Autorizzazione all'uso dei cookies

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ TARDO-ANTICA LA PATRISTICA APOLOGETICA PROMUOVE L’IDEA TRINITARIA E L’IDEA CHE SI DEBBA CREDERE PERCHÉ È ASSURDO [CREDO QUIA ABSURDUM] ...

Lezione N.: 
25

Prof. Giuseppe Nibbi  La sapienza poetica e filosofica dell’età tardo-antica  15-16-17maggio  2013

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ TARDO-ANTICA

LA PATRISTICA APOLOGETICA PROMUOVE L’IDEA TRINITARIA

E L’IDEA CHE SI DEBBA CREDERE PERCHÉ È ASSURDO [CREDO QUIA ABSURDUM] ...

     Stiamo per percorrere il venticinquesimo itinerario: il terzultimo di questo viaggio sul territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo-antica”. Nell’itinerario della scorsa settimana abbiamo studiato la nascita e lo sviluppo della corrente filosofica neoplatonica frequentando insieme a Plotino di Licapoli [dalla primavera del 233] la Scuola di strada di Ammonio Sacca ad Alessandria.

     La nascita e lo sviluppo del Neoplatonismo è – sotto il profilo filosofico – l’evento più importante dell’Età tardo-antica. Incontrando Plotino abbiamo potuto conoscere le linee fondamentali del programma educativo neoplatonico [un programma che condiziona il pensiero dell’Età medioevale e rinascimentale, difatti, la figura del “nobile vecchio” ne La Scuola di Atene di Raffaello - che, sul piano prospettico, sovrasta tutti gli altri personaggi - rappresenta Plotino]: il programma educativo neoplatonico emerge dall’opera [una delle opere più importanti della Storia del Pensiero Umano] intitolata Enneadi formata dai 54 trattati scritti da Plotino e raccolti, per argomenti, dal suo allievo diretto Porfirio di Tiro [del quale parleremo ancora].

     Il programma scolastico neoplatonico fornisce le parole-chiave che costituiranno la base ideale delle moderne Carte dei diritti e dei doveri [delle moderne Costituzioni], il programma scolastico neoplatonico di Plotino propone di educare la persona [in quanto Uno, Intelletto e Anima] perché impari a coltivare quattro “virtù cardinali”: la sapienza, la temperanza, la fortezza e la giustizia. Perché a queste virtù corrispondono quattro azioni fondamentali della nostra vita: studiare [per favorire la cura dell’intelletto], lavorare [per acquisire il necessario per vivere una vita frugale e sobria], meditare [per fortificare la volontà] e patteggiare [per formulare regole condivise adatte alla realizzazione del bene comune]. Inoltre la Scuola di Plotino insegna a percorrere tre vie: la via della musica [per dare armonia alla vita], la via dell’amore solidale [per creare fratellanza nel mondo] e la via della filosofia [l’esercizio di trascendere la materia per imparare a contemplare l’essenza ideale delle cose in modo da valutarne e gustarne la qualità]. Con le Enneadi di Plotino ha inizio la straordinaria parabola del pensiero neoplatonico, un modello che ha aperto la via a tante esperienze intellettuali, prima fra tutte quella che ha portato al consolidamento della dottrina del cristianesimo.

     In quell’importante laboratorio intellettuale che è stata la Scuola di Ammonio ad Alessandria non si è formato solo Plotino. Sappiamo che i discepoli di Ammonio – alla sua morte, avvenuta nel 244 – prendono strade diverse ma l’impegno e la coerenza è per tutti la stessa. Abbiamo studiato [la scorsa settimana] la strada che ha percorso Plotino, e ora ci domandiamo quale strada hanno percorso altri studenti di Ammonio che hanno lasciato un’impronta nella Storia del Pensiero Umano in Età tardo-antica. Ammonio li avrebbe lodati e sarebbe orgoglioso di loro perché l’obiettivo del suo insegnamento è stato quello di istruire delle persone che dedicassero la loro vita ad una giusta causa. Plotino si è avvicinato alla Scuola di Ammonio perché casualmente [mentre sconsolato si aggira nel quartiere del porto] – come ci racconta Porfirio ne La vita di Plotino [e abbiamo raccontato questo episodio] – ha incontrato Origene di Alessandria; ebbene, Origene che fine ha fatto dopo la morte di Ammonio e lo scioglimento della sua Scuola?

     Origene è un cristiano e, oltre alla Scuola di Ammonio, frequenta la Scuola Catechetica Alessandrina, il Didascalion, fondata, prima del 216, da Flavio Clemente di Atene, detto Clemente Alessandrino. Clemente Alessandrino [il maestro cristiano di Origene] ha scritto tre opere importanti: il Protretticon [Esortazione], il Pedagogo sulla figura di chi si dedica all’insegnamento [in cui sembra tracciare un ritratto di Ammonio] e Stròmata [Tappeti] in cui raccoglie una serie di pensieri, tanto provenienti dalla sapienza greca quanto provenienti dalla sapienza cristiana, tessuti insieme come quando si lavora al telaio, con fili diversi, per fabbricare un tappeto. Dai testi di queste opere si capisce quale sia il programma del Didascalion di Clemente: una Scuola che vuole avvicinare la sapienza del pensiero greco alla rivelazione cristiana perché tra la filosofia ellenistica e la “buona notizia [euanghelon  euanghelon euanghelon]” della risurrezione di Gesù c’è un rapporto di continuità e di sviluppo. Dopo la morte di Ammonio anche Origene lascia Alessandria e si trasferisce a Cesarea dove fonda una sua Scuola che ha avuto una grande rinomanza.

     Origene ha scritto molte opere, ma quella più importante s’intitola Peri Archon [in latino De Principiis, in italiano Sui Princìpi]. In quest’opera Origene sviluppa le sue tesi rifacendosi soprattutto al Timeo di Platone e alla Fisica di Aristotele, e la sintesi a cui perviene è fondamentale nella storia del Pensiero Umano perché con Origene il sistema filosofico del Neoplatonismo e la dottrina del Cristianesimo si “amalgamano” in maniera decisiva: il concetto trinitario del Dio cristiano prende corpo nel grembo laico del Neoplatonismo di Ammonio e di Plotino, e Origene ne porta avanti la gestazione.

     Secondo Origene l’Uno [descritto nelle Enneadi di Plotino] è il Dio-Padre, che è auto-Theòs [un Dio che si è pensato da solo: Pensiero del proprio Pensiero] e sussiste di per sé, ab aeterno [dall’eternità]. Il Logos-l’Intelletto [che, secondo Plotino, è il prodotto dell’emanazione dell’Uno] è il Dio-Figlio, il quale è “generato” dal Padre ed è “omoousios omooùsios”, della “stessa sostanza del Padre” ma, in quanto “generato”, ha un titolo e una qualità inferiore al Padre, è quindi [spiega Origene] un deuteros-Theòs, un dio-secondo, di seconda categoria. Ma che importanza ha [afferma Origene] se il Dio-Figlio è di seconda categoria? L’importante è che la sua natura sia quella del Vero Maestro: è più importante che Gesù Cristo sia il Vero Maestro che insegna con umanità la via della salvezza piuttosto che un essere divino con caratteristiche mitiche come quelle delle antiche divinità del passato che sono solo metafore.

