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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA C’È LA CONDANNA DELLA FIERA DELLE VANITÀ …

Lezione N.: 
13

 

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna   1–2-3  febbraio 2017

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA

C’È LA CONDANNA DELLA FIERA DELLE VANITÀ

     Questo è il tredicesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna”: un Percorso che prevede anche una visita alla Cappella Sistina, e perché, dopo circa quattro mesi di viaggio, non siamo ancora entrate ed entrati dentro questo famoso edificio [la Cappella più famosa del mondo] per osservare le immagini affrescate sul soffitto? Perché, come ben sappiamo, stiamo studiando l’itinerario della formazione intellettuale di Michelangelo in modo da acquisire i necessari elementi utili per capire il significato degli affreschi che questo artista geniale ha realizzato, e siamo a buon punto della nostra ricerca.

     Sappiamo che Michelangelo attraverso le Lezioni tenute in Palazzo Medici, a Firenze dei suoi maestri - Marsilio Ficino e, in particolare, Pico della Mirandola - acquisisce una competenza soprattutto nei confronti della cultura ebraica del Midrash, del Talmud e della Cabala: tre filoni letterari che interessano particolarmente le studiose e gli studiosi, le artiste e gli artisti del Rinascimento. Le parole-chiave che abbiamo catalogato e le idee-cardine che abbiamo inventariato contenute in questi tre apparti [il Midrash, il Talmud e la Cabala] Michelangelo le riversa, facendole emergere simbolicamente nelle sue Opere perché è convinto di poterle utilizzare per dare dignità al suo lavoro di artista, e ritiene che una riflessione sui concetti che emergono dalle antologie del Midrash, dal libro del Talmud e dal metodo esegetico della Cabala sia utile per creare una mentalità che possa portare a una necessaria riforma strutturale e culturale della Chiesa, secondo la proposta dei suoi maestri, primo fra tutti Pico della Mirandola.

     Inoltre, seguendo il percorso formativo di Michelangelo, abbiamo iniziato a studiare nelle sue linee generali la Storia del Pensiero rinascimentale che ha, come abbiamo studiato in questi mesi, le sue radici proprio nelle Opere di Marsilio Ficino e, soprattutto, di Pico della Mirandola che è considerato il precursore del cosiddetto “libero pensiero”: un atteggiamento intellettuale che ha caratterizzato lo sviluppo della cultura in Età moderna e che rimanda alla parola-chiave “autonomia” [una parola che dobbiamo tenere d’occhio].

     Come abbiamo annunciato la scorsa settimana, questa sera dobbiamo, insieme al giovane Michelangelo, procedere sul territorio della Storia del Pensiero Umano agli albori dell’Età moderna perché a Firenze si verificano una serie di avvenimenti legati ad un personaggio - fra Girolamo Savonarola [e dubito che qualcuna e qualcuno di voi non l’abbia sentito nominare] - che si è distinto sul piano intellettuale ma questo fatto [se non si studia] rischia di essere sottovalutato perché questo personaggio ha lasciato un’impronta nell’immaginario collettivo soprattutto a causa della drammatica e plateale [perché avviene in Piazza della Signoria] fine della sua esperienza terrena.

     Se osserviamo l’affresco de La Scuola di Atene di Raffaello [al quale abbiamo dedicato un Percorso nove anni fa] sullo sfondo vediamo un bel cielo azzurrino [andate ad osservarlo, è un’immagine inflazionata meno che dal punto di vista dello studio]; in questo cielo, tuttavia, ci sono delle nubi che non rappresentano un richiamo ad una prossima perturbazione di natura atmosferica ma bensì rimandano ad un perturbamento di carattere sociale, politico, ideologico.

     Gli ideatori de La Scuola di Atene, a cominciare da papa Giulio II che la commissiona nel 1508 e ne dirige la realizzazione, ci invitano a pensare che queste nubi si sono formate per via di un rogo. Erano nubi nere all’inizio, ma poi, nell’alto dei cieli, si sono purificate e sono diventate quasi candide, come le anime di chi su quel rogo è stato cremato, e il ricordo di questo tragico avvenimento, dieci anni dopo [nel 1508], è ancora caldo. Ebbene, sono passati quasi 519 anni e il ricordo dell’impiccagione e della cremazione pubblica di fra Girolamo Savonarola e dei due suoi confratelli, fra Silvestro da Firenze e fra Domenico da Pescia, avvenuta il 23 maggio del 1498 in Piazza della Signoria, è ancora vivo, e questo rogo “brucia ancora e sempre”. Questa esecuzione ha avuto una grande ripercussione nelle coscienze degli spiriti liberi [Pico della Mirandola e Angelo Poliziano sono coinvolti fino al 1494 quando muoiono entrambi avvelenati, e Pico in quello stesso anno aveva rinunciato al suo titolo nobiliare e alle sue rendite e si era fatto monaco domenicano, ed è coinvolto anche Marsilio Ficino che muore in profonda crisi esistenziale nel 1499; e tra tutti coloro che sono profondamente turbati a causa di questi avvenimenti c’è anche un certo padre Antonio Montesinos, magister domenicano, che lascia polemicamente l’Europa per le Indie e che incontreremo strada facendo]. Ma, dopo aver evocato la fine: incominciamo dall’inizio.

     Nel 1491 [Michelangelo sta producendo le sue prime Opere, come abbiamo studiato la scorsa settimana] Pico della Mirandola - che sta nascosto a Palazzo Medici dopo che Lorenzo il Magnifico lo ha salvato perché avrebbe potuto essere giustiziato a causa dei suoi Scritti considerati eretici dal Sant’Uffizio - insiste perché Lorenzo si adoperi per far tornare a Firenze [era stato allontanato l’anno prima per ragioni di ordine pubblico] il frate predicatore domenicano Girolamo Savonarola del quale Pico della Mirandola ammira il carattere e la cultura. Lorenzo, con il suo potere di mediazione, riesce nell’intento e Girolamo Savonarola rientra a Firenze e viene anche nominato dal capitolo dell’ordine priore di San Marco. Chi è Girolamo Savonarola?

