemporaneamente “meraviglioso” e “mostruoso”, “stupendo” e “orribile”. Viaggiare è “deinòs”, una cosa contemporaneamente “stupenda” e “orribile ”(fastidiosa), che permette all’essere umano di “farsi un’idea del mondo”. E nel mondo domina il “deinòs”, il “meraviglioso”, perché lo splendore e l’orrore si sovrappongono, si mescolano, s’intrecciano in continuazione nella realtà. La realtà del mondo –  dice Erodoto quando pensa da filosofo – è “meravigliosa”, cioè  “stupenda” e “orribile” contemporaneamente.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

La nostra tradizione linguistica ha ormai decisamente separato il significato di “meraviglioso” da quello di “mostruoso”, il significato di “stupendo” da quello di “orribile”: tuttavia, secondo voi, (nel regno animale, vegetale o minerale) esiste qualcosa che voi definireste contemporaneamente meraviglioso e mostruoso, stupendo e orribile ?  Scrivete quattro righe in proposito…

     Il concetto del “viaggio”, in Erodoto (quando pensa da filosofo), va di pari passo con un’indagine molto importante. C’è chi sostiene – come abbiamo già detto la settimana scorsa – che questa sia l’inchiesta più significativa a cui Erodoto si sia dedicato – anche un po’ inconsapevolmente – nel corso dei suoi studi. In Erodoto, il concetto del “viaggio”, va di pari passo con l’indagine sullo sviluppo delle idee. L’azione del viaggiare e l’azione dello sviluppo delle idee sono entrambe in relazione con il “disagio” e con la “meraviglia”, con il “deinòs, dove lo splendore e l’orrore s’intrecciano inesorabilmente. 

     A prima vista, il tema dello “sviluppo delle idee” non sembra di grande importanza, ma bisogna ricordare che un pensatore della generazione successiva – un certo Aristocle detto Platone (427-347 a.C.) – su questa faccenda dello “sviluppo delle idee” riflette e scrive una serie di Dialoghi dai quali il nostro pensiero continua a dipendere.

     Ma che cosa dice Erodoto sullo “sviluppo delle idee” (e Platone rifletterà su queste “allusioni” tanto da teorizzare il concetto che sono le Idee a creare il mondo)? Secondo Erodoto le idee non trovano sviluppo in una situazione agevole, facile, semplice, comoda. Le idee – secondo Erodoto – maturano meglio quando l’essere umano sperimenta un “fastidio”, quando la persona viene pungolata dal tafano, dall’“oistros“, quando viene sollecitata, infastidita da Dioniso. Secondo Erodoto (i tafani “oistroi“) le seccature, i grattacapi, le preoccupazioni, i problemi, i disagi, i disturbi, le scomodità, gli incomodi, gli imbarazzi, gli impicci, gli impacci, i malumori, le nausee, che spesso ci accompagnano nel nostro “viaggio quotidiano”, (e di cui ci lamentiamo) favoriscono lo sviluppo delle idee.

     A proposito di “nausee” – Erodoto deve aver spesso sofferto di nausea (soprattutto per mare) nei suoi viaggi – sul piano della didattica della lettura e della scrittura e in relazione al ragionamento sul tema dello “sviluppo delle idee” che lo scrittore de Le Storie ci propone, viene subito in mente un romanzo, che tutti abbiamo sentito nominare e che s’intitola La nausea. Questo testo costituisce senza dubbio la principale opera narrativa dello scrittore e filosofo Jean-Paul Sartre (1905-1980), di cui questa sera vogliamo commemorare anche il centenario della nascita. Sembra un po’ paradossale ma Jean-Paul Sartre – proprio sulla scia di Erodoto – pensa che la nausea, non tanto l’atto del vomitare, del dar di stomaco, ma quella condizione di “fastidio”, di “disagio”, di “disgusto” di cui tutti facciamo esperienza nel corso del quotidiano viaggio esistenziale, sia utile per “farsi un’idea del mondo”. Il romanzo La nausea è una lunga confessione-autobiografia in forma di diario scritto dal protagonista Antoine Roquentin, un intellettuale in crisi che vede progressivamente svanire la convinzione nel suo lavoro e la fiducia nella vita. Convinzione e fiducia vengono sopraffatte in lui da un’invincibile ondata di disgusto, di disagio, di fastidio di fronte all’assurdità e all’insensatezza della realtà nella quale s’intrecciano “splendide ipocrisie” con “orribili certezze”. In uno stile spoglio e severo Sartre descrive minuziosamente la tragedia dello smarrimento e della perdita di identità che conduce il protagonista ad essere una cosa fra le cose, totalmente spersonalizzato e ridotto a pura materialità. Il fatto è che questa condizione di disgusto, di disagio, di fastidio è un elemento propulsore per lo sviluppo delle idee che saltano fuori sempre più rapide dalla mente di Antoine Roquentin e lo inducono ad una profonda riflessione ideale sulla “condizione umana” che conduce Antoine a prendere coscienza. Le idee che si rincorrono nella mente di Antoine stimolano in lui la ricerca, l’analisi, il giudizio, l’allusione (non sono queste le prime parole-chiave che abbiamo incontrato ne Le Storie di Erodoto?) e portano allo smascheramento delle finzioni morali, sociali e religiose che coprono il nulla dell’esistenza, il nulla che produce una sensazione di vertigine, di terrore del vuoto, che si concretizza in un’idea, l’idea della “nausea”.

     Leggiamo una pagina.

LEGERE MULTUM….

Jean-Paul Sartre,  La nausea  (1938)

Mi alzo. Mi muovo in questa luce pallida: la vedo cambiare sulle mie mani e sulle maniche della mia giacca: non so dire quanto mi disgusti. Sbadiglio. Accendo la lampada sul tavolo: magari la sua luce potrà combattere quella del giorno. Ma no: la lampada fa una pozza pietosa tutt’intorno al suo piede. Spengo; mi alzo. Sul muro c’è un buco bianco, lo specchio. È una trappola. So che sto per lasciarmici prendere. Ci siamo. La cosa grigia è apparsa sullo specchio. Mi avvicino e la guardo, non posso più andarmene.

È il riflesso del mio volto. Spesso, in queste giornate perdute, rimango a contemplarlo. Non ci capisco nulla di questo volto. Quelli degli altri hanno un senso. Ma non il mio. Non posso nemmeno decidere se sia bello o brutto. Immagino sia brutto, poiché me l’hanno detto. Ma questo non mi tocca. In fondo sono perfino urtato che si possano attribuirgli qualità di questo genere, come se si dicesse bello o brutto un pezzo di terra o un masso di roccia.

... continua la lettura ...

     Questo è Antoine che, attraverso la scrittura di Sartre, si guarda allo specchio, una trappola: e voi che cosa pensate gurdandovi allo specchio?

     Ma adesso, per quanto “fastidioso” possa essere, rimettiamoci in viaggio con Erodoto. Navigando lungo le coste del Mar Nero siamo arrivati fino alla colonia greca di Olbia per incontrare i “(deinoi) meravigliosi” Sciti (e, strada facendo, quando ci occuperemo di “contenuti” li incontreremo); poi abbiamo raggiunto la città di Sinferopoli, che oggi si chiama Yalta, e si trova nella penisola della Crimea. Anche Sinferopoli – lo sappiamo – è una colonia greca e il suo nome Sun-fero-polis significa: la città (polis) dove si portano (fero), dove si raccolgono, dove si trafficano (sunfero) le merci. Dalle parti di Sinferopoli – al tempo di Erodoto – non ci sono però gli Sciti ma ci sono i Tauri.

     In funzione della didattica della lettura e della scrittura i Tauri ci ricordano una famosa tragedia di Euripide (480-406 a.C.) intitolata Ifigenia in Tauride (Ifigenia nel paese dei Tauri). Voi tutti ricordate il personaggio di Ifigenia, famoso anche – forse ancora di più – per un’altra tragedia di Euripide: Ifigenia in Aulide; di questo testo, nell’anno 2003, abbiamo letto e commentato alcuni brani significativi quando abbiamo attraversato il territorio della tragedia. Tutti ricordiamo – anche se non proprio per filo e per segno – i racconti che vedono tra i protagonisti la figura di Ifigenia: li conosce anche Erodoto: come fa a non conoscerli? Tanto più che sono “racconti ionici” e fanno parte della sua “formazione culturale di base”: come fa a non averli in testa? (Come se noi non avessimo mai sentito parlare di Cappuccetto Rosso o di Pinocchio). Per quale ragione, quindi, ci facciamo venire il dubbio che Erodoto non sia  perfettamente informato sul contenuto dei racconti che narrano la storia di Ifigenia? È possibile pensare che, nella mente di Erodoto, si riscontri una lacuna di questo genere? E, se siamo convinti che una lacuna di questo genere, nella testa di Erodoto, non ci possa essere, è verosimile pensare che Erodoto – sebbene conosca l’argomento mitico e la “storia di Ifigenia” – si comporti in modo ambiguo? È possibile pensare che Erodoto faccia finta di non essere informato? E, se è così (è un atteggiamento corrente!), ci sarà un motivo per cui si comporta in questo modo?      Sappiamo che Erodoto, ogni tanto, dice le “bugie” (questa pratica è molto diffusa!) e, quando dice le “bugie”, lo fa con un obiettivo ben preciso. Erodoto – ci dicono gli studiosi – è cosciente della propria “ambiguità”.

     Prima di proseguire sul sentiero che stiamo percorrendo dobbiamo aggiungere una parola-chiave al catalogo dei termini che abbiamo affiancato, dall’inizio – con la complicità di Erodoto – alla parola “storia”. Le prime parole che si coniugano con la parola “storia” – l’abbiamo studiato – sono ricerca, analisi, giudizio;  e ora dobbiamo aggiungere: ambiguità. Siamo abituati a classificare questa parola tra i termini negativi: nell’era moderna e contemporanea, “l’ambiguità” è finzione, falsità, doppiezza, equivocità, ipocrisia; ed  Erodoto, come tutti noi, non è immune da questa forma di “ambiguità”. Dobbiamo prendere atto però (e questa presa d’atto dovrebbe anche invogliarci a riflettere ulteriormente) che la parola “ambiguità” possiede uno spettro semantico più ampio. Infatti il termine “ambiguità” significa anche: incertezza, dubbio, confusione, indeterminatezza, enigmaticità. In greco – e nel vocabolario di Erodoto – ci sono due parole che traducono il termine “ambiguità”, queste due parole ci sono familiari: “anfibìa” (gli “anfibi” sono animali capaci di vivere in due condizioni ambientali diverse) e “aporìa” (le “aporie” sono le contraddizioni necessarie per la dinamica esistenziale, la prima significativa “aporia” che conosciamo dice: c’è la luce perché esistono le tenebre).

