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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA SI CONCRETIZZA L’IDEA DI RACHMANUT …

Lezione N.: 
15

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna    15 - 16 - 17   Febbraio 2017

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA

SI CONCRETIZZA L’IDEA DI RACHMANUT …

     Questo è il quindicesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e siamo sempre in attesa di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio, e, come ben sappiamo, l’attesa è dovuta al fatto che stiamo studiando l’itinerario [le forme e i contenuti] della formazione intellettuale di Michelangelo in modo da acquisire gli elementi utili per capire il significato dei suoi affreschi e delle sue opere principali. Inoltre abbiamo iniziato a studiare nelle sue linee generali la Storia del Pensiero Umano agli albori dell’età moderna e, a questo proposito, nelle scorse settimane abbiamo incontrato la figura di fra Girolamo Savonarola, un personaggio la cui predicazione ha influenzato [ha messo in crisi] tanto i maestri di Michelangelo [Marsilio Ficino, Angelo Poliziano, Pico della Mirandola] quanto l’artista stesso. L’influenza della predicazione di Savonarola, in favore di una riforma strutturale e culturale della Chiesa, l’abbiamo colta, la scorsa settimana, nell’opera commissionata a Michelangelo dal cardinale Girolamo Riario intitolata Bacco [Bacco ubriaco].

     Il Bacco di Michelangelo, secondo la forma, si presenta come se fosse un autentico capolavoro della Roma antica, e il cardinale Riario è molto soddisfatto della sua nuova statua [tutta sensualità ed erotismo] che può mostrare agli amici durante le feste che si tengono nel suo palazzo, poi però la situazione cambia a causa delle ripercussioni dovute all’impiccagione e al rogo [il 23 maggio del 1498]  di fra Girolamo Savonarola e dei suoi due compagni, e succede che tanto il papa Rodrigo Borgia quanto i cardinali cominciano a pensare che quel rogo non avrebbe portato bene: quel rogo avrebbe continuato [e tuttora continua] a bruciare cioè ad amplificare “la voce apocalittica” di fra Girolamo che condanna “il malaffare annidatosi nella Chiesa di Roma”. Il cardinale Riario, che sa leggere le metafore, si rende conto che la figura di Bacco ubriaco scolpita da Michelangelo rappresenta un’allegoria che il giovane artista fiorentino ha sapientemente messo in scena. Riario coglie la metafora dell’ubriacatura dovuta “alla fiera delle vanità”, un’ubriacatura che ha messo la Chiesa, con al vertice don Rodrigo Borgia, nella condizione di “essere sbronza”, sprovvista, come ha predicato fra Girolamo Savonarola, della necessaria sobrietà per coltivare le quattro “virtù cardinali”: la sapienza, la temperanza, la fortezza, la giustizia. Quattro virtù che - nel quadro della formazione che Michelangelo ha ricevuto a Palazzo Medici [rappresentate dal quadruplice grappolo d’uva nelle mani del giovane fauno che dietro a Bacco] - prima di essere cristiane sono neoplatoniche e, come spiega Plotino nelle Enneadi, sono collegate a quattro azioni fondamentali dell’esistenza: sapienza è studiare, temperanza è lavorare, fortezza è meditare, giustizia è concordare. Questa riflessione, unita alla consapevolezza che Savonarola è morto ingiustamente, mette in crisi il cardinale Riario [che è uomo spregiudicato ma intelligente] il quale prova imbarazzo ad avere in casa il Bacco di Michelangelo e, quindi, regala la statua a un amico di lunga data, Jacopo Galli, un competente collezionista che la sistema nel suo giardino mostrandola ai suoi ospiti come se fosse un’autentica scultura romana [le opere commissionate dal clero non potevano essere firmate dagli artisti].

     Jacopo Galli però rivela la verità riguardo alla statua di Bacco all’amico cardinale Jean de Bilhères de Lagraulas ambasciatore del re di Francia Carlo VIII presso la Santa Sede il quale, avendo constatato la bravura di Michelangelo, lo contatta privatamente [con la mediazione del Galli] per commissionargli un’opera: vuole la statua di una Pietà, un soggetto che già a quei tempi era molto affrontato nell’arte cristiana. Quello della “pietà” è un concetto che il giovane Michelangelo non vede l’ora di poter tradurre in opera scultorea [indipendentemente dal fatto che riceve una discreta somma di denaro] perché questa idea fiorisce nella sua mente in virtù degli studi condotti sotto la guida di Pico della Mirandola sul testo del Midrash e del Talmud, difatti il concetto di “pietà” è perfettamente descritto dal vocabolo ebraico “rachmanut” che esprime una gamma di sentimenti [sette sentimenti] combinati insieme: la compassione, la tenerezza, il compianto, la consolazione, l’inquietudine, il dispiacere e l’affetto. E nello schema della creazione secondo la Cabala ebraica, come abbiamo osservato a suo tempo studiando l’Heptaplus di Pico della Mirandola, il numero “sette” rimanda al “settimo giorno della creazione” in cui Dio fa “una sosta”, rispetta “una tregua” e, difatti, nel momento del dolore le attività quotidiane [l’aspetto creativo dell’esistenza] passano in secondo piano perché subentra “la tregua del rachmanut” che trova una sintesi nel termine “pietà” [A questo proposito si consiglia la lettura o la rilettura del romanzo di Primo Levi intitolato La tregua, il cui titolo originale è “Rachmanut”].