     Non è facile definire un personaggio così complesso [è una domanda questa che ci si continua a fare], a noi interessa [secondo la natura del nostro Percorso in funzione della didattica della lettura e della scrittura] studiare il lato intellettuale della sua personalità. La sua figura si è prestata alle più varie interpretazioni: c’è chi ha visto in lui un eroe, chi un martire, chi un profeta democratico, chi un ciarlatano, chi un santo, chi un terrorista, ed è stato tanto glorificato quanto duramente denigrato. Noi - al di là delle frettolose glorificazioni e delle turpi denigrazioni - dobbiamo domandarci: che persona era, che vita ha vissuto, e soprattutto a quale cultura attinge il suo attivismo appassionato, che cosa ha significato la sua vicenda nella vita fiorentina, italiana ed europea della fine del Quattrocento, agli albori dell’Età moderna? Procediamo con ordine.

     Girolamo Savonarola è stato soprannominato dai suoi denigratori “il flagello ferrarese” perché è nato a Ferrara nel 1452 in una famiglia di persone benestanti e colte. Suo padre lo segue negli studi e lo incoraggia ad iscriversi alla facoltà di medicina nella prestigiosa Università della sua città. Insieme alla medicina Girolamo comincia anche a studiare la filosofia e poi la teologia finché sente il richiamo della vocazione religiosa e a ventitré anni entra, come monaco, nel convento dei frati domenicani predicatori di Bologna dove prosegue gli studi con grande profitto e ricevere gli ordini. Nel 1482 l’ordine dei domenicani lo nomina “lettore” nel convento di San Marco a Firenze. Il “lettore” è un magister [un docente, un insegnante] che deve organizzare lo studio dei frati domenicani in funzione della predicazione del Vangelo.

     Girolamo Savonarola si distingue per essere, prima di tutto, un esperto predicatore che prende molto sul serio questa attività perché è la mansione che giustifica, da parte di Domenico Guzmán nel 1215, la fondazione dell’ordine domenicano. La “predicazione” di Savonarola assume, a mano a mano che svolge il suo ruolo di  “lettore”, un carattere sempre più “profetico” perché attinge - dopo averli studiati a fondo - ai Libri dell’Antico Testamento e alla Letteratura dei Vangeli, per cui la figura divina nella quale Savonarola si riconosce è il Dio “rinnovatore e rivoluzionario” dei Profeti e dell’Apocalisse di Giovanni.

     Ben presto la predicazione di fra Girolamo - che attira un uditorio popolare sempre più vasto [ma coinvolge anche gli accademici come Marsilio Ficino, Angelo Poliziano e Pico della Mirandola] - diventa un manifesto di denuncia contro la corruzione, il malaffare, l’ipocrisia, smascherando difetti e storture che si annidano soprattutto nei vertici dell’istituzione ecclesiastica:  Savonarola attacca con veementi argomentazioni di tipo profetico e apocalittico, quindi, evangelicamente coerenti, le autorità religiose e civili auspicando una riforma strutturale e culturale della società e della Chiesa e combattendo quella che lui chiama “la fiera delle vanità”. Il suo attacco contro gli uomini di potere, colpevoli di presentarsi da cristiani ma di non rispettare minimamente i principi del cristianesimo, suscita una reazione e fa scoppiare tumulti [i poveri, che sono tanti, si radunano per ascoltare le sue prediche e poi cominciano materialmente a scagliarsi contro i ricchi sebbene fra Girolamo condanni la violenza], tanto che nel 1490 Savonarola viene allontanato da Firenze per ragioni di ordine pubblico.

     Ma, come sappiamo, nel 1491 - con la mediazione di quell’abile diplomatico che è Lorenzo il Magnifico [il quale nella sostanza approva molte delle affermazioni del frate ferrarese] - Girolamo Savonarola viene riammesso a Firenze e viene anche nominato priore del monastero di San Marco che, sotto la sua guida, diventa un’istituzione che inizia ad incidere non solo sulla vita religiosa ma anche su quella sociale e politica della Repubblica fiorentina. Savonarola fa delle scelte politiche per cui diventa il principale interlocutore del governo di Firenze come rappresentante delle istanze popolari e tiene “rapporti di rispetto” verso Lorenzo il Magnifico nonostante lo attacchi spesso per aver preferito “le opere di lusso piuttosto che quelle di carità” asserendo che “per i ricchi è facile fare beneficenza”.

     Savonarola partecipa alla morte di Lorenzo: l’8 aprile 1492 il Magnifico è in agonia e il priore di San Marco impartisce al morente l’Unzione dei malati e, contrariamente a quello che si poteva pensare, gli dà l’assoluzione [come scrive Pico della Mirandola in una sua Lettera], ed è un fatto strano perché Savonarola non assolveva gli uomini di potere perché secondo lui non meritavano di essere assolti.

     Savonarola ha rispetto per Lorenzo ma, dopo la sua morte, si schiera decisamente contro il partito mediceo e i Medici vengono cacciati a furor di popolo dalla città. Savonarola è un sostenitore del re di Francia, Carlo VIII, e prima auspica e poi  benedice la sua discesa in Italia nel 1494 in contrasto con la Lega degli Stati Italiani, ma anche Carlo VIII, “novello Ciro” [come lo chiama Savonarola], è una meteora che si spegne presto.

     A Firenze, nell’agone politico, ci sono tre partiti a contendersi il governo della Repubblica: il partito mediceo formato dai sostenitori dei Medici in esilio che prendono il nome di “Palleschi”, il partito aristocratico e borghese formato dai membri delle famiglie mercantili che prendono il nome di “Arrabbiati” e il partito populista formato da coloro che fanno riferimento a Savonarola ai quali viene dato il nome di “Piagnoni”. In questo momento di grave disorientamento politico il popolo, che subiva forme di sfruttamento, cerca una guida e trova una risposta di tipo profetico religioso e apocalittico nella predicazione di Savonarola che riesce a soddisfare questo stato d’animo popolare. Savonarola fa assurgere Firenze a “città universale” come se fosse “la Nuova Gerusalemme” in contrapposizione con Roma che diventa il simbolo di un cristianesimo corrotto e simoniaco.

     Il priore di San Marco agisce con grande abilità dialettica utilizzando tutta una serie di riferimenti tratti soprattutto dal Libro dell’Apocalisse di Giovanni [un testo che abbiamo studiato a suo tempo attraversando il territorio della Scolastica medioevale]: la Chiesa di Roma è “la depravata Babilonia” mentre la città di Firenze deve diventare “la Nuova Gerusalemme”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per capire la forma e il contenuto della predicazione di Girolamo Savonarola è utile fare un esercizio: basta che prendiate il volume della Bibbia dalla vostra biblioteca domestica e rileggiate i capitoli 18 e 21 del Libro dell’Apocalisse…  Se nel testo di questi due capitoli c’è un’affermazione o un’espressione che vi colpisce particolarmente: scrivetela…

     Savonarola diventa un punto di riferimento politico, la sua popolarità cresce e la schiera dei suoi seguaci s’infittisce e il partito dei “Piagnoni” viene a trovarsi al governo di Firenze e al priore di San Marco tocca dare nuovi ordinamenti alla città. I nuovi ordinamenti della “Repubblica fiorentina dello Spirito Santo” sono improntati a un rigoroso moralismo democratico: prevedono l’abolizione delle classi sociali, la nascita di una società di eguali, di fratelli, di “liberi dal peccato” con imposte progressive sul reddito perché ci sono comunque i ricchi e i poveri, e ciascuno deve partecipare al Bene della Comunità secondo Giustizia. Savonarola è un uomo colto, è un umanista, non è “un oscurantista in ritardo sui tempi” come spesso si è voluto far credere, ma lo Statuto comunitarista che lui redige non è facile da tradurre in pratica.

     Girolamo Savonarola vuole operare con zelo per la riforma della Chiesa e della Società civile, e pretende di farlo nel modo più difficile. Conoscendo la Repubblica di Platone [essendo uno studioso del pensiero platonico] ne segue l’involucro organizzativo ma pubblicamente smentisce di voler seguire questo modello perché apre una violenta polemica nei confronti della cultura greca: non accetta il fatto che il Cristianesimo si sia dovuto contaminare con l’Ellenismo. A ispirare la riforma di Savonarola è la profezia biblica, è l’immagine mitica del Cristianesimo delle origini quando i credenti erano “un cuor solo e un’anima sola” e il sovrano era “il Signore Gesù Cristo”. La società che vorrebbe realizzare è quella descritta nel testo degli Atti degli Apostoli [un’opera che non abbiamo mai smesso di studiare in questi anni] a cominciare dalla Pentecoste quando lo Spirito Santo scende ad illuminare le menti dei credenti: di qui [e così la pensava anche Gioacchino da Fiore] inizia la nuova èra.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Dato che avete già il volume della Bibbia in mano: rileggete i capitoli 4 e 5 degli Atti degli Apostoli che Girolamo Savonarola inserisce spesso nella sua predicazione...

Potete commentare il testo di questi due capitoli scrivendo quattro righe in proposito...

     Gli attacchi che il priore di San Marco scaglia contro la Chiesa di Roma - mettendo in evidenza la necessità di una riforma in senso evangelico - sono assai violenti e la Chiesa romana [Savonarola intende la curia] viene apostrofata con termini come: “ribalda, lussuriosa, meretrice” e prima del 1492 i papi [Sisto IV, Innocenzo VIII] esercitano nei suoi confronti “una diplomatica tolleranza” pensando che la predicazione di questo sconosciuto frate domenicano non avrebbe avuto un seguito. Ma nel 1492 [un anno ricco di avvenimenti non particolarmente positivi] viene eletto papa don Rodrigo Borgia, che prende il nome di Alessandro VI, un uomo senza scrupoli che non tollera opposizioni: è un personaggio dedito soprattutto a far crescere la potenza della propria famiglia e di suo figlio Cesare che dovrebbe trasformare lo Stato pontificio in un impero. Naturalmente il Borgia - che Savonarola accusa di simonia e di spudoratezza - usa subito contro fra Girolamo la maniera forte e ne nasce una lotta senza esclusione di colpi nella quale don Rodrigo trova un avversario fiero, disinteressato e amante della Chiesa concepita come immagine di Cristo sulla terra e non come centro di potere.

     Nel giugno del 1497 il Borgia trova gli estremi per scomunicare il priore di San Marco che non si lascia intimorire da questo papa che lui definisce “un poco di buono” e aumenta il tono delle sue requisitorie contro un papato corrotto, ma la scomunica influisce negativamente sulla sua immagine. Il papa corrotto ha come alleata l’ignoranza che attanaglia il popolo: il pubblico popolare si allontana da Savonarola perché è convinto, nella sua ignoranza [e gli viene fatto credere ad arte], che l’ascolto di un ecclesiastico scomunicato porti male, e il potere della superstizione ha la meglio:  il popolo fiorentino abbandona il frate, i suoi nemici politici si coalizzano e gli Arrabbiati e i Palleschi trovano un accordo con il papa simoniaco che promette loro aiuti economici; di conseguenza, una turba di Arrabbiati assalta il convento di San Marco: fra Girolamo viene arrestato con fra Silvestro e fra Domenico. Il quarantaseienne fra Girolamo viene giudicato da un tribunale della Signoria presieduto da due commissari pontifici e il 22 maggio viene emessa la condanna a morte, e nella tarda mattinata del 23 maggio i tre frati vengono impiccati e i loro corpi arsi in piazza della Signoria. Nelle sue ultime ore di vita il priore di San Marco si era adoperato con tutte le sue forze per difendere e salvare i suoi due confratelli, Silvestro e Domenico, addossandosi con fierezza tutte le responsabilità di cui era stato accusato, ma non riesce nell’intento.

     Il giovane Michelangelo, che ha vissuto in diretta questi drammatici avvenimenti, ha ascoltato le prediche di Savonarola in San Lorenzo e confessa che quando il priore si scagliava contro “il peccato di vanità” si sentiva chiamato in causa [era in effetti troppo vanitoso del suo talento] ed era molto intimorito per la paura di finire all’Inferno. Parecchio tempo dopo, ormai anziano, Michelangelo raccontava che a volte gli capitava ancora di udire il terribile suono della voce del priore di San Marco che inveiva contro “la fiera della vanità”. E Michelangelo, quarant’anni dopo, inserisce Girolamo Savonarola nel grande affresco che ha dipinto sulla parete di fondo della Cappella Sistina intitolato il Giudizio universale, e lo raffigura in tutta la sua bruttezza [era piuttosto brutto e dotato di un gran nasone] ma con un’espressione [un ghigno beffardo] quasi sorridente, e lo colloca nella parte inferiore dell’affresco, nell’atto di emergere dal pantano per ascendere al cielo; Michelangelo non mette vicino al frate predicatore altre anime o angeli ad aiutarlo perché, forse, pensa che se la possa cavare da solo avendo sempre pensato che Dio [il Dio dei profeti e dell’Apocalisse] era dalla sua parte e che, nell’ultimo giorno, lo avrebbe assolto e salvato [e Michelangelo lo assolve e lo salva].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Non vi sarà difficile trovare su un catalogo reperibile in biblioteca e navigando in rete l’immagine di Girolamo Savonarola emergente dal pantano ritratto da Michelangelo nell’affresco del Giudizio Universale [1536-1541] sulla parete di fondo della Cappella Sistina... 

     Da tempo è in corso una discussione se la predicazione del priore di San Marco abbia influenzato Michelangelo nella realizzazione di un’altra opera giovanile a lui attribuita, ed è lecito pensare che l’artista abbia trovato anche una motivazione quando il predicatore Girolamo Savonarola afferma che “bisogna portare la propria croce” invitando le persone a meditare - alla luce dei testi evangelici - sul drammatico epilogo che ha avuto la vita del rabbi ebraico Gesù di Nazareth che, pur sapendo di essere stato adottato da Dio, ha affrontato “la passione e la morte” da uomo per cui [predica Savonarola] “ogni persona è chiamata a rivivere la passione e la morte di Cristo nel proprio corpo e con lo stesso spirito”.

     Nel 1492 il giovane diciassettenne Michelangelo vive immerso nelle tensioni che pervadono la città di Firenze: muore Lorenzo il Magnifico e i suoi successori, che non sono alla sua altezza, vengono cacciati in esilio, mentre i maestri di Michelangelo - Marsilio Ficino, Angelo Poliziano, Pico della Mirandola - sono in crisi esistenziale a causa della predicazione di Savonarola che intanto ha preso il controllo del governo della città.

     Michelangelo con la morte di Lorenzo il Magnifico rimane “orfano” e viene ospitato nel convento agostiniano di Santo Spirito dal priore Niccolò di Lapo Bichiellini. Si ipotizza - perché non ci sono documenti - che il priore, riconoscendo il talento del giovane artista, gli abbia chiesto di scolpire un crocifisso ligneo per abbellire la basilica di Santo Spirito la cui edificazione, su progetto iniziale di Filippo Brunelleschi, è stata terminata da poco, nel 1487.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Navigando in rete ma soprattutto con la guida di Firenze in mano fate una visita alla basilica di Santo Spirito...

     Michelangelo accetta questa commissione per ricambiare l’ospitalità e anche perché chiede e riceve in gran segreto dal priore Bichiellini un permesso speciale [un po’ macabro] per soddisfare il desiderio che coltiva di studiare l’anatomia, perché il priore di Santo Spirito aveva accesso, tramite l’ospedale annesso alla chiesa, ai cadaveri dei poveri, dei criminali e dei morti senza nome.

     Come sappiamo, nell’antichità non erano solo i medici a dissezionare i cadaveri per comprendere meglio il corpo umano ma se ne occupavano anche gli artisti, ed è attraverso questa pratica che i maestri dell’Arte classica, nell’Ellade in particolare, hanno imparato a raffigurare i corpi con grande perfezione producendo sculture che, ancora oggi, suscitano ammirazione. In Età rinascimentale [ma dal Quattrocento fino a tutto il Seicento] c’è il proposito da parte degli artisti di raggiungere la stessa perfezione e, quindi, c’è la volontà di studiare “anatomia” direttamente sui corpi, ma c’è un ostacolo a sbarrare questa strada  perché il Sant’Uffizio proibisce a chiunque, e per qualunque ragione, di studiare i cadaveri. L’unica eccezione è l’Università di Bologna in cui la facoltà di Medicina ha una speciale autorizzazione a dissezionare i cadaveri dei delinquenti giustiziati al solo scopo didattico. Agli artisti non rimaneva quindi che infrangere la legge e, in proposito, nasce un mercato gestito da bande di ladri di cadaveri e si sviluppa una rete di obitori clandestini dove gli artisti dissezionano i corpi ed eseguono degli schizzi il più precisi possibile e più in fretta che possono perché prima dell’alba bisogna eliminare ogni traccia del reato.

     Il priore di Santo Spirito aiuta Michelangelo a infrangere questo divieto lasciandogli libero accesso ai cadaveri custoditi nell’ospedale in attesa di sepoltura, e da vecchio Michelangelo confessa che era nauseato a procedere in queste macabre operazioni ma la sua passione per l’Arte e il suo perfezionismo prevalevano sullo stomaco per cui è arrivato a conoscere molto a fondo la struttura del corpo umano, e questo alto livello di competenza lo ha messo a frutto nelle sue Opere.

     Michelangelo, per ringraziare il priore di Santo Spirito, Niccolò di Lapo Bichiellini, che lo ha accolto quando il giovane artista ha dovuto allontanarsi da Palazzo Medici dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, realizza un’opera che è l’unica di questo periodo della sua vita ad esserci pervenuta: un crocifisso policromo ligneo. Si pensava che quest’opera fosse andata irrimediabilmente perduta invece è stata ritrovata poco tempo fa all’interno della chiesa di Santo Spirito e l’attribuzione, avvenuta nel 2000, ha suscitato qualche polemica poi sopita. La leggenda vuole che l’artista abbia crocifisso realmente un uomo morto da poco per vedere con esattezza la disposizione dei muscoli delle mani e del resto del corpo, e certamente il crocifisso della chiesa di Santo Spirito è straordinariamente accurato dal punto di vista anatomico, e ci sono tre dettagli di questa scultura da osservare con attenzione [e per questo bisognerebbe poterla vedere da vicino].

     Il primo dettaglio è che Michelangelo - contrariamente a tutte le rappresentazioni precedenti che presentano un Gesù glabro [come fosse depilato] - ha riprodotto sul corpo di Cristo i peli del torace, del pube e delle ascelle realizzando una raffigurazione completamente realistica.

     Il secondo dettaglio è che l’artista ha eseguito con la stessa cura anche la parte posteriore della statua, pur sapendo che l’opera sarebbe stata appesa in alto su una parete della basilica …

     Il terzo dettaglio è veramente interessante e riguarda il “titulus” [la targhetta, l’etichetta] che, secondo la Letteratura dei Vangeli, i soldati romani, per ordine di Pilato, hanno fissato, come gesto derisorio, sulla croce sopra il capo di Gesù: ebbene, Michelangelo non ha inserito nel titulus le solite quattro lettere I.N.R.I. [Iesus Nazarenus Rex Iudeorum], ma l’iscrizione completa ripetuta tre volte in ebraico, in greco e in latino. Ed è singolare il fatto che Michelangelo abbia collocato la scritta in ebraico per prima e nella direzione giusta, da destra a sinistra, seguita dalle versioni greca e latina anch’esse scritte a rovescio per seguire la logica della lingua ebraica, e la spiegazione di un gesto così curioso deriva certamente dal fatto che nello stesso anno [1493] è stata scoperta una reliquia all’interno delle mura della basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma: si tratta di un frammento di un’antica scritta su legno che potrebbe sembrare proprio il “titulus crucis” originale [ma nel 2002 il carbonio quattordici ha dimostrato che questo frammento di legno non risale al primo ma all’undicesimo secolo, all’anno Mille, quando è in piena attività la Scuola di Toledo]. Il frammento è in cattivo stato e contiene solo le parole «Gesù il Nazareno», e la parte restante di iscrizione, «re degli ebrei», è interrotta all’inizio della frase ma è in tre lingue, con le scritte greca e latina in senso inverso sotto quella ebraica. La notizia di questo ritrovamento - che mette in evidenza il fatto che Gesù di Nazareth è prima di tutto un rabbi ebraico - stimola Michelangelo a realizzare il suo crocifisso nel modo più realistico possibile anche nel “titulus” e poi è evidente, come abbiamo studiato in questi mesi di viaggio, che un’iscrizione del genere possiede un fascino particolare per un artista che aderisce alla “corrente neoplatonica pedagogico-filologica” perché i due maggiori ispiratori di questa tendenza, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, considerano come concetto-chiave del loro movimento intellettuale l’idea che è possibile trovare un’armonia tra diverse Scuole di pensiero: quella ebraica [del Midrash, del Talmud e della Cabala], quella della filosofia greca [di Platone e di Aristotele] e quella del cristianesimo [della Letteratura dei Vangeli].

     Michelangelo nel crocifisso di Santo Spirito mette quindi in evidenza il fatto che non c’è cultura [non c’è coltura, dal verbo “coltivare”] senza il necessario collegamento tra l’ebraismo, il cristianesimo e il mondo classico greco e latino, un’idea che il Sant’Uffizio condanna imponendo di credere che la sola religione vera e salvifica è il cristianesimo.

     Infine Michelangelo inserisce un altro interessante messaggio nel “titulus” del crocifisso: nell’iscrizione ebraica se avesse dovuto tradurre «il re degli ebrei » [come cita la Letteratura dei Vangeli e come appare in tante altre opere che raffigurano la crocifissione] avrebbe dovuto scrivere “melech ha-Yehudim” ma Michelangelo scrive “melech me-Yehudim” che significa «un re dagli ebrei»: questa piccola differenza rappresenta un grande cambiamento del significato generale perché Michelangelo vuole ricordare che “il Gesù adorato dalla Chiesa è ebreo e proviene dal popolo ebraico e dalla sua fede”. La riflessione di Michelangelo non è casuale infatti con la morte di Lorenzo il futuro per gli ebrei di Firenze appare tutt’altro che rassicurante in quanto le famiglie che si erano opposte alla loro accoglienza da parte di Cosimo il Vecchio stanno ora per riprendere il controllo della città, e poi nel 1492 la cristianissima regina Isabella [che incarna lo spirito truce dell’Inquisizione], dopo aver conquistato Granada, caccia i musulmani e gli ebrei dalla penisola Iberica [a migliaia muoiono durante le lunghe marce verso Gibilterra e verso i Pirenei] suscitando l’indignazione tra le persone sensibili [che tuttavia sono poche] di molti paesi europei.  Michelangelo è tra queste persone ma non è un pubblico oratore né uno scrittore né un insegnante né un uomo politico: è però un giovanissimo artista ben preparato e la sua reazione è stata quella di lasciare un segno di protesta con il suo crocifisso [“ogni persona è destinata a portare la propria croce”].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Non ci resta che entrare nella chiesa di Santo Spirito per far visita al crocifisso ligneo di Michelangelo, ma utilizzando le immagini di un catalogo reperibile in biblioteca oppure osservando quelle depositate su diversi siti della rete si possono notare meglio i particolari che ora conosciamo e che danno a quest’opera l’ampio significato che possiede...

     Quello che a noi ora interessa maggiormente nell’itinerario di questa sera è definire la personalità di Girolamo Savonarola sotto il profilo culturale perché non è esatto ridurre il priore di San Marco a “un quaresimalista ossessionato dal peccato”. Che tipo di intellettuale è fra Girolamo Savonarola?

     Sappiamo che ha il titolo di “lettore” e in quanto tale è un conoscitore e un divulgatore della Filosofia e, in particolare, della Filosofia della Scolastica [un vasto territorio sul quale abbiamo viaggiato in questi ultimi anni]. Quando nel 1482 fra Girolamo viene inviato dal suo ordine a Firenze la vita intellettuale della città è in piena fioritura; Lorenzo il Magnifico ha creato le condizioni perché si sviluppi un clima culturale molto raffinato e fra Girolamo è perfettamente inserito in questo clima e coltiva legami di amicizia e di studio con Marsilio Ficino, con Angelo Poliziano, con Pico della Mirandola e frequenta tutti gli Umanisti che sono al lavoro a Firenze in questo momento, ed è proprio uno di questi, Pietro Crinito, che ci informa nel suo Epistolario degli incontri che avvengono nella biblioteca di San Marco. Leggiamo che cosa scrive in una sua Lettera.

LEGERE MULTUM….

Pietro Crinito, Epistolario

L’incontro tra li omini novi [gli Umanisti] in Fiorenza si svolgea di sera nella biblioteca in San Marco. Lì, in mezzo a’ libri numerosi, Pico e Poliziano e Marsilio insieme a molti altri, et con loro fra Girolamo, disputavan assai di philosophia, si davan suggestioni a vicenda, facievan fiorire idee, casi curiosi, umori avanti tempo, et non sdegnavan pur di proferir fandonie e ciarle [di fare pettegolezzi] da mover lo riso a generar buon sangue, ma sopra di tutto era lo studio di cui prendevan cura.   

     Bisogna fare l’analisi delle parole che fra Girolamo pronuncia nelle sue prediche: sembra scagliarsi contro la poesia, l’arte oratoria, l’astrologia, la filosofia ma in realtà critica duramente gli ecclesiastici che usano queste discipline umanistiche per puro divertimento e non come strumenti per interpretare la Sacra Scrittura che, secondo lui, non può essere ridotta ad “ancella” dei modelli letterari ed artistici. Leggiamo che cosa dice fra Girolamo in una predica durante l’Avvento del 1493.

LEGERE MULTUM….

Girolamo Savonarola, Prediche

Vattene a Roma e per tutto il cristianesimo, nelle case de’ grandi prelati non si attende se non a poesia et a arte oratoria. Va pure, et vedi. I nostri predicatori anchora hanno lasciato la Scrittura santa et sonsi dati all’astrologia et alla philosophia, et quella predicano in su pulpiti, et fannola regina; et la Scrittura sacra l’adoperano come ancilla, perché ei predicano la philosophia per parere dotti et non perché la deserva loro a sporre la Scrittura sacra.

     Fra Girolamo è stato accusato di essere “nemico della cultura” ma in realtà si oppone “all’uso superficiale della cultura” e lo si capisce dal suo stesso impegno intellettuale.

     Per iniziativa di fra Girolamo Savonarola viene trascritto e poi tradotto in latino “un codice” che si trova nella biblioteca di San Marco e che contiene una raccolta completa delle opere scettiche del pensatore e medico greco Sesto Empirico vissuto nel II secolo d.C.. È davvero curioso il fatto che fra Girolamo si occupi del “pensiero scettico” ma c’è una logica in questa sua scelta: quale logica? Per rispondere in modo esaustivo a questa domanda [c’è un presupposto biblico di cui bisogna tener conto] dobbiamo attendere l’itinerario della prossima settimana però adesso bisogna iniziare a riflettere su questo tema perché ha una ricaduta sulla formazione della mentalità rinascimentale.

     Abbiamo studiato a suo tempo [recentemente nell’anno 2008] il pensiero della Scuola scettica, che viene fondata in Grecia da Pirrone di Elide e Timone di Fliunte tra il IV e il III secolo a.C. e poi, in Età ellenistica, nel II secolo d.C., Sesto Empirico ne rielabora le idee, e sappiamo che il termine greco “sképsis” significa “indagine” e gli Scettici si propongono di indagare su tutte le dottrine in modo da riconoscerle tutte non esaustive ma limitate e relative.   Le cose, sostiene il pensiero scettico, non sono vere o false, belle o brutte per natura, ma solo per convenzione: le cose risultano vere o false, belle o brutte non perché siano tali in realtà ma perché le persone hanno convenuto che siano tali e allora non rimane che sospendere ogni giudizio [fare “epoché” che in greco significa “sospendere il giudizio”], in modo che, cessando la possibilità di fare errori, cessi anche ogni motivo di turbamento per poter raggiungere “l’equilibrio”, “l’atarassia” [che in greco significa “imperturbabilità”].