     Se la “storia” è direttamente collegata alla ricerca (tesis), all’analisi (antitesis) e al giudizio (crisis) sui “fatti”, è anche vero che i “fatti”, molto spesso sono “obiettivamente ambigui”: incerti, confusi, indeterminati, enigmatici. Questo significa che lo “storico” – ma anche ciascuno di noi – quando ha a che fare con i “fatti”, ha anche a che fare obiettivamente con l’ambiguità (aporìa).

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Vi è mai capitato – nel corso della vostra esperienza umana - di vivere una situazione in cui l’ambiguità, più che corrispondere alla falsità e alla finzione, corrispondeva all’incertezza e alla confusione?

Scrivete quattro righe autobiografiche in proposito…

     Ebbene, se ora ci troviamo in una situazione di ambiguità, dobbiamo muoverci con circospezione. Erodoto è contemporaneo, oltre che di Sofocle, anche di Euripide. Sembra però che i due non si siano né frequentati, né conosciuti personalmente, anche se sono due pesci che nuotano nella stessa acqua. Della relazione tra Erodoto e Euripide non si sa nulla di preciso: circolano solo delle voci, legate ad una tradizione che vuole questi due personaggi in conflitto tra loro soprattutto per ragioni di “udienza”. Sono due stelle sul grande palcoscenico ellenico della loro epoca (dell’età assiale) e sembra che entrambi ambiscano a conquistare l’ascolto di fette sempre più ampie di pubblico. Ma come: già 2500 anni fa si assiste ad una competizione del genere? Questo, forse, dimostra (se ancora siamo alla “lotta per l’ascolto” invece che alla “condivisione degli ascolti”) come si siano fatti grandi passi nel campo della tecnologia e piccolissimi passi sul terreno dell’Umanesimo.

     Euripide ed Erodoto sono in sintonia, quindi sono anche due personaggi “simili”? Sono due personaggi che hanno obiettivi simili? E, se hanno “gli stessi obiettivi mediatici”, significa che sono in forte “concorrenza” tra loro? Perché ci stiamo ponendo tutti questi interrogativi? Perché esiste un bel “problema”: uno di quei problemi che scatenano l’indagine culturale e la polemica intellettuale, e noi sappiamo che l’indagine e la polemica sono utili in funzione della didattica della lettura e della scrittura.

     Ma chiudiamo la parentesi sulla parola “ambiguità” e torniamo alla figura di Ifigenia. Perché – si chiedono da sempre gli studiosi – Erodoto glissa, sorvola sul mito di Ifigenia sebbene sia una “storia tradizionale d’impostazione ionica”, appartenente al bagaglio della sua cultura di base? Nel frattempo rinfreschiamo la nostra memoria (rinfreschiamo anche la memoria di Erodoto, anche se lui non ne dovrebbe aver bisogno) sugli “avvenimenti mitici” che costituiscono il contenuto narrativo delle due tragedie che Euripide dedica ad Ifigenia (in Aulide e in Tauride). Il mito racconta che l’enorme esercito degli Achei è pronto, sulla costa dell’Aulide, per salpare, su mille navi, alla volta di Troia, ma non soffia un alito di vento. La dèa Artemide, alla quale era stato promesso un sacrificio, se avesse fatto soffiare venti favorevoli per favorire la partenza dei Greci, lo pretende prima, questo sacrificio (pagamento anticipato: ha poca fiducia negli Achei?), come atto di sottomissione. E pretende, per giunta, che le venga sacrificata Ifigenia, la giovane figlia di Agamennone e Clitennestra: questo è un contrattempo non da poco. Clitennestra naturalmente è assolutamente contraria: piuttosto si rinunci alla guerra e aggiunge, tra l’altro, che se Elena (sua sorella) è scappata da Sparta – Erodoto ci ha già fatto incontrare questo personaggio – avrà avuto le sue buone ragioni, ci pensi suo marito (Menelao, fratello di Agamemmone) a risolvere il problema: per quale ragione in questa faccenda, che riguarda una coppia, viene coinvolta una nazione intera? Perché non va Menelao a chiedere notizie della moglie? Quali “interessi” (economici, politici, strategici) – anche Euripide, per bocca di Clitennestra, “allude” ma non sorride – ci sono dietro a questa dichiarazione di guerra? Agamennone, sebbene desolato, cerca di convincere la moglie, che, per ragioni di potere e per ragioni di immagine, a questo sacrificio, non ci si può sottrarre. Ma Clitennestra, indignata, non solo come madre ma anche come persona, si sente in dovere di non cedere. Sappiamo che Ifigenia era stata promessa in sposa ad Achille, e lui, aveva pensato che quel matrimonio avrebbe potuto cambiare il suo destino funesto.

