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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA COMINCIANO A GERMOGLIARE LE RADICI EBRAICHE ...

Lezione N.: 
4

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna      2-3-4  novembre  2016

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA RINASCIMENTALE

ALL’ALBA DELL’ETÀ MODERNA

COMINCIANO A GERMOGLIARE LE RADICI EBRAICHE ...

     Siamo al quarto itinerario di questo viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica rinascimentale agli albori dell’età moderna” e prima di entrare nella Cappella Sistina [ci vorrà un po’ di tempo], per osservare gli affreschi di Michelangelo sul soffitto di questo celebre edificio, dobbiamo studiare gli elementi che determinano la formazione intellettuale di Michelangelo e il contesto culturale dell’epoca - siamo agli albori dell’età moderna - nella quale in questo momento, virtualmente, ci troviamo. E, quindi, con questo intento, prendiamo il passo sull’itinerario di questa sera cercando di procedere con ordine.

     La scorsa settimana abbiamo potuto constatare che tra Michelangelo tredicenne e suo padre Ludovico si scatena un conflitto che non avrà mai fine. Ludovico vuole che il figlio dopo la Scuola elementare - siccome ha imparato bene a leggere, a scrivere e a far di conto - s’iscriva alla corporazione fiorentina della lana e della seta: pensa che in quest’ambito possa trovare un impiego come segretario di qualche mercante in modo che, con il suo salario, sia in grado di garantire un introito economico per la famiglia. Michelangelo, però, coltiva la passione per l’arte visiva, vuole dedicarsi alla lavorazione della pietra, vuole diventare un artista e passa gran parte del suo tempo a disegnare. Per questo Michelangelo subisce in continuazione l’ira del padre che considera questo suo modo di comportarsi come un’inutile perdita di tempo ma, alla fine, poiche il ragazzo non demorde, Ludovico si deve rassegnare e decide di portarlo a Firenze dove come sapete riesce a farlo accettare, come garzone-apprendista, nella bottega di Domenico Ghirlandaio, uno dei pittori che aveva fatto parte della squadra di artisti incaricati di affrescare le pareti della nuova Cappella vaticana di papa Sisto IV, la Cappella Sistina. Il Ghirlandaio mette alla prova Michelangelo nel disegno e capisce subito che questo ragazzo ha talento ma non si sbilancia nell’assumerlo a bottega. Il Ghirlandaio propone a Ludovico un contratto secondo il quale il figlio avrebbe ricevuto ventiquattro fiorini d’oro più vitto e alloggio per tre anni di apprendistato e Ludovico è contento [non si aspettava di ricavare nulla] e deve riconoscere che questo suo figlio cocciuto ha, nell’immediato, dato un contributo al bilancio familiare.

     La vita a bottega dal Ghirlandaio è molto dura per i garzoni-apprendisti che sono completamente asserviti alle esigenze dell’azienda. A tredici anni, quindi, Michelagnolo Buonarroti dice addio all’infanzia: per contratto passa il suo tempo più che altro con la scopa in mano e poi a tritare pigmenti, a mescolare gesso e colori, a riparare pennelli, a trascinare scale e a obbedire a qualunque ordine gli venga dato. Più tardi [abbiamo detto la scorsa settimana] Michelangelo dirà che dal Ghirlandaio non aveva imparato niente, ma questo è un giudizio un po’ riduttivo perché le competenze di base le ha acquiste proprio in quella bottega, certamente in una situazione assai scomoda e poco piacevole da ricordare.

Ma abbiamo anche detto che, per fortuna, in tutto questo, c’è il lato positivo: Michelangelo è a Firenze, e Firenze, nell’Europa del Quattrocento, è il vero centro del mondo per tutto ciò che riguarda la cultura, l’arte e le idee. Michelangelo è rimasto solo e chiuso nella gabbia della bottega del Ghirlandaio ma è a Firenze all’inizio del Rinascimento ed è da qui e da ora che inizia il suo viaggio. Firenze è il posto adatto e l’alba dell’Età moderna è il momento ideale per ricevere una formazione molto speciale. E quali sono i presupposti di questa “speciale formzione” che Michelangelo sta per ricevere?

     Michelangelo viene a trovarsi a Firenze nel momento in cui sono entrati in scena i Medici e, per essere più precisi, nel momento in cui questa famiglia ha ricevuto una spinta fondamentale da parte di Cosimo il Vecchio de’ Medici [1389-1464] il quale, con la sua indubbia abilità di mercante, di banchiere e di diplomatico, è diventato uno degli uomini più ricchi d’Europa. Cosimo de’ Medici ha capito subito quale importanza abbia la cultura e quanto sia fondamentale il consenso degli intellettuali e quanto vada incenivata la loro capacità di investire in intelligenza per cui compie una serie di operazioni che fanno aumentare notevolmente il suo prestigio: una in particolare che, all’apparenza, può sembrare insignificante.

     Cosimo de’ Medici compie un’operazione [nel 1453, l’anno della caduta di Costantinopoli in mano agli ottomani] che fa crescere notevolmente la stima che gli intellettuali hanno già nei suoi confronti: compera due testi, facendoli arrivare clandestinamente in Europa da Costantinopoli, spendendo molto denaro che a lui non manca. Queste due opere, acquistate da Cosimo e conservate a Firenze, attirano in città molti studiosi [e Cosimo ha capito quanto sia importante circondarsi di pensone che sappiano investire in intelligenza], e questi due testi, difatti, hanno esercitato un’enorme influenza sul Rinascimento: che opere sono? La prima è il Corpus hermeticum, una raccolta di antichi scritti mistici attribuiti a Ermete Trismegisto, e l’altra è la raccolta completa dei Dialoghi di Platone. Sono due opere che conosciamo [le abbiamo incontrate spesso in qusti anni] e che continueremo a incontrare strada facendo per capire l’incidenza che hanno avuto sullo sviluppo dell’ideologia rinascimentale.