     Come tema dell’arte cristiana la denominazione di “pietà”, come ben sappiamo, corrisponde al momento della Passione in cui il corpo senza vita di Gesù è tolto dalla croce e preso in braccio dalla madre, Maria, affranta dal dolore. Questa scena ha sempre rappresentato per ogni artista una grande sfida per via della complessa immagine da ritrarre, quella del corpo riverso di un uomo adulto sorretto da una madre prostrata e non più giovane e, difatti, è successo che le molte “Pietà” che sono state scolpite dal periodo medioevale in avanti presentano tutte qualcosa di goffo e di non proporzionato. Jacopo Galli, che fa da intermediario, rassicura il cardinale francese, suo amico, che avrebbe avuto un’opera straordinaria e questa poteva sembrare un’iperbole ma il Galli, da esperto collezionista che non aveva dubbi sul talento di Michelangelo, non esagerava e le sue parole si sono rivelate profetiche.

     Michelangelo chiede al cardinale Jean de Bilhères de Lagraulas di ordinare un blocco del migliore marmo di Carrara. Si rende conto che questa commissione può rappresentare per lui una grande occasione, un’opportunità per dare una svolta alla sua carriera e, quindi, alla realizzazione della statua dedica un anno intero, impiegando mesi alla sola levigatura del corpo del Cristo per farlo “risplendere di luce divina”. Michelangelo ha ventiquattro anni quando conclude l’opera nel 1499 e questa Pietà appare subito come un capolavoro perché lo scultore è riuscito davvero a profondere in questo oggetto il significato del composito termine “rachmanut”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il vocabolo ebraico “rachmanut” esprime “sette” sentimenti combinati insieme: la compassione, la tenerezza, il compianto, la consolazione, l’inquietudine, il dispiacere, l’affetto…

Quale di questi sentimenti preferite mettere per primo, e che cosa vi fa venire in mente la parola scelta  ?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     C’era una regola, abbiamo accennato prima, che andava rispettata: nessun artista era autorizzato a firmare le opere che eseguiva per il clero, e in teoria lo scopo era quello di mantenere gli artisti al loro posto e proteggerli dal peccato di superbia, sebbene i papi e i cardinali non trovassero niente di male - a proposito di superbia - nel fare in modo che i loro nomi, le loro immagini e i loro blasoni apparissero in tutta evidenza sulle stesse opere. E a Michelangelo - proprio per il fatto di aver profuso per più di un anno tutta la sua passione, la sua energia e il suo talento per realizzate la Pietà - dà molto fastidio non poter firmare la sua opera.

     E poi nel corso della realizzazione c’è anche un intoppo di non poco conto: prima ancora di essere presentata pubblicamente, la statua cambia proprietario perché il cardinale Jean de Bilhères de Lagraulas muore prima che la Pietà sia terminata. Nella relazione sulla morte del cardinale Jean de Bilhères de Lagraulas si legge che questa è avvenuta per cause naturali ma non ci ha mai creduto nessuno nel momento in cui il veleno dei Borgia è diventato uno strumento di gestione del potere; i beni del cardinale francese vengono ereditati dalla Santa Sede e la Pietà diventa di proprietà dello stesso papa Alessandro VI [don Rodrigo Borgia] che se ne appropria facendo intendere che il suo era un atto con il quale voleva dimostrare un profondo rincrescimento per la morte di uno dei suoi numerosi figli illegittimi, il duca di Gandia, che era stato assassinato di recente: uno dei pochi figli illegittimi che don Rodrigo aveva riconosciuto e al quale era particolarmente affezionato. Come voi ben sapete, i figli legittimi di papa Borgia sono quelli nati dalla sua stabile relazione con Vannozza Catanei [Giovanni, Cesare, Jofri e Lucrezia]. Ma torniamo ad occuparci della statua.

     Il giorno in cui la Pietà viene presentata al pubblico, Michelangelo - a causa della regola per cui nessun artista era autorizzato a firmare le opere che eseguiva per il clero - non potendo comparire, si nasconde dietro una colonna della basilica di San Pietro da dove assiste all’applauso dei presenti e da dove sente l’elogio dei critici i quali ipotizzano che questo capolavoro doveva essere opera di un grande artista romano o lombardo. Al che il fiorentino Michelangelo s’indigna e quella stessa notte rischia la vita tornando di nascosto nella basilica, arrampicandosi sul suo capolavoro e incidendo rapidamente sulla fascia che attraversa la veste della Madonna la scritta: «Michela[n]gelus Bonarotus Floren[tinus] Faciebat». Poi si dilegua senza imbattersi nella ronda delle guardie svizzere, che probabilmente, se lo avessero preso, lo avrebbero ucciso sul posto. Con poco tempo a disposizione Michelangelo ha realizzato l’iscrizione in fretta, con mano nervosa e tremante [rischiava grosso] e, di conseguenza, commette diversi errori [e c’è da capirlo] dei quali si accorge rileggendo l’iscrizione: per esempio, invece di MICHELANGELUS incide MICHELAGLUS [dimenticando la N e la E] che corregge aggiungendo solo la E dentro la G, mentre la N non sa dove metterla; ma ciò che colpisce di più è il fatto che avrebbe potuto risparmiare spazio e tempo incidendo FECIT, che è la dicitura più corretta, rispetto al molto insolito e un po’ cacofonico FACIEBAT e, a questo proposito, sappiamo che la sua conoscenza del latino era appena sufficiente [preferiva l’ebraico; forse perché era più difficile?].Quando l’iscrizione viene scoperta Michelangelo è già sparito dalla circolazione, nascosto non sappiamo dove [ma ha già deciso di lasciare Roma per tornare a Firenze].

