Autorizzazione all'uso dei cookies

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA SI RIFLETTE SULLE VIRTÙ CIVICHE …

Lezione N.: 
17

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna   1–2-3  marzo 2017

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA

SI RIFLETTE SULLE VIRTÙ CIVICHE …

     Questo è il diciassettesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e siamo sempre in attesa di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio.

     Siamo nel 1504 e, con la realizzazione della Pietà a Roma e poi del David a Firenze, Michelangelo è, a 29 anni, diventato uno scultore famoso. Il 31 ottobre 1503 è successo poi un avvenimento che Michelangelo ha seguito con molto interesse: è salito al soglio pontificio il più intransigente oppositore dei Borgia, il cardinale Giuliano Della Rovere che prende il nome di Giulio II. Dobbiamo al pontificato di Giulio II la commissione per l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina e questa sera, come sapete, ci dobbiamo occupare dei risultati del suo pragmatismo perché “il pragmatismo” di Giulio II investe anche Michelangelo; e quando si parla [sul terreno della Storia del Pensiero Umano] del “pragmatismo” di papa Giulio II si aprono numerosi fronti di carattere culturale che equivalgono ad altrettanti paesaggi intellettuali che arricchiscono il territorio della filosofia rinascimentale che stiamo attraversando.

     Nell’autunno del 1503 la Chiesa versa in condizioni di degrado sotto tutti i punti di vista e il nuovo papa Giulio II, eletto il 31 ottobre 1503, deve affrontare urgentemente problemi di carattere religioso, morale e politico. Giulio II, come primo provvedimento, intraprende, facendosi non pochi ulteriori nemici, la riforma degli ordini religiosi che hanno acquisito molto potere e hanno incamerato troppe ricchezze [lui ne confisca una parte consistente], e si schiera con le correnti pauperiste [i francescani spirituali, i domenicani predicatori] alle quali mette a disposizione risorse [parte delle risorse confiscate] perché si prendano cura dello stato sociale: gestiscano ospedali, mense, scuole, ricoveri. Giulio II instaura la regola della lettura sceneggiata delle Passioni di Cristo raccontate dagli evangelisti e istituisce la festa del Santissimo Sacramento e ne diffonde il culto, e questo provvedimento teologico-pastorale ha avuto una ricaduta anche sull’esperienza concreta [le processioni del Corpus Domini, le infiorate, le quarant’ore di adorazione] di molte e di molti di noi cresciute e cresciuti in questa cultura. Ora noi dobbiamo riflettere sulla natura di questo provvedimento nell’ottica di Giulio II in quanto intellettuale rinascimentale.

     A proposito dell’istituzione da parte di papa Giulio II della festa del Santissimo Sacramento abbiamo un documento che possiamo osservare facilmente perché Giulio II fa dipingere a Raffaello, nella Stanza della Segnatura sulla parete opposta a quella su cui è collocata La Scuola di Atene, un affresco che s’intitola Disputa del Sacramento. Questo affresco, che troviamo raffigurato in tutti i fascicoli dedicati a Raffaello e sulla rete, è un’allegoria della Teologia che, insieme all’allegoria della Filosofia raffigurata da La Scuola di Atene, dà completezza al progetto ideologico di stampo riformatore che papa Giulio II si è prefissato di realizzare [pensa ad un Rinascimento pastorale della Chiesa] e che è contenuto in questo messaggio: tutta la Storia del Pensiero Umano, il pensiero di tutti i filosofi e di tutti i teologi trova posto - e contribuisce a realizzare la salvezza dell’Umanità - sotto l’ala del Santissimo Sacramento alla luce dell’Ostia consacrata contenuta nell’Ostensorio, che nel dipinto è l’oggetto posto più in alto di tutti: il nuovo oggetto simbolico che riassume la dottrina del Cristianesimo. L’Ostia consacrata contenuta nell’Ostensorio, il Santissimo Sacramento [il pane eucaristico], illumina l’Anima della persona, corrobora il corpo e vivifica la parte fremente dell’intelletto umano, perché il pane dà alla persona la vita materiale e spirituale, la vita naturale e soprannaturale, la vita fisica e metafisica.

     A Raffaello, nella Disputa del Sacramento, viene chiesto di dipingere un gruppo di teologi che stanno discutendo, ma davanti a loro, dando loro le spalle, c’è raffigurato “un angelo senza ali in chiare vesti umane” il quale con un gesto della mano indica ai teologi in discussione l’Ostensorio posto sull’altare. Questo gesto è fortemente allusivo ed eloquente: significa che la salvezza viene di lì, e si trasmette attraverso questo pane, l’Ostia consacrata. E, quindi, l’autentica ricchezza della Chiesa [vuole affermare Giulio II mediante un’idea teologica d’impronta prettamente francescana] è raffigurata da “un pezzo di pane” che rappresenta tanto l’elemento materiale fondamentale per il sostentamento umano [e per la fraterna condivisione] quanto, attraverso il corpo di Cristo con l’istituzione dell’Eucaristia, l’elemento spirituale che dà un senso alla Storia della salvezza dell’Umanità.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete osservate la Disputa del Sacramento affrescata da Raffaello nella Stanza della Segnatura in Vaticano…

Se in questo affresco c’è un particolare che vi colpisce scrivete quattro righe in proposito...

