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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA LA FIGURA DI PLATONE SI PRESENTA IN DUPLICE VESTE: MISTICA E LAICA ...

Lezione N.: 
5

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna      9-10-11  novembre  2016

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE

ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA LA FIGURA DI PLATONE

SI PRESENTA IN DUPLICE VESTE: MISTICA E LAICA ...

     Questo è il quinto itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna”.

     Come ben sapete, siamo in attesa di poter entrare dentro la Cappella Sistina per osservare le immagini affrescate da Michelangelo sul soffitto di questo famoso edificio. Sappiamo che c’è una corrente di pensiero che considera come data d’inizio dell’Età moderna il 31 ottobre 1512, il giorno della festa d’inaugurazione del lavoro prodotto da Michelangelo, un lavoro che - a detta delle studiose e egli studiosi - avrebbe cambiato i connotati della Storia dell’Arte: un giorno [il 31 ottobre 1512] in cui si celebra anche il nono anniversario dell’elezione di Giulio II, il pontefice che ha commissionato il lavoro; e inoltre sappiamo che il giudizio sull’opera del supremo magistrato del tribunale dell’Inquisizione, il domenicano Giovanni Rafanelli, suona come una condanna: «È come se, sentenzia il Rafanelli, la bestia immonda dell’Apocalisse fosse entrata in questo sacro Tempio e avesse profanato il tabernacolo mangiandosi le Ostie consacrate». E quindi, sappiamo che, prima di entrare nella Cappella Sistina, dobbiamo studiare gli elementi che determinano la formazione intellettuale di questo geniale artista che è Michelangelo [che segue le direttive di Giulio II e, di conseguenza, se c’è qualcosa di blasfemo nel soffitto della Sistina anche il papa è coinvolto in questa presunta blasfemìa] e poi dobbiamo conoscere nelle sue linee portanti il contesto culturale dell’epoca in cui vivono e operano Giulio II e Michelangelo, un’epoca, gli albori dell’età moderna, nella quale anche noi, virtualmente, stiamo viaggiando. E, con questo intento, prendiamo il passo sull’itinerario di questa sera cercando di procedere con ordine.

     La scorsa settimana - insieme a Michelangelo, che è ancora un ragazzo e sta lavorando, a Firenze, come garzone-apprendista nella bottega del Ghirlandaio - ci siamo informate ed informati sui principali avvenimenti di carattere culturale che hanno caratterizzato la storia fiorentina dal 1437, nell’arco, quindi, dei quarant’anni precedenti alla nascita di Michelangelo, e abbiamo preso atto che, al centro della vita politica e culturale della città, spicca la figura di Cosimo de’ Medici detto il Vecchio [siete andate e siete andati ad osservare come Cosimo il Vecchio si atteggia, mentre a cavallo di un asino viaggia insieme ai Magi, nel celebre dipinto di Benozzo Gozzoli? Siete sempre in tempo a fare questo esercizio].

     La scorsa settimana abbiamo sottolineato il fatto e spiegato le ragioni finanziarie e intellettuali per cui Cosimo il Vecchio favorisce l’accoglienza e l’inserimento in Firenze della comunità ebraica: un avvenimento che ha una ricaduta fondamentale sulla formazione di Michelangelo e, di conseguenza come vedremo a suo tempo, anche sulla realizzazione dell’affrescatura del soffitto della Cappella Sistina e questo è potuto accadere, soprattutto, in virtù del lavoro intellettuale che Cosimo il Vecchio ha commissionato agli studiosi della sua cerchia: chi sono questi personaggi e come svolgono il loro compito? Prima di incontrare da vicino questi personaggi, due in particolare, che sono da ritenersi i principali maestri di Michelangelo, quelli che influiscono maggiormente sulla sua formazione, dobbiamo fare una fuga in avanti seguendo una strada che ci porta fino al momenti in cui il giovane Michelangelo entra in contatto con loro. E, allora, mettiamoci in cammino.

     Dopo la morte di Cosimo il Vecchio nel 1464, il figlio Piero il Gottoso si preoccupa soprattutto di organizzare grandi banchetti a base di cibi prelibati. Fortunatamente per il futuro della famiglia, Piero muore dopo solo cinque anni dalla morte di Cosimo a causa, naturalmente, della gotta, lasciando agli eredi una vasta rete internazionale di rapporti bancari e altre attività finanziarie in condizioni di incuria totale. I Medici poi devono fare i conti con tutta una schiera di nemici giurati, a cominciare dalle ricche e blasonate famiglie fiorentine degli Strozzi e dei Pazzi che, anni prima, avevano già organizzato un piano, poi fallito, per assassinare Cosimo.

     Tocca a Lorenzo, il maggiore dei due figli di Piero [il primo nipote maschio di Cosimo], il compito di farsi carico di tutti i problemi e di tutte le responsabilità. Lorenzo è poco più che ventenne e avrebbe preferito continuare a occuparsi di organizzare feste e dedicarsi alla poesia, ma si ritrova improvvisamente a vestire il duplice ruolo di capo della casata e di signore non ufficiale di Firenze.

     Fin da subito lascia aperte le porte al popolo, garantendo favori a chiunque si presenti in amicizia, e questo atteggiamento è un buon investimento sul piano della popolarità politica e della sicurezza personale che si dimostra alquanto redditizio per il futuro. In modo molto accorto Lorenzo de’ Medici continua la tradizione di suo nonno Cosimo il Vecchio e, quindi, entra in amicizia con i migliori artisti del momento e li favorisce nella produzione delle loro opere.