     Alla sua presentazione la Pietà viene considerata la più bella scultura in marmo che sia mai stata eseguita, ma i critici, osservandola, ritengono che nel volto di Maria ci sia qualcosa di sbagliato perché sembra di gran lunga troppo giovane per una donna con un figlio di trentatré anni. Secondo gli storici cristiani, primo fra tutti Eusebio di Cesarea, al tempo della crocifissione di Gesù, la Madonna doveva avere circa cinquant’anni e, infatti, nelle altre raffigurazioni della Passione Maria dimostra più o meno questa età. Ma l’operazione compiuta da Michelangelo è prettamente di natura letteraria: si è ispirato ai versi del Canto XXXIII del Paradiso della Divina Commedia in cui Dante definisce la Vergine Maria «figlia del tuo figlio» e poi si è ispirato al Midrash ebraico. Michelangelo conosce bene, per merito di Cristoforo Landino, l’Opera di Dante e conosce altrettanto bene, per merito di Marsilio Ficino e soprattutto di Pico della Mirandola, la Letteratura del Midrash, del Talmud e della Cabala, quindi, non c’è nulla di misterioso nella rappresentazione che dà della figura di Maria.

     In proposito, è d’obbligo fare una realistica verifica filologica, ma prima di fare questo esercizio [in funzione della didattica della lettura e della scrittura] c’è da segnalare ancora un elemento che è emerso nel 1973 quando uno squilibrato [nel 1972, e certamente ve ne ricordate] ha assalito la statua danneggiando il braccio sinistro, una palpebra e il naso di Maria. Durante il restauro, al quale hanno partecipato i migliori specialisti [e questo lavoro è stato filmato in un documentario che potete vedere sulla rete], i restauratori si sono accorti che Michelangelo ha nascosto una M maiuscola [l’iniziale del suo nome?] nel palmo sinistro di Maria, mimetizzandola nei solchi della mano: ancor prima di firmare di nascosto l’opera rischiando la vita, aveva voluto lasciare un segno per dimostrare che era lui l’autore di quest’opera? E chi lo sa?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su un catalogo che trovate in biblioteca o che avete in casa e navigando in rete osservate la Pietà di Michelangelo che si trova nella prima cappella della navata destra della basilica di San Pietro...

     Non c’è nulla di misterioso nel fatto che l’immagine di Maria, scolpita da Michelangelo nella Pietà, risulti essere troppo giovane per una donna con un figlio di trentatré anni, difatti, l’operazione compiuta da Michelangelo è prettamente di natura letteraria: si è ispirato ai versi del Canto XXXIII del Paradiso della Divina Commedia di Dante e poi si è ispirato al Midrash ebraico restando fedele all’idea dei suoi maestri, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, che coltivano un pensiero di carattere interculturale - con il cristianesimo e l’ebraismo in continuo dialogo tra loro - secondo una visione universalistica della dottrina.

     Ma dobbiamo procedere con ordine facendo innanzitutto un’incursione sul testo della Divina Commedia che per tutto il Rinascimento [e per Michelangelo in particolare] è stata un’opera di riferimento. Michelangelo, nello scolpire la figura di Maria nella Pietà, pensa ai versi del Canto XXXIII del Paradiso della Divina Commedia di Dante, l’ultimo Canto della terza Cantica e, quindi, l’ultimo Canto dell’intero poema. Sappiamo [perché abbiamo già studiato a suo tempo questo tema in un altro contesto] che il protagonista principale degli ultimi tre Canti della Divina Commedia [il XXXI, il XXXII e il XXXIII del Paradiso] è Bernardo di Clairveaux [San Bernardo] del quale tanto Dante quanto Michelangelo conoscono le Opere.

     Dante Alighieri e Michelangelo Buonarroti conoscono bene [e non sono i soli] un’opera di Bernardo di Clairveaux [San Bernardo] - redatta nel 1125 - che ha avuto successo tanto all’epoca della Scolastica medioevale quanto in Età rinascimentale e che s’intitola De gradibus humilitatis et superbiae [I gradi dell’umiltà e della superbia]. Quest’opera è un commento al capitolo 7 della Regola benedettina [scritta nel 593-594 da papa Gregorio Magno nel secondo Libro dei suoi Dialoghi] dove si parla della “umiltà” come disciplina che favorisce la “conoscenza” [più si è umili e più si è in grado di conoscere] e, quindi, Bernardo riflette [e fa riflettere] sui tre gradi che secondo lui portano alla conoscenza della Verità: il primo grado è “la conoscenza di sé guidata dalla ragione”, il secondo grado è “la comprensione del prossimo guidata dall’affetto e dalla compassione” e il terzo grado è “la conoscenza della verità in sé nell’estasi mistica” [e Bernardo, in proposito, ha studiato con grande interesse le Enneadi di Plotino]. In quest’opera, I gradi dell’umiltà e della superbia”, Bernardo mette in evidenza che l’unica “storia reale” è quella “sacra”, rievocata ogni giorno nelle celebrazioni liturgiche durante le quali si può seguire un tirocinio di perfezione che va dalla conoscenza di sé alla perfetta unione con Dio fino a “perdersi nella Santità divina [nell’estasi] come una goccia d’acqua nel vino”. La passione mistica di Bernardo invita ad andare “dove porta il cuore” e questo fatto sposta l’asse dell’itinerario contemplativo dalla ragione al sentimento e, non a caso, Bernardo è il massimo creatore di “devozioni” [e le devozioni hanno una forte carica sentimentale] nei confronti delle figure che sono protagoniste nei Vangeli a cominciare dalla devozione per la “vergine Maria”, e di questo fatto ne tiene conto Dante e, sulla scia di Dante, ne tiene conto Michelangelo.