    Questa affermazione, che sembra sottovalutare la figura divina di Gesù Cristo, è un’enunciazione di coerente razionalità [derivante dal Timeo di Platone, dal programma della Scuola di Ammonio e dalla riflessione di Plotino] ma costerà ad Origene la condanna di eresia quando [con i Concilî del IV e del V secolo], in un clima di grande conflittualità [soprattutto con il sorgere di tendenze fondamentaliste], si va consolidando la struttura ideologica del Cristianesimo. Le tesi di Origene [che vengono fatte proprie da molti altri pensatori] vengono dichiarate eretiche e condannate nel corso del primo Concilio ecumenico tenuto a Nicea nel 325 [per volontà dell’imperatore Costantino che impone il suo potere autoritario]: Origene è già morto da settant’anni ma subisce lo stesso una condanna che viene rinnovata dal Concilio di Efeso nel 431 e da quello di Calcedonia nel 451. Tuttavia l’impronta lasciata da Origene nella dottrina del cristianesimo rimane in modo ben visibile perché la prerogativa del Figlio [Gesù Cristo] è diventata quella formulata da Origene: il Figlio è “omooùsios” della “stessa sostanza del Padre [la sostanza, ousìa, è la prima categoria di Aristotele]”, e questa è la formula contenuta nel Credo [nel Simbolo niceno, un testo che conosciamo a memoria] che la Chiesa di Roma recita nella sua quotidiana liturgia. Sarebbe opportuno [anche se non abbiamo nessuna autorità per dirlo] che cessasse ufficialmente l’emarginazione di Origene il quale conclude il suo ragionamento affermando che tra l’auto-Theòs [il Dio-Padre] e il deuteros-Theòs [il Dio-Figlio], proprio perché non sono sullo stesso piano [ma è normale che un padre e un figlio non siano sullo stesso piano], s’instaura un rapporto di reciproco amore nel corso del quale [afferma Origene] il Dio-Padre emana lo Spirito – che corrisponde, nel pensiero del Neoplatonismo, all’Anima del Mondo emanata dall’Uno –, e questo Spirito Santo vivifica tutto il Creato. Si completa così la struttura portante di quella che diventerà [per passaggi successivi, e sono numerosi i Trattati che, nel corso del III, del IV e del V secolo, sviluppano questo argomento] la forma del Dio cristiano: la Santissima Trinità [il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo].

     Nella Storia dell’Arte il tema della Trinità ha favorito la creazione di oggetti magnifici [non solo di carattere religioso] perché utili alla riflessione intellettuale. Sulla rete ci sono più di tre milioni di siti che fanno riferimento al termine “Trinità”. Ora noi, in particolare, possiamo fare ricerca abbinando due parole: “Trinità Masaccio” in modo da poter osservare o riosservare il dipinto intitolato “La Trinità” affrescato da Masaccio [Tommaso di Ser Giovanni di Simone Guidi] tra il 1426 e il 1428, e quest’opera [secondo il parere unanime di tutte le studiose e gli studiosi] contribuisce in modo fondamentale alla nascita del Rinascimento. Giorgio Vasari [nelle Vite] scrive: «Masaccio dipinge una volta a mezza botte tirata in prospettiva così bene che pare che sia bucato quel muro». “La Trinità” di Masaccio – di cui potete leggere la storia della sua composizione sulla rete e su una guida di Firenze – si trova nella terza campata della navata sinistra della basilica di Santa Maria Novella e, quindi, la si può facilmente vedere dal vivo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Fate una visita a “La Trinità” di Masaccio in Santa Maria Novella per osservare i vari personaggi raffigurati  Potete prendere qualche appunto...

E poi – sfruttando l’opportunità di vivere a Firenze – fate anche una visita alla basilica, al ponte e alla piazza di Santa Trinita: il legame tra Firenze e la Trinità è saldo   

     Il legame tra Firenze e la Trinità è saldo e non possiamo non ricordare quanto si sia distinto Dante Alighieri nel definire la Trinità con la metafora poetica. La prima definizione che Dante crea del “Dio trinitario” la si trova nel canto terzo dell’Inferno della Divina commedia in un punto strategico: Dante, accompagnato da Virgilio, si trova davanti una porta, e su questa porta, che immette nell’Inferno, c’è una scritta che spiega come e perché l’alto Fattore [questo termine ricorda il Demiurgo del Timeo di Platone] abbia creato questo luogo che raccoglie “le genti dolorose c’hanno perduto il ben dello intelletto [e questa è una bella definizione neoplatonica dell’anima]”: naturalmente Dante spiega che l’alto Fattore ha la forma del Dio cristiano che si caratterizza in tre persone [la divina Potestate è il Padre, la somma Sapienza e il Figlio e il primo Amore è lo Spirito Santo]. Leggiamo questo frammento, questi diciotto versi che portano la “sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo-antica” a nutrire la “sapienza poetica e filosofica dell’Età medioevale”:

LEGERE MULTUM….

Dante Alighieri,  Inferno  Canto III  1-18

Per me si va nella città dolente,

per me si va nell’eterno dolore,

per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto Fattore:

fecemi la divina Potestate,

la somma Sapienza e il primo Amore.

Dinanzi a me non fur cose create

se non eterne, ed io eterno duro:

lasciate ogni speranza voi ch’entrate.

Queste parole di colore oscuro

vid’io scritte al sommo d’una porta,

perch’io: Maestro, il senso lor m’è duro.

Ed egli a me, come persona accorta:

Qui si convien lasciare ogni sospetto;

ogni viltà convien che qui sia morta.

 Noi siam venuti al luogo ov’io l’ho detto

che tu vedrai le genti dolorose

c’hanno perduto il ben dello intelletto.

     Origene, durante la persecuzione dell’imperatore Decio, viene incarcerato e nel 254 muore [eroicamente] in prigione, a Tiro, per le torture ricevute e i maltrattamenti subiti e, tuttavia, non ci teneva particolarmente a morire martire e questo suo pensiero – quello di preservare doverosamente, per quanto è possibile, la propria vita – ci fa incontrare e conoscere un personaggio legato ad Origene: Cecilio Cipriano.