     Lorenzo - con un matrimonio che garantisce ai Medici di scalare ulteriormente la scala sociale - sposa Clarice Orsini, erede di una delle più nobili famiglie romane. Questo matrimonio [che è un buon investimento] permette ai Medici di poter contare su un solido sostegno politico, finanziario e militare da parte dell’aristocrazia. La cerimonia nuziale - uno dei matrimoni più sfarzosi di tutti i tempi - rafforza l’immagine dei Medici come “famiglia reale” di Firenze. Effettivamente Lorenzo e Clarice formano una bella coppia, eccezionalmente colta, molto elegante e ricca di carisma e circondata da una famiglia altrettanto moderna, vivace e sofisticata oltre che dai più brillanti artisti, pensatori e scrittori d’Europa. Tutto questo serve per diffondere a Firenze una sensazione che è stata definita da “età dell’oro [e, a proposito di oro, il fiorino d’oro in questo momento è la moneta più forte sul mercato mondiale]”.

     A Firenze, però, due gruppi non partecipano alla felicità generale per l’ascesa dei Medici: uno è la famiglia rivale dei Pazzi, gli altri sono i monaci domenicani di San Marco il cui monastero dista solo pochi passi dal laico Palazzo Medici. Tanto la casata dei Pazzi quanto i monaci domenicani di San Marco sono destinati a causare non pochi problemi alla vita di Lorenzo e alla sua cerchia di parenti e amici.

     Nel 1471 Lorenzo de’ Medici viene ricevuto in Vaticano e rende omaggio al neoeletto papa a nome della sua famiglia e di tutta Firenze: si tratta di Sisto IV [Francesco Della Rovere] che ha già dato il via al grande progetto di ristrutturazione e di riordino archeologico di Roma, una città che era ridotta in forte stato di degrado. Lorenzo rinnova e firma anche importanti accordi commerciali tra la sua azienda famigliare e lo Stato pontificio. Nel Palazzo apostolico, Lorenzo rimane affascinato non tanto dai riti religiosi quanto dalla splendida collezione papale di sculture della Roma antica [Sisto IV cerca di salvaguardare i beni archeologici], e per impressionare maggiormente il giovane colto e facoltoso “signore di Firenze”, il papa gli regala due statue romane, non totalmente integre ma ugualmente magnifiche.

     Tornato a Firenze, Lorenzo, dietro suggerimento di Marsilio Ficino [che aveva fondato e diretto, su mandato di suo nonno Cosimo l’Accademia platonica fiorentina, e che fra poco  incontreremo da vicino], fonda una bottega d’arte nel Giardino di San Marco proprio sotto le finestre della chiesa e del monastero degli intransigenti monaci domenicani. Lorenzo affida la direzione di questa bottega all’anziano pittore-scultore Bertoldo di Giovanni, uno degli ultimi discepoli del grande Donatello, lo scultore vissuto al tempo di suo nonno Cosimo e per il quale aveva lavorato. In questo giardino Lorenzo fa sistemare, insieme alla sua collezione di arte antica che è in crescita, anche le due statue che papa Sisto IV gli ha donato, e queste due statue diventano due modelli ai quali s’ispirano, per le loro esercitazioni, gli apprendisti della bottega di Bertoldo e Michelangelo, in questo momento, non sa ancora che ciò che sta avvenendo influirà positivamente sul suo destino futuro.

     La bottega di scultura, nota come “il Giardino di San Marco”, diventa presto una parte importante dell’immagine pubblica di Lorenzo che comincia a essere soprannominato dai fiorentini “il Magnifico”, e questo titolo non ha niente a che fare con il potere politico o con aspetti divini, ma è una variante toscana di “munifico”, ovvero “colui che sa spendere bene il proprio denaro”, un filantropo e un grande mecenate. “La bottega di Lorenzo nel Giardino di San Marco” diventa un importante punto d’incontro di artisti, di filosofi, di poeti, di scienziati: uno straordinario vivaio di attività intellettuali di ogni genere, e non è solo un laboratorio in cui s’impara a lavorare la pietra e il marmo: questo aspetto funge da copertura perché, in realtà, “il Giardino” è soprattutto un’accademia in cui si studiano argomenti ritenuti eversivi come la filosofia originale di Platone, non la filosofia platonica e aristotelica come è stata cristianizzata dalla Scolastica medioevale e sulla quale la Chiesa ha fondato la sua dottrina, bensì il pensiero che riprende il puro spirito laico dei Dialoghi di Platone, un pensiero ritenuto blasfemo dal tribunale dell’Inquisizione, e poi nell’accademia del “Giardino di San Marco” si studiano clandestinamente gli ancor più censurati concetti della mistica ebraica, totalmente proibiti dal tribunale dell’Inquisizione.

     Lorenzo il Magnifico riesce a creare i presupposti perché sulle rive dell’Arno nasca davvero “una nuova Atene” ma il suo progetto subisce una serie di battute d’arresto: Sisto IV decide di contrastare il potere economico dei Medici [vorrebbe che Firenze cadesse sotto la sfera d’influenza vaticana] e prende la decisione, nel 1476, di annullare un accordo stipulato per lo sfruttamento, in territorio pontificio a nord di Roma, sui Monti della Tolfa, delle miniere di allume - l’allume [solfato doppio di alluminio e potassio dodecaidrato] è una sostanza molto redditizia perché è un ingrediente chiave per la fabbricazione della carta, la concia delle pelli e la tintura della lana - e il prezioso accordo viene concesso dal papa alla famiglia dei Pazzi, nemici giurati dei Medici: questo prelude al tragico avvenimento che tutte e tutti voi conoscete del 1478 che passa sotto il nome di “congiura dei Pazzi”, che costa la vita a Giuliano de’ Medici, l’amato fratello di Lorenzo trucidato sotto i suoi occhi in Cattedrale durante la messa, e lo stesso Lorenzo si salva per miracolo.