     Euripide utilizza i modelli simbolici della tragedia per imbastire una riflessione poderosa sulla condizione umana, sul fatto che c’è il male, in origine, ed è difficile combatterlo: il male ha un fascino perverso, ed è utile per chi domina. La tragedia di Euripide è imbastita di verismo e di denuncia contro l’ipocrisia del potere, che è complice del male. Euripide non ha nessuna simpatia per chi usa il mito, per chi usa la religione (in cui il male viene giustificato) come uno strumento per comandare, e per strumentalizzare. Ifigenia ed Achille – nella tragedia di Euripide – vengono ingannati da Agamennone che preferisce sacrificare la figlia per non perdere la faccia davanti a tutti gli altri Greci che lo hanno nominato capo supremo. Ad Ifigenia viene detto che in Aulide sposerà Achille, e lei parte fiduciosa; anche ad Achille viene detto di prepararsi per questo evento nuziale. Nozze e sacrificio sono pericolosamente vicine, sono legate insieme, scrive pessimisticamente Euripide.

     Nell’Ifigenia in Aulide la tensione tragica del testo di Euripide, è tutta basata sull’identità fra assassinio e sacrificio (la ierogamìa). Questo tema emerge anche ne Le Storie di Erodoto. Nell’Ifigenia in Aulide, per decine e decine di volte, i protagonisti declamano il verbo “uccidere”, mentre il verbo “sacrificare” appare in rare occasioni, e poi tra il verbo uccidere e il verbo sacrificare sentiamo spesso usare il verbo “sphàzein“  sgozzare. Questo termine viene usato spesso anche da Erodoto quando descrive – cercando di mascherare l’orrore (la meraviglia) – l’efferatezza dei sacrifici rituali: così – nelle “storie” che ci racconta Erodoto – vengono quasi sempre definite (con ironia) le “condanne a morte”, come se fossero un “sacrificio rituale”. Tanto Euripide quanto Erodoto denunciano una situazione paradossale dalla quale anche noi contemporanei non siamo immuni: spesso i popoli vogliono mascherare la propria “barbarie” sotto le apparenze della “civiltà”, e quando un popolo vuole presentare un assassinio come se fosse un rituale allora i danni per l’Umanità diventano inevitabili.

     La tragedia di Euripide – per volontà dell’autore – in apparenza, ruota intorno a un sacrificio rituale in realtà presenta un assassinio. Il cuore di questa straordinaria tragedia – Ifigenia in Aulide – è quando la fanciulla accetta, essa stessa, di essere uccisa non per “patriottismo”, ma per porre davanti a tutti, davanti all’opinione pubblica,  due tragici, ironici, drammatici, interrogativi. Come ci comportiamo bene noi Greci: siccome noi siamo quelli liberi, siamo quelli emancipati allora – dice Euripide per bocca di Ifigenia – ci preoccupiamo di liberare, di emancipare anche gli altri che sono schiavi, e per farlo, per poterlo fare, da persone civili, religiose, per bene, facciamo un bel sacrificio, spettacolare, degno del nostro rango, commettiamo un assassinio chiamandolo rituale. L’ipocrisia del potere, le ragioni del potere, hanno una logica che non conosce pietà, che non conosce umanità! Quando questa sequenza di parole esce, con sicurezza, dalla bocca di Ifigenia adagiata sul patibolo, si può dire che ogni visione cosmica del sacrificio è già sprofondata, cade ogni tensione celeste: gli dèi non vogliono sacrifici. Il sacrificio rituale non è un atto di fede, ma un debole atto superstizioso. Atto di fede sarebbe stato – incalza Euripide per bocca di Ifigenia – rinunciare alla guerra, sacrificare il proprio orgoglio, l’orgoglio del proprio potere. Il sacrificio non è che un insulto al genere umano, sgradito agli dèi! Infatti Ifigenia viene dalla dèa Artemide sostituita con una cerva – stile sacrificio di Isacco –, viene rapita dalla dèa e trasportata nella Tauride in un suo santuario di cui la fanciulla diventa la sacerdotessa. Artemide sembra dire: ma siete matti, la ammazzavate davvero! Meglio allontanarla da voi, vi tolgo la patria potestà.

     Ma queste parole “allusive”, ad Artemide, le avrebbe fatte dire Erodoto (se avesse trattato l’argomento specifico), che, quando scrive è meno serioso di Euripide. Intercorrono forse cattivi rapporti tra Euripide ed Erodoto? Ma non sono forse in sintonia “intellettuale” questi due grandi scrittori? Non coltivano forse idee simili, l’uno in poesia tragica e l’altro in prosa elegiaca? Perché Erodoto, che si è occupato con “passione allusiva” della storia di Elena, non ha preso in considerazione la significativa storia di Ifigenia?

     Ma ora occupiamoci – studiandola brevemente – della tragedia Ifigenia in Tauride. Il protagonista di questa tragedia è Oreste, fratello di Ifigenia, figlio di Agamennone e Clitennestra: una figura tragica su cui ricadono gli effetti degli orrori perpetuati dalla sua famiglia, da tutta una generazione, quella dei Pelopidi, quella di Atreo e Tieste. Oreste arriva di nascosto a Micene e uccide la madre Clitennestra e il suo amante Egisto per vendicare la morte del padre Agamennone: i due amanti hanno assassinato Agamennone subito dopo il suo ritorno da Troia (Clitennestra vuole soprattutto vendicarsi per la perdita di Ifigenia). Dopo il matricidio Oreste si trasferisce clandestinamente, insieme al suo amico Pilade, nel paese dei Tauri, per rubare, nel tempio di Artemide, il simulacro, la statua della dèa: sa che (l’oracolo gli ha detto) chi possiede il simulacro di Artemide possiede anche il potere, ed Oreste vorrebbe impadronirsi di questo talismano perché ambirebbe a governare a Micene. Ma Oreste e Pilade vengono scoperti e arrestati, e devono, secondo l’usanza del luogo, essere sacrificati nel tempio in onore della dèa. La sacerdotessa del tempio di Artemide in Tauria è Ifigenia, la sorella di Oreste, e noi sappiamo come è arrivata fin lì. Ifigenia, come sacerdotessa del tempio, deve sacrificare i due prigionieri, ma Oreste, attraverso una lettera, riconosce la sorella e la sorella riconosce lui. Ifigenia, con uno stratagemma, libera il fratello e l’amico Pilade e i tre fuggono sani e salvi portando in Grecia il simulacro di Artemide. I Tauri sono diversi dagli Sciti e sono molto sbrigativi: hanno l’abitudine – come ci racconta la tragedia di Euripide e come ci racconta Erodoto ne Le Storie – di catturare i naufraghi, (navigare significa spesso naufragare) e di sacrificarli ad una loro crudele divinità.

     Ma torniamo agli interrogativi che ci siamo posti? Possibile che Erodoto parlando dei Tauri, non si occupi (non approfitti della potenzialità narrativa) della avvincente storia di Ifigenia?  È impensabile che Erodoto non conosca per filo e per segno tutta la storia di Ifigenia ed è altrettanto impensabile che non approfitti dell’occasione – come sempre fa – per fare l’analisi logica di un suggestivo racconto mitico. Quello che colpisce poi è il modo “ambiguo” in cui Erodoto tratta l’argomento. È sorprendente – ci dicono gli antichisti – il fatto che Erodoto, che è un formidabile cacciatore, ricercatore ed estensore, compilatore e redattore di miti, citi appena il personaggio di Ifigenia che si presta ad una vasta ed accattivante esegesi. Colpisce il fatto – ci ricordano gli antichisti – che Erodoto nomini Ifigenia solo una volta e soprattutto che ne snaturi completamente la figura, lo stampo, il modello culturale. Erodoto ne Le Storie rammenta la figura di “Ifigenia figlia di Agamennone” mentre ci racconta gli “usi orribili ” (deinòs) dei Tauri nei confronti dei nemici catturati e sacrificati. Quella di Erodoto è una descrizione da ragioniere, o da mezzobusto televisivo, in cui non si scompone di fronte all’orrore: si scompongono forse le giornaliste o i giornalisti dei telegiornali (non possono scomporsi se no finiscono su Blob) all’ora di pranzo e all’ora di cena quando ci portano (in tavola) in casa l’orrore quotidiano al quale ormai abbiamo fatto l’abitudine? Erodoto non si scompone (il suo aplomb è quasi comico e sarebbe pronto per essere assunto in qualche rete (ma possiamo ben credere che non ci tenga…). Leggiamo la sua “storia”.

LEGERE MULTUM….

Erodoto,  Le Storie  IV  103

Tra questi popoli, i Tauri hanno i seguenti costumi. Sacrificano alla Vergine (questa dèa Vergine s’identifica con Artemide) i naufraghi e tutti i Greci che riescono a catturare spingendosi in alto mare, e che immolano nel modo che ora si descrive.

Dopo aver consacrato la vittima la colpiscono al capo con una mazza. Poi, secondo alcuni, staccato il capo dal busto, ne precipitano il corpo giù da una rupe (dato che il tempio è situato sopra una roccia scoscesa) mentre la testa la configgono su un palo; altri, invece, pur essendo d’accordo con i precedenti per quanto riguarda la testa, sostengono tuttavia che il busto non viene precipitato giù dalla rupe, ma viene nascosto sotto terra.

Questa divinità in onore della quale sacrificano vittime umane, a quanto affermano i Tauri stessi, sarebbe Ifigenia la figlia di Agamennone.

Quanto, poi, ai nemici di cui si siano impadroniti, ecco come li trattano: ogni vincitore, tagliata la testa al vinto, se la porta a casa sua; poi, conficcatala su una lunga pertica, pianta questa pertica sopra la sua abitazione, molto in alto, ma generalmente sopra il foro da cui esce il fumo

Dicono che così, sollevati in alto, questi diventano custodi di tutta la loro casa.

Vivono di rapina e di guerra.

     Perché – si chiedono da sempre gli studiosi – Erodoto glissa, sorvola sul mito tradizionale di Ifigenia? Perché Erodoto non si fa carico di ricordare che Ifigenia è stata salvata da Artemide mentre sta per essere immolata in Aulide, ed stata portata appunto in Tauride dove ha soltanto funzioni di sacerdotessa? Perché Erodoto assimila Ifigenia ad una improbabile divinità dei Tauri? Perché la presenta come una dèa crudele, una “Vergine” nella quale possiamo facilmente intravedere la figura della dèa Artemide che possiede tra i suoi attributi anche quello della “verginità”? Erodoto sembra tradirsi proprio con l’intento di farsi scoprire.