     Cecilio Cipriano [200 circa-258] è nato a Cartagine ed ha avuto una raffinata educazione scolastica ed è stato professore di retorica: abbraccia il cristianesimo nel 246 dopo aver conosciuto Origene e nel 248 viene eletto vescovo di Cartagine. Nel 250, durante la persecuzione dell’imperatore Decio, la comunità di Cartagine si disperde per evitare di essere decimata e anche Cipriano lascia la città domandandosi se sia proprio necessario cercare sempre la via del martirio e, difatti, quando [in seguito alla morte di Decio nel 251] rientra a Cartagine si consulta [per via epistolare] con Origene il quale già sosteneva che bisognava usare misericordia nei confronti di chi, per debolezza e per paura, aveva nascosto la sua appartenenza alla comunità cristiana e, quindi, Cipriano ritiene opportuno perdonare e riammettere quei cristiani, chiamati “lapsi” [dal verbo latino “labor”, vacillare], che, durante la persecuzione, avevano nascosto la propria fede.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il verbo “vacillare” richiama altri termini significativi come “barcollare, tentennare, traballare, ondeggiare, oscillare, ciondolare, dondolare”… ebbene, che cosa vi fa venire in mente uno, o più di uno, di questi verbi?...   

Scrivete quattro righe in proposito...

     Per comprendere in quale situazione emerge la “questione del lapsi” dobbiamo conoscere ciò che sta succedendo sul piano degli avvenimenti e, per prima cosa, dobbiamo dire che ci troviamo di fronte ad un nuovo paesaggio intellettuale.

     Dopo l’uccisione di Caracalla [nel 217] comincia una fase di anarchia militare che dura circa cinquant’anni perché l’esercito, frantumato e continuamente in rivolta, proclama e uccide gli imperatori che si succedono uno dopo l’altro tra congiure, guerre civili, mentre i popoli “stranieri [oi barbaroi]”, soprattutto i Goti [Uomini del nord], valicano le frontiere orientali e occupano zone del territorio dell’impero che lo Stato romano non riesce più a controllare. Alla metà del III secolo lo Stato romano è sull’orlo della rovina definitiva ma, ancora una volta, si salva per opera di una serie di imperatori di nazionalità illirica che sono stati chiamati “restauratori”, e adesso noi [nel 248] ci troviamo dinnanzi al “paesaggio intellettuale degli imperatori restauratori” …

     Il primo di questi è Decio Traiano che, dopo essere stato un autorevole senatore, viene [nel 248] acclamato imperatore e riesce a domare l’anarchia militare e a restaurare la tradizione repubblicana dell’impero. Decio restituisce i poteri dell’amministrazione civile al Senato e vuole rinvigorire lo “spirito della romanità” istituendo l’obbligo della professione di fede nella religione tradizionale romana ordinando [con l’Editto del 250] che ogni cittadino deve possedere un attestato [il “libellum”] da cui deve risultare che ha compiuto il pubblico sacrificio agli dèi. Questo decreto fa scatenare la persecuzione contro i cristiani i quali cominciano a domandarsi se sia meglio subire la galera e il martirio o seguire la via del compromesso per non essere annientati.

     Cipriano [già autore di un certo numero di opere], subito dopo la morte di Origene, scrive un trattato intitolato De lapsis [il termine “lapsi” viene ad assumere il significato di “coloro che hanno temporaneamente vacillato e perso la memoria”, e il dott. Freud utilizzerà il termine “lapsus” per definire una particolare forma di dimenticanza] nel quale affronta il problema della riammissione [mediante un percorso di recupero] nella comunità ecclesiale dei cristiani che avevano nascosto la loro fede [accettato il libellum pagano] sotto l’incalzare della persecuzione e che poi si erano pentiti. Sul tema dei “lapsi” nasce un vivace dibattito e anche il vescovo di Roma [il papa] Stefano è d’accordo con Cipriano proprio nel momento in cui tra la Chiesa di Cartagine e di Roma è in corso un’animata disputa sul modo di impartire il Battesimo ma questa controversia viene interrotta dalla persecuzione [ancor più violenta di quella di Decio] dell’imperatore Valeriano del 257. Cipriano viene arrestato ed esiliato ma, in seguito, viene richiamato a Cartagine dal proconsole Galerio, nuovamente processato, condannato e giustiziato il 14 settembre del 258.

     Il sistema del “lapsus” [della temporanea dimenticanza] permette alle comunità cristiane del III e del IV secolo di resistere meglio alle persecuzioni.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

È successo che una vostra dimenticanza abbia provocato qualche inconveniente?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Tra Origene e Cipriano c’è identità di vedute mentre un disaccordo ideologico e intellettuale c’è tra Origene e uno scrittore geniale e poliedrico che si chiama Quinto Tertulliano, il quale è autore di molte opere e della più brillante apologia dell’Età tardo-antica. Tertulliano con un vigoroso stile passionale e con serrate dissertazioni giuridiche influenza il dibattito che avverrà sul tema del rapporto tra lo Stato e la Chiesa [un tema sempre di grande attualità]. Chi è Tertulliano e di che cosa tratta nelle sue opere apologetiche per le quali è passato alla Storia del Pensiero Umano? Intanto diciamo che in questo periodo tardo-antico degli imperatori “restauratori [Decio, Valeriano, Gallieno, Claudio II il Gotico, Aureliano, Diocleziano]” è la Chiesa africana a distinguersi sul piano culturale.

     Anche Quinto Tertulliano nasce [intorno al 160] a Cartagine: questa città dal II secolo è diventata un fiorente centro culturale. Tertulliano è figlio di un centurione della coorte pro-consolare, suo padre è un pagano che avversa il cristianesimo e vuole che suo figlio riceva un’accurata educazione retorica sui testi letterari e filosofici degli autori classici. Tertulliano acquisisce un’ottima conoscenza della lingua greca [che parla e scrive correttamente] ed entra in possesso anche di una profonda cultura giuridica, diventa avvocato e svolge questa professione in Africa e poi a Roma. Aderisce al cristianesimo in età matura, intorno al 195, per motivi non precisabili, forse colpito dalla serenità con cui i cristiani affrontano il martirio. Gerolamo c’informa che Tertulliano si sposa e assume un ruolo direttivo nella Chiesa cartaginese ma poi entra nel movimento di Montano [abbiamo studiato la corrente intransigente del montanismo subito dopo la vacanza pasquale] di cui condivide il rigore e l’intransigenza morale, poi però si stacca anche dal “montanismo” e fonda una corrente ancora più estremista chiamata, dal suo nome, dei Tertullianisti. La data della sua morte è incerta, Gerolamo la colloca nel 240.