     Dieci anni dopo muore anche sua moglie Clarice lasciando a lui solo la cura dei figli ancora adolescenti. Lorenzo reagisce impegnandosi ancor più fortemente nel consolidamento della situazione finanziaria e nelle relazioni internazionali per accrescere il prestigio politico della casata medicea, e poi continua a investire in grandi opere d’arte, sia incrementando la sua collezione personale di pezzi antichi sia commissionandone di nuove. Per questo si mette a visitare le molte botteghe degli artigiani fiorentini a caccia di giovani di talento e succede che nel 1489, visitando la bottega del Ghirlandaio, scopre un giovane apprendista che ha la passione per scolpire la pietra [l’ha succhiata con il latte della balia questa passione, e il Ghirlandaio si lamenta perché lo trova spesso con lo scalpello e il mazzuolo in mano “a far polvere”]. Lorenzo si rende conto che questo ragazzo, sceso dalle montagne della dorsale appenninica, lavora la pietra meglio di qualsiasi altro adulto e capisce che ha scoperto un potenziale prodigio da plasmare e istruire, e così lo “compra” dal Ghirlandaio, che glielo vende volentieri, per portarlo a bottega nel “Giardino di San Marco” da Bertoldo di Giovanni e Michelangelo fa i salti di gioia sapendo di traslocare in una scuola dove s’impara a scolpire la pietra ma, soprattutto, il marmo.

     La leggenda vuole che la prima opera eseguita da Michelangelo per Lorenzo sia La testa ridente di un vecchio fauno, e Lorenzo rimane impressionato dalla matura perfezione di quest’opera, ma afferma che essendo così vecchio, il fauno non avrebbe dovuto avere tutti i denti, e allora, appena Lorenzo si allontana, Michelangelo toglie un dente alla scultura e scava un foro nel marmo della gengiva affinché l’opera sia ancora più realistica, al suo ritorno Lorenzo vede la modifica, fa una gran risata e mette il fauno in mostra tra le opere d’arte della sua collezione. A questo punto, possiamo fare un esercizio d’immagine [possiamo consultare un documento] per renderci conto della situazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con un ctalogo che potete trovare in biblioteca, navigando in rete o visitando la pinacoteca di Palazzo Pitti, potete osservare l'opera di Ottavio Vannini dipinta nel 1685 intitolata Lorenzo e la corte del giardino di San Marco...   Si vede Lorenzo il magnifico, circondato dai miglio e più brillanti precettori, filosofi, pittori, ingegneri e scienziati, che guarda e indica il suo prediletto, il giovane Michelangelo che gli presenta la scultura del busto di un fauno...

Osservate con attenzione quest'opera e se c'è un particolare che vi colpisce indicatelo scrivendo quattro righe in proposito...

     Lorenzo si affeziona talmente a Michelangelo che non vuole lasciarlo nelle stanze degli altri studenti e lo adotta informalmente, accogliendolo nel lussuoso Palazzo dei Medici. Così, ad appena quattordici anni, Michelangelo si ritrova a vivere con i membri della più ricca famiglia d’Europa [migliore famiglia di questa non poteva trovare] e in questo ambiente riceve un’istruzione veramente qualificata.

     A detta di Michelangelo stesso, questo è stato il periodo più sereno della sua lunga esistenza, un periodo che ha cambiato per sempre il suo modo di concepire Dio, la religione e l’arte, e questo apprendistato ha avuto un effetto profondo anche sulla realizzazione degli affreschi che sono sul soffitto della Cappella Sistina. Nella formazione di Michelangelo hanno avuto una notevole importanza due studiosi di alto livello, generalmente considerati tra i più grandi filosofi, a livello europeo, di questo periodo [agli albori dell’Età moderna]: Marsilio Ficino e un altro “ragazzo prodigio”, il conte Giovanni Pico della Mirandola, e l’influenza di queste due persone si avverte nelle opere di Michelangelo.

     Per poter incontrare da vicino Marsilio Ficino [questa sera inizieremo a conoscere le sue opere e a capire il suo pensiero] e Giovanni Pico della Mirandola [che incontreremo la prossima settimana] è necessario fare un passo indietro nel tempo, ma prima, però, dobbiamo occuparci di un dibattito sulla dottrina, sul peccato e su Dio [temi dibattuti anche nell’Accaemia platonica fondata da Cosimo il Vecchio e nell’Accademia del Giardino di San Marco fondata da Lorenzo il Magnifico]: ebbene, questo dibattito è cominciato [e noi ne siamo al corrente] all’interno del romanzo che stiamo leggendo e che come ben sapete s’intitola Le due zittelle, scritto da Tommaso Landolfi nel 1946.

     Sappiamo che le due sorelle [zittelle, scritto con due t] protagoniste del romanzo, Lilla e Nena, sono anche le padrone di una “scimia” [scritto con una m sola] che si chiama Tombo che, anni prima, è stata regalata loro da un fratello marinaio morto in terre lontane. Tombo - e le sorelle non se n’erano accorte - dopo aver imparato a togliersi il collare e ad aprire la gabbia che lo tiene prigioniero, nottetempo, a cadenza regolare, penetra nella cappella dell’attiguo convento di suore, apre il tabernacolo, si ciba delle ostie consacrate, beve il vin santo, atteggiandosi come se “dicesse messa”. Quando questa prodezza di Tombo viene scoperta - dopo la denuncia delle monache e vari appostamenti - Nena sentenzia che questo comportamento “sacrilego” va punito con la morte, mentre Lilla è più indulgente, ma il destino della “scimia peccatrice” viene affidato al giudizio di due religiosi - il vecchio monsignor Tostini e il giovane padre Alessio - che imbastiscono una disputa di carattere teologico-dottrinale che deborda, come abbiamo già letto la scorsa settimana, in uno scontro che supera i confini della semplice questione, e questo non giova al povero Tombo. Monsignor Tostini - che ostenta, in modo affettato, molta comprensione verso i peccatori - sostiene che la scimia, in quanto animale, meriterebbe una certa indulgenza ma, essendo gli animali stati creati da Dio a servizio dell’uomo, nel momento in cui risultano nocivi vanno soppressi, e poi monsignor Tostini sostiene che “il peccato è un concetto creato da Dio” e, anche se non ci fossero i peccatori, esisterebbe comunque, e Tombo ha indubbiamente commesso un grave peccato che, per giunta, non può essere assolto perché l’assoluzione prevede un pentimento e, come contropartita, un castigo, una penitenza che l’animale non è in grado di fare responsabilmente, quindi, senza possibilità di assoluzione rimane la condanna. Padre Alessio, piuttosto impacciato all’inizio, controbatte affermando che l’animale va assolto perché le bestie sono inconsapevoli e non possono commettere peccati in quanto la nozione di peccato l’hanno inventata gli uomini, e Dio, siccome niente nel creato può essere al di fuori di Lui, non è né buono né cattivo, altrimenti, se tutto nell’universo rimanda a Dio, allora non solo ciò che è buono dipende da Lui ma anche ciò che è cattivo e questo fatto metterebbe in discussione l’esisteza stessa di Dio: le affermazioni di padre Alessio [nelle quali si coglie il pensiero di Meister Eckhart, di Sant’Agostino e di Marsilio Ficino], che ha superato l’iniziale timidezza, fanno alzare il livello dello scontro e a noi non resta altro da fare che andare avanti a leggere.

LEGERE MULTUM….

Tommaso Landolfi, Le due zittelle

E ora, o lettrice o lettore, padre Alessio, a sostegno della sua dottrina, andò sempre più eccitandosi fino ad entrare in una sorta d’ebbrezza.

No, Dio non è buono come non è cattivo: le vostre qualifiche morali, monsignore, non gli si applicano. Dio non è tanto degradato da conoscere il bene e il male. Poco fa ho detto che fu l’uomo a inventare il peccato, e poi vilmente ho taciuto alle vostre parole. Ebbene, volevo dire e dico che l’uomo ha inventato proprio la nozione del peccato, ed è questo il suo maggiore, no, il suo unico peccato  Supponiamo che Dio abbia detto all’uomo: queste sono le due vie, segui l’una o l’altra (prescindendo qui dalle ricompense e dai castighi relativi che vi siete scioccamente divertiti a inventare); e supponiamo che un uomo voglia seguire quella del male. 

... continua la lettura ...

     Mi sa che per il povero Tombo si mette male visto che non c’è neppure la “Protezione animali” a difenderlo!

     Nella formazione di Michelangelo hanno avuto una notevole importanza, tra gli altri, due studiosi di alto livello: Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. Per incontrare questi due personaggi è necessario fare un passo [un piccolo passo] indietro nel tempo, è indispensabile tornare all’epoca di Cosimo il Vecchio e prima di far entrare in scena Marsilio Ficino [per cominciare a conoscere la sua opera e a capire il suo pensiero] dobbiamo fare un preambolo.

     Nel 1462 Cosimo il Vecchio concepisce l’idea di far rinascere a Firenze l’antica Accademia di Atene, l’Accademia di Platone. Cosimo ha sempre coltivato la sua volontà d’imparare e ammette di non conoscere, se non approssimativamente [d’altra parte ha sempre avuto altro a cui pensare], la filosofia platonica: sa che Platone è morto nel 347 a.C. e capisce che, se il pensiero contenuto nei Dialoghi di Platone si è conservato così a lungo gli va riconosciuta una grande potenzialità e vitalità che, per giunta, si è anche sviluppata recentemente, soprattutto a Firenze, sulla scia della tradizione che è fiorita nel corso dell’Umanesimo a partire da Francesco Petrarca [dal 1347, e questo argomento lo abbiamo studiato nelle primavera scorsa]. Cosimo sa che la Scuola di Platone, l’Accademia, è stata un’istituzione di importanza straordinaria, ed è stato un istituto che ha contribuito a creare molteplici investimenti in intelligenza e, quindi, pensa di dover sostenere economicamente l’iniziativa di far risorgere questa istituzione. Non desidera, però [e qui si misura tutta la lungimiranza di Cosimo il Vecchio], che la moderna Accademia diventi un’istituzione fine a se stessa [un carrozzone parassitario, lui diceva: «Che non diventi una chiesa»] con tanto di statuti, di regolamenti, di cariche, ma vuole invece che si costituisca come un “gruppo informale” di intellettuali che si riuniscano in modo ufficioso per lavorare e per produrre cultura: Cosimo sa benissimo che “la cultura è potere” e non vuole creare una struttura di potere che potrebbe anche diventare alternativa al suo potere! Per capire le preoccupazioni di Cosimo il Vecchio è necessario, in proposito, conoscere che cosa è successo negli ultimi vent’anni del 1400.

     Come ben sappiamo, nel 1439 si è tenuto a Firenze un Concilio ecumenico: il Concilio ecumenico di Firenze è la prosecuzione di quello che si era aperto a Basilea nel 1431 e che, poi, è stato spostato a Ferrara e infine a Firenze.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

I lavori del Concilio di Firenze si sono tenuti alla Certosa del Galluzzo: l’avete mai visitata?… 

Consultate, in proposito, una guida o un sito e poi visitatela…

     Questa importante assemblea conciliare è stata convocata con l’obiettivo di riunificare la Chiesa latina di Roma e la Chiesa greca di Costantinopoli che si erano scisse [il cosiddetto scisma d’Oriente] per gravi divergenze dottrinali: la Chiesa d’Oriente contestava il primato del Vescovo di Roma sulle altre Chiese, riteneva eccessivo - all’inteno della struttura della Santissima Trinità - il ruolo attribuito alla figura del Figlio [Gesù è asceso al Cielo] rispetto a quella dello Spirito Santo [il tempo presente, dopo Pentecoste, è il tempo dello Spirito], e inoltre le Chiese d’Oriente preferivano che i preti fossero sposati piuttosto che celibi [accompagnati spesso da qualche concubina]. Le due Chiese, la greca d’Oriente e la latina d’Occidente, si dividono nel 1054 quando il papa Leone IX scomunica il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, il quale, a sua volta, pronuncia un anatema contro il papa.

     Il progetto di riunificazione delle due Chiese, che dovrebbe realizzarsi con il Concilio di Basilea, poi di Ferrara e infine di Firenze, non è, in realtà, sostenuto da una vera volontà ecumenica [difatti le due Chiese ritirano le scomuniche e gli anatemi reciproci ma continueranno a rimanere divise], tuttavia il riavvicinamento nasce da un’urgenza politica perché i Turchi ottomani, nella loro avanzata verso nord-ovest, sono ormai vicini a Costantinopoli, e la conquisteranno nel 1453.

     I Padri conciliari riuniti a Firenze non discutono neppure sulle divergenze dottrinali che hanno portato allo scisma d’Oriente ma imbastiscono, invece, un dialogo appassionante su tutta una serie di temi culturali perché, per l’occasione, sono arrivati da Costantinopoli tutti i più importanti sapienti e tutti gli intellettuali di spicco di ciò che rimane dell’Impero romano d’Oriente, del mondo bizantino. Questi personaggi sono tutti studiosi di Platone - o, per essere più precisi, sono tutti fedeli [più fedeli a Platone che a Gesù Cristo] del cosiddetto “Platone bizantino” - e hanno elaborato in chiave mistica il pensiero platonico trasformandolo in un vero e proprio apparato religioso [una fede di stampo pagano]. Tra questi personaggi ricordiamo  Giorgio Gemisto Pletone [1355circa-1452, che abbiamo citato più volte in questi anni] il quale presenta, prima al Concilio di Ferrara e poi al Concilio di Firenze, il suo trattato che ha appena finito di scrivere intitolato Sulla differenza tra la filosofia platonica e aristotelica [Peri hon Aristoteles pros Platona diapherentai] nel quale rimprovera ad Aristotele di aver concepito il mondo come eterno, di aver sostituito Dio con il concetto del “primo Motore immobile” e di aver negato la concezione mistica della filosofia di Pitagora tramandata da Platone il quale, secondo Giorgio Gemisto Pletone che non tiene conto del pensiero originario e laico di Platone, avrebbe, in anticipo rispetto a Gesù Cristo, delineato la dottrina del “Dio creatore e provvidenziale”. E, con questo testo, s’intensifica la polemica tra platonici ed aristotelici che caratterizza tutto il periodo dell’epoca rinascimentale.

     Poi Giorgio Gemisto Pletone cura la pubblicazione degli Oracoli Caldaici, un’opera che arriva in Occidente con lui. Questo libretto, che va a ruba, è il manifesto programmatico dei neoplatonici-bizantini. Il testo di quest’opera è stato scritto, da un’anonimo autore nel II secolo, in esametri [è una sorta di poema di genere liturgico], e racconta le vicissitudini dell’anima prigioniera del corpo, documenta l’angoscia dello spirito prigioniero della materia, e propone - sotto forma di formule liturgiche - una serie di rimedi per liberare la persona angosciata dal peso degli affanni dell’esistenza. Sicuramente a questo proposito conoscete e avrete visto i famosi Prigioni di Michelangelo [e quattro di queste sculture sono conservate a Firenze nella Galleria dell’Accademia] e, se si riflette nei termini dell’Alfabetologia, si capisce che queste opere che sembrano non finite nella loro compiuta essenzialità rappresentano bene l’ideologia contenuta negli Oracoli Caldaici e raffigurano in modo esemplare il corpo che si dibatte per uscire fuori dalla materia per poter affermare di avere un’anima che va “curata” attraverso lo “studio”.

     Come sapete, queste quattro statue dovevano servire a comporre la grandiosa “tomba” di papa Giulio II ma in realtà questo pontefice non vuole un mausoleo per sé - le studiose gli studiosi hanno messo bene in evidenza, nel secolo scorso, attraverso l’analisi dei documenti, che Giulio II non ama il culto della personalità, fa sempre dell’ironia in tal senso [e infatti, secondo la sua volontà, è sepolto nei sotterranei vaticani sotto una pietra qualsiasi] - bensì questo papa vuole che Michelangelo componga un grande e significativo monumento per abbellire la basilica di San Pietro che è in costruzione; intanto lo assume come scultore [iniziativa che Michelangelo gradisce molto] in modo da poterlo condizionare perché s’impegni anche come pittore e, nonostante Michelangelo sia riluttante [secondo lui i pittori non sono abbastanza artisti perché: «i dipintori - scrive - non tiran fuori dalla materia ma ne metton sopra»], Giulio II riesce a convincerlo, blandendolo e anche minacciandolo, consapevole che questa scorbutica persona [che, d’altronde, assomiglia a lui] è un artista geniale che potrà lasciare un’impronta indelebile non solo a vantaggio della Chiesa [pensa Giulio II] ma anche nell’interesse della Storia del Pensiro Umano.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Una corrente di pensiero di derivazione prettamente artistica sostiene che l'Età moderna è iniziata con la comparsa sulla scena della Storia dell'Arte dei Prigioni di Michelangelo... Ancora una volta, quindi, osservate queste statue riflettendo sull'idea di carattere neoplatonico che sottende alla loro produzione...