      Perché Erodoto rimuove la figura di Ifigenia che Euripide presenta nelle sue due famose tragedie? C’è chi sostiene che ci sia una causa relativa alla rete dei racconti mitici: Erodoto conoscerebbe una versione della storia di Ifigenia che non ci è pervenuta (che lui non si premura di raccontare) e che, quindi, non conosciamo, ma come teoria – riconoscono gli studiosi – è molto labile.

     Erodoto utilizza la figura di Ifigenia per colpire la persona di Euripide? C’è chi dice che tra Erodoto ed Euripide – i quali sembra non si siano mai incontrati, ma si conoscano attraverso le opere – ci sia una profonda divergenza culturale e ideologica: appartengono entrambi al movimento razionalista ma fanno riferimento a due correnti diverse. Erodoto è un razionalista “malinconico” ma non pessimista, anzi è moderatamente ottimista sul possibile progresso dell’Umanità verso il bene. Euripide invece è un razionalista sofista (conosce Socrate?) d’impronta scettica animato da un profondo pessimismo, il quale pensa che il male sia connaturato all’essere umano. C’è chi dice che Erodoto, pur condividendo le idee di fondo intorno al tema del rapporto tra assassinio e rituale – posto da Euripide nelle sue tragedie dove Ifigenia è protagonista – non approvi però lo spirito anti-greco, il taglio anti-ellenico: le invettive di Ifigenia contro gli Achei rappresentano una terribile denuncia che Euripide comunica senza ritegno nella società ateniese, apparentemente florida e felice, in realtà scossa da profonde lacerazioni. (Se i coloni greci – satireggia Euripide – sono andati a fondare una polis in territori inospitali e selvaggi e questa polis l’hanno chiamata “olbia”, “florida”, “felice”, ciò significa che, in Ellade, da dove erano fuggiti, di floridezza e di felicità – ironizza pensatemene Euripide – ce n’era sempre stata ben poca).

     Infine c’è chi insinua, appunto, che la divergenza tra Erodoto ed Euripide – con la conseguente rimozione del mito di Ifigenia da Le Storie – sia di natura politica, sia legata allo scontro politico che è in atto in Atene. Erodoto non è coinvolto in prima persona nell’agone politico (e poi è sempre in viaggio) però è amico di Sofocle e di Pericle che in questo momento (469-429 a.C.), nel bene e nel male, stanno governando la città con una formula che ha assunto il nome di “demagogia”. Con la “demagogia” le Istituzioni democratiche – la bulè (l’assemblea legislativa), l’areopago (la magistratura) – perdono la loro importanza, la loro autonomia e la loro funzione di controllo sull’operato del governo (la strategia). Coloro i quali governano (gli strateghi) saltano le Istituzioni (l’assemblea legislativa, la magistratura) e si rapportano direttamente con il popolo e con i suoi umori. Euripide è decisamente all’opposizione di questo sistema di cose che certamente rappresenta un’involuzione del sistema “democratico”, ed auspica che ad Atene si ritorni alla “democrazia autentica”, dove tutte le Istituzioni funzionino in modo concertato: le sue tragedie contengono un attacco non solo contro l’ipocrisia del potere in generale, ma in particolare soprattutto contro la “demagogia pericleiana”. Anche ad Erodoto la “demagogia” non piace – ne Le Storie esalta spesso i valori delle Istituzioni in cui si esprime la “democrazia” – ma ha amici nel governo, e allora che fare? C’è chi insinua che Erodoto ne Le Storie – nel brano che abbiamo letto – citi “Ifigenia figlia di Agamennone” in modo da snaturarne la figura per “additare” Euripide. Snaturando la figura di Ifigenia – trasformandola da eroina a divinità “barbarica” e crudele – Erodoto snatura pure il messaggio provocatorio di Euripide oppositore del regime fornendo un appoggio (esterno), una sponda, a Sofocle e a Pericle. Ma come, diciamo noi: Erodoto si perde in questi “giochetti”? Erodoto sta allargando le braccia e sembra dire: vi scandalizzate? Al giorno d’oggi vi scandalizzate perché un ingenuo scrittore di “storie” cerca di barcamenarsi tra il  governo e l’opposizione? Oggi non siamo forse nel novembre del 469 a.C.? Abbiamo persino, ultimamente, assistito alla nascita della categoria degli “atei devoti”…

     C’è infine chi sostiene che Erodoto citi appena e snaturi la figura di Ifigenia per vendicarsi: per vendicarsi di chi e di che cosa? Per vendicarsi di Euripide?  Euripide – che si sappia – si è forse comportato in modo scorretto nei confronti di Erodoto? O forse sono i Sofisti – Euripide appartiene al movimento dei Sofisti – che si sono comportati in modo scorretto nei confronti di Erodoto? E chi lo sa? Non abbiamo dati e non siamo in grado di dare una risposta: possiamo solo fare delle ipotesi, quelle che ci vengono suggerite dagli antichisti.

     Il fatto che Euripide possa essersi comportato in modo tale da suscitare l’ira, e la volontà di vendetta da parte di Erodoto lo si può ipotizzare pensando alla persona stessa di Euripide: chi è Euripide? Lo conoscete? Certamente Euripide viene considerato il più grande provocatore della sua epoca: non ha alcun ritegno a dire ciò che pensa in faccia alle persone, e, di solito ha da dire cose sgradevoli. Euripide è un personaggio piuttosto eccentrico che, per esempio, inventa “miticamente” la sua data di nascita: si vanta di essere nato a Salamina (in questa città è effettivamente nato) nel 480 a.C, proprio lo stesso giorno della vittoria dei Greci nella famosa battaglia in cui fu distrutta la flotta dei Persiani.

     Erodoto – che ne Le Storie racconta questi esaltanti avvenimenti di cui prossimamente ci occuperemo – probabilmente, da “storico”, non condivide questa iniziativa di Euripide, ma non dice le “bugie” anche lui qualche volta? Inoltre Euripide vanta le sue umili origini (era figlio di un oste e di un’erbivendola), sbandierando orgogliosamente che lui si era affermato solo in virtù della sua intelligenza e altri invece per la loro appartenenza al ceto benestante. Erodoto, che appartiene ad una famiglia benestante, sarà stato chiamato in causa?  Di Euripide inoltre si ricordano le disgrazie coniugali: ce le ricordano soprattutto, con un tono assai divertito mettendolo in berlina, i commediografi dell’epoca, il primo a colpire Euripide ricoprendolo di ridicolo è Aristofane nella famosa commedia intitolata Le rane; bisognerebbe avere un teatro a disposizione e chiedere una rappresentazione, ma il testo della commedia Le rane di Aristofane è facilmente reperibile in biblioteca e può essere letto. Ma Euripide preferisce sorvolare sulle sue disgrazie coniugali e, anche se in parecchi dei suoi versi emerge una certa misoginia, non ama rammentare il fatto di essere stato sfrattato da una moglie forse più eccentrica di lui.

     Ebbene: quella “Vergine crudele”, quella improbabile divinità dei Tauri, che Erodoto identifica con Ifigenia, è una “caricatura”? È un “ritratto ironico” che rappresenta la moglie di Euripide? In Euripide è “eccentrica”, forse perché leggendaria, anche la morte. La morte di Euripide sembra un episodio da teatro tragico: si racconta che sia stato sbranato dai cani, aizzati contro di lui dalle donne (non ha avuto mai molta fortuna con le donne, tranne che con le “eroine” delle sue tragedie), alla corte del re Archelao di Macedonia. Infatti Euripide – per le violente polemiche politiche in corso – si allontana da Atene e trova ospitalità in Macedonia alla corte del re Archelao.

     I tempi sono difficili, Euripide è un personaggio eccentrico, quindi è più che giustificato il fatto che ci possa essere un motivo per cui Erodoto voglia vendicarsi di Euripide. Quando Erodoto vuole vendicarsi dice le “bugie”. Erodoto conosce bene le tragedie e sa che la “vendetta” ha una centralità assoluta tanto nella vita delle persone quanto nella vita delle nazioni e dei popoli.

     Abbiamo fatto questa lunga riflessione anche per constatare, proprio per appurare, che, leggendo Le Storie, salta fuori un’altra significativa idea di Erodoto. Erodoto coltiva l’idea che la vendetta abbia un ruolo speciale nel determinare gli avvenimenti storici. I grandi avvenimenti storici, gli accadimenti trovano – secondo Erodoto – una motivazione fondamentale nella “vendetta”, in greco “timorìa”. La vendetta – pensa Erodoto – è una molla che fa scattare tutta una serie di azioni che danno vita ad avvenimenti che assumono gradualmente una portata storica. Erodoto, in questo caso, più che come uno storico, forse, pensa come un poeta tragico: probabilmente ha in testa la “terribile storia dei Pelopidi”, probabilmente ragiona pensando alla catena di “vendette” che caratterizza la saga mitica dei fratelli rivali Atreo e Tieste, e noi, questa catena di vendette, l’abbiamo seguita, con orrore, nel suo dipanarsi durante il Percorso del 2003 sulla Tragedia. Naturalmente gli storici “scientifici”, come Tucidide, hanno dei seri dubbi nei confronti di questa concezione che Erodoto ha della storia. Gli storici “scientifici”, come Tucidide, ci hanno insegnato che gli avvenimenti storici hanno sempre delle spiegazioni di carattere “politico-economico-sociale”, mai di carattere “personale”. Eppure a furia di stare e di viaggiare con Erodoto qualche sospetto ci assale, perché la vendetta, di solito, mette in moto davvero dei meccanismi ingovernabili. Erodoto, come sostengono gli storici “scientifici”, avrà anche torto a concepire la vendetta come un motore della storia, ma ha sicuramente ragione quando decide di vendicarsi. Come sarebbe a dire: ci mettiamo a giustificare la pratica della vendetta? Quando Erodoto vuole vendicarsi dice le “bugie”. Quindi ha capito che c’è modo e modo di attuare la vendetta e su questo tema c’invita a riflettere. Se proprio non si può rinunciare alla vendetta, allora meglio le bugie delle coltellate, meglio l’ironia dei veleni, meglio l’allusione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quando Erodoto vuole vendicarsi dice le “bugie”… e voi avete mai detto una bugia per vendicarvi ? 