     Famosi sono gli scritti apologetici di Tertulliano nei quali rivendica apertamente la libertà religiosa e giustifica la dottrina cristiana attraverso lucide argomentazioni giuridiche e dimostra che non c’è alcuna Legge che i cristiani stiano violando, e Tertulliano esprime queste idee con toni ironici e sarcastici assai pungenti, in un’opera intitolata Ad nationes [Ai popoli] del 197. Nello stesso anno indirizza ai governatori imperiali delle province, responsabili delle persecuzioni e dei processi contro i cristiani, la sua opera più famosa intitolata Apologeticum [Apologetico] in 50 capitoli. Nell’Apologeticum Tertulliano diventa l’avvocato difensore della causa cristiana [in quest’ottica verrà sempre utilizzato] e dimostra che le persecuzioni e le condanne sono pretestuose: ne è prova che i cristiani vengono messi in libertà quando negano di appartenere alla chiesa, confuta poi le accuse di delitti come il sacrilegio, la lesa maestà e l’immoralità, ritorcendoli contro gli stessi accusatori, ed esalta la vita pura e innocente delle comunità cristiane, l’amore del prossimo e anche il rispetto verso la persona dell’imperatore. E infine sostiene la superiorità della dottrina di un solo dio creatore e ordinatore del mondo nei confronti del politeismo e dimostra l’inutilità delle persecuzioni perché [scrive Tertulliano] il “sangue dei martiri è fecondo e genera credenti”. L’Apologeticum è un capolavoro nel suo genere e lo stile di Tertulliano è poderoso ma è anche ai limiti del fanatismo sia nella forma che nei contenuti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di questi termini – esaltazione, entusiasmo, ammirazione, fissazione, mania, delirio, faziosità – mettereste per primo accanto alla parola “fanatismo”...

Scrivetela...

C’è una manifestazione di fanatismo che deplorate particolarmente?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Tertulliano si esprime con uno stile linguistico di straordinaria potenza drammatica, tesa, concentrata, ricca di allegorie non immediatamente facili da capire, una potenza originale e diversa da quella della cultura del tempo: lo stile di Tertulliano [come abbiamo detto] contiene elementi di fanatismo che purtroppo ispireranno il pensiero dei movimenti più intransigenti che si svilupperanno nei secoli successivi quando i “cristiani fondamentalisti” [sebbene siano una minoranza] diventeranno loro stessi persecutori dei pagani, ed è probabile che Tertulliano avrebbe dissentito. Per capire il pensiero intransigente di Tertulliano dobbiamo presentare il catalogo delle sue opere più importanti: a volte l’intransigenza di Tertulliano non è condivisibile [non lo è quando dimostra di avere una gran paura delle donne] mentre su certi temi una presa di posizione severa non è fuori luogo.

     Sulla scia dell’Apologeticum Tertulliano scrive numerose opere dal contenuto intransigente come Ad martyras [Ai martiri]: una lettera indirizzata ai cristiani incarcerati a Cartagine per indurli a scegliere la morte. In De spectaculis [Gli spettacoli] invita i fedeli a non frequentare gli spettacoli circensi in quanto immorali e fonte di corruzione. In De Ieiunio adversus Psychicos [Sul Digiuno contro gli Psichici] esalta il più rigoroso ascetismo contro le tendenze moderate e accomodanti della Chiesa di Roma [Tertulliano chiama Psichici, in modo dispregiativo, i membri della Chiesa di Roma] sostenendo l’obbligo di prolungati digiuni. Tertulliano soffre di misoginia [pensa alle donne come esseri subalterni] e condanna la diaconia femminile e il suo pensiero avrà successo: le donne verranno escluse dai ministeri. Scrive il De cultu feminarum [Dell’abbigliamento femminile] contro il lusso delle donne, la cui ricercatezza nell’abbigliamento e nella cura della persona sono indice di vanità e di peccato, il De virginibus velandis [Le ragazze siano velate] in cui sostiene l’obbligo per le giovani donne cristiane di velarsi in pubblico perché sono spose di Cristo, il Ad uxorem [Alla moglie] in cui prescrive alle mogli di mantenersi caste dopo la morte del marito. Scrive il De exortatione castitatis [Esortazione alla castità], il De pudicitia [Sul pudore] dove tratta i problemi della vita matrimoniale negando fondamentalmente i diritti della donna e con intransigenza condanna come adultere le vedove che si risposano, e pretende dalle donne una vita di rinunce e di sacrifici sebbene la “buona notizia della risurrezione di Gesù” si sia presentata come un elemento di liberazione per le donne che sono state le prime testimoni della resurrezione e la Letteratura dei Vangeli ha già codificato questo fatto, ma la corrente intransigente tertullianista [misogina, disprezzatrice delle donne] smorza sul nascere questo processo di liberazione. Un tema condivisibile è quello pacifista posto da Tertulliano nel De corona militis [La corona del soldato] sull’importante problema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa in cui Tertulliano spiega che il cristiano non deve servire nell’esercito affermando: «Sarà permesso avere a che fare con la spada se il Signore afferma che morirà di spada chi avrà usato la spada?». Nel De idolatria [L’idolatria] Tertulliano dichiara che i cristiani non devono partecipare alla vita pubblica, devono rifiutare ogni professione persino quella del maestro perché comporta un coinvolgimento con il mondo e la cultura pagana e con le pratiche idolatriche e, infine, nel De fuga in persecutione [Sulla fuga durante la persecuzione] Tertulliano proclama l’obbligo per il cristiano di non sottrarsi alla persecuzione, voluta da Dio per la purificazione dei peccati. Naturalmente, soprattutto su questo ultimo tema, Origene e Cipriano [tolleranti sui lapsi] dissentono e noi capiamo che il pensiero del cristianesimo dell’Età tardo-antica è molto eterogeneo e la conflittualità interna è molto alta e questa situazione [il contrasto tra diverse concezioni, tra atteggiamenti intransigenti e concilianti] non cesserà mai.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale situazione avete deciso di non comportarvi con intransigenza?...

Scrivete quattro righe in proposito...  

     Mentre gli altri apologisti – a cominciare da Giustino [che abbiamo incontrato a marzo], da Origene a Cipriano – tentano di razionalizzare il Cristianesimo, Tertulliano considera la filosofia come la madre di tutte le eresie e questo “rifiuto per la filosofia” lo descrive con così tanta passione che lo fa diventare una vera e propria posizione filosofica [scrive così bene contro la filosofia che questa sua contrarietà diventa una posizione filosofica]: “la filosofia [scrive Tertulliano] è la mortale nemica della religione che si deve basare sulla fede”.

     Leggiamo una pagina dal De idolatria [Sull’idolatria] che ha un fascino particolare perché Tertulliano tuona contro gli scrittori colti, esalta la “non conoscenza” delle classi subalterne e delle anime semplici che non si sono formate né sui libri né nelle biblioteche ma nella vita reale perché [pensa Tertulliano] c’è un sapere innato, c’è una verità congenita che è quella data dalla fede [di questo concetto si servirà largamente la teologia medioevale nei secoli successivi]. Ma la polemica antifilosofica e antirazionalista di Tertulliano lo porta ad elaborare il concetto dell’atto di fede come se fosse un paradosso basato sull’assurdo e Tertulliano crea la formula: “Credo quia absurdum [Credo proprio perché è assurdo]”, per cui diventa l’anticipatore di una concezione filosofica che si è sviluppata fino ai giorni nostri. Tertulliano, in realtà, rientra anche lui tra i pensatori che fondono il messaggio evangelico con la tradizione filosofica, anzi, è lui il primo scrittore che trae dal linguaggio filosofico dei Classici latini i termini e le formule di cui si serviranno largamente i filosofi medioevali.

     E ora leggiamo questo brano:

LEGERE MULTUM….

Tertulliano, De idolatria

La fede è tale perché è creduta, contro tutti gli argomenti contrari che la filosofia, basata sulla ragione, le può opporre: anzi nel momento in cui i motivi della fede venissero dimostrati, la fede scomparirebbe ed è per questo motivo che l’assurdità prevale sulla logica. È dalle idee platoniche che nascono gli Eoni che hanno dato le idiozie gnostiche, è inaccettabile che la divinità derivi dagli stoici e che dagli epicurei derivi il concetto dell’annientamento dell’anima. Infelice è Aristotele, il quale fornisce una logica evasiva nelle sue argomentazioni, improbabile nelle sue conclusioni, polemico nelle sue dispute, noioso persino a se stesso, che risolve ogni cosa al fine di non risolvere nulla. Cosa ha a che fare Atene con Gerusalemme, l’Accademia con la Chiesa? Non abbiamo bisogno di curiosità dopo Gesù Cristo, né di indagini dopo la buona notizia della risurrezione.

Il figlio di Dio nacque, io non mi vergogno di ciò per il motivo che è vergognoso, il Figlio di Dio morì, ciò è credibile per la semplice ragione che è assurdo, e dopo essere stato bruciato risuscitò e ciò è certo perché è impossibile e, quindi, io credo proprio perché è assurdo [credo quia absurdum] credere. Non è a te che indirizzo me stesso, o anima, che, plasmata nelle scuole, istruita nelle biblioteche, vomiti un fondo di saggezza accademica, ma a te, anima semplice e incolta di chi non possiede niente altro ed ha formato tutta la sua esperienza agli angoli delle strade, ai crocicchi e nelle fattorie. Io ho bisogno della tua esperienza dal momento che nel piccolo bagaglio della tua esperienza nessuno crede. È il segreto deposito del sapere congenito e innato che contiene la verità, e questo non è il prodotto dell’insegnamento del secolo. L’anima viene prima della letteratura, le parole prima dei libri, e l’essere umano nella sua corporeità viene prima del filosofo e del poeta.

Non ti lamentare se la tua vista s’indebolisce perché è meglio che tu non veda le opere idolatriche del mondo pagano: impara piuttosto a vedere il creato con l’occhio dell’anima, l’unica forma di conoscenza che il Creatore ci ha dato è quella sensibile e la Rivelazione è avvenuta attraverso i sensi dell’udito e della vista quindi tutto ciò che esiste è corporeo, e l’anima stessa è corporea e si trasmette dai genitori ai figli, ed è per questo che possiamo parlare di occhio e orecchio dell’anima. Perfino gli angeli e Dio sono esseri corporei: è amando la parte corporea dell’essere umano che Dio si è incarnato e Gesù risorgerà con il corpo.   

     Perché ora – dopo la lettura di questo brano – sul nostro cammino incontriamo una scrittrice che si chiama Anna Maria Ortese? Prima di tutto per conoscerla, e poi per dipanare un intreccio filologico.

     Anna Maria Ortese è nata a Roma nel 1914, nel periodo del secondo dopoguerra ha vissuto a lungo a Napoli e poi in molte città italiane – ha cambiato trentasei volte residenza ed ha svolto ad alto livello la professione della giornalista –, è morta [quindici anni fa] in Liguria, a Rapallo, il 10 marzo del 1998. Molte notizie sulla biografia di questa scrittrice le trovate facilmente nelle pagine di presentazione dei suoi libri e nei siti a lei dedicati sulla rete.

     La figura di Anna Maria Ortese è ancora quasi sconosciuta rispetto al valore della sua opera e del suo stile particolare che sta tra il neorealismo e il realismo-magico di impronta sudamericana. La Ortese ha avuto importanti riconoscimenti e oggi viene annoverata tra i classici della Letteratura mondiale [i suoi libri sono più letti all’estero che in Italia] ma lungo il corso della sua esistenza ha patito per l’isolamento, per la solitudine, per i lutti familiari e per le umiliazioni sul piano letterario ed editoriale [aveva 79 anni quando la critica letteraria ha cominciato a prenderla in seria considerazione]. La Ortese [parliamone al presente] è un personaggio difficile e, per tanti versi, scomodo, capace di critiche e di posizioni molto dure [intransigenti] in un Paese in cui la vita intellettuale è sempre stata caratterizzata dal compromesso e dallo schieramento ideologico: nel 1954 lascia polemicamente Napoli perché ingiustamente accusata, dai suoi compagni intellettuali, di scrivere “contro Napoli”.

     C’è una caratteristica di cui dobbiamo tenere conto quando leggiamo i testi di Anna Maria Ortese: ha messo bene in evidenza la repulsione che lei nutre [e che spesso anche noi nutriamo] per la “realtà” perché frequentemente la realtà – con l’inaccettabile e inspiegabile sofferenza che contiene – è allucinante, per cui emerge [anche come forma di difesa o di nevrosi] un meccanismo che la scrittrice chiama “spaesamento” e che consiste nel guardare il mondo con l’occhio dell’anima che trasfigura le cose [mediante un esercizio metafisico] per renderle più tollerabili. Ma, per capire il significato di ciò che abbiamo detto, è utile proporre un esempio in funzione della didattica della lettura e della scrittura, ma prima di leggere dobbiamo fare il catalogo delle opere della Ortese.

     Anna Maria Ortese [1914-1998] è autrice di opere molto significative [purtroppo sconosciute anche al poco pubblico delle lettrici e dei lettori] di cui la Scuola consiglia la lettura: Angelici dolori [1937], L’infanta sepolta [1950], Il mare non bagna Napoli [1953], L’iguana [1965], Il porto di Toledo [1975], In sonno e in veglia [1987], Il cardillo addolorato [1993], Alonso e i visionari [1996], Il Monaciello di Napoli [2001], La lente scura [2004]. In particolare Il mare non bagna Napoli, apparso per la prima volta nel 1953, è una raccolta di racconti dove si capisce – già dalla metafora che è nel titolo – che l’autrice ha un carattere nervoso, teso, schivo e apprensivo e, quindi, scrive per dare forma al proprio disagio e al proprio dolore in modo da rendere meno precario il suo equilibrio per poter trovare una dimensione civile da dare alla propria vita. La forma narrativa dei racconti de Il mare non bagna Napoli funziona [prima di tutto per la scrittrice] come se fosse un farmaco utile per sottoporsi ad una pacata terapia, mentre il contenuto di queste storie vuole drammaticamente esaltare l’esistenza delle persone piccole, vinte, indifese, che non riescono a mettere a fuoco la realtà perché tendono a guardarla con occhi inventati attraverso le loro illusioni. I personaggi “senza voce” della Ortese soffrono – senza neppure rendersene conto – a causa del degrado morale di chi gestisce le attività della città e non permette alla società civile di crescere.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il mare non bagna Napoli” e le opere di Anna Maria Ortese le trovate in biblioteca: richiedetele, sfogliatele, leggetene qualche pagina...

     Come esempio leggiamo il primo racconto de Il mare non bagna Napoli che si intitola Un paio di occhiali. A Napoli vive una bambina che si chiama Eugenia e che ha sempre appena intravisto il mondo perché è “mezza cecata” e la zia Nunziata le regala un paio di occhiali assai costosi per delle persone che vivono nei bassi di un quartiere molto povero durante il secondo dopoguerra: conviene alla piccola Eugenia mettere ben a fuoco la realtà con i nuovi occhiali oppure è meglio per lei trasfigurare il mondo con l’occhio ingenuo e speranzoso della sua anima?

     Questo esempio – ecco perché abbiamo incontrato Anna Maria Ortese – calza con l’affermazione di Tertulliano che abbiamo letto poco fa: «Non ti lamentare se la tua vista s’indebolisce … impara piuttosto a vedere il creato con l’occhio dell’anima».

LEGERE MULTUM….

Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli

Un paio di occhiali

«Ce sta ‘o sole …‘o sole!» canticchiò, quasi sulla soglia del basso, la voce di don Peppino Quaglia. «Lascia fa’ a Dio» rispose dall’interno, umile e vagamente allegra, quella di sua moglie Rosa, che gemeva a letto con i dolori artritici, complicati da una malattia di cuore, e soggiunse, rivolta a sua cognata che si trovava nel gabinetto: «Sapete che faccio, Nunziata? Più tardi mi alzo e levo i panni dall’acqua».

«Fate come volete, per me è una vera pazzia,» disse dal bugigattolo la voce asciutta e triste di Nunziata «con i dolori che tenete, un giorno di letto in più non vi farebbe male!». Un silenzio. «Dobbiamo mettere dell’altro veleno, mi sono trovato uno scarrafone nella manica, stamattina».

... continua la lettura ...

     La Chiesa di Roma [i vescovi e la comunità romana] – rispetto a molti aspetti rigidi, intransigenti e ai limiti del fanatismo del pensiero di Tertulliano – mira a tenere una posizione più conciliante, più accomodante nei confronti del paganesimo e dei pagani: qual è la reazione a questo proposito? La Chiesa di Roma risponde a questa forte intransigenza con dei documenti composti da scrivani che sono rimasti anonimi ma che fanno sempre riferimento a quella sorta di primo Centro studi che è la Scuola ellenistica fondata a suo tempo [all’inizio del II secolo] da Clemente Romano.

     La più importante di queste opere pastorali che vogliono rispondere alla tendenza più intransigente di stampo tertullianista s’intitola Didaché e si tratta di un testo che ha la forma di un catechismo. Il titolo completo dell’opera di cui stiamo parlando è L’insegnamento dei Dodici Apostoli [Didache ton dodeka apostolon Didachē tōn dōdeka apostolōn] ed è un documento [un manifesto ideologico] che contiene i punti salienti della dottrina e che attesta la linea dell’ortodossia della Chiesa di Roma: il faro per tutte le Chiese sparse sul territorio dell’Ecumene.

     Il testo della Didaché [Didachē tōn dōdeka apostolōn, L’insegnamento dei Dodici Apostoli] è suddiviso in quattro parti che sono state composte separatamente e poi nel tempo [nel corso del II e del III secolo] sono state unite da successivi redattori [rapsodi]: la prima parte viene chiamata le Due Vie ed è un rimaneggiamento in chiave cristiana di un trattato ebraico che porta lo stesso titolo e che ha lo stesso inizio: “Ci sono due vie, una della vita e una della morte e c’è una grande differenza tra queste due vie”. La seconda parte descrive come svolgere il rito del battesimo, come digiunare, come pregare [recitando il Padre nostro] e come celebrare l’eucaristia. La terza parla dei ruoli all’interno della comunità, e la parte finale, la quarta, è un breve testo apocalittico che prefigura il mondo che verrà.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il testo della Didaché lo si trova in biblioteca nello stesso volume che raccoglie gli Scritti dei Padri Apostolici e sulla rete

     Leggiamo un frammento dalla prima parte della Didaché per capire che quest’opera usa il linguaggio e attinge alle sentenze della Letteratura dei Vangeli e si riconosce parte del contenuto di quello che si chiama “il discorso della montagna con le beatitudini” dove c’è un’intransigenza che però non è finalizzata [come per Tertulliano] al martirio e alla sofferenza ma piuttosto alla carità e alla benevolenza: per gli autori della Didaché il riscatto avviene anche per mezzo del sangue dei martiri ma soprattutto per mezzo delle opere di bene e attraverso uno stile di vita votato alla condivisione.

LEGERE MULTUM….

Didaché [L'insegnameto dei Dodici Apostoli]

Vi sono due vie, una della vita e l’altra della morte; vi è una grande differenza fra di esse.  La via della vita è questa: in primo luogo ama Dio che ti ha creato, e in secondo luogo ama il prossimo tuo come te stesso, non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te. L’insegnamento che deriva da questo comandamento è il seguente: benedite coloro che vi maledicono e pregate per i vostri nemici, e digiunate per i vostri persecutori. Che merito avete infatti se amate quelli che vi amano? Non fanno lo stesso anche i pagani? Ma voi amate quelli che vi odiano e non abbiate nemici.

Se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, offrigli anche l’altra e sarai perfetto. Se qualcuno ti costringe ad accompagnarlo per un miglio, accompagnalo per due. Se qualcuno ti chiede il mantello, tu dagli anche la tunica. Dà a chi ti chiede, e non esigere la restituzione, perché il Padre vuole che i suoi beni vengano dati a tutti. Beato chi dona perché le sue colpe non verranno punite. Ma guai a chi riceve! In verità, se riceve spinto dal bisogno, non verrà punito, ma se riceve senza averne bisogno, dovrà rendere conto del perché e dello scopo per cui ha preso, il suo agire verrà giudicato. A questo proposito è stato detto: la tua elemosina si bagni di sudore nella tua mano, finché tu non abbia ponderato bene a chi dare. Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non darti alla magia o agli incantesimi. Non desiderare i beni del tuo prossimo. Non commettere spergiuro o falsa testimonianza, non calunniare, non serbare rancore. Non essere doppio di mente o di lingua, perché la doppiezza è un laccio mortale. Non sia falso il tuo parlare, e non sia vuoto, ma arricchito dalle buone opere. Non essere avaro, predace, falso, maligno o superbo, non tramare cattivi disegni contro il tuo prossimo. Non odiare nessuno: qualcuno dovrai correggerlo, qualcuno compatirlo, e qualche altro dovrai amarlo più della tua stessa vita. Non essere iracondo, perché l’ira porta alla morte. Non essere invidioso, litigioso o violento, perché questi mali sono alla radice di ogni omicidio. Non darti alla divinazione, perché essa conduce all’idolatria. Non darti agli incantesimi, all’astrologia, alla superstizione, da tali cose nasce l’idolatria.  Non essere menzognero, perché la menzogna conduce al furto, e neppure bramoso di denaro o di gloria, perché ne deriva il latrocinio. Non essere pettegolo perché il pettegolezzo conduce alla diffamazione. Non essere arrogante o malevolo, perché da ciò deriva la calunnia. Sii invece mansueto, perché i mansueti erediteranno la terra. Sii paziente, misericordioso, sincero, tranquillo e buono. Metti in pratica con sommo rispetto l’istruzione che ricevi. Non esaltare te stesso e trattieni il tuo spirito dall’alterigia. Non unirti con i superbi, ma conversa con i giusti e gli umili. Accetta come bene tutto ciò che ti accade, sapendo che senza il volere di Dio nulla avviene.

     Si coglie la differenza tra l’intransigenza apologetica di Tertulliano e la fermezza catechetica della Didaché.

     Uno degli avvenimenti più importanti dell’Età tardo-antica – e l’eco di questo avvenimento lo sentiamo ancora oggi – è il primo Concilio ecumenico della storia del Cristianesimo che si è tenuto a Nicea nel 325. Per capire le linee generali di questo avvenimento – che nasce dall’esigenza di dare ordine [omogeneità] alla dottrina del Cristianesimo che si è sviluppata in modo eterogeneo [come stiamo constatando] – dobbiamo mettere insieme un pezzetto di storia, un pizzico di geografia e alcuni frammenti di teologia. Il Concilio di Nicea ratifica l’intreccio tra la storia del Cristianesimo e quella dell’Impero romano e se, nel V secolo, la fine dell’Impero romano d’Occidente sarà anche determinata dall’ascesa del Cristianesimo bisogna dire che sarà proprio il Cristianesimo in Occidente a raccogliere l’eredità della cultura latina. Ma procediamo con ordine incominciando dalla storia degli avvenimenti.

     L’ultimo degli imperatori di origine illirica, detti “restauratori”, si chiama Diocleziano il quale nel 285, salito al potere, di fronte alla drammatica crisi dello Stato, decide di fare dell’Impero una vera e propria monarchia assoluta e di riformarne la struttura: Diocleziano – anche per contrastare la mentalità anarchica del Cristianesimo [che predica un “Regno non di questo mondo”] – assume il titolo di Dominus [il Signore] dichiarando che la sovranità gli viene dagli dèi non più dal Senato e dal popolo: il Senato è diventato un archivio al quale l’Imperatore non comunica neppure più le decisioni che ha preso. Diocleziano constata che un solo imperatore non basta più ad amministrare uno Stato così grande e allora chiama accanto a sé un suo ex compagno d’armi il generale Massimiano al quale attribuisce il titolo di Augusto e gli affida il governo della parte occidentale dell’Impero spostando la capitale da Roma a Milano, mentre Diocleziano [anche lui con il titolo di Augusto] governa l’Oriente eleggendo a capitale Nicomedia in Asia Minore [in Bitinia].

     La città di Nicomedia oggi si chiama Izmit [in Turchia] e si trova sulla costa orientale del mar di Marmara sul quale si affaccia anche Istanbul [andate ad individuare questa zona sull’atlante, che corrisponde all’antica Bitinia]. Questa città [oggi è un centro industriale di circa 255 mila abitanti] è sorta sulle strutture di una colonia fondata dai Megaresi nel 712 a.C., e ha preso il nome di Nicomedia perché, nel periodo del primo ellenismo, nel 264 a.C., è stata ristrutturata da Nicomede I diventando la capitale del regno di Bitinia. I sovrani di Bitinia, quando i Romani invadono questa parte del mondo per conquistarla, si sono subito alleati con loro anche se il re Prùsia, nonostante sia un fedele amico dei Romani, ha accolto e protetto Annibale, dopo la battaglia di Zama che decreta la fine di Cartagine; però, il grande condottiero cartaginese [l’avversario più acerrimo dei Romani], temendo di essere consegnato ai suoi eterni nemici, si avvelena e muore proprio a Nicomedia nel 183 a.C.. L’ultimo sovrano di Bitinia, Nicomede IV, quando fa testamento, nel 74 a.C., lascia Nicomedia in eredità allo Stato romano e questa città diventa la sede del governatore del Ponto e della Bitinia che diventano province romane e, quindi, Diocleziano nel 286 stabilisce volentieri la sua residenza a Nicomedia nella quale fa costruire numerosi monumenti.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per saperne di più fate un visita a Nicomedia [oggi Izmit] consultando l’enciclopedia, una guida della Turchia e collegandoci alla rete: buon viaggio

     I due Augusti [Diocleziano e Massimiano] si scelgono ognuno un collaboratore col titolo di Cesare, designandolo come successore. Questa ripartizione del potere è stata chiamata Tetrarchia [comando dei quattro]: l’Impero rimane uno dal punto di vista giuridico ma amministrativamente viene diviso in quattro parti dette “prefetture” e ogni prefettura viene divisa in diocesi e in province. Inoltre il potere civile viene separato da quello militare e questo sarebbe un fatto positivo se l’Impero non diventasse un complesso ingranaggio burocratico con un esercito di impiegati che grava inesorabilmente sulla spesa pubblica e di conseguenza aumentano le imposte, cresce ancora la povertà, ed è necessario calmierare il prezzo delle merci di più largo consumo. Diocleziano è convinto che per mantenere l’unità dello Stato sia necessaria l’unità di culto e quindi ordina nel 303 una persecuzione contro i Cristiani che è stata la più violenta e la più lunga di tutte [dal 303 al 311] ma le eterogenee Chiese cristiane ormai sono tutte organizzate e in questo periodo, che è stato chiamato l’Era del Martiri, non solo non cedono ma – utilizzando anche il metodo del “lapsus” – si rafforzano. Nel 305, dopo vent’anni di governo, Diocleziano abdica – vuole vedere come funziona il sistema tetrarchico – e si ritira a Salona, l’odierna Spalato, in Dalmazia, dove era nato.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Croazia fate un’escursione a Spalato [Split] per visitare i resti del grande palazzo di Diocleziano: questo monumento fa impressione per la sua suntuosità, visitatelo ...