     Dante colloca San Bernardo negli ultimi tre Canti della Divina Commedia [il XXXI, il XXXII e il XXXIII del Paradiso] e Michelangelo [così come i suoi maestri: Cristoforo Landino, Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola] conosce a memoria questi Canti. Dante incontra San Bernardo nell’Empireo [il cielo di Dio] dove la schiera dei beati si presenta al poeta sotto forma di una candida rosa - qui Dante dice addio a Beatrice che sorridente va a riprendere il suo posto nel terzo giro - e lui rimane muto per lo stupore: è in estasi, così come prescrive il terzo grado della conoscenza secondo il pensiero di Bernardo. San Bernardo spiega a Dante l’importanza della Grazia e poi lo invita a fissare gli occhi di Maria mentre lui, Bernardo, con la tacita partecipazione di Beatrice e di tutti i beati che congiungono le mani, recita la famosa Orazione alla Vergine perché interceda in favore del poeta in modo che Dante “possa levarsi all’ultima salute”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Leggete o rileggete i primi 39 versi del XXXIII canto del Paradiso che contengono la Orazione alla Vergine di San Bernardo... Nella vostra biblioteca domestica c’è di sicuro la Divina Commedia e, quindi, potete fare questo esercizio che è propedeutico per comprendere il significato che Michelangelo ha voluto dare alla figura di Maria nella Pietà ...

     E adesso leggiamo i primi dodici versi della Orazione alla Vergine di San Bernardo e poi voi potete rileggerli [continuando fino al 39° verso dove termina l’Orazione] confrontandoli pazientemente con le note esplicative che mai non mancano nei volumi della Divina Commedia [e la pazienza - virtù esaltata anche da Dante - è una dote che non deve mai mancare alla persona che studia]. Il primo verso descrive in modo esaustivo la figura di Maria come l’ha scolpita Michelangelo: una ragazza giovane perché è “madre di Dio e insieme è figlia di Lui”.

LEGERE MULTUM….

Dante Alighieri, Paradiso  XXXIII, 1-12

«Vergine madre, figlia del tuo Figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che il tuo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore

per lo cui caldo nell’etterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui [in Paradiso] sei a noi meridïana face

di caritate; e giuso [sulla Terra], intra i mortali,

se’ di speranza fontana vivace …» …

     Proseguite per conto vostro nella lettura dei trentanove versi di cui si compone l’Orazione alla Vergine di San Bernardo, è inutile dire che questo è uno dei punti in cui la sapienza poetica di Dante raggiunge i vertici [Michelangelo ne è affascinato].

     Poi Michelangelo, per dare forma alla figura di Maria nella Pietà, s’ispira anche al Midrash ebraico: c’è, difatti, nel Libro della Genesi un elemento filologico che dà linfa alla sua ispirazione, un elemento che conosce in virtù della sua formazione  orientata verso una dottrina di carattere universalistico secondo l’insegnamento ricevuto da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.

     Michelangelo - in virtù della conoscenza della cultura ebraica studiata in particolar modo con Pico della Mirandola - è cosciente del fatto che nella statua della Pietà sta raffigurando non solo “la  vergine e madre cristiana” ma anche “una madre ebrea” perché Maria di Nazareth è una ragazza ebrea. E le ragazze ebree come Maria s’ispiravano alla figura di Sara, la matriarca degli ebrei, la moglie di Abramo con il quale Dio stipula un patto [la seconda berit, il primo patto Dio lo aveva stipulato con Noè], ma questa alleanza Dio la stringe anche con Sara perché senza di lei la discendenza di Abramo non sarebbe potuta essere  “numerosa come le stelle del cielo e come i granelli di sabbia del mare”.

     Sara partorisce Isacco a novant’anni compiuti [e il nome Isacco significa “Dio mi ha dato la gioia di ridere”] e sappiamo - leggendo i primi 15 versetti del capitolo 18 del Libro della Genesi [andate a leggerli o a rileggerli] - che a Sara scappa da ridere quando, dalla tenda dove sta preparando da mangiare per gli ospiti, sente il Signore, travestito da viandante e accompagnato da due angeli [anch’essi sotto mentite spoglie, tuttavia Abramo ha accolto questi tre uomini sconosciuti con grande ospitalità nel suo accampamento presso le querce di Mamre, davanti a Ebron], comunicare al centenario Abramo che lei, novantenne, partorirà un figlio; subito dopo il Signore rimprovera categoricamente Sara per il fatto che lei abbia riso [«Come ti sei permessa di ridere?» dice il Signore «Non credi che tutto sia possibile al Signore?»] e lei, di conseguenza, un po’ impaurita, nega di averlo fatto ma in realtà ha riso veramente perché dubita delle capacità amatorie del marito [«Come posso mettermi a far l’amore con un vecchio ormai incapace di procreare?» dice Sara nel testo originale ebraico] mentre lei - secondo i maestri della Cabala e gli esegeti del Talmud - pur avendo novant’anni «ha riso come se fosse una ragazza » [e bisogna tener conto che la metafora “ridere insieme” anche nella tradizione ebraica significa “fare l’amore”]. Allora come hanno interpretato i maestri della Cabala e gli esegeti del Talmud questo testo?

     Dobbiamo prendere atto che il racconto cerimoniale [il midrash, il genere letterario con il quale sono stati scritti i Libri della Letteratura dell’Antico Testamento] utilizza “i numeri” con una valenza allegorica [e il metodo interpretativo della Cabala ne fa tesoro] e quando gli scrivani del Libro della Genesi, nel primo versetto del capitolo 23, annunciano la morte di Sara fanno un significativo uso simbolico dei numeri, e scrivono: «La vita di Sara fu cento anni e vent’anni e sette anni, gli anni della vita di Sara» che significa [secondo la sintassi di carattere cerimoniale della lingua ebraica] qualche cosa di più del fatto che Sara abbia vissuto centoventisette anni [il testo di questo versetto tradotto nelle lingue moderne perde le caratteristiche del genere del midrash e fa semplicemente la somma dei numeri: illustra una quantità senza tener conto della qualità simbolica dei numeri]. Difatti, tanto i maestri della Cabala quanto gli esegeti del Talmud [soprattutto il grande commentatore del Talmud di Babilonia vissuto in Francia nell’XI secolo, il rabbi Shelomo Ben Yishaq detto Rashi, la cui opera esegetica era ben conosciuta in età rinascimentale perché è stata tradotta e insegnata da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola], interpretano questa perifrasi [«La vita di Sara fu cento anni e vent’anni e sette anni, gli anni della vita di Sara», contenuta nel primo versetto del capitolo 23 del Libro della Genesi] con queste parole: «A sette anni Sara era spiritualmente e intellettualmente matura come una donna di vent’anni, e a cento era ancora così integra nello spirito da apparire giovane come una ventenne ed è per questo che a novant’anni ha potuto generare Isacco».

     Michelangelo - che ha assistito alle Lezioni di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola sul pensiero interpretativo di Rashi - ha utilizzato questo midrash che interpreta ed espone i caratteri della figura di Sara per farli risaltare nel corpo e nel viso di Maria di Nazareth: la ragazza ebrea che è diventata la Madonna cristiana. Maria, pensa Michelangelo, prova un grandissimo dolore ma ha fede e crede che Gesù risorgerà, è convinta che Gesù rinascerà e, quindi, il suo aspetto, di giovane ragazza, non può che essere lo stesso di quando, trentatré anni prima, lo ha dato alla luce. La bellezza della figura di Maria nella Pietà, oltre a derivare dalla tecnica del giovane scultore, nasce dalla sua capacità di investire in intelligenza [dovuta allo studio].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Leggete o rileggete il testo del capitolo 23 del Libro della Genesi che racconta la morte e la sepoltura di Sara, e anche la trattativa con gli Ittiti da parte di Abramo per acquistare un campo e una grotta [dove Sarah viene sepolta] a Ebron, nella terra di Canaan: il primo lembo della terra promessa accoglie il corpo di Sara [che è l’autentica “patriarca”]...

     A Michelangelo non piace che la sua opera, la Pietà [l’unica opera che porta la sua firma rocambolescamente impressa], vada in mano di un papa simoniaco e scostumato, diventi proprietà del maggior responsabile dell’uccisione di Savonarola  e del cultore di un’idea secondo cui la Chiesa di Roma deve diventare un Impero sotto il controllo della famiglia Borgia.  Michelangelo - che ha già deciso di lasciare Roma per tornare a Firenze - sa che l’ultima parola pronunciata da fra Girolamo Savonarola prima di salire sul patibolo è il termine “misericordia”, un concetto che si identifica con il vocabolo ebraico “rachmanut” che esprime una gamma di sentimenti combinati insieme: la compassione, la tenerezza, il compianto, la consolazione, l’inquietudine, il dispiacere e l’affetto, ed è con questa consapevolezza che fra Girolamo, rivolto ai due commissari papali, dice: «Voi credete che esista il dio del massacro, io credo nell’unico Dio che esiste, il Dio della misericordia». Il priore di San Marco, da dotto esegeta, estrapola questa affermazione dal Libro dell’Esodo dove si legge: «Non sono il dio degli eserciti, non sono il dio del massacro ma sono il Dio dell’alleanza [della berit] perché ho avuto misericordia di voi». Si sa che risulta molto più facile far esistere “il dio del massacro” piuttosto che il Dio della misericordia.

     E, come sapete, Il dio del massacro è il titolo di un testo teatrale [scritto nel 2006] dalla scrittrice francese [di padre iraniano e madre ungherese] Yasmina Reza che abbiamo cominciato a leggere la scorsa settimana. Come sapete, Il dio del massacro è una commedia [o un dramma] ambientata in un salotto dove due coppie di genitori [quarantenni] s’incontrano per poter risolvere, da persone adulte e civili [quali essi ritengono di essere] una questione: la lite, non proprio indolore, scoppiata ai giardinetti tra i rispettivi figli, nella quale uno dei due [Bruno], il figlio dei padroni di casa, ha avuto la peggio rispetto al figlio degli ospiti [Ferdinand. L’incontro tra queste quattro persone è fatto di convenevoli e di buone maniere [come abbiamo letto la scorsa settimana nell’incipit] poi, con il procedere della conversazione, vediamo sgretolarsi a poco a poco le maschere di benevolenza, di buona creanza, di correttezza politica, di apertura mentale, di dirittura morale che i protagonisti si sforzavano di sfoggiare.

     L’autrice, con una buona dose di cinismo e senza moralismi, costruisce un vivace psicodramma usando un linguaggio volutamente leggero fatto di luoghi comuni e di battute [che risultano quasi sempre di pessimo gusto perché pronunciate piuttosto fuori luogo] che innescano un meccanismo di comicità involontaria e che raggiungono lo scopo di amplificare la ferocia che progressivamente va emergendo per cui l’incontro, invece di essere l’occasione per risolvere civilmente la situazione, diventa una sorta di resa dei conti, e sotto quelle maschere di finta tolleranza vediamo apparire il ghigno del nume efferato e oscuro che ci governa fin dalla notte dei tempi: il dio del massacro.

     Dopo una sommaria presentazione e una serie di convenevoli, Michel, il padre padrone di casa [che di lavoro fa il grossista di articoli casalinghi], pronuncia la fatidica frase: “Possiamo offrirvi qualcosa? Caffè, tè …”. E Alain [il padre ospite, che di lavoro fa l’avvocato e usa spesso il cellulare] dichiara di prendere volentieri un caffè, mentre Annette [la madre ospite che è consulente patrimoniale] gradisce un bicchiere d’acqua e, quindi, Véronique [la madre padrona di casa, che fa la scrittrice e s’interessa di problematiche africane] esce dalla stanza per andare in cucina a preparare le bevande e quel che resta di una crostata che, secondo suo marito Michel, lei sa fare benissimo [speravamo ne toccasse una fettina anche a noi, ma non è così: Alain, l’avvocato, è troppo affamato].

LEGERE MULTUM….

Yasmina Reza, Il dio del massacro

MICHEL  La crostata la dovete assaggiare. Mica è facile fare una buona crostata.

ANNETTE  È vero.

ALAIN  Che cosa vende lei?

MICHEL   Ferramenta e casalinghi. Serrature, maniglie, metallo per saldature, e anche pentole, tegami, padelle    ALAIN  E se la cava con i tempi che corrono?

MICHEL  Be’, sa, gli anni dell’euforia noi non li abbiamo vissuti, quando abbiamo cominciato era già dura. Di chi è la colpa della crisi? Come si dice: colui che sorride quando le cose vanno male ha pensato a qualcuno cui dare la colpa ma io se esco di casa ogni mattina con la mia borsa e il mio catalogo, me la cavo. Non è come nel tessile, non dipendiamo dalle stagioni Bisogna essere pratici e dinamici, mi sono sempre chiesto: ma chi va in giro oggi a costruire quadrati sull’ipotenusa?

ALAIN Già                                                                                                                               

... continua la lettura ...

     Siamo piacevolmente sorprese e sorpresi dal tono di questa affermazione: «Forse sbagliamo [dice Véronique], ma crediamo al potere pacificante della cultura!». E saranno i personaggi del testo teatrale che stiamo leggendo all’altezza di questa affermazione? Michelangelo sul potere pacificante della cultura non ha dubbi.

     Michelangelo, con la scusa di aver ricevuto una commessa a Siena [dove si fermerà poco tempo] e dopo aver firmato clandestinamente la Pietà, lascia Roma e torna a Firenze [mentre inizia il ‘500]. I Borgia [il papa don Roderigo e suo figlio Cesare, il braccio armato della famiglia] hanno deciso di conquistare l’intera Italia a cominciare da quella centrale [la Chiesa deve diventare l’Impero dei Borgia, un progetto al quale si sta opponendo decisamente anche il cardinale Giuliano Della Rovere che è costretto a vivere in clandestinità] e i Borgia non esitano a eliminare ogni rivale, e uno come Michelangelo, che si definisce “fiorentino” [quindi per antonomasia critico nei confronti del papato], correva un grave pericolo. A Firenze, dopo il rogo di Savonarola, la fuga dei Medici e l’allontanamento del re di Francia [Carlo VIII, contrastato dal gonfaloniere Pier Capponi], si ricostituisce la Repubblica mediante un compromesso tra la borghesia e l’aristocrazia.

     Nell’estate del 1501 il Consiglio della Repubblica fiorentina decide [per celebrare la nuova istituzione] di collocare nella parte superiore del Duomo due nuove sculture di grandi dimensioni che devono simbolicamente vigilare sulla città. La scelta dei soggetti da raffigurare, Ercole e David, va decisamente in una direzione neoplatonica: sono due figure non appartenenti al repertorio cristiano. L’Ercole avrebbe dovuto essere raffigurato nell’atto di sconfiggere il gigante Caco, mentre il David doveva essere raffigurato nella tipica posa del giovane eroe con la testa mozzata di Golia ai piedi. Per realizzare l’Ercole verrà scelto [a distanza di quindici anni] lo scultore Baccio Bandinelli [1488-1560], un artista fiorentino dotato di una grande tecnica, e la statua di Ercole che sconfigge il gigante Caco è come sapete, a tutt’oggi [dal 1534], in Piazza della Signoria.

     Il gonfaloniere [come dire il sindaco] della Repubblica è Piero Soderini, un vecchio amico di Michelangelo che gli affida [Michelangelo è appena rientrato in città da Siena dove ha svolto una commissione] l’incarico per realizzare il David perché Soderini sa che Michelangelo si è formato sulla cultura ebraica alla Scuola di Pico della Mirandola. A Baccio Bandinelli verrà fornito a suo tempo un blocco di marmo nuovo, mentre Michelangelo a sorpresa chiede un pezzo di marmo già usato, un blocco molto grosso ma di scarso spessore, già parecchio inciso in vari punti da altri scultori che avevano invano cercato di utilizzarlo: a Michelangelo le cose facili non piacciono e i più dubitano che sarà in grado di realizzare un’opera di valore usando questo vecchio rudere. Michelangelo, però [secondo il pensiero neoplatonico], sente che in questo blocco c’è una figura da liberare [che sta aspettando proprio lui] e comincia a lavorare facendo il falegname, montando un alto ponteggio attorno al marmo che poi circonda con pesanti drappi [Michelangelo non vuole che si veda quel che fa] e, quindi, si mette all’opera. Sul quaderno dove esegue gli schizzi preparatori Michelangelo scrive un frammento poetico accanto al disegno del robusto braccio destro del David.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Se fate un giro attorno alla chiesa di Orsanmichele - anche navigando in rete - potete osservare le statue poste nelle nicchie che ne ornano le pareti, e potrete notare che, per la posizione delle braccia del David, Michelangelo – avendo seguito, anni prima, le Lezioni di Bertoldo di Giovanni - ha preso degli utili spunti…

     Ebbene, che cosa scrive  Michelangelo sul suo quaderno accanto allo schizzo del braccio destro del David? Leggiamo il testo di questo frammento: «Davide cholla fromba / E io chollarcho - Michelagniolo / Rocte lalta colonna el ver …»  Appare chiaro che, come fa spesso,  Michelangelo usa una sorta di codice enigmatico [sibillino] per cui è necessario tradurre le sue parole in lingua corrente: «Davide con la fionda / E io con l’arco - Michelangelo / Rotta è l’alta colonna e il ver[de]…». E, dopo la traduzione, per capire occorre fare l’esegesi di questi versi: il fatto che David avrà in mano la fionda [Davide cholla fromba] lo si capisce bene, mentre ci si domanda che cosa voglia dire che Michelangelo avrà in mano l’arco [E io chollarcho], e inoltre bisogna chiedersi perché alla fine ricalca un celebre verso di Francesco Petrarca [Michelangelo conosce bene il Canzoniere di Petrarca (e anche voi conoscete quest’opera)].

     Michelangelo riprende il verso con cui inizia il Sonetto 227 del Canzoniere: «Rotta è l’alta colonna e ‘l verde lauro» in cui Petrarca esprime il suo dolore per la morte dell’amico Giovanni Colonna e dell’amata Laura. Ma perché Michelangelo cita, in chiave allegorica, un simile verso in questo frangente, e che cosa ha in comune il David con il lutto del Petrarca per la morte dell’amico e dell’amata? La chiave sta nel verbo “rompere”. Chi lavora il marmo nel Rinascimento fa uso di una specie di trapano per realizzare gli occhi delle statue e altri piccoli fori nella pietra, e questo attrezzo consiste in un’asta sottile e appuntita che penetra nel materiale grazie a un arco a corda che fa ruotare ad alta velocità la punta [che incide]. Con questo attrezzo Michelangelo realizza il famoso sguardo del David e, quindi, vuole affermare che come David è riuscito a sconfiggere il nemico armato solo di una fionda, così lui avrebbe superato ogni avversario con il suo talento nell’uso dell’arco. La «alta colonna» [del verso petrarchesco] diventa l’alto, e tutt’altro che nuovo, blocco di marmo che tutti gli altri scultori non erano riusciti a domare [ma che si era dimostrato amico all’occhio di Michelangelo], e Michelangelo, di conseguenza, avrebbe dimostrato a tutti il suo valore «rompendo » [domando e modellando con amore, con passione] la grossa pietra [Rotta è l’alta colonna…] e avrebbe conquistato il verde alloro [la Laurea] della vittoria [Rotta è l’alta colonna e il ver[de]…]. E, anche se lascia in sospeso il verso [per modestia?] si capisce dove vuole arrivare. E, difatti, Michelangelo trionfa, e la statua che realizza è un capolavoro perché, prima di tutto, costituisce una rottura rispetto al passato [e Michelangelo ha potuto scrivere, metaforicamente, «Rotta è l’alta colonna…» attingendo al Canzoniere sapendo che anche l’opera del Petrarca ha rotto con la tradizionale poetica medioevale], e il David rappresenta la rottura nei confronti di tutto l’immaginario tradizionale per il fatto che, invece di rappresentare il giovane pastore nel momento della vittoria su Golia, lo raffigura nel momento “della decisione che sta prendendo, nell’atto della riflessione” e il suo sguardo è, al tempo stesso, espressione di preoccupazione e di fermezza. A parte la fionda e qualche pietra, è nudo e disarmato, ma viene colto nell’attimo esatto in cui la sua fede in Dio lo sta conducendo verso uno scontro che cambierà per sempre la sua vita e quella del suo popolo, e viene rappresentato nell’atto di girarsi verso l’avversario, e questa mossa permette a Michelangelo, studioso di anatomia, di celebrare la bellezza e la perfezione del corpo umano nudo.

     La domanda poi che sorge spontanea, visto che Michelangelo conosce la cultura ebraica, è come mai l’ebreo Davide non è circonciso? Michelangelo non si espone dato che, in città, non tutti i governanti, in particolare gli aristocratici, amano gli ebrei e non vuole essere accusato di un reato chiamato “giudaizzazione” [propagandare la fede e le tradizioni ebraiche], un reato duramente punito dall’Inquisizione. Le autorità gli hanno commissionato il David come simbolo della città di Firenze e non della comunità ebraica che vive prudentemente molto defilata in città. La statua è stata realizzata per essere collocata in alto, sulla facciata del Duomo e rivolta verso Roma perché il papa [novello Golia] non doveva pensare di poter minacciare la libertà di Firenze, ed ecco la ragione per cui le mani, i piedi e la testa del David appaiono più grandi del normale: per comunicare un’idea di forza, specialmente guardando la scultura da terra. Gli occhi del David sono scavati molto in profondità e distanti tra loro per cui risulta leggermente strabico, ed è un abile stratagemma per dare l’impressione che il suo sguardo sia rivolto all’infinito e questa è la caratteristica predominante di questo capolavoro: lo sguardo del David è la metafora dell’Umanesimo rinascimentale, uno sguardo capace di “guardare oltre”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Tutte noi e tutti noi non facciamo altro che vedere il David di Michelangelo raffigurato in continuazione, ebbene, osserviamolo ora tenendo conto delle riflessioni che abbiamo fatto…

     Nel 1504 quando l’opera è stata portata a termine le autorità cittadine decidono che il David è troppo bello per essere collocato sul Duomo come un semplice ornamento, e viene nominata una commissione per trovare un posto degno del nuovo simbolo di Firenze: la commissione [uno dei cui membri si chiama Leonardo da Vinci] decide che la statua sia collocata su un piedistallo davanti al Palazzo della Signoria, dove si trova tuttora una sua copia perché l’originale, come sapete, è alla Galleria dell’Accademia.

     Giorgio Vasari, nelle Vite, ci racconta un aneddoto che tutte e tutti conoscete: quando Michelangelo conclude l’opera il gonfaloniere Piero Sederini la va ad ammirare in anteprima e, volendo fare il saputo, dice che il naso di David appariva un po’ troppo grosso [forse intendeva dire che sembrava troppo ebreo e in Consiglio c’era una corrente antisemita]. Con calma Michelangelo afferra il mazzuolo e lo scalpello e sale fino al volto della statua, ma mentre sale, senza farsene accorgere, raccoglie un po’ di polvere di marmo, poi, avvicinandosi al naso del David fa rumore con lo scalpello e il mazzuolo senza neanche sfiorare la superficie del marmo ma facendo cadere un po’ di polvere sulla testa del gonfaloniere, e a questo punto Soderini dichiara appagato: «Ora sì che l’è ben fatto, ora sì che tu gli ha’ dato vita!». Michelangelo quando racconta [la sera medesima] il fatto agli amici [alquanto meravigliati che il gonfaloniere non si sia accorto che era lo stesso naso] aggiunge qualcosa che ha detto Machiavelli per prendere in giro la dabbenaggine di Soderini: «Vu’ lo sapete [dice Michelangelo] che Soderini si vanta c’avrebbe imparato a scrivere prima d’imparare a leggere. E, per cui, ogni volta che scrive un decreto deve dimandare a qualcuno: tu mi sa’ dire icché ho scritto?».

     Ebbene, Michelangelo è di buon umore [uno dei pochi periodi felici della sua vita] tanto che accetta di realizzare qualcosa che non ama fare: un dipinto.

     Ma intanto [quasi un anno prima] il 31 ottobre 1503 era stato eletto papa [il cardinale Giuliano Della Rovere] Giulio II: come incide questo fatto sulla vita di Michelangelo? Per rispondere bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé. E poi, non a caso, abbiamo citato Niccolò Machiavelli, che incontreremo prossimamente.

     Per Machiavelli il fine giustifica il mezzo, e il fine è l’investimento in intelligenza e il mezzo è lo studio! E, infatti, se il fine giustifica il mezzo: non bisogna mai perdere la volontà d’imparare.

     Per questo la Scuola è qui e il viaggio continua…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Febbraio 17, 2017