Raccontate, scrivete quattro righe sincere in proposito…

     E, per concludere, lasciamo che sia ancora Jean-Paul Sartre ad alludere con la sua nausea. La nausea non è un romanzo vero e proprio, perché manca di eventi narrativi, si può considerare un diario filosofico. Il protagonista, Antoine, che abbiamo lasciato davanti allo specchio, dopo aver lungamente viaggiato per l’Europa centrale, l’Africa del Nord, l’Estremo Oriente, approda a Bouville, una città immaginaria della provincia francese, per completare le sue ricerche a proposito di uno strano personaggio vissuto tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, il marchese di Rollebon. Qui, Antoine, a contatto coi benpensanti locali, scopre l’estraneità e l’assurdità di tutto ciò che lo circonda, uomini e cose: la realtà che lo circonda vorrebbe essere splendida, e non riesce neppure ad essere orribile. Dietro le altisonanti affermazioni della società costituita, dietro la retorica dei “buoni sentimenti” familiari e patriottici, dietro la “rispettabilità”, dietro le virtù e i doveri, Antoine scopre il vuoto e la Nausea e, dietro ad essa, l’Angoscia. Queste due condizioni si dimostrano entrambe benefiche, perché da esse emerge l’esigenza di riscoprire – dopo aver fatto tabula rasa di tutti i falsi valori – una nuova libertà per la persona, una libertà che preveda soprattutto di sostituire il proposito della “vendetta” funesta e nefasta con l’intento di rispondere alla provocazione attraverso gli strumenti efficaci, ma non violenti, dell’ironia e dell’allusione. Imparare ad utilizzare l’ironia, l’auto-ironia e l’allusione costituisce un fondamentale antidoto per scacciare lo spettro della vendetta.

     Leggiamo ancora due pagine in cui troviamo Antoine Roquentin che riflette davanti ai centocinquanta ritratti dei personaggi più importanti della società di Bouville appesi alle pareti del Museo cittadino: sono illustri borghesi che gli ispirano ripugnanza e nausea ma questi due sentimenti hanno una valenza propulsiva e lo invitano a giocare con l’ironia e l’allusione.

LEGERE MULTUM….

Jean-Paul Sartre,  La nausea  (1938)

Nel grande salone dove stavo per entrare erano appesi alle pareti più di centocinquanta ritratti, e ad eccezione di qualche giovane troppo presto rapito alla famiglia, e della Madre Superiora di un orfanotrofio, nessuno di quelli che vi erano rappresentati, era morto celibe, nessuno era morto senza figli né senza testamento, nessuno senza gli ultimi sacramenti. In regola con Dio e con la coscienza quel giorno come tutti gli altri, erano scivolati dolcemente nella morte per andare a reclamare la parte di vita eterna alla quale avevano diritto. Poiché loro avevano avuto diritto a tutto: alla vita, al lavoro, alla ricchezza, al comando, al rispetto e, infine, all’immortalità.

Mi sono raccolto un istante e sono entrato. Un custode dormiva vicino alla finestra. Una luce bionda che cadeva dai vetri faceva delle macchie sui dipinti. Niente era vivo in questa grande sala rettangolare, salvo un gatto che al mio ingresso s’è impaurito ed è scappato. Sentivo su di me lo sguardo di centocinquanta paia d’occhi.

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     De La nausea si consiglia vivamente la lettura o la rilettura. Come possiamo notare, Sartre, per costruire l’ironia, fa pronunciare al signor Pacome una bella frase che si sostiene con un’anfibìa (un’ambiguità), con un’aporìa (una contraddizione): “Com’è più semplice e più difficile fare il proprio dovere”.

     Erodoto annuisce, approva il metodo, e ride sotto i baffi. Quando Erodoto vuole vendicarsi dice le “bugie”, e, secondo i suoi detrattori (che non sono stati pochi) dice raramente la verità: spesso narra delle leggende, racconta delle favole e, nella maggior parte dei casi, inventa le cose per stupire, per sorprendere, per impressionare, per sbalordire, per “meravigliare”. Ma è proprio vero che Erodoto racconta più leggende che fatti concreti, più favole che avvenimenti reali? Erodoto “allude”, e oggi sorride con grande compiacimento, perché piano piano l’archeologia dimostra che, lui, non ha raccontato solo leggende e favole. Il fatto è che Erodoto non si avvicina ad una “storia” per cercare la “verità”: una storia – ed Erodoto lo ha capito – si presenta sempre in modo “ambiguo”, confusa in mezzo alle leggende e alle favole e, spesso, è molto difficile disunire gli elementi reali dagli elementi mitici. Erodoto si avvicina alle “storie”, non per cercare l’autenticità, ma per trovare coincidenze e corrispondenze. Ecco un’altra idea che salta fuori dall’opera di Erodoto. E – secondo il pensiero di Erodoto – che cosa significa: trovare coincidenze e corrispondenze?

     A proposito di coincidenze e corrispondenze, in questo momento, a quest’ora, la sola risposta che possiamo dare “coincide” e “corrisponde” al tradizionale invito: accorrete, la Scuola è qui, sperando che, il Percorso proposto dalla Scuola, “coincida” e “corrisponda” con i vostri interessi culturali e intellettuali…

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 25, 2005