     Gli intellettuali neoplatonico-bizantini [Gemisto Pletone, Giovanni Bessarione e altri] presenti al Concilio di Firenze, introducono in Occidente [dove trovano molti adepti], la religione di Platone, con tanto di culti magici basati su formule salvifiche lette in chiave esoterica estrapolate dai Dialoghi di Platone, dalle Enneadi di Plotino e dal Dionigi Areopagita di Proco di Costantinopoli. La dottrina del Platone-mistico [che si discosta dal reale pensiero che il filosofo ateniese ha formulato circa 1800 anni prima] ha successo e “i culti platonici” trovano seguito e diventano anche un affare perché non sono gratuiti [bisogna iscriversi ad un circolo escusivo e segreto]. A Firenze ci sono diversi templi dove segretamente si celebrano i “culti platonici” che diventano una moda tra gli aristocratici, però, in questa città [come ben sapete] si è sviluppata, con il movimento dell’Umanesimo, una tradizione culturale che coltiva il pensiero del “Platone storico e laico” e rifiuta le liturgie esoteriche ma vuole fondare “circoli di studio” dove si possa promuovere l’esecizio dell’apprendimento. Questa tradizione [secondo lo spirito lessicologico dell’Umanesimo] nutre un interesse “filologico” per Platone: traduce, cataloga e commenta le parole-chiave e le idee-cardine più significative dei Dialoghi platonici, secondo lo stile della Scuola di Toledo.

     La tradizione “filologica” [lo studio sulle parole-chiave effettivamente dette da Platone] vuole costruire un itinerario intellettuale di carattere etico [e non religioso di carattere magico]: si cercano nella filosofia platonica “le linee guida” per costruire un progetto educativo che possa dare “una solida dirittura morale”, in senso laico, alla vita della persona: questo è ciò che vuole Cosimo il Vecchio.

     Cosimo il Vecchio vuole che l’Accademia platonica fiorentina, di cui intende finanziare la fondazione, sia gestita non dagli intellettuali che sostengono il culto del “Platone religioso, mistico, bizantino” ma sia diretta dagli studiosi che coltivano e conservano la tradizione del “Platone politico, laico e ateniese”. Cosimo si rivolge ai pensatori che non elaborano una religione intorno a Platone perché secondo lui “la sacralità appartiene a Gesù Cristo” e, se mai, il percorso intellettuale ed etico di Platone deve servire per avvicinarsi a Cristo, non per sostituirlo. Per attuare il suo progetto Cosimo vuole trovare la persona giusta che lo possa realizzare e, nel 1462, individua un giovane [di talento]: è il figlio di Diotifeci di Figline che è il medico personale di Cosimo il Vecchio.

     Il dottor Diotifeci di Figline ha un figlio che si chiama Marsilio detto Ficino come diminutivo del nome Diotifeci di suo padre. Marsilio è nato nel 1433 a Figline Valdarno - una cittadina che merita di essere visitata [il Palazzo Pretorio, la Villa Casagrande Serristori, la Villa di San Cerbone, la pieve romanica di San Romolo a Gaville]; Marsilio studia con grande impegno a Firenze, a Pisa, a Bologna: si dedica, come suo padre, allo studio delle scienze e della medicina, ma è attratto soprattutto dalla cultura umanistica, dalle opere di Platone e di Aristotele. Marsilio, a ventinove anni, è una persona molto preparata quando - per volontà di Cosimo il Vecchio - l’Accademia platonica fiorentina si identifica con lui stesso, con la sua persona. Come sappiamo,  Cosimo vuole che la nuova Accademia non sia un’istituzione ma corrisponda ad una persona, ad un coordinatore [senza però alcuna carica ufficiale] intorno al quale si riuniscano gli esperti migliori per studiare e “fare ricerca”. Cosimo, naturalmente, mette a disposizione le strutture: la villa di Careggi [per l’autunno-inverno] e la villa di Camaldoli [per la primavera-estate]. Marsilio Ficino vive con grande inquietudine gli ultimi anni della sua vita: infatti è stato attratto dalla predicazione del Savonarola [che incontreremo a suo tempo] e ha subìto il fascino di questo personaggio alternativo che si scaglia contro “la vanità”.

     Marsilio Ficino, chiuso nella villa di Careggi, vive la frustrazione della drammatica conclusione del caso Savonarola e il 1° ottobre 1499 muore mentre iniziava a commentare le Lettere di Paolo di Tarso.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando la guida di Firenze e la rete fate una visita alla villa di Careggi e alla località di CamaldoliQuesti luoghi sono prossimi per noi e facilmente raggiungibili

     Gli intellettuali che, intorno a Marsilio Ficino, lavorano all’Accademia platonica fiorentina li menzioneremo la prossima settimana, adesso continuiamo a puntare l’attenzione sul principale personaggio.

     Il merito maggiore di Marsilio Ficino è quello di essere un grande traduttore, e quindi un grande mediatore culturale. Inizia il suo lavoro nel 1463 traducendo dal greco in latino il Corpus Ermeticus e il Dionigi Areopagita e poi traduce, sempre dal greco in latino, i frammenti di Orfeo e le opere di Alcinoo, di Pitagora, di Proclo, di Porfirio, di Giamblico, di Sinesio. Nel 1477 Marsilio termina la traduzione dei trentasei Dialoghi di Platone dal greco in latino, e nei vent’anni successivi li commenta, poi termina la traduzione delle Enneadi di Plotino e ne sviluppa un commentario.

     Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino è contenuto in due opere intitolate: Teologia platonica e Sulla vita. Marsilio Ficino si propone di far conciliare la dottrina cristiana con l’itinerario filosofico laico di Platone. Come procede?

     Scrive che la storia dell’Umanità coincide con la storia della Rivelazione divina e, di conseguenza, se Cristo è il Logos [è la Parola, è il Pensiero di Dio, come si legge nel testo del Prologo del Vangelo secondo Giovanni] che s’incarna nella realtà umana questo significa - se l’eterno si fa tempo - che tutte le volte in cui una persona ha pensato “a fin di Bene” anche prima del Vangelo di Gesù ha dato visibilità alla Rivelazione e, quindi, la Storia della salvezza si è già manifestata nelle Opere dei filosofi greci e latini tutte le volte che hanno indicato “la via del Bene” e “la via del rispetto della Legge”. Quindi Socrate , Platone e Aristotele, che hanno elaborato un pensiero per dare un significato etico alla vita delle persone, sono funzionali, afferma Marsilio, alla Storia della salvezza che, poi, nei Vangeli trova la sua piena manifestazione [l’epifania]. Secondo Marsilio Ficino l’intera Realtà è come se fosse una scala formata da una serie di gradini. E questi gradini sono [salendo dal basso verso l’alto]: i corpi, le qualità dei corpi, l’anima, le intelligenze metafisiche [gli angeli] e Dio. Il gradino fondamentale di questa scala è l’Anima. L’Anima, secondo la definizione di Marsilio Ficino, è “copula mundi”: il punto di incontro [la congiunzione] di tutta la Realtà. L’Anima “riassume l’Universo” perché è in grado di orientarsi tanto verso la realtà sensibile quanto verso quella intelligibile. L’Anima, scrive Marsilio Ficino, è il punto di contatto tra i sensi e l’intelligenza e, quindi, è il punto di comunione tra il corpo e Dio e per questo l’Anima non può che essere “eterna, autonoma e infinita” e, di conseguenza, è sempre in tensione verso la conoscenza, verso il sapere.

     L’Anima s’identifica col Bene, scrive Marsilio Ficino, proprio perché dona al corpo l’impulso verso l’apprendimento, e “la volontà d’imparare” è prova dell’esistenza dell’Anima. Marsilio Ficino fa conciliare la dottrina cristiana con il concetto della “maieutica socratica”, con la definizione dell’Anima di Platone in quanto “idea sublime” e con l’incipit della Metafisica di Aristotele: il concetto dell’Anima cristiana nel Rinascimento [agli albori dell’Età moderna] ruota attorno a questi cardini [ancora oggi i connotati che diamo all’Anima sono questi]. L’Anima, scrive Marsilio Ficino, è un Microcosmo [il Mondo in piccolo] e questo significa che contiene tutto l’Universo, inoltre l’Anima è “la grande Armonica”, cioè lo strumento armonizzatore della Realtà: per questo, ad esempio, quando ci troviamo immersi nella Natura, scrive Marsilio Ficino, stiamo bene perché, attraverso l’Anima [il Microcosmo], entriamo in armonia con il mondo esterno [il Macrocosmo]. Per Marsilio Ficino la forza di armonizzazione che possiede l’Anima corrisponde al concetto che Platone chiama Eros. Quindi, secondo il ragionamento di Marsilio, anche l’Eros platonico, anche l’Amor platonico [la tensione verso la conoscenza] emana dal Dio cristiano ed è un dono dello Spirito Santo. E qui, scrive Marsilio, sta la grandezza di Platone perché l’energia dell’Eros platonico corrisponde alla potenza con la quale Dio ha creato [e si tratta di Dio-Padre, il creatore] e corrisponde alla disponibilità con cui Dio si prende cura dell’Umanità [e si tratta del Dio-Figlio, il salvatore] e corrisponde all’amore con cui Dio vivifica e attira verso di sé la persona [e si tratta del Dio-Spirito Santo, il consolatore].

     Marsilio Ficino, in veste di teologo, dà forma alla figura del Dio cristiano in versione neoplatonico-rinascimentale. Dio, scrive Marsilio in Teologia platonica, è trascendente, ed è causa e principio di tutte le cose, ed è assolutamente disgiunto da esse, ma attraverso l’Eros, attraverso la forza di armonizzazione che emana, Dio è anche, pur distinto da esse, inevitabilmente interno a tutte le cose, quindi è anche immanente [anche padre Alessio ragiona in questi termini nel romanzo che stiamo leggendo]. Come Platone ha utilizzato il linguaggio mistico per spiegare i concetti laici della sua filosofia così Marsilio Ficino gioca con le allegorie per spiegare i concetti religiosi del suo pensiero. «Dio, scrive Marsilio, è interno a tutte le cose come se il falegname fosse nel legno, come se il sarto fosse nella stoffa, come se il cuoco fosse nella farina, come se il contadino fosse nella terra», quindi, con una serie di metafore poetiche, Marsilio Ficino si propone di risolvere un problema che ha diviso il mondo della cultura scolastica durante tutto il Medioevo: Dio è trascendente ed è separato dalle cose oppure è immanente e sta dentro alle cose? Marsilio non vuole scegliere perché, in quanto intellettuale eclettico, è affezionato ad entrambe le posizioni e, quindi, fa conciliare le cose: «Dio, scrive Marsilio, è trascendente, è pungolo alla fede e stimola la ricerca di Lui al di là delle cose, ma Dio è anche immanente e stimola la magia [e dobbiamo, a suo tempo, spiegare che cosa s’intende per “magia” nel Rinascimento] e spinge alla ricerca di Lui dentro le cose». Nei ragionamenti di Marsilio Ficino si manifestano alcune contraddizioni che saltano subito all’occhio e si capisce perfettamente che lui sviluppa un pensiero teologico non tanto per esigenze di carattere religioso ma soprattutto per una necessità di tipo filosofico in chiave umanistica: in teoria parla di Dio ma in pratica al centro della sua riflessione c’è l’Essere umano e l’Anima corrisponde alla Persona e le caratteristiche di Dio sono le qualità specifiche della Persona che sa osservare le cose che la circondano [la Fisica] e, contemporaneamente, pensa di poter volgere lo sguardo anche al di là delle cose [verso la Metafisica].