     Il giovane Michelangelo, a bottega dal Ghirlandaio, inizia gradualmente a rendersi conto della situazione politica della città: è molto curioso e vuole sapere che cosa è successo nei quarant’anni precedenti alla sua nascita; ricordandosi dei racconti che gli ha fatto suo padre nei rari momenti in cui sono andati d’accordo, capisce anche che apparentemente i Medici avevano molto in comune con i Buonarroti, con la sua famiglia perché erano due tra le più antiche famiglie fiorentine e, pur non avendo vere origini aristocratiche, entrambe erano convinte di possederle e desideravano giungere ai vertici del potere locale. Ed è proprio qui che le somiglianze si esauriscono perché i Buonarroti sono stati incapaci negli affari e nella finanza, mentre i Medici, al contrario, sono passati rapidamente dal commercio della lana e dal prestito a interesse [con Giovanni di Bicci, il capostipite] fino a imporsi tra i banchieri più importanti del loro tempo, fino a diventare la casata più ricca d’Europa e il vero artefice della fortuna dei Medici [come sappiamo, e anche Michelangelo lo viene a sapere facendo mille domande al Ghirlandaio] è Cosimo il Vecchio.

     Cosimo il Vecchio, nel 1437, impone le basi per il suo dominio non ufficiale della Repubblica fiorentina: lui non ha alcuna carica politica ma condiziona il governo della città con la sua ricchezza mediante la quale dà inizio alla collezione e alla commissione d’importanti opere d’arte che fanno aumentare la fama non solo della sua famiglia ma soprattutto della città. Cosimo fa lavorare grandi artisti come Donatello, come Botticelli e protegge un architetto eccentrico ma geniale come Brunelleschi, e poi, come abbiamo detto, investe molto denaro per importare a Firenze gli Scritti più importanti della Storia del Pensiero Umano che costituiscono un polo di attrazione per gli studiosi.

     Cosimo prende sotto la sua ala protettrice anche un giovane umanista che diventa un esperto grecista e si chiama Marsilio Ficino [lo incontreremo prossimamente e lo incontrerà anche Michelangelo che però, in questo momento, non è ancora nato]. Cosimo incarica Marsilio Ficino di tradurre in latino sia il Corpus di Ermete Trismegisto che i Dialoghi di Platone, e questa operazione - che allarga l’orizzonte della comprensibilità di queste opere - diventa fondamentale per lo sviluppo del Rinascimento. Poi Cosimo [nel 1462, e Michelangelo non è ancora nato] mette a disposizione le risorse perché Marsilio Ficino possa fondare, con la partecipazione di altri intellettuali che incontreremo, una nuova moderna versione dell’antica Accademia platonica che prende il nome di Nuova Scuola di Atene [e prossimamente la frequenteremo].

     Cosimo, inoltre, compie un’altra grande impresa, assai coraggiosa e oggi quasi del tutto dimenticata, un’impresa che ha avuto un peso importantissimo per la vivacità del clima intellettuale e artistico di Firenze, e anche per la formazione del giovane Michelangelo [ma lui, in questo momento, deve ancora nascere]: Cosimo il Vecchio apre le porte della città agli ebrei, e a questo punto, per prima cosa, è ncessario fare un esercizio d’immagine [dobbiamo consultare un documento] per renderci conto della situazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con un catalogo che trovate in biblioteca, navigando in rete oppure direttamente dal vivo in Palazzo Medici Riccrdi, andate a osservare l'opera intitolata Viaggio dei Magi dipinta da Benozzo Gozzoli nel 1459...

Cosimo il Vecchio appare avvolto in porpora realed, accompagnato da esotici valletti [un valletto nero tiene in mano, accanto a lui, un grande arco], ed è seguito da un imponente corteo e, il particolare più rilevante è che Cosimo sta in groppa, come Gesù, a un umile asino ma tiene saldamente le redini precedendo i nipoti Lorenzo e Giuliano  [che lo affiancano a cavallo], ci sono anche i loro precettori e, nel séguito, si riconoscono bene, per le lunghe barbe, alcuni dignitari ebrei...     Osservate dunque con attenzione quest'opera e se c'è un particolare che vi colpisce indicatelo scrivendo quattro righe in proposito...

     Alla “cavalcata dei Magi” di Benozzo Gozzoli [io penso] parteciperebbe volentieri anche Tombo: chi è Tombo? Tombo [e non lo avete di certo dimenticato] è “la scimia” [con una “m” sola] delle due zittelle [con due “t”] protagoniste del romanzo omonimo Le due zittelle di Tommaso Landolfi, scritto nel 1946, che stiamo leggendo.

     Lilla e Nena sono due anziane e devote sorelle che vivono insieme alla domestica Bellonia e alla scimmia Tombo che è stata loro regalata, a suo tempo, da un fratello marinaio poi morto in terre lontane. Un giorno, la superiora del convento attiguo alla loro casa, si presenta dicendo che Tombo è sospettato di aver violato la Cappella del monastero e, dopo opportuni appostamenti, si scopre che “la scimia [”con una “m” sola nel testo] ha davvero imparato ad aprire la porta della sua gabbia, a sfilarsi il collare che la tiene prigioniera e a penetrare di notte nella Cappella dove si ciba delle Ostie consacrate e si beve il vin santo e, di conseguenza, il destino di questo animale “sacrilego” viene affidato al giudizio di due religiosi che imbastiscono una disputa di carattere teologico-dottrinale, intanto Nena non è convