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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA DIVENTA MOTIVO DI RIFLESSIONE L’ESPRESSIONE: «È LEGGENDO L’OPERA DELL’INTELLETTO CHE SI SCRIVE IL TEMA DELL’ANIMA» …

Lezione N.: 
9

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna    14 - 15 - 16  dicembre  2016

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA

DIVENTA MOTIVO DI RIFLESSIONE L’ESPRESSIONE:

«È LEGGENDO L’OPERA DELL’INTELLETTO CHE SI SCRIVE IL TEMA DELL’ANIMA»

     Questo è il nono itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e questa è l’ultima Lezione prima della vacanza natalizia e l’ultimo itinerario dell’anno 2016.

     Siamo sempre in attesa di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio, e l’attesa non è stata infruttuosa perché, come ben sapete, abbiamo iniziato a studiare l’itinerario [le forme e i contenuti] della formazione intellettuale di Michelangelo in modo da acquisire i necessari elementi utili per capire il significato dei suoi affreschi, che osserveremo quando papa Giulio II ci farà entrare gratis.

     Inoltre, seguendo il percorso formativo di Michelangelo, abbiamo iniziato a studiare nelle sue linee generali la Storia del Pensiero Umano agli albori dell’età moderna: un’epoca nella quale stiamo viaggiando virtualmente. Sappiamo [perché quindici giorni fa abbiamo affrontato questo argomento] che l’iter della formazione di Michelangelo coincide con un avvenimento culturale che ha avuto una grande incidenza in Età rinascimentale: lo scontro tra i neoplatonici e gli aristotelici umanistici. Questa complessa e articolata polemica ha avuto il merito di favorire lo sviluppo di numerosi investimenti in intelligenza e, prima di prendere il passo sull’itinerario di questa sera, dobbiamo rinfrescarci la memoria in proposito: ricordate come si articola la polemica tra neoplatonici e aristotelici umanistici?

     Lo scontro tra neoplatonici e aristotelici non è, in quanto tale, particolarmente intenso ma,  come sappiamo, s’inasprisce all’interno del mondo neoplatonico tra chi vuole respingere in blocco il pensiero di Aristotele e chi, invece, lo vuole utilizzare.

     Sappiamo che nell’ambito del neoplatonismo rinascimentale si formano tre correnti contrapposte. La prima corrente neoplatonica è quella “mistico-religiosa” i cui membri [per primi gli intellettuali bizantini Gemisto Pletone e Giovanni Bessarione] divinizzano la figura di Platone instaurando una sorta di culto paganeggiante e si schierano decisamente contro la filosofia di Aristotele. La seconda corrente neoplatonica è quella “politica, di carattere filologico e antropologico” i cui esponenti di spicco sono “i discepoli indiretti” di Francesco Petrarca, gli Umanisti [Giovanni Boccaccio, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Leon Battista Alberti, Lorenzo Valla, tutti personaggi che abbiamo incontrato nel maggio scorso]: gli Umanisti sostengono le tesi contenute nei Dialoghi di Platone, per cui la vera realtà è il Mondo delle Idee, ma considerano la Fisica e la Metafisica di Aristotele due strumenti fondamentali per dare completezza al sistema platonico [perché anche “la sostanza” è un elemento reale, e se la materia non avesse “una sostanza” le Idee non potrebbero dar forma alle cose]. La terza corrente neoplatonica prende il nome di “pedagogica” e i maggiori esponenti di questa linea di tendenza [noi li conosciamo, ne abbiamo studiato il pensiero] sono Marsilio Ficino e Pico della Mirandola [e avremo ancora a che fare con loro] i quali come sappiamo intendono esaltare il valore universale dello “studio [e per questo la corrente si chiama “pedagogica”]” in quanto strumento capace di “dare dignità alla persona”. Come sappiamo, per Marsilio e Pico c’è “una scala” da salire per conoscere l’Universo, e questa “scala di cinque gradini” è una metafora che corrisponde a “un piano di studi” che include tanto le Opere di Platone [i Dialoghi] quanto quelle di Aristotele [la Fisica e la Metafisica]. La “corrente pedagogica” privilegia la filologia e favorisce lo studio delle lingue: l’ebraico, l’arabo, il greco, il latino per poter leggere e interpretare direttamente i testi dei grandi Apparati letterari, a cominciare dai Libri dell’Antico Testamento, e l’esegesi dei testi biblici diventa un tema di particolare interesse per questa corrente alla quale aderisce anche [Giuliano Della Rovere] papa Giulio II, e vi aderisce anche Michelangelo per filiazione diretta perché da ragazzo, a Palazzo Medici, frequenta le Lezioni di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola ed è proprio in quest’ambito, nel circolo dell’Accademia platonica fiorentina, che si forma questa corrente [questa corrente lascia il segno nella formazione di Michelangelo in quanto futuro “affrescatore” del soffitto della Cappella Sistina].

     Anche gli aristotelici umanistici [e, in Età rinascimentale, l’aristotelismo nel suo complesso viene chiamato “umanistico” per distinguerlo da quello delle origini], come sappiamo, si presentano divisi in due correnti [chiamate “sette” perché si strutturano come confraternite chiuse in se stesse], però tra loro non ci sono differenze così nette. La prima corrente [o confraternita] aristotelica [della quale abbiamo studiato il pensiero quindici giorni fa] viene chiamata “averroista” perché si forma quando, nel 1472 a Padova all’interno dell’Università, viene pubblicata la traduzione latina del Grande Commento alle Opere di Aristotele di Averroè. La seconda corrente aristotelica che come sappiamo prende il nome di “alessandrina” si diffonde nella maggior parte delle Scuole europee da quando all’Università di Padova, nel 1495, viene tradotta in latino l’opera di Aristotele intitolata De Anima [L’Anima, in greco Peri psyches] commentata da Alessandro di Afrodisia, il primo esergeta delle Opere di Aristotele vissuto tra il II e il III secolo in Caria [avete fatto visita ad Afrodisia? Siete sempre in tempo].

     Le due tendenze dell’aristotelismo umanistico [l’averroista e l’alessandrina] non si distinguono così nettamente l’una dall’altra e, come abbiamo studiato due settimane fa, puntano l’attenzione su tre temi fondamentali: il tema dell’Anima [la Psiche], il tema dell’Ordine del Mondo [il Kosmos] e il tema della Ragione [il Logos] e su questi argomenti dibattono animatamente anche le correnti neoplatoniche. La polemica tra platonici ed aristotelici serve a dare una struttura ad una serie di discipline.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Le discipline che, agli albori dell’Età moderna, vengono maggiormente studiate nell’ambito della polemica tra neoplatonici e aristotelici umanistici sono: la mistica, l’antropologia, la psicologia, la filologia, la pedagogia, la logica, la fisica

Come elenchereste queste discipline in ordine di preferenza, secondo il vostro interesse, in un eventuale piano di studi?… Per rispondere basta scrivere una riga…

     Michelangelo cresce, studia e lavora immerso in questo clima culturale dettato dal confronto tra le varie correnti del neoplatonismo [la mistico-bizantina, la politico-antropologica, la pedagogico-filologica] e le correnti dell’aristotelismo umanistico [l’averroista e l’alessandrina]. Come sappiamo Michelangelo è intellettualmente influenzato [per filiazione diretta] dalla corrente neoplatonica d’impronta “pedagogico-filologica” fondata dai suoi maestri, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola [alla quale aderisce anche papa Giulio II con il suo staff]. Come sappiamo, i neoplatonici della corrente “pedagogico-filologica” sono attenti ai temi dell’aristotelismo umanistico perché trovano interessanti motivi di riflessione derivanti soprattutto nel pensiero dell’esponente più autorevole di scuola aristotelica.

     L’esponente più qualificato dell’aristotelismo umanistico è Pietro Pomponazzi e, come abbiamo detto due settimane fa, sappiamo che il volume di una sua Opera [il Commento al Commento al De Anima di Aristotele di Alessandro di Afrodisia] è aperto sul tavolo dell’ufficio [un magazzino che fa da ufficio] di papa Giulio II quando riceve Michelangelo [assai riluttante] per convincerlo ad affrescare il soffitto della Cappella Sistina. Il pontefice sa che quest’Opera di Pomponazzi, insieme alle Opere di Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristoforo Landino, fa parte del bagaglio culturale di Michelangelo [un bagaglio che è anche il patrimonio intellettuale di Giulio II] e, con questa mossa, il papa vuole [e abbiamo la testimonianza di Fedra Inghirami] che il più geniale artista del momento rifletta mediante gli oggetti della sua formazione, e il discorso che, molto probabilmente, Giulio II fa a Michelangelo possiamo tradurlo in questi termini: «Non ti devi [caro Michelangelo] intestardire nella convinzione che essere scultore significa seguire una vocazione divina che favorisce la creazione di beni eterni la cui realizzazione conduce l’artefice ad avvicinarsi persino all’immortalità [perché tu pensi che “lo scultore toglie materia per liberare l’Anima” e questa idea io la condivido] però non puoi pensare che il ruolo del pittore sia mediocre perché la pittura è deperibile [tu sei convinto che “il dipintore aggiunge alla materia ulteriore marcescibile materia che pesa sull’Anima”, e posso anche essere d’accordo] ma, a questo proposito, tu devi riflettere su ciò che hai studiato [spiega il papa a Michelangelo indicandogli il volume di Pomponazzi], perché tu sai che sono proprio le cose deperibili a starci più a cuore - e anche l’Anima, sebbene sia immortale, se non la curiamo con l’Intelletto si degrada - e sono proprio le cose deteriorabili quelle che dobbiamo tutelare di più, a cui dobbiamo dedicare più attenzione e, di conseguenza, tu devi mettere la tua genialità a servizio della pittura [della materia deteriorabile]; tu, che sei un artista sapiente, devi provvedere alla fattura degli affreschi [del soffitto della Cappella Sistina] proprio in quanto soggetti alla deperibilità della materia; e poi ricordati [deve aver aggiunto Giulio II, con il modo di fare brusco che lo caratterizza] che anche Gesù Cristo ha scelto di donarsi al mondo con due elementi assolutamente deteriorabili: il pane e il vino» [e per Michelangelo, a questo punto, deve essere stato difficile poter controbattere].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Tra le cose che si deteriorano qual è quella alla quale dedicate più attenzione, più cura, più studio?…

Scrivete quattro righe in proposito…

     Perché, nel fare questo discorso, Giulio II indica il volume di Pietro Pomponazzi? Il papa di fede neoplatonica utilizza concetti aristotelici per far riflettere l’artista, il quale capisce di essere troppo intransigente e comincia a pensare che “fare il pittore” non sminuisca la sua “essenza di scultore”. Chi è Pietro Pomponazzi e qual è il suo pensiero?

     Pietro Pomponazzi è nato a Mantova nel 1462 e ha studiato medicina a Padova e, proprio all’Università di Padova dal 1487 inizia a insegnare filosofia. L’Università di Padova viene pro tempore chiusa nel 1509 [in seguito a una guerra - di cui parleremo a suo tempo - che coinvolge lo Stato pontificio, Venezia, la Francia e la Spagna]. Pietro Pomponazzi, in seguito alla chiusura dell’Università di Padova, si trasferisce a Ferrara e poi a Bologna, dove con grande impegno scrive, lavora, studia e insegna. Nel 1524 Pietro Pomponazzi muore suicida e nel suo messaggio di addio scrive: «Non fatene una questione di straordinaria importanza, è solo un piccolo dettaglio ideologico» [E ricorda il messaggio che nella stessa occasione ha scritto Cesare Pavese il 27 agosto 1950: «Non fate troppi pettegolezzi»].

     Il pensiero di Pietro Pomponazzi ruota attorno ad alcuni elementi fondamentali derivanti dal fatto che lui traduce e commenta il Commento al De Anima di Aristotele scritto da Alessandro di Afrodisia tra il II e il III secolo. L’Anima umana, spiega Pietro Pomponazzi, svolge un’attività di carattere intellettivo in funzione della conoscenza e non può esistere né agire senza il corpo perché deve poter raccogliere in sé le immagini della realtà per trasformarle in concetti, e le immagini della realtà sono fornite dai sensi [dall’attività sensoriale corporea] e, di consegunza, è evidente che una volta spenti i sensi, oscurate le immagini e disattivate le icone [la rete mentale dei concetti], si spegne anche l’Anima. Ne consegue che l’Anima non è immortale ma, proprio per questo, spiega Pietro Pomponazzi, l’Anima è un Valore, e ha valore perché sono proprio le cose deperibili che ci stanno più a cuore [e questo pensiero di Pietro Pomponazzi Giulio II lo utilizza per far riflettere Michelangelo], sono le cose mortali quelle che curiamo di più, sulle quali puntiamo maggiormente la nostra attenzione e alle quali dedichiamo più studio. Aristotele nel De Anima si pone tutti gli interrogativi possibili inerenti a questo tema e Alessandro di Afrodisia segue il Maestro in questa girandola di ipotesi sulla natura dell’Anima [e tra poco, leggendo un brano, ce ne faremo un’idea].

     Pietro Pomponazzi, nell’introduzione del suo Commento, evidenzia questa problematicità ma poi trova una sintesi e rimarca che l’Anima intellettuale è il contenitore delle categorie [la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il luogo, il tempo, l’azione, la passione, lo stato, il possesso], delle idee fondamentali con le quali possiamo conoscere la realtà. Le dieci categorie di Aristotele sono concetti ben definiti ma non sono immortali, tuttavia, scrive Pietro Pomponazzi, sono gli strumenti che mettono la persona sulla strada della ricerca di ciò che è relativo [della conoscenza della realtà materiale] quanto di ciò che è Assoluto [della comprensione del valore ideale che hanno le cose materiali], e l’Anima intellettuale - in quanto contenitore delle categorie - è il territorio della ricerca dei Valori assoluti proprio perché non è immortale: infatti, se l’Anima fosse immortale sarebbe anche divina e onnisciente e la persona non avrebbe alcun bisogno di fare ricerca e, allora, scrive Pietro Pomponazzi, per quale ragione l’Essere umano sente l’impellente necessità di conoscere e perché “per natura la persona tende al sapere”, come si legge nell’incipit della Metafisica di Aristotele? Se l’Anima fosse immortale, divina e onnisciente la spinta verso la conoscenza non si manifesterebbe perché la persona sarebbe già al corrente di Tutto. Il fatto che l’Anima non sia immortale, scrive Pietro Pomponazzi, produce degli effetti virtuosi sul piano etico: infatti il premio della Virtù, non collegato all’immortalità dell’Anima, è la Virtù stessa e rende le persone realizzate e felici di poter essere integerrime mediante una scelta intellettuale. Così come il castigo del vizio è il vizio stesso e rende gli individui infelici e non realizzati. La Morale, scrive Pietro Pomponazzi, è una componente autonoma [e cominciamo a tenere d’occhio questo termine: “autonomia”]  rispetto alla Rivelazione divina, rispetto alla Storia della salvezza. Una vita fondata sull’Ethos [coerente con i principi morali] si uniforma naturalmente ai Valori della Rivelazione, ai Valori della Charis [dell’amore solidale] e questo avviene indipendentemente dall’immortalità e dalla salvezza dell’Anima. Infatti, scrive Pietro Pomponazzi, se leggiamo l’Epistolario di Paolo di Tarso - i versetti dal 23 al 26 del capitolo 11 e i capitoli 12 e 13 della Prima Lettera ai Corinzi - constatiamo che il kerigma [cioè il nocciolo del messaggio cristiano: kerigma in greco significa “nocciolo, nucleo centrale”] proclama la resurrezione della carne, e dell’Anima non ne parla.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Tutte e tutti voi possedete una Bibbia dove trovate i testi delle Lettere di Paolo di Tarso e, quindi, potete leggere [su indicazione di Pietro Pomponazzi] i versetti 23-26 del capitolo 11 e i capitoli 12 e 13 della Prima Lettera ai Corinzi…  È ora il tempo della ricerca, utilizzatelo

     Pietro Pomponazzi, a questo punto, c’invita a leggere una pagina tratta dal Commento al De Anima di Aristotele di Alessandro di Afridisia e noi seguiamo il suo consiglio per capire tutta la complessità di questo tema.

LEGERE MULTUM….

Alessandro di Afrodisia, Commento al De Anima di Aristotele

In questo magistrale Libro sull’Anima il Maestro [Aristotele] tesse l’elogio della psicologia, del suo valore e della sua utilità. Due sono i problemi fondamentali analizzati in questo trattato: com’è fatta l’Anima e quali sono le sue funzioni.

Il Maestro [Aristotele] non nasconde le difficoltà nel reperimento di un metodo per la definizione dell’Anima e dei principi della psicologia. Egli cataloga e s’interroga su otto aporie [contrapposizioni] riguardanti la definizione di Anima e le sue facoltà e funzioni: l’Anima è sostanza o accidente [attributo], è atto o potenza, è divisibile in parti o priva di parti, la sua definizione è univoca o equivoca, deve avere la precedenza lo studio dell’Anima intera o quello delle sue parti? Quali sono le facoltà dell’Anima distinte tra loro? Deve precedere l’esame di quello che l’Anima è o di quello che l’anima sa fare? Lo studio dell’oggetto che l’Anima è deve precedere quello degli oggetti che l’Anima possiede? … Oltre le aporie [contrapposizioni] altri problemi pone il Maestro [Aristotele]: la psicologia è da studiare con il metodo deduttivo [dal particolare all’universale] o con il metodo induttivo [dall’universale al particolare]? E i pathemi [i sentimenti] dell’Anima sono tutti comuni anche al corpo o esiste un sentimento che è proprio della sola Anima? Comunque quali sono i sentimenti certamente comuni tra l’Anima e il corpo? Di certo possiamo dire che l’Anima può avere un carattere naturalistico tutto legato al corpo, uno dialettico in continuo dialogo con il corpo e uno intellettuale indipendente dal corpo. Di sicuro le discipline che studiano l’Anima sono quelle che si occupano di studiare le forme [gli stampi, le idee]: la dialettica, la tecnica, la matematica, la fisica e la filosofia-prima o metafisica.  Dopo aver enumerato i quesiti e tracciato il percorso del metodo, il Maestro [Aristotele] inizia la sua Lezione su una realtà certa, quella dell’esistenza di una facoltà dell’Anima tanto dipendente quanto indipendente dal corpo: l’Intelletto.  È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima. …

     E ora dobbiamo puntare l’attenzione sulla frase finale di questo brano che si presenta con una forma poetica e con un contenuto che può apparire innocuo: «È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima». In realtà questa proposizione, dal carattere lirico, sovverte il dettato dell’ortodossia cristiana sulla natura dell’Anima facendo rinfocolare il dibattito dottrinale mai sopito.

     Pietro Pomponazzi utilizza come Introduzione alla sua opera [il Commento al Commento al De Anima di Aristotele di Alessandro di Afrodisia] la pagina che abbiamo letto per far conoscere e per far capire [in partenza] quanti siano gli interrogativi che il tema dell’Anima pone all’Intelletto della persona: «È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima». Su questa pagina è aperto il Libro di Pomponazzi sul tavolo dell’ufficio di Giulio II quando incontra Michelangelo, e Michelangelo riflette.

     È necessario riflettere con attenzione sulla proposizione, dal carattere lirico, tratta dal Commento al De Anima di Aristotele di Alessandro di Afrodisia perché potrebbe apparire inoffensiva: «È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima». Questa affermazione - che è stata coniata da Alessandro di Afrodisia [che commenta il De Anima di Aristotele] e ribadita da Pietro Pomponazzi [che commenta il Commento al De Anima di Aristotele di Alessandro di Afrodisia] - viene condivisa [attravrso il “Commento” di Pietro Pomponazzi] da papa Giulio II [che la prende in esame anche come appartenente all’ordine francescano che conosce il pensiero - sullo stretto rapporto tra l’Anima e l’Intelletto - del suo confratello Ruggero Bacone scomparso nel nulla il 12 ottobre 1292, più di duecento anni prima]: il parere del papa corrisponde solo in parte al dettato dottrinale del Santo Uffizio [l’Istituto, in mano ai domenicani inquisitori, che stabilisce l’ortodossia della dottrina] che ordina di credere che «l’Anima, in quanto divina immortale e onnisciente, determina il funzionamento dell’Intelletto » [e non viceversa] e Giulio II ci crede formalmente ma è anche convinto che, quando entra in funzione, sia l’Intelletto a scrivere il tema dell’Anima [a determinarne sostanzialmente le funzioni].

     Quindi il testo della proposizione che dice: «È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima» risulta alternativo [non ortodosso] rispetto a quello ufficiale del dettato dottrinale, e diventa un vero e proprio “manifesto” nel quale si riconosce la forte componente laica presente nel pensiero rinascimentale [a cominciare dalla visione che hanno i membri della corrente neoplatonica pedagogico-filologica: Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristoforo Landino, Giulio II, Fedra Inghirami, Bramante, Raffaello e Michelangelo] e, difatti, succede che, pur mantenendo accesa la polemica, questa affermazione [«È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima»] unisce idealmente le correnti neoplatoniche [la mistica, la politica e la pedagogica] con quelle aristoteliche [l’averroistica e l’alessandrina].

     Tutte le intellettuali [perché ci sono anche le donne a produrre pensiero durante il Rinascimento sebbene non compaiano mai ufficialmente e rimangano anonime] e tutti gli intellettuali neoplatonici e aristotelici concordano nell’affermare che è necessario investire in intelligenza e in memoria [leggere l’opera dell’Intelletto] se si vuole che la Persona coltivi la propria Anima intellettuale [il Bene], se si auspica che il Mondo possieda un’Anima universale [il Bello] e se si desidera che la Ragione abbia un’Anima equilibrata [il Giusto]. Indipendentemente da tutti gli interrogativi che, su questo tema si pone, e pone a noi, Alessandro di Afrodisia nella pagina che abbiamo letto, l’Anima è considerata, tanto dai neoplatonici quanto dagli aristotelici, la sede dove si coltivano le Idee del Bello, del Buono e del Giusto proprio perché - immortale o non immortale che sia - ha una natura di tipo intellettuale e quindi: «È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima». Per questo Michelangelo afferma di voler coltivare nella sua Anima tre qualità: la tenacia [la stabilità], la generosità, l’imparzialità.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di queste tre qualità desiderate mettete in primo piano: la stabilità, la generosità, l’imparzialità?… Quale altra parola vi fa venire in mente ciascuno di questi termini?…

Scrivetela …

     «È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima»: è una proposizione della quale, oggi, dobbiamo tener conto. Ci stiamo domandando, con una certa preoccupazione, di quanto, a livello planetario, “il sistema informatocratico”, che tiene i suoi strumenti sempre accesi, stia gradualmente facendo spegnere l’attività dell’Intelletto e quindi anche dell’Anima, facendo cristallizzare, come scrive Platone, l’attività intellettuale in un crogiuolo di sensazioni e di emozioni amplificate mediante un vortice di messaggi che invadono tutti i reali spazi di riflessione impedendo, di fatto, alla persona di coltivare la propria intelligenza, di preservare la memoria e di praticare lo studio.

     Questa frase, «È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima», può essere anche il sottotitolo per la presentazione di un “Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura” che promuova l’Alfabetizzazione funzionale e culturale in modo da porre un’alternativa all’affievolirsi dell’attività dell’Anima intellettuale [se l’Anima intellettuale non è attiva si affievolisce anche la bontà] e in modo da preservare l’Anima del Mondo [se l’Anima del Mondo, l’Intelletto Universale, non diventa un punto di riferimento per la persona si appiattisce anche la bellezza] e in modo da garantire un’Anima alla Ragione [se la Ragione non ha un’Anima - non ha consapevolezza delle sue potenzialità e dei suoi limiti - non acquisisce le competenze necessarie per praticare la giustizia secondo la Legge uguale per tutti]. «È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima» ricorda Giulio II a Michelangelo che accetta la commissione.

     La disputa tra le correnti del neoplatonismo e dell’aristotelismo umanistico ci ha lasciato in eredità [e non ce lo dobbiamo dimenticare] tre argomenti fondamentali: il tema dell’Anima [la Psiche], il tema dell’Ordine del Mondo [il Kosmos] e il tema della Ragione [il Logos]. Questi tre temi, che entrano in relazione tra loro, hanno dato linfa alla Storia del Pensiero Umano e [in un intreccio filologico sempre esistente tra loro] sono entrati nella Storia della Letteratura dell’Età moderna e contemporanea per sollecitare le lettrici e i lettori a riflettere sul senso da dare all’esistenza umana.

     E, a questo proposito, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, un senso alla sua esistenza vorrebbe anche darlo la bella e affascinante signora Mary Panton, la protagonista del romanzo che stiamo leggendo intitolato In villa scritto da W. Somerset Maugham nel 1941. Come abbiamo detto, quest’opera affronta, con accenti di drammaticità, il tema della dignità umana e del significato da dare all’esistenza. Questo romanzo, come sappiamo, è ambientato a Firenze e il centro dell’azione si svolge in una cinquecentesca villa fiorentina di proprietà di una famiglia inglese: c’è sempre stata, per tradizione, una colonia anglosassone affezionata a questa città.