     Fra Girolamo trova interessante questo pensiero - anche perché, come abbiamo accennato poco fa, ha un riscontro nella cultura biblica - e riconosce alle Scuole scettiche, e a Sesto Empirico [sebbene sia un laico agnostico], il merito di aver suscitato un grande fervore critico costringendo i vari sistemi dogmatici a vagliare razionalmente le proprie esperienze in modo da promuovere un utile approfondimento culturale. La raccolta delle Opere scettiche [Ipotesi scettiche e Contro i dogmatici] di Sesto Empirico, messa in circolazione da fra Girolamo, ha avuto una grande influenza nella cultura del Rinascimento e oltre. Fra Girolamo vive in questo humus culturale e, quindi, non è proprio “un monaco zoccolante” come lo raffigurano certi stereotipi. Fra Girolamo studia e propone la cultura scettica de “la sospensione del giudizio” per evidenziare la fragilità delle varie dottrine ma invita anche “a fare delle valutazioni” [e lui le fa eccome] usando  “una misura” che secondo lui è precisa: il “metro dato dal Vangelo” e nell’uso di questo “metro” lui è coerente ed è proprio per la sua coerenza che è diventato un eroe perseguitato. Si trovano certamente nelle sue Prediche eccessi moralistici e apocalittici ma bisogna tener conto di quali imbroglioni [a cominciare da papa don Rodrigo Borgia] aveva intorno. E il “rogo delle vanità” che fra Girolamo predica con toni accesi [è stato il primo a cantare “il Vaticano brucerà!”] è l’eliminazione delle cose superflue e dannose per il corpo, per l’intelletto e per l’anima [e non si può considerare fra Girolamo responsabile degli eccessi che, durante i tumulti di quegli anni burrascosi, hanno causato danni al patrimonio fiorentino pubblico e privato]. Bisogna ammettere che ogni tanto ci viene voglia di fare un bel “rogo delle vanità” perché succede di pensare che di certe cose non se ne possa più.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Che cosa brucereste in un metaforico “rogo delle vanità”...  vale a dire quali sono, secondo voi, le cose superflue e dannose per il corpo, per l’intelletto e per l’anima?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Abbiamo detto che Savonarola trova interessante il pensiero scettico perché ha un riscontro nella cultura biblica, difatti, a questo proposito, fra Girolamo fa l’esegesi di un particolare Libro dell’Antico Testamento e questo commento influenza il pensiero del Rinascimento e incide anche sul carattere inquieto di Michelangelo il quale si rende conto [ed è molto combattuto nel suo intimo] che sta vivendo in un’età di ostentazione della vanità [e questo è un motivo per cui anche Marsilio Ficino, Angelo Poliziano, Pico della Mirandola entrano in crisi], ma di questo tema, che influenza il pensiero agli albori dell’Età moderna, ce ne occuperemo la prossima settimana.

     Adesso dobbiamo terminare la lettura del romanzo In villa di Somerset Maugham dicendo che la parte finale di questo racconto, in sintonia con la tabella di marcia, rimanda alle parole-chiave che abbiamo evocato, “vanità e scetticismo”, e il romanzo si conclude [e non poteva essere diversamente] anche con un riferimento, implicito ma evidente, al “predicatore bruciato sul rogo in pieno Rinascimento”. Per proseguire nella lettura  dobbiamo con pazienza rinfrescarci la memoria.

     L’affascinante signora Mary Panton che, come sappiamo, è la protagonista del romanzo - dopo la morte del marito in un tragico incidente stradale mentre era in preda all’alcol e in rovina per i debiti di gioco - è rimasta vedova in pessime condizioni economiche, e viene ospitata da amici inglesi, temporaneamente assenti da Firenze, in una cinquecentesca villa rinascimentale posta in posizione panoramica sulla città. Mary [come sappiamo] ha appena ricevuto una proposta di matrimonio da Sir Edgar, un bell’uomo, atletico ed elegante, che sta per diventare governatore del Bengala in India: lei non è innamorata perché Edgar - che ha ventiquattro anni più di lei - potrebbe essere suo padre, del quale era amico e coetaneo, ma tuttavia è propensa ad accettare l’offerta. C’è poi, come sappiamo, un secondo uomo che la corteggia, completamente diverso da Edgar, si chiama Rowley, è un trentenne non particolarmente bello né elegante ma dotato di uno speciale fascino che gli assicura un grande successo con le donne, inoltre è ricco di famiglia e vive di rendita. In assenza di Sir Edgar, che deve ricevere l’incarico di governatore del Bengala, Mary e Rowley s’incontrano perché partecipano entrambi ad una cena organizzata dall’impertinente principessa San Ferdinando in una trattoria lungo l’Arno dove assistono anche all’esibizione di uno scadente giovane violinista al quale Mary, quando lui passa col piattino, fa comunque un’offerta molto generosa. Rowley approfitta dell’incontro per corteggiare Mary ma senza successo perché lei lo detesta, tuttavia, dopo cena è costretta, per dovere di cortesia, a riaccompagnarlo in auto al suo albergo, e strada facendo la conversazione tra i due diventa appassionata: lui le consiglia di non sposare Edgar perché un’unione senza amore porta verso l’infelicità ma lei dichiara di essere stufa dell’amore perché, pur essendo stata molto innamorata di suo marito, non è riuscita con l’amore a salvarlo né dall’alcol né dal gioco e, quindi, ora preferisce una soluzione di ripiego, e poi, se si presentasse un’occasione particolare, potrebbe anche donare generosamente qualcosa di sé, della sua bellezza della quale è consapevole, a qualcuno che avesse davvero bisogno di affetto; Rowley ironizza su questa sua intenzione filantropica anche se è sempre più attratto da Mary e, con tono scherzoso, le fa anche lui una proposta di matrimonio che lei considera poco seria e lui rimane assai deluso dal rifiuto di Mary perché la sua dichiarazione d’amore, in realtà, è sincera. Rowley poi scopre che Mary in borsetta ha una pistola e critica Edgar che la costringe a portare un’arma anche se lei non vorrebbe, ma Mary lo difende con fermezza. Giunti davanti all’albergo i due si salutano con freddezza, lui scende e lei si dirige verso casa. Sulla via di campagna che porta alla villa, c’è una terrazza semicircolare da cui si vede la bellezza di Firenze e Mary si ferma per affacciarsi e lì c’è anche il giovane [improbabile] violinista che abita in una casa di contadini non lontano dalla villa. Lui si avvicina, si riconoscono, lui la ringrazia di cuore per la sua generosa offerta perché non ha lavoro e deve pagare l’affitto ai poveri contadini che lo ospitano, e Mary sente - come aveva detto a Rowley poco prima - di dover offrire affetto a questo giovane povero, garbato, piuttosto timido che si chiama Karl, ha ventitré anni, è uno studente d’Arte austriaco oppositore dei nazisti che è stato imprigionato ma è riuscito a fuggire in Italia dove sopravvive clandestinamente [il romanzo è stato pubblicato nel 1941]. Mary lo invita a visitare la villa, gli mostra gli affreschi della sala, gli prepara la cena ed è piena di tenerezza per questo ragazzo con il quale balla il valzer ed evoca i versi di Goethe, e i due finiscono per amarsi. Mary poco prima dell’alba vuole che lui se ne vada: devono dirsi addio, ma Karl non accetta questa decisione e la accusa di averlo illuso in modo crudele e di essersi approfittata di lui, e lei dichiara di averlo fatto per compassione e di non essere libera e lui diventa aggressivo, lei gli punta la pistola, lo minaccia ma poi, piangendo, posa l’arma, e lui si calma, l’abbraccia, poi prende la pistola e si uccide. Mary è sconvolta ma riesce a far allontanare la cameriera che ha sentito il colpo, e decide di chiedere aiuto a Rowley: gli telefona in albergo, lui accorre in suo aiuto e si trova di fronte a una situazione molto ambigua. Mary gli racconta come sono andati i fatti ma non vuole chiamare la polizia perché potrebbe essere facilmente accusata di omicidio, e allora lui le propone - prima che faccia giorno - di caricare il corpo dello sventurato giovane in macchina e di abbandonarlo in una zona boschiva lontano dalla villa. L’operazione assai rischiosa - durante la quale i due devono anche far finta di essere amanti in cerca d’intimità [e a lei quel contatto non dispiace] - va a buon fine soprattutto per la freddezza e l’autocontrollo di Rowley e il cadavere viene abbandonato nel folto del bosco: sanno entrambi di non aver compiuto una buona azione. Rowley torna al suo albergo in bicicletta e lei, dopo essere rientrata in camera assai turbata, prende un sonnifero si addormenta esausta. Il giorno dopo Mary e Rowley s’incontrano nel giardino della villa e naturalmente tra i due si è sviluppata una particolare situazione di complicità dovuta anche alla preoccupazione per il prevedibile ritrovamento del corpo del giovane suicida. Mary ha paura, però pensa che sposando Edgar si trasferirebbe in India e si allontanerebbe dalla scena della tragedia, e Rowley, per il suo bene, non può che approvare la sua decisione, ma Mary, prima di dare una risposta a Edgar, gli vuole raccontare tutto ciò che è accaduto, pensa di dover essere sincera con lui ed è convinta che lui capirà, ma Rowley la sconsiglia vivamente dal farlo per le conseguenze che potrebbe avere questa sua scelta.

     Per sapere come vanno a finire le cose, andiamo avanti a leggere con la complicità di Girolamo Savonarola, una persona  che [secondo l’autore] ha saputo rischiare.

LEGERE MULTUM….

W. Somerset Maugham, In villa

Erano le quattro del pomeriggio quando Nina annunciò a Mary che al telefono c’era Sir Edgar. Era appena arrivato all’albergo e desiderava poterla vedere. Mary lo aspettava e gli fece rispondere che sarebbe stata lieta di vederlo. Il cuore prese a batterle più in fretta. Tirò fuori lo specchietto dalla borsa e si guardò. Era pallida, ma non mise belletto, a Edgar non piaceva. Quando Edgar comparve Mary si alzò e gli andò incontro. Era, come al solito, vestito impeccabilmente. Ed era un piacere guardarlo venire avanti con passo deciso; i suoi occhi azzurri brillavano e non aveva l’espressione severa che gli era abituale, ma sorrideva felice. «Sei bella come un quadro» disse. Anche Lord Atkinson usava questa frase trita ogni volta che la vedeva. Mary, divertita, pensò che fosse quel che i signori di una certa età dicevano sempre alle donne molto più giovani di loro.  «Accomodati, Nina ci porterà un tè. Hai fatto buon viaggio?».

... continua la lettura ...

     Piero, il figlio maggiore di Lorenzo il Magnifico, a soli vent’anni si trova a capo della casata, ma mentre suo padre a vent’anni era temprato per una simile responsabilità, Piero al contrario è debole, immaturo, viziato, e la sua unica preoccupazione è organizzare feste, e a Michelangelo non viene richiesto di realizzare neanche un’opera. L’unica notizia degna di nota riguarda l’eccezionale nevicata del 1493, e Piero, giocherellone, ne approfitta per commissionare a Michelangelo una grande statua di Ercole interamente realizzata con la neve gelata! I fiorentini ammirano l’opera che va decomponendosi, e diventa una significativa allegoria della condizione in cui i Medici sono precipitati. Michelangelo [come Mary] comincia a pensare di andarsene da Firenze: dove andrà?

     Per rispondere a questa e ad altre domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, consapevoli [anche nel cuore dell’inverno] che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare.

     Per questo la Scuola è qui, e il viaggio continua…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Febbraio 3, 2017