Le processioni eucaristiche, le infiorate, le ore di adorazione sono state e sono manifestazioni che fanno parte della nostra tradizione religiosa: se avete ricordi relativi a questi avvenimenti scrivete quattro righe in proposito...

     L’angelo senza ali della Disputa del Sacramento è una metafora che rappresenta “l’essenza della cultura greca” [non può mancare in tutte le Opere commissionate da Giulio II l’impronta pedagogica proveniente dalla filosofia neoplatonica] e questo personaggio ha un corrispettivo nell’affresco de La Scuola di Atene, posto di fronte, dove c’è “un giovane vestito di bianco” che rappresenta, in forma allegorica, l’ideale della cultura greca: l’angelo senza ali della Disputa del Sacramento è una figura simile al giovane vestito di bianco che dall’affresco de La Scuola di Atene salta nella parete di fronte e attira l’attenzione per comunicare a chi osserva che il mondo intellettuale greco - un mondo che coltiva la filosofia per incarnare la bellezza [kallos, il bello] e la bontà [agathos, il buono] - trova la sua piena realizzazione nel cristianesimo guardando a questo pane, [all’Ostia consacrata. Questo “pezzo di pane” [il Santissimo Sacramento, il dono di Dio] assorbe in sé l’ideale virtuoso dello spirito ellenistico che il cristianesimo ha assimilato e che si traduce nell’espressione: “kallòs ka agathòs” [la bellezza è unita alla bontà] e questa espressione insegna che la bellezza e la bontà si coniugano tra loro perché, secondo il pensiero di Platone, la Bontà contiene in se stessa sempre l’idea della Bellezza e, sostiene Giulio II, che cosa c’è di più bello e di più buono del pane necessario quotidiano che dà alla persona l’energia per vivere e che si trasforma in pane eucaristico per far nascere nella persona il desiderio di compiere il Bene?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per comprendere dove, sul tema del “pane”, il pensiero ellenistico e la Letteratura dei Vangeli s’incontrano è utile leggere o rileggere il capitolo 6 del Vangelo secondo Giovanni…

Fate questo esercizio di carattere filologico...

     Naturalmente il pensiero teologico del papa contiene anche una forte valenza politica - un potente afflato pragmatico - perché dal “pane consacrato, dal pane eucaristico” [che dona la Grazia] s’irradia la salvezza divina ma si diffonde anche il desiderio umano di celebrare le “virtù civiche” come strumenti dell’agire cristiano, e queste virtù - che Machiavelli, che è stato nostro ospite la scorsa settimana, prescrive per la buona educazione del Principe e di ogni persona - hanno la loro radice nel pensiero dei Classici greci [Socrate, Platone, Aristotele] e latini [Cicerone, Seneca].

     All’inizio del ‘500 [agli albori dell’età moderna] il tema delle “virtù civiche” è al centro di un vasto dibattito europeo al quale partecipa anche Michelangelo, e l’argomento che, in relazione a questo tema, investe la filosofia rinascimentale è quello dell’educazione da dare per poter acquisire le virtù fondamentali, quelle che possano rendere più bella [kàllas], più buona [àgatha], più giusta [àcsia], più saggia [sòphia] l’intera società civile.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Le virtù civiche sono i nomi propri della sapienza: quale di questi nomi - Kallas, Agata, Acsia, Sofia - volete scegliere per primo?...

Scrivetelo per l’anagrafe della virtù civile...

     Prima di capire come si sviluppa agli albori dell’età moderna la riflessione su questa importante questione, la questione delle “virtù civiche” [che è una questione fondamentale da sempre], andiamo avanti a leggere il testo della commedia Il dio del massacro, scritta nel 2006  dall’autrice francese [di padre iraniano e madre ungherese] Yasmina Reza.

     Come sapete, Il dio del massacro è una commedia che sfocia in dramma, ambientata in un salotto dove due coppie di genitori s’incontrano per poter risolvere, da persone adulte [che credono di essere in possesso delle virtù civili], una questione: la lite scoppiata ai giardinetti tra i rispettivi figli, nella quale uno dei due [Bruno], il figlio dei padroni di casa [della scrittrice Véronique e del commerciante Michel], ha avuto la peggio [ci ha rimesso un dente] rispetto [a Ferdinand] al figlio degli ospiti [la consulente patrimoniale Annette e l’avvocato Alain]. L’incontro tra queste due coppie [quattro persone che dovrebbero appartenere al ceto riflessivo] inizia all’insegna delle buone maniere ma poi, con il procedere della conversazione, cadono le maschere di benevolenza, di buona creanza, di correttezza politica, di apertura mentale, di dirittura morale che i protagonisti si sforzavano di portare. L’autrice fa, con sarcasmo, conversare i quattro personaggi utilizzando un linguaggio volutamente leggero fatto di luoghi comuni e di battute, spesso pronunciate fuori luogo, che dovrebbero fluidificare i rapporti e invece fanno aumentare il nervosismo anche all’interno delle due coppie per cui Annette, che non sopporta la disattenzione del marito [sempre al telefono per una causa in corso in difesa di un’azienda farmaceutica], comincia a vomitare dalla rabbia inzaccherando i Libri d’arte sul tavolino del salotto, e anche Véronique non sopporta e non comprende le insinuazioni del marito sulle sue relazioni di gioventù. Per cui l’incontro, invece di essere l’occasione per risolvere civilmente la situazione, diventa una sorta di resa dei conti, e non emergono le virtù civiche - che vengono evocate - ma fa capolino lo spirito [con la s minuscola] di quella divinità, efferata ed oscura, che governa i rapporti tra gli umani fin dalla notte dei tempi: il dio del massacro. Quando Véronique e Michel rimangono soli - perché Annette [che vomita] e Alain [che si è sporcato il vestito perché lei gli ha vomitato addosso] sono in bagno - ne approfittano per dir male della coppia ospite, Alain rientra inaspettatamente in salotto (con in mano il fon per asciugare i libri d’Arte sui quali la moglie ha vomitato) e li sente spettegolare malignamente perché lui chiama la moglie Chips. E il dramma continua.

LEGERE MULTUM….

Yasmina Reza, Il dio del massacro

ALAIN (riappare inaspettatamente con in mano il fon) Sì, la chiamo Chips.

VÉRONIQUE Oh Ci scusi, non era per cattiveria I nomignoli degli altri sembrano sempre buffi! E fra di noi come ci chiamiamo, Michel? Sicuramente facciamo di peggio.   ALAIN Voleva il fon per asciugare i suoi libri?    VÉRONIQUE Grazie.

MICHEL Grazie (impadronendosi del fon infila la spina dell’apparecchio e prende ad asciugare i libri. Véronique appiattisce le pagine bagnate).

MICHEL Lisciale bene, mi raccomando.    VÉRONIQUE Ho reagito male, mi vergogno.

ALAIN Ma no.

... continua la lettura ...

     Le due protagoniste e i due protagonisti della commedia Il dio del massacro tirano in ballo con veemenza il tema delle virtù civiche: un argomento che dovrebbero approfondire, così come stiamo per fare noi adesso.

     Come si sviluppa agli albori dell’età moderna, nel Rinascimento, la riflessione su questa importante questione: la questione delle “virtù civiche” [Che continua ad essere un tema di grande attualità]? Questo argomento fa puntare la nostra attenzione su un celebre trattato, Il libro del cortegiano, scritto da un noto umanista rinascimentale: Baldassar Castiglione.

     Il libro del cortegiano è stato scritto a Urbino tra il 1513 e il 1518 dall’umanista Baldassar Castiglione, e questo testo ci porta nei palazzi delle piccole corti italiane del ’500.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida che trovate in biblioteca e navigando in rete fate una visita a Urbino...   

     Baldassar Castiglione, appartenente ad una nobile famiglia mantovana, è nato nel 1478 a Casatico in provincia di Mantova, ed è stato, oltre che un letterato [ha studiato e insegnato a Urbino], un diplomatico [ambasciatore presso le corti di Milano e della Santa Sede] e anche un ecclesiastico [è stato nunzio apostolico in Spagna per conto di papa Clemente VII], e ha lasciato traccia delle sue missioni politiche e culturali in molte parti d’Europa: è morto a Toledo nel 1529.

     Il libro del cortegiano è un dialogo sul modello dei Dialoghi di Platone, suddiviso in quattro libri, che l’autore immagina sia avvenuto nel 1507 nel salotto del Palazzo ducale d’Urbino, tra la duchessa Elisabetta Gonzaga, il cardinale Bernardo Dovizi detto il Bibbiena [l’amico e corrispondente tanto di Fedra Inghirami quanto di Baldassar Castiglione] e il letterato cardinale Pietro Bembo, i quali conversano sul tema dell’educazione, delle virtù e dei comportamenti da tenere da parte del gentiluomo e della dama di corte. La Letteratura del Rinascimento italiano elabora un substrato culturale che crea un modello che sarà imitato anche dai salotti parigini del Seicento e del Settecento.

     Nel primo libro de Il cortegiano Baldassar Castiglione spiega che il carattere della persona si forma con lo studio della Letteratura [bisogna imparare bene a leggere e a scrivere], si modella con lo studio dell’eloquenza [bisogna imparare a parlare correttamente], si plasma con lo studio della musica [e, a questo proposito, fa un riferimento al pensiero pitagorico sull’armonia] e si configura con lo studio delle arti figurative [bisogna imparare a disegnare, a dipingere, a scolpire, a misurare le forme e lo spazio].

     Nel secondo libro de Il cortegiano Baldassar Castiglione scrive che “le qualità del temperamento da formare” sono: la prudenza [non escludere mai le trattative né nella vita privata, né nella vita pubblica, né nei rapporti tra le Nazioni], la discrezione [saper mantenere il riserbo e non chiacchierare invano], la cautela [riflettere a lungo e consultarsi prima di prendere una decisione] e la dignità [pensare che ogni persona è degna di essere considerata un Essere umano per cui va abolita ogni forma di schiavitù e di sudditanza].

     Nel terzo libro de Il cortegiano Baldassar Castiglione scrive che i modi del comportamento devono essere ispirati alla modestia, al decoro, alla diplomazia senza servilismo, allo spirito di iniziativa, alla scelta oculata delle amicizie, dei gesti, delle parole. Baldassar Castiglione - da esperto diplomatico - illustra un concetto fondamentale, che non è compreso, per motivi culturali, da coloro i quali oggi si improvvisano statisti, scrivendo che la politica internazionale è fatta “da tante piccole inimicizie [che covano per incapacità di comprensione e di dialogo, per supponenza, per presunta furbizia] da governare [prima che crescano]” dovute soprattutto alla mancanza di regole chiare sul piano dei rapporti diplomatici e, a questo proposito, non solo i contrasti vanno regolati ma anche le amicizie [le amicizie senza regola non sono fruttuose]. Baldassar Castiglione, nella sua opera, insegna che la diplomazia è una disciplina, è un’arte con le sue regole e non un’improvvisazione sul canovaccio ridanciano della commedia dell’arte. Sempre nel terzo libro de Il cortegiano Baldassar Castiglione insegna che nei rapporti con gli altri è bene coltivare il gusto dell’arguzia, dell’ironia, della satira, della burla seguendo però la tradizione letteraria e quella consuetudine intellettuale che inizia con l’umanista Giovanni Boccaccio nel Decameron e prosegue con François Rabelais, che sta cominciando a progettare il suo Gargantua e Pantagruel.

     Nel quarto libro de Il cortegiano Baldassar Castiglione parla della formazione amorosa del gentiluomo e della dama secondo i canoni della filosofia neoplatonica di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola per cui la sessualità prevede un incontro sul piano fisico che sia corroborato da un fecondo incontro sul piano intellettuale [un tema, quello dell’Amor platonico, che abbiamo trattato prima della vacanza natalizia].

     Il cortegiano è un libro di educazione civica e di carattere istituzionale, è un testo costitutivo della nostra civiltà che contiene un quadro ideale di carattere utopico, e l’autore se ne rende conto e, quindi, sulla sua scrittura si stende anche “il velo della malinconia” perché Castiglione prende atto del fatto che l’Essere umano si trova di fronte a limiti non facilmente valicabili. Baldassar Castiglione sa che non è possibile conseguire la perfezione [una parola che attrae e contemporaneamente mette inquietudine nell’animo delle intellettuali e degli intellettuali del Rinascimento] ma la mente può concepire l’idea della completezza [in greco “téleios”] e tanto in campo artistico quanto sul piano etico forme dotate di completezza possono essere realizzate.

     Baldassar Castiglione sa che la Ragione può discriminare il bene dal male solo se è guidata dall’attività fremente dell’Intelletto, dall’Anima secondo il pensiero di Platone, e quando la Ragione si affida alla sua astuzia e non alle virtù diànoetiche [diànos, in greco, significa “intelligenza pratica” secondo il pensiero di Aristotele], ebbene, in questo caso, scrive Baldassar Castiglione, la Ragione è solo capace di progettare il male.

     Il libro del cortegiano è prezioso perché riporta un lungo catalogo di qualità umane, di virtù, che la persona deve coltivare con lo studio perché la condotta del singolo individuo ha una ricaduta, nel bene e nel male, sulla società.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Leggiamo l’indice delle virtù [delle buone qualità civiche] che si ricava da Il libro del cortegiano di Baldassar Castiglione: la modestia, il coraggio, la dolcezza, l’intraprendenza, la curiosità, la tenacia, la franchezza, la semplicità, la laboriosità, la prudenza, la costanza, l’affidabilità, la cortesia, la correttezza, la spontaneità, la dignità, la coerenza, la volontà, la sensibilità, la responsabilità, l’umiltà, la tolleranza, la disponibilità, la lealtà, la generosità, la fedeltà, la solidarietà, la sincerità, l’onestà, la calma…  

Questo catalogo raccoglie gli obiettivi educativi da raggiungere per dare all’Umanità l’impronta solidale e benevola che deve [che dovrebbe] avere  ... 

Quali di queste virtù [di queste finalità educative] ritenete debbano essere, oggi, insegnate per prime?…   

Sceglietene e scrivetene non più di quattro

     E ora leggiamo un frammento tratto dal Proemio de Il libro del cortegiano dove Baldassar Castiglione risponde a chi lo critica dicendo che lui ha proposto un progetto educativo troppo pretenzioso e utopico, ma noi, per il semplice motivo di essere qui, siamo d’accordo con lui, e pensiamo che sul piano educativo bisogna mirare in alto perché il continuare a giocare al ribasso è un grave errore, e il fatto che studiare sia sempre meno un’attività socialmente apprezzata è davvero preoccupante.

LEGERE MULTUM….

Baldassar Castiglione,  Il libro del cortegiano

Certuni dicono che, essendo tanto difficile e quasi impossibile trovar una Persona così perfetta come io voglio che sia il gentiluomo e la dama, è stato superfluo scrivere questo libro perché vana cosa è insegnare quello che imparare non si può.

A questi rispondo che mi contenterò aver errato [sbagliato] con Platone, Senofonte e Marco Tullio [Cicerone]. Delinea Platone nella sua Repubblica il modello ideale di uno Stato; Senofonte nella Ciropedia discute del perfetto sovrano e Marco Tullio [Cicerone] poi nel De Oratore illustra la figura del politico eccellente.

Modelli ideali dunque, posti come termini supremi di confronto, accanto ai quali spero si porrà non indegnamente la figura del perfetto gentiluomo e della dama.

Si tratterrà anche in questo caso di  ritratto ideale, di modello del mondo intelligibile, di archetipo supremo e quinci certo, forse, irragiungibile: proposto tuttavia all’imitazione di quanti vorranno almeno avvicinarsi a tale sfera di inattingibile perfezione. Perciò se essi non vorran leggere il mio Cortegiano, non me ne tenerò io punto da loro ingiuriato.

     Sono molto interessanti le citazioni con le quali Baldassar Castiglione, da intellettuale “moderno”, compendia il testo del suo Libro contribuendo a creare quella che di lì a poco [soprattutto con i Saggi di Montaigne] verrà chiamata “la categoria dei classici” [soprattutto greci e latini], un catalogo di testi a cui rifarsi come modelli educativi non solo ideali ma anche pratici e funzionali nella costruzione di programmi scolastici: la parola “classico”, usata per designare un’opera significativa per la Storia del Pensiero Umano, vive tuttora anche se si è cessato quasi del tutto di studiare queste Opere [“studiare” è diventato un termine scandaloso?].

     Anche Baldassar Castiglione - con in testa un copricapo molto curioso, tipico del Rinascimento - è stato ritratto da Raffaello tra il 1514 e il 1515 e questo dipinto è in mostra al Museo del Louvre, ma lo si può osservare comunque [è un’immagine che ha sempre avuto una grande diffusione] su uno dei Cataloghi che riportano le opere di Raffaello che potete trovare in biblioteca oppure sui siti della rete.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Andate – tramite Raffaello – a guardare Baldassar Castiglione negli occhi, sono occhi che hanno letto i “classici”: ed è per questo motivo che ride proprio con gli occhi nella sua apparente pacatezza?… Oppure - se l’intenzione è nell’occhio che guarda – sorride perché è soddisfatto di essere stato citato in questo Percorso

     Sulla scia di Baldassar Castiglione, abbiamo citato Urbino e questa bella città è stata una fucina di talenti alla corte dei Montefeltro.

     Ma, a questo punto, prima di riprendere il passo sulla scia di questa affermazione, è necessario riflettere sul metodo che abbiamo adottato per viaggiare, e al quale, ora, ci dobbiamo attenere ancor più scrupolosamente perché abbiamo di fronte una serie di avvenimenti non tutti chiariti storicamente fino in fondo e di situazioni che si prestano a varie e a nuove interpretazioni, per cui, per non perdere la strada, noi dobbiamo restringere il campo e puntare l’attenzione [se vogliamo entrare nella Cappella Sistina] su una serie di questioni [oggi potremmo dire di dossier] che costituiscono il tema delle partite aperte sul tavolo del pontificato di Giulio II. Queste partite il papa le vuole giocare in prima persona ma sa di aver comunque bisogno di collaboratori fidati e competenti e, appena eletto, sceglie due persone che lo devono affiancare nella realizzazione dei progetti che ha in mente.

     Il primo dossier aperto sul tavolo di Giulio II è quello dei “lavori da fare”, delle grandi opere da realizzare non per esaltare il potere del papa ma per mettere in risalto la potenza e la gloria della Chiesa. Una settimana dopo la sua elezione Giulio II riapre l’enorme cantiere vaticano e fa ripartire i lavori da dove suo zio Sisto IV si era interrotto nel 1484, e a questo proposito il 7 novembre 1503 nomina Donato Bramante - pittore e architetto di grande talento originario di Urbino - sovrintendente pontificio. Il papa lo incarica di realizzare una serie di grandi opere per portare Roma, città degradata, ad essere la degna capitale della cristianità. Che c’è da fare d’urgente? C’è da ingrandire e ristrutturare il Palazzo apostolico che il papa Borgia, Alessandro VI,  aveva fatto diventare il Palazzo apostolico un lussuoso appartamento privato a disposizione sua e della sua famiglia allargata: Giulio II vuole che questo alloggio sia subito smantellato perché il Palazzo deve tornare a essere la sede del governo della Chiesa e non la casa del papa.

     C’è poi da demolire la ormai vetusta anche se ricca di tesori basilica di San Pietro [di assetto troppo medioevale] per costruirne una nuova, una basilica di concezione moderna: i lavori di demolizione dell’antica basilica di San Pietro [che durano fino al 1506, quando viene posta la prima pietra della nuova basilica] hanno suscitato scandalo nei romani che hanno iniziato a chiamare Bramante col soprannome di “er Ruinante” e il far demolire la basilica che nel IV secolo aveva voluto Costantino assume un significato fortemente innovativo perché la Chiesa, secondo il pensiero di Giulio II, non vuole più essere considerata un’istituzione succube dell’Impero ma un’entità autonoma.

     C’è anche da realizzare [e viene realizzata a tempo di record] una nuova strada, la via Giulia, che seguendo il corso del Tevere, deve portare più agevolmente le persone e le merci nel cuore del Vaticano, e c’è pure da rinforzare urgentemente la struttura della Cappella Sistina perché il massiccio edificio, costruito come sappiamo sull’antica necropoli etrusca dedicata alla dea Vatika, subisce le conseguenze del continuo moto di assestamento del terreno e rischia di crollare e bisogna, quindi, che l’architetto pontificio si metta subito all’opera. Ma chi è Donato Bramante?