     Diocleziano induce anche il suo collega Massimiano a dimettersi e così i due Cesari [Galerio e Costanzo Cloro] diventano Augusti e adottano due nuovi Cesari ma il sistema [applicato ad uno Stato in disgregazione] non funziona e, ben presto, i Cesari e gli Augusti cominciano a farsi la guerra. Nel 306 muore Costanzo Cloro, l’Augusto d’Occidente, e le legioni della Britannia acclamano Cesare suo figlio Costantino che entra in competizione in questa nuova guerra civile. La madre di Costantino [è una delle concubine di Costanzo Cloro che è sposato con la principessa Teodora figlia dell’imperatore Massimiano] si chiama Elena, è cristiana, e lo convince ad allearsi con i Cristiani. Costantino capisce che ormai il Cristianesimo è un movimento che ha una grande forza della quale bisogna tener conto e, accortamente, utilizzando l’influenza di sua madre, mentre infieriva ancora la persecuzione ordinata da Diocleziano, tratta con le comunità cristiane, mostrandosi benevolo, e i Cristiani, che sono tanti ormai, e molti di loro sono soldati, si arruolano nelle sue legioni.

     Questi avvenimenti determinano un cambiamento di prospettiva perché la storia dell’Impero, dal 306, dovrà essere letta con un’altra ottica: comincia una nuova Età che è stata chiamata del Basso Impero e, di conseguenza, entriamo anche nell’Epoca che viene chiamata del Basso tardo-antico, un’epoca nella quale si comincia a sentire l’odore del Medioevo sebbene il territorio medioevale sia ancora ad una certa distanza e non basterebbero neppure gli occhiali per metterlo a fuoco.

     E ora, per concludere, a proposito di occhiali, continuiamo a seguire, leggendo, la storia di Eugenia la quale non sa, nella sua infantile ingenuità, se il mondo che ha intorno sia meglio non vederlo piuttosto che vederlo.

LEGERE MULTUM….

Anna Maria Oreste, Il mare non bagna Napoli

Un paio di occhiali

Uscendo, Eugenia aveva inciampato nello scalino.     «Vi ringrazio, zi’ Nunzia,» aveva detto dopo un poco «io sono sempre scostumata con voi, vi rispondo, e voi così buona mi comprate gli occhiali…».    La voce le tremava.     «Figlia mia, il mondo è meglio non vederlo che vederlo» aveva risposto con improvvisa malinconia Nunziata.

Neppure questa volta Eugenia le aveva risposto. Zi’ Nunzia era spesso così strana, piangeva e gridava per niente, diceva tante brutte parole e, d’altra parte, andava a messa con compunzione, era una buona cristiana, e quando si trattava di soccorrere un disgraziato, si offriva sempre, piena di cuore. Non bisognava badarle.

... continua la lettura ...

     Nel prossimo itinerario continueremo a leggere questo racconto.

     Nell’estate del 312 Costantino punta su Roma e sconfigge l’ultimo suo rivale, Massenzio, con una battaglia combattuta ai Saxa Rubra, sulla riva destra del Tevere, nei pressi dell’attuale ponte Milvio. La leggenda narra che, prima della battaglia, apparve a Costantino nel cielo una croce luminosa con il motto “In hoc signo vinces [con questa insegna vincerai]” ma è probabile sia stata solo un’illusione ottica, anche perché in realtà Costantino riceverà il battesimo solo in punto di morte [nel 327]. Nel 313 Costantino, a Milano, emana il famoso “Editto sulla tolleranza [o Editto di Milano]” nel quale dichiara che il Cristianesimo è la religione dell’Imperatore. Con l’Editto di Milano [di cui stiamo celebrando i 1700 anni] l’idea della “tolleranza religiosa” non fa molti passi in avanti perché si rovescia la prospettiva: mentre il Cristianesimo diventa la religione dell’Augusto d’Occidente comincia a montare una certa intolleranza nei confronti del Paganesimo.

     La divisione operata da Diocleziano era ancora in atto e in Oriente regnava l’Augusto Licinio: nel 324 Costantino dichiara guerra a Licinio, lo sconfigge e abolisce la Tetrarchia riunificando l’Impero e riconoscendo il primato della Chiesa di Roma. Questo riconoscimento è un atto interessato perché l’Imperatore vuole lasciare l’onere del governo di Roma al vescovo di questa città che, ormai, non è più la capitale e, difatti, lui si trasferisce a Bisanzio, sul Bosforo, una bella e tranquilla città che, dopo una adeguata ristrutturazione, comincia a chiamarsi Costantinopoli. Costantino pretende che il Cristianesimo diventi una vera e propria religione, che faccia da supporto alle istituzioni statali e, per questo, vuole che la dottrina della Chiesa di Roma sia ben definita e, per raggiungere questo obiettivo, ordina che si convochi il Concilio ecumenico a Nicea per il 325 per redigere il documento [il simbolo] che regola l’ortodossia cristiana e per fissare il “canone” della Sacra Scrittura evangelica. Che cosa succede al Concilio di Nicea e, soprattutto, quali sono le conseguenze di questo importante avvenimento?

     Per conoscere e per capire è necessario un Percorso di Alfabetizzazione perché l’Alfabetizzazione culturale e funzionale è un bene comune [come gli occhiali] e l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona: per questo la Scuola è qui con il suo carattere “migratore” per esortarci ad investire in intelligenza

     Mancano solo due itinerari alla fine di questo viaggio: non perdete il passo…

 

PER INVESTIRE IN INTELLIGENZA

parola per parola …

     Leggi con attenzione queste parole che - in funzione della didattica della lettura e della scrittura - abbiamo incontrato viaggiando sul territorio della  “Sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo-antica” e fai la tua scelta  …

la paura  il silenzio  il sopruso  la preda  il rinnovamento  l’inquietudine 

la clemenza  il peccato  il tempo  la giustizia  la libertà  il rimorso

la sentenza  l’epigramma  l’eloquenza  la colonna  la malora  la dismissione 

il ritorno  la sintesi  l’essenzialità  il fanatismo  la confessione

 

 

     Scegli non più di tre parole e scrivile qui ….............................................................................................................

      *******************************************

     Le coppie di parole con cui comincia a finire l’Età antica sono:

l’esilio e la patria

il sonno e il sogno

l’amore e l’odio

la malattia e il tormento

la morte e la risurrezione

 

     Scegli non più di due coppie di parole e scrivile qui ….............................................................................................................

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 17, 2013