     La signora Mary è ospite della villa perché è amica dei padroni che sono momentaneamente tornati in Inghilterra, e lei è stata accolta perché si possa ristabilire fisicamente e psicologicamente dopo aver vissuto una brutta esperienza matrimoniale: il marito è morto in tragiche circostanze in preda all’alcolismo e ai debiti di gioco ed è rimasta vedova con un reddito molto basso a isposizione. Mary, [come sappiamo, è corteggiata da due uomini [Sir Edgar Swift e Rowley Flint] molto diversi tra loro tanto nell’aspetto quanto nel modo di rapportarsi con l’esistenza. Sappiamo che Sir Edgar [vecchio e caro amico della famiglia di Mary, coetaneo di suo padre e protagonista di una brillante carriera in India come governatore] le ha fatto – nonostate la differenza di età - una proposta di matrimonio: lui è, da sempre, innamorato di Mary e lei, che lo sa, si aspettava questa richiesta. Sir Edgar però deve urgentemente partire per Cannes dove lo attende il segretario di Stato inglese per l’India per offrirgli il governatorato del Bengala, un incarico prestigioso a cui lui tiene molto e che per svolgere nel migliore dei modi ha anche bisogno della collaborazione di una moglie [il governatore del Bengala deve dare molti ricevimenti] e il matrimonio con Edgar darebbe la possibilità a Mary di vivere “alla grande senza difficoltà economiche” [il governatore del Bengala vive fastosamente] e, difatti, lei è disposta ad accettare questa proposta [ci sono tra lei e Edgar 24 anni di differenza però lui è ancora un bell’uomo, elegante, sportivo, rassicurante…] ma Mary non è pienamente convinta anche se è orientata a dire di sì a Edgar quando, fra tre giorni, tornerà a Firenze. Mary e Edgar quella sera sono invitati a cena dalla principessa San Ferdinando, una vecchia signora americana [da decenni di casa a Firenze] assai impertinente, con la quale abbiamo fatto conoscenza quindici giorni fa. Sir Edgar sarà assente a causa del sopraggiunto importante impegno e, in proposito, ha già informato la principessa, e Mary ha poca voglia di partecipare a questa cena in un ristorante caratteristico in riva all’Arno e preferirebbe restarsene tranquilla sulla terrazza della villa che la ospita dalla quale si gode uno stupendo panorama rinascimentale, ma è obbligata a partecipare per ragioni di riguardo. Edgar, non potendola accompagnare, la invita - siccome lei si muove da sola per strade deserte - a portare con sé la pistola che lui le ha procurato: Mary non vorrebbe uscire con un’arma in borsetta, però poi, vista l’insistenza di Edgar [che chiede e ottiene la complicità dei domestici Nina e Ciro], promette che farà come dice lui.

     Alla cena [due settimane fa] abbiamo partecipato anche noi e, dalla conversazione, abbiamo potuto conoscere l’impertinenza della principessa San Ferdinando che vorrebbe [oltre a spettegolare ironicamente] far sentire ai suoi ospiti la bella voce del cantante dell’orchestrina che si esibisce in questo locale, il cantante però è assente per malattia e viene sostituito da un pessimo violinista, un personaggio [un giovane emigrante] che vedremo in azione quando riprenderemo a leggere questo romanzo dopo la vacanza. A questo improvvisato violinista, al termine della sua scadente esisbizione allorché passa con il piattino, Mary elargisce un’offerta cospicua, un gesto che viene criticato dal signor Rowley, perché, durante questo incontro conviviale,  abbiamo soprattutto avuto modo di conoscere Rowley Flint: un trentenne, con fama di mascalzone, non particolarmente di bell’aspetto ed elegante ma provvisto di un fascino particolare che gli assicura un grande successo con le donne, appartenente ad una famiglia altolocata [della quale lui è la pecora nera] per cui, con un buon patrimonio a disposizione, si può permettere di vivere di rendita; ebbene, Rowley Flint è l’altro uomo che corteggia, in modo ben diverso da Edgar, la bella vedova e, anche in questo caso, non perde l’occasione per farlo, difatti ha accettato l’invito a cena della principessa solo per questo motivo, ma Mary respinge con decisione le sue proposte e disapprova le sue osservazioni anche se, alla fine della cena, [siccome l’auto della principessa è al completo] è costretta a riaccompagnarlo in albergo con la sua macchina , e noi ora, tramite la lettura, andiamo ad intrometterci tra i due perché, sul piano dialettico, la situazione si evolve e poi si complicherà.

LEGERE MULTUM….

W. Somerset Maugham, In villa

Avevano cenato tardi e poco dopo le undici la principessa chiese il conto. Quando fu evidente che stavano per andarsene, il violinista di prima venne avanti con un piattino. Sopra c’erano alcune monete di clienti degli altri tavoli, qualche piccola banconota. Queste mance erano il solo compenso dell’orchestrina. Mary aprì la borsetta. «Lascia, lascia» disse Rowley. «Gli darò io qualcosa». Cavò di tasca un biglietto da dieci lire e lo mise sul piattino. «Vorrei dargli qualcosa anch’io» disse Mary; e posò sulle altre una banconota da cento. L’uomo parve sorpreso, le diede un’occhiata penetrante, fece un leggero inchino e si ritirò. «Ma perché diamine gli hai dato tanto?» esclamò Rowley. «È assurdo».

... continua la lettura ...

     Dopo la vacanza continueremo a leggere questo romanzo. La prima parte che abbiamo letto nelle ultime settimane  potrebbe anche costituire un racconto a se stante in cui l’autore - presentando i personaggi di Mary, Edgar e Rowley - mette in evidenza tre diverse opinioni nei riguardi della condizione esistenziale e, soprattutto, ironizza [come abbiamo potuto constatare] sul fatto che ciascun personaggio vorrebbe dare “una dignità” alla propria scelta di vita ma, in realtà, confonde “la dignità” con “l’opportunità”. E, difatti, il romanzo deve ancora entrare nel vivo mediante un colpo di scena [tipico espediente nella narrazione di Maugham] in modo che il concetto di “dignità” e quello di “opportunità” possano essere drammaticamente messi a confronto.

     Tre settimane fa, nel momento in cui abbiamo dato inizio alla lettura di questo romanzo, abbiamo detto [e forse lo ricordate] che ci saremmo occupate e occupati del tema del complesso rapporto esistente tra il concetto di “dignità” e quello di “opportunità” che spesso si trovano in correlazione, e, a questo proposito, ci pensa Pico della Mirandola [di nuovo tra noi] a far riflettere i neoplatonici e gli aristotelici umanistici su qusto argomento.

     Nel testo de L’Orazione sulla dignità della persona Pico della Mirandola si domanda se gli Esseri umani siano in grado di gestire, a fin di Bene, la propria autonomia [teniamo d’occhio questo termine], e insiste nel ritenere che il tasso di dignità della persona sale in proporzione alla sua crescita intellettuale, una condizione che, afferma Pico, favorisce lo sviluppo del senso etico in modo che non si possa confondere il concetto di “dignità” con quello di “opportunità”. Pico della Mirandola scrive che è sbagliato [è immorale] voler dare a una scelta di convenienza una falsa dignità quando l’opportunità che rappresenta non ha un degno fondamento morale. La parola “dignità” , scrive Pico della Mirandola nel testo de L’Orazione, è sinonimo di “rispetto, onestà, correttezza” mentre il termine “opportunità” è sinonimo di “convenienza, utilità, vantaggio” e tra questi due concetti ben distinti ci deve e ci può essere una relazione, afferma Pico della Mirandola, se esiste da parte della persona una forte presa di coscienza sul piano etico che deriva dallo studio, e lo studio, afferma Pico della Mirandola, è l’attività che insegna l’autodisciplina necessaria perché la persona possa esercitarsi nel rispetto delle regole che scaturiscono dai Valori che il movimento dell’Umanesimo ha messo in evidenza: le regole dell’uguaglianza, della giustizia, della pace, della solidarietà e della misericordia; e i concetti di “dignità” e di “opportunità” sono in relazione tra loro quando la persona rispetta le regole che vengono formulate tenendo conto di questi Valori.

     Questo ragionamento porta Pico della Mirandola a considerare “degni di attenzione” tutti gli Apparati di pensiero che riconoscono questi Valori [l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà e la misericordia] alla base della loro cultura, e questo diventa il punto fondamentale per cui “la corrente neoplatonica pedagogico-filologica” [che si sviluppa nell’ambito dell’Accademia platonica fiorentina] risulta essere quella di maggiore rilevanza nella Storia del Pensiero Umano rinascimentale, in particolare, per la Storia della Letteratura e dell’Arte [e l’aver studiato avendo come maestri i membri di questa corrente ha permesso a Michelangelo di diventare Michelangelo].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola “dignità” è sinonimo di “rispetto, onestà, correttezza” mentre il termine “opportunità” è sinonimo di “convenienza, utilità, vantaggio” e tra questi due concetti ben distinti ci può essere una relazione… Scegliete un sinonimo di “dignità” e un sinonimo di “opportunità” che, secondo voi, entrano bene in relazione tra loro… 

Scrivete la coppia di parole che si è formata…

     Nel momento in cui Michelangelo cresce e studia, nell’ambito della “corrente pedagogica” del neoplatonismo, l’Opera del giovane Pico della Mirandola è già nota e apprezzata in tutta Europa, ed è naturale che il giovane artista [che vuole liberare l’Anima dalla materia] ne resti influenzato. Come sappiamo, Pico della Mirandola è l’artefice di una riflessione intellettuale che coniuga il cristianesino con la cultura antica [caldaica, egizia, ermetica, pitagorica, orfico-dionisiaca] e con la filosofia classica greca [mediata anche attraverso il persiano Avicenna e l’arabo Averroè] e poi, in particolare, con l’ebraismo. Pico della Mirandola [precursore del libero pensiero] si scontra con gli inquisitori ecclesiastici proprio perché vuole proporre una sua esegesi dei testi biblici senza subire censure, e un paio di decenni dopo Michelangelo segue la stessa strada nell’affrescare il soffitto della Cappella Sistina indirizzato da papa Giulio II che aderisce all’insegnamento di Pico della Mirandola.

     Dal 1437 un buon numero di studiosi ebrei, come sappiamo, sono stati accolti a Firenze da Cosimo il Vecchio e, quindi, Pico della Mirandola può approfondire insieme a loro la cultura biblica e può studiare l’ebraico con tre celebri maestri: Elijah del Medigo, Jochanan ben Yitzchak e il misterioso Rabbino Abraham [del quale non sappiamo nulla] e, difatti, Pico apprende con grande profitto la lingua e i termini della cultura ebraica che a sua volta insegna a un gruppo di discepoli tra i quali c’è anche Michelangelo [e della sua opera più importante sulla cultura ebraica ce ne occuperemo dopo la vacanza].