     Marsilio Ficino vuole orientare il suo pensiero verso “il tema della bellezza” un tema rinascimentale per eccellenza: se Dio - trascendente [in chiave cristiana] ma anche immanente [secondo la cultura orfico-dionisiaca] - porta in sé l’energia dell’Eros di Platone ed è depositario dell’idea suprema della Bellezza questo significa che anche tutte le cose hanno una loro bellezza [il riflesso della bellezza di Dio] e il compito dell’Uomo, creatura di Dio, è quello di imitare, utilizzare, trasformare le cose per produrre bellezza perché, scrive Marsilio Ficino, “è la bellezza che salva l’Umanità”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Per capire meglio [in pratica] i concetti neoplatonici espressi dalle opere di Marsilio Ficino è utile osservare, in una delle più importanti sale del museo degli Uffizi, le opere di Filippo Lippi [1406 circa-1469] e poi, nella grande sala successiva, le opere del suo allievo Sandro Botticelli [1445-1510]… E poi torniamo a domandarci: come mai, però, non è ancora avvenuto che la bellezza abbia sanato o almeno alleviato i mali dell’umanità?

Da che cosa dipende secondo voi?

Scrivete quattro righe in proposito

     Il tema della bellezza [qual è l’alfabeto della Bellezza?] ha sempre avuto una vasta eco nella Storia del Pensiero Umano a partire dai Dialoghi di Platone, in particolare da quello che s’intitola Simposio [in versione greca] o Convivio [in versione latina].

     Se leggiamo un famoso frammento dal Simposio di Platone - tratto dal grande discorso di Socrate [il maggior protagonista di quest’opera] che dialoga con la sacerdotessa Diotima di Mantinea - possiamo capire meglio il ragionamento di Marsilio Ficino perché è proprio studiando il Simposio o Convivio che lo costruisce.

     Platone nel Simposio attribuisce al fenomeno della bellezza un ruolo oggettivo: “una cosa è bella perché l’idea della bellezza la contiene in sé” ed è necessario imparare a riconoscere questa idea nella sua relazione con l’Eros perché intuiamo la bellezza, scrive Marsilio Ficino parafrasando Platone, se in noi c’è una tensione verso la conoscenza e non verso il possesso perché la bellezza non la si può possedere e chi vuole “possedere” la bellezza, senza condividerne il valore ideale, perde la possibilità di conoscerla [il tema è di grande attualità e di grande interesse].

     E ora leggiamo questo frammento che ha ispirato molte pagine di Letteratura.

LEGERE MULTUM….

Platone, Simposio [o Convivio]

La giusta maniera [afferma  Socrate] di procedere da sé o di essere condotti da un’altra persona nelle cose dell’amore è questa: prendendo le mosse dalle cose belle di quaggiù, al fine di raggiungere il Bello, salire sempre di più, come procedendo per gradini, da un solo corpo bello a due, e da due a tutti i corpi belli, e da tutti i corpi belli alle belle attività umane, e da queste alle belle conoscenze, e dalle conoscenze procedere fino a che non si pervenga a quella conoscenza che è conoscenza di null’altro se non del Bello stesso, e così, giungendo al termine, conoscere ciò che è il bello in sé.

     Quindi: è la bellezza della conoscenza che fa belle le cose!

     Quante scrittrici e quanti scrittori hanno preso spunto da queste riflessioni di Platone parafrasato da Marsilio Ficino per tradurle in Letteratura: «Una cosa è bella, scrive Platone, perché l’idea della bellezza la contiene in sé, e chi vuole “possedere” la bellezza [senza frenare il proprio istinto di possesso e senza condividerne il valore] perde la possibilità di conoscere il bello in sé e di capire le qualità del mondo creato».      

     Viene in mente un famoso romanzo che, periodicamente, andrebbe riletto: ne parleremo la prossima settimana quando saremo ancora in compagnia di Marsilio Ficino, e poi incontreremo gli altri personaggi che “studiano” all’Accademia platonica fiorentina: chi sono e che cosa studiano?  

     A questo punto più di una persona ha chiesto: «…e che dire delle elezioni americane?»

     Le elezioni [indipendentemente dal risultato] e la campagna elettorale statunitense - la peggiore di tutti i tempi [“Ma che ci interessa saperlo?” avrebbe detto don Milani] - rispecchia un preciso andamento in corso a livello globale: il consenso dipende, soprattutto [e ormai è un dato di fatto acquisito], dallo sbandieramento di argomenti appartenenti all’area della “disumanità”.

     Il termine “umanesimo” [territorio filologico che stiamo attraversando] non paga sul piano elettorale, e allora è nostro dovere di cittadine e di cittadini, custodi del sistema dell’Apprendimento permanente, domandarci [se lo domanda anche Giovanni Pico della Mirandola che incontreremo a breve]: l’Umanesimo [i valori dell’Umanesimo che conosciamo a memoria] il concetto di Umanesimo è in contraddizione con la prassi democratica? Questo è il problema “filosofico” della questione! E voi, a questo proposito, provate a dare una risposta [concreta] perché promuovere sul territorio e animare - come voi fate [come noi facciamo] - un Percorso di Storia del Pensiero Umano significa, quindi, andare contro corrente, è quasi un gesto rivoluzionario e il senso di questo gesto ce lo ricorda Lucio Anneo Seneca nelle Lettere a Lucilio: «Caro Lucilio, scrive Seneca, l’humanitas, l’agire con spirito umanitario, non è un esercizio di dabbenaggine perché nasce e si sviluppa con lo studio, e lo studio, il lento ruminare del Pensiero umano, è la leva con cui rivoluzionare la nostra vita e la vita di tutta l’Ecumene».

     Ebbene, noi vogliamo “ruminare” in ricchi pascoli e, per questo motivo, la prossima settimana incontreremo i personaggi che studiano all’Accademia platonica fiorentina: chi sono e che cosa studiano?

     Scuola e studio sono sinonimi: la Scuola è qui, e il viaggio continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 11, 2016