     Bramante è il soprannome [sinonimo dell’aggettivo “fremente”] di Donato di Pascuccio d’Antonio. Bramante non è solo uno dei più importanti architetti del Rinascimento ma è stato un eccellente pittore, un raffinato musico, un esperto matematico e un competente letterato profondo conoscitore soprattutto dell’Opera di Dante e “ogni sera, specie durante l’inverno, scrive il Vasari, leggeva e commentava [secondo l’insegnamento di Cristofaro Landino] la Divina Commedia al papa Giulio II”. Giorgio Vasari, ne Le vite, scrive: «Donato Bramante fu persona molto allegra, ebbe carattere modesto, schietto, coraggioso e si dilettò di giovare a prossimi suoi». Come architetto Bramante è stato un grande innovatore per aver associato strutture reali con giochi prospettici virtuali: è lui che ha suggerito a Raffaello la scenografia su cui sono disposti i personaggi de La Scuola di Atene, e ha discusso a lungo con Michelangelo sul tema dell’illusionismo architettonico in pittura e Michelangelo ha una grande stima di Bramante anche se lo considera suo rivale [ma Michelangelo rivaleggia con tutti].

     Bramante è nato nel 1444 a Monte Asdruvaldo, un paese vicino a Urbino [cercatelo e visitatelo utilizzando una guida delle Marche e la rete]. Si è formato e ha cominciato a lavorare presso la corte urbinate dei Montefeltro, poi si è trasferito nell’Italia settentrionale, in Lombardia, e a Bergamo, a Vigevano, a Milano rimangono molte opere di carattere bramantesco. Il suo primo capolavoro documentato è la Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano, col celebre finto coro e la cupola non meno geniale, inserita sulla croce latina in uno spazio angusto. Nel 1499, quando a Milano cade per la prima volta in disgrazia Ludovico il Moro, Bramante si trasferisce a Roma dove, per l’anno santo del 1500, riceve e realizza una serie di commissioni: in particolare il Cortile a pilastri di Santa Maria della Pace e il Tempietto di San Pietro in Montorio [voluto dai reali di Spagna per ricordare il luogo della crocifissione a testa in giù del santo] e questo oggetto [dicono le studiose e gli studiosi] è subito diventato, ed è rimasto, un modello insuperato di proporzioni, di rapporti, di leggerezza per cui sembra quasi immateriale. Nel novembre del 1503, come sappiamo, Donato Bramante viene nominato architetto pontificio da Giulio II e le prime opere che realizza in Vaticano [rimaste in parte incompiute perché c’era altro da fare] sono: il Cortile di San Damaso e poi il Cortile del Belvedere che si trasforma nel contenitore museale delle scoperte archeologiche fatte a Roma [che aveva cominciato a raccogliere Sisto IV]: questo spazio diventa l’aula di studio più importante per tutti gli artisti più famosi che vanno lì ad esercitarsi a ricopiare i resti delle opere del passato. Per il Palazzo vaticano - che deve diventare un edificio governativo - Bramante disegna degli spazi con forme nuove dai ritmi originali con grandi [ciclopiche] scalinate, molto comode da salire e da scendere. E poi il modello di pianta centrale ideata da Bramante per la basilica di San Pietro resta la concezione architettonica più grandiosa e più originale del Rinascimento: i quattro piloni e i grandi archi di raccordo, che riesce a costruire, sono considerati una di quelle arditezze tecniche che hanno condizionato la Storia dell’Architettura [Sangallo, Peruzzi, Michelangelo, Bernini hanno imparato molto da lui]. Bramante è un intellettuale che aderisce come sappiamo alla corrente pedagogica del neoplatonismo [ha studiato le Opere di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola] ed è in sintonia con Giulio II. Bramante è in sintonia anche con Michelangelo, i due si stimano molto, ma i loro rapporti sono difficili essendo Bramante il protettore di Raffaello [Bramante e Raffaello sono compaesani e sono molto uniti]: difatti, quando Bramante, a settant’anni nel gennaio del 1514, va in pensione, è Raffaello che prende il suo posto alla sovrintendenza vaticana. Tre mesi dopo [come se avesse portato a compimento una missione], Bramante muore l’11 marzo 1514.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Sull’enciclopedia, in biblioteca e sulla rete potete prendere visione delle Opere di Bramante che abbiamo citato, in particolare della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano [col celebre finto coro e la cupola], e il Tempietto di San Pietro in Montorio a Roma: anche l’occhio [oltre che l’orecchio] vuole la sua parte

     Bramante stabilisce subito buoni rapporti con il collaboratore più vicino a Giulio II [il factotum del papa]: Tommaso Inghirami detto Fedra, un personaggio che non abbiamo fatto altro che citare in questo viaggio perché è il vero e proprio “motore di ricerca” del papa. Giulio II vuole giustificare sul piano filologico ogni scelta che fa [vuole dimostrare - siccome è in continuo scontro dialettico con i membri del Sant’Uffizio - che ogni sua scelta deriva da un investimento in intelligenza] e Tommaso Inghirami, nominato dal papa il 31 ottobre 1503, il giorno stesso della sua elezione prefetto della Biblioteca vaticana, ha una capacità straordinaria per trovare ed estrapolare dalle opere dei Classici greci e latini, dai testi della Letteratura dell’Antico Testamento e dalla Letteratura dei Vangeli, da quelli della Patristica greca e latina e da quelli della Scolastica, le citazioni necessarie a legittimare le scelte pontificie, in particolare di quelle fatte in campo artistico. Chi è Tommaso Inghirami detto Fedra?

     Tommaso Inghirami è nato a Volterra prima del 1470 [intorno al 1465]  in una famiglia di commercianti che gestiscono i loro affari a Firenze e a Roma. Tommaso non entrerà nel commercio: Tommaso studia e studia con impegno già da bambino, prima a Firenze e poi nelle Accademie umanistiche attive a Roma dove la sua famiglia si trasferisce. Per le sue competenze e la sua pronta intelligenza, Tommaso viene assunto giovanissimo [già al tempo di Sisto IV e di Bartolomeo Sacchi detto il Platina] come scritturale e ordinatore nella Biblioteca apostolica [centro d’incontro degli Umanisti, ed è qui che conosce Marsilio Ficino e Pico della Mirandola e aderisce alla corrente pedagogica del neoplatonismo], ed è in questo ambiente che Tommaso Inghirami acquisisce una cultura enciclopedica che lo porta a diventare professore di eloquenza e ad insegnare nell’Accademia romana di eloquenza fino a quando, alla fine di ottobre del 1503, Giulio II lo nomina prefetto della Biblioteca vaticana utilizzando al massimo il suo grande talento di bibliofilo.

     Tommaso Inghirami ha scritto molte Orazioni [in latino], diverse raccolte di Liriche [in latino e in volgare] e soprattutto ci ha lasciato in eredità un copioso Epistolario [più di cinquecento Lettere]. La corrispondenza tra Tommaso Inghirami, Bernardo Dovizi detto il Bibbiena e Baldassar Castiglione è una preziosa miniera di notizie di prima mano che hanno permesso di fare chiarezza su molti avvenimenti e sul clima di un’epoca [l’epoca agli albori dell’Età moderna]. Lo studio della “Corrispondenza Inghirami-Dovizi-Castiglione” è durato circa un secolo [e dura tuttora] perché i testi delle Lettere, scritte in bello stile latino, non sono difficili da leggere ma non sono facili da capire perché - per trattare di certi argomenti - i corrispondenti utilizzano [a scopo precauzionale verso l’Inquisizione ma anche per dilettarsi in un sottile gioco intellettuale] una serie di codici segreti [e l’influenza della Cabala si fa sentire] che vanno decifrati per comprendere di che cosa e di chi stanno parlando [per fortuna il soprannome di Giulio II, il Terribile - scritto Trr. - è facilmente riconoscibile e questo ha permesso di riscrivere in molti punti la Storia del suo pontificato].

     È proprio Giulio II [a proposito di appellativi] che appioppa a Tommaso Inghirami il soprannome [che gli è rimasto in eterno come nome proprio] di Fedra, per due motivi. Il primo motivo è che, insieme al cardinale Dovizi di Bibbiena, Tommaso ama il teatro [scrive sceneggiature] e recita [fa parte di una compagnia di attori]: nel 1503 sta recitando la parte di Fedra [predilige le parti femminili] la protagonista della tragedia omonima di Seneca, la Phaedra [Seneca riprende la tragedia intitolata Ippolito di Euripide]. Iil secondo motivo è che la figura di Fedra [in Euripide e in Seneca] ha la caratteristica di essere una donna gelosissima [Fedra è la moglie di Teseo innamorata del figliastro Ippolito di cui è gelosissima] così come, dice Giulio II, Tommaso Inghirami è gelosissimo dei Libri della Biblioteca vaticana, e lui è effettivamente uno scrupoloso e severo custode dei Libri che non vorrebbe fossero toccati da mani che non sono le sue, neppure da quelle del papa e, quindi, Fedra preferisce leggere lui stesso i Libri che ritiene utili ai suoi interlocutori, i membri della cerchia di Giulio II, perché Fedra [ormai questo è diventato il suo nome e lui lo ha gradito e lo gradisce] è il grande manovratore della macchina culturale vaticana, è colui che fornisce i testi corrispondenti per sostenere, sul piano intellettuale, il pensiero di Giulio II, i progetti di Bramante, le opere pittoriche di Raffaello e quelle scultoree e pittoriche di Michelangelo. Fedra Inghirami conserva il titolo di prefetto della Biblioteca vaticana anche sotto il pontificato di Leone X, e lo conserverà fino alla sua morte avvenuta nel 1516. Raffaello ritrae più volte Fedra Inghirami e i maligni dicono che lo ha fatto per dimostrare quanto fosse bravo a rendere guardabile - pur senza cambiargli i connotati fisiognomici - uno così brutto come Fedra Inghirami.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un catalogo delle opere di Raffaello [che potete richiedere in biblioteca] e sulla rete trovate il ritratto di Fedra Inghirami conservato a Palazzo Pitti...

In questo ritratto Raffello sintetizza ciò che abbiamo detto e, difatti, in esso ciò che colpisce - oltre all’abito, al copricapo, al volto pacioso – sono le mani di Fedra: ci vogliono mani ben curate per toccare, per accarezzare i Libri e per tenere la penna con la dovuta leggerezza, volgendo gli occhi al cielo...

Andate ad osservare questo dipinto che è un’apologia del leggere e dello scrivere...    

     Donato Bramante e Fedra Inghirami - con fedeltà e competenza - affiancano il papa nella realizzazione dei progetti che ha in mente e affrontano con lui le varie questioni  che si presentano in relazione alle commissioni che sono state affidate.

     A noi interessa [come sappiamo] uno di questi progetti: l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina, ebbene, quali problemi emergono dal dossier che prevede la realizzazione di questo obiettivo? Ora possiamo solo fare l’elenco di questi problemi che sono temi da sviluppare strada facendo.

     Intanto a Bramante si deve il salvataggio della Cappella Sistina che stava piegandosi su un lato essendo stata costruita su terreno friabile: i lavori di restauro sono efficaci [e vedremo come procedono] però sul soffitto si è creata una grossa crepa e Bramante rimedia intervenendo con malta e mattoni, ma sulla volta stellata della cappella [sul soffitto della Cappella Sistina c’era un cielo trapunto di stelle come nelle sinagoghe ebraiche], con gran gioia di Giulio II che pensa di utilizzare quel vasto spazio per esprimere delle idee, l’affrescatura del soffitto andava rifatta.

     Giulio II, Fedra Inghirami e Bramante pensano che l’artista adatto per fare questo lavoro sia Michelangelo: ma perché Michelangelo [direte voi] se c’è Raffaello? Bella domanda, alla quale bisognerà dare una risposta.

     Ma il problema [come voi già ben sapete] è come attirare Michelangelo in Vaticano e come convincerlo a fare il pittore [in parte a questa domanda abbiamo già risposto, ma solo in parte] e, a questo proposito, il papa utilizza un’idea di carattere “funerario” che si rivela essere un machiavellico tranello, e dovremo capire come funziona.

     Se Michelangelo accetta [accettasse] la commissione [l’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina] Giulio II sa di potergli far realizzare un’opera che contiene un messaggio che anche a Michelangelo sta a cuore: l’idea che la Chiesa va riformata profondamente sia strutturalmente che culturalmente. A questo proposito, per Giulio II si pone il problema di come eludere il controllo dei membri del Sant’Uffizio che non si fidano di lui, e allora come fa Giulio II a prevenire le mosse degli inquisitori, in primis di Giovanni Rafanelli?

     A tutti questi interessanti interrogativi risponderemo strada facendo [mentre ci avviciniamo all’ingresso della Cappella Sistina], e ora dobbiamo concludere con un’altra questione. Abbiamo iniziato questo itinerario con l’istituzione del culto del Santissimo Sacramento, e questo culto ci porta al pane, il pane ci porta alla farina e la farina ci porta al grano e il grano ci porta ad una ragazza, poco più che ventenne, la quale periodicamente entra nel grande cantiere vaticano e s’intrattiene con Giulio II. Questa ragazza si chiama Felice e, probabilmente, è felice di incontrare Giuliano della Rovere perché è suo padre, dal quale ha anche ricevuto il cognome. Giuliano Della Rovere ha avuto una relazione amorosa con una signora che si chiama Lucrezia Normanni, appartenente ad una nobile famiglia romana e maritata con Bernardino De Cupis.

     Da questa relazione intorno al 1483 è nata una figlia che è stata chiamata Felice e che Giuliano, sulla scia di Petrarca, ha legalmente riconosciuto [senza coinvolgere la madre in una situazione che poteva ritorcersi contro di lei] e le ha dato il proprio cognome.

     Felice Della Rovere è una celebre donna del Rinascimento che a ventitré anni ha sposato Gian Giordano Orsini [di circa vent’anni più anziano di lei] e ha esercitato la sua influenza su questa famiglia gestendone l’economia: ha acquistato il castello di Palo, una località nel comune di Ladispoli, in provincia di Roma, nei cui possedimenti ha impiantato una fiorente coltivazione di grano fornendo la farina non solo alla curia romana ma esportandola anche in varie parti d’Italia [una donna imprenditrice, degna figlia di suo padre]. Felice Della Rovere ha avuto due figli maschi [Francesco e Girolamo] e due figlie femmine [Giulia e Clarice] che si sono accasati e accasate con le più importante famiglie dell’aristocrazia [Sanseverino, Carafa, Sforza, Borghese]. Felice Della Rovere è morta a Roma il 27 settembre 1536 [forse aveva 53 anni]. Le studiose e gli studiosi pensano che Felice Della Rovere sia stata ritratta da Raffaello nelle Stanze Vaticane nell’affresco intitolato Messa di Bolsena e sia da identificare con la donna vestita di nero inginocchiata sugli scalini nella parte sinistra del dipinto.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con un catalogo che trovate in biblioteca e navigando in rete andate a osservare l’affresco di Raffello intitolato Messa di Bolsena...  Se un particolare vi ha colpite e colpiti non tralasciate di annotarlo in funzione della biblioteca itinerante...   

     Giulio II procede dal Santissimo Sacramento al pane alla farina al grano, e sua figlia Felice procede dal grano alla farina al pane al Santissimo Sacramento.

     E noi procediamo con lo spirito utopico che lo studio porta con sé. Per questo la Scuola è qui perché “lo studio” è il pane necessario per nutrire l’Intelletto per mezzo del quale agiscono le azioni dell’Apprendimento in modo che si possa investire in intelligenza…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Marzo 3, 2017