     Pico della Mirandola lascia una serie di testimonianze sullo stupore che prova, da appassionato filologo, di fronte al testo biblico originale: per esempio, descrivendo il primo incontro sessuale di Adamo ed Eva: la Bibbia ebraica, scrive Pico della Mirandola, dice che Adamo “conobbe” la sua compagna perché il verbo ebraico “l-da’at” oltre a “conoscere” significa “amare” e “fare l’amore” e, quindi, Pico della Mirandola, in coerenza con il testo biblico, imbastisce [anche con la collaborazione di Marsilio Ficino] un’intepretazione [l’interpretazione rinascimentale] della morale sessuale secondo un orizzonte spirituale più ampio rispetto alla visione materiale e strumentale imposta dalla dottrina ecclesiastica, e scrive: «La sessualità va intesa nel suo significato più profondo, trascende il piano esclusivamente fisico per connotare un’unione spirituale e, di conseguenza, un atto in apparenza meramente fisico acquista dignità e sacralità. L’ideale dell’amore fisico consiste in uno stato di profonda e vera intimità perché non è solo l’unirsi dei corpi ma è una reciproca intesa tra due anime, e l’intimità, in questo senso, è anche “un conoscere l’essenza dell’altra persona”, la sua immagine divina, e diventa una modalità per avvicinarsi a Dio. In questa prospettiva, scrive Pico della Mirandola, l’amore fisico non è più esclusivamente finalizzato alla procreazione, come insegna la dottrina ecclesiastica, ma è disposto a favorire il raggiungimento di questa elevata forma di conoscenza». Questa concezione viene divulgata dall’Accademia platonica fiorentina con il termine di “amore platonico”, un amore che non mette in relazione solo due corpi ma anche due anime, e solo in seguito nella storia della nostra cultura l’espressione “amor platonico” ha preso il significato improprio di legame affettivo privo di implicazioni sessuali. Pico della Mirandola mette in evidenza il nesso esistente tra il verbo ebraico “conoscere” e “la tensione verso la conoscenza” [l’Eros di Platone] per cui si determina un incontro virtuoso tra l’esegesi biblica e la filosofia platonica che determina anche in ambito cristiano [afferma Pico della Mirandola] - visto che la dottrina cristana dipende dalla cultura biblica e dalla filosofia neoplatonica - una nuova visione della morale sessuale [ma il tema è ancora oggi in discussione]. E, quindi in Età rinascimentale, il termine “amore platonico” [non finalizzato alla procreazione ma allo stretto legame tra anime] prevede che si consideri normale il fatto che gli uomini amino altri uomini, le donne amino altre donne. In questo periodo non esiste ancora il concetto di omosessualità ma la dottrina ecclesistica condanna duramente i rapporti amorosi tra persone dello stesso sesso perché pone l’accento con enfasi sul fine procreativo della sessualità, ma le categorie [e anche i vocaboli] di “omosessualità” e “eterosessualità” sono state stabilite solo alla fine dell’Ottocento in Germania.

     Però le idee fiorentine della “corrente neoplatonica pedagogico-filologica” - incentrate sulla persona, sull’arte, sulla scienza, sulla tolleranza e con una visione greca ed ebraica dell’amore - per i tribunali ecclesiatici sono solo eretiche e blasfeme e vanno condannate e perseguite.

     Michelangelo si forma in questo contesto [dell’amore platonico] e ne trae ispirazione: da questa visione filosofica nascono le sue concezioni estetiche, la sua visione spirituale della sessualità e della perfezione del corpo umano [in particolare di quello maschile] dalla cui forma è particolarmente affascinato e quando [a suo tempo] osserveremo il soffitto della Cappella Sistina capiremo che quelle forme dipendono da queste idee.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La sessualità “trascende il piano esclusivamente fisico per connotare un’unione spirituale”, “non è solo l’unirsi dei corpi ma è una reciproca intesa tra due anime”, “è un conoscere l’essenza dell’altra persona e diventa una modalità per avvicinarsi a Dio”…  Quale di queste tre affermazioni - apparentemente simili ma non uguali - scegliereste per prima per definire l’idea rinascimentale della sessualità?…

Scrivetela…

     E così siamo già a Natale e il tempo che ora abbiamo a disposizione per festeggiarlo è poco, ma quest’anno è facile trovare uno spunto per celebrarlo perché il Natale [e lo leggiamo in tutte le Opere d’arte che il Rinascimento ci ha lasciato in eredità] contiene un messaggio che esalta il valore della “dignità umana” che è un tema rinascimentale per eccellenza. Questo tema contiene l’idea che la nostra nascita [il natale] secondo la carne debba prevedere una crescita [il Natale] secondo lo spirito guidata dall’intelletto [«È leggendo l’opera dell’Intelletto che si scrive il tema dell’Anima»] e questa evoluzione deve essere favorita dallo “studio” perché lo “studio” [studium] è sinonimo di “cura”, e il Natale è la manifestazione [l’epifania per eccellenza] dell’atto impegnativo del prendersi cura di sé e del gesto ancor più impegnativo di prendersi cura degli altri.

     Secondo la Letteratura dei Vangeli [secondo il Prologo del Vangelo di Giovanni] la Parola di Dio [il Logos], la Parola di un Dio buono, clemente e misericordioso, s’incarna in un bambino [nell’oggetto più fragile che ci sia] che viene alla luce in viaggio [nella situazione più precaria che ci sia per nascere] e questo bambino [secondo i primi due capitoli del Vangelo di Luca] compare, sotto traccia, in modo provocatorio e paradossale come dice la canzone che tutte e tutti noi conosciamo e cantiamo [composta da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori]: «Tu scendi dalle stelle o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo».

     Ebbene, sulla scia di questa asserzione paradossale [che affossa tutte le prosopopee], sulla strada di questa affermazione nella quale si concentra l’essenza del Natale: il viaggio continua e la Scuola - come previsto - è qui perché, anche nel prossimo anno, non dobbiamo perdere la volontà di imparare [e riprendiamo il nostro cammino mercoledì 11 gennaio a Bagno a Ripoli, giovedì 12 gennaio a Tavarnuzze, venerdì 13 gennaio a Firenze].

     E anche quest’anno [per il 33° anno] scenda su di voi [non la benedizione perché anche se ormai sono competente tuttavia non sono autorizzato] e allora scenda su di noi un augurio [perché questo mi compete]: l’augurio di un buon Natale di studio!

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Dicembre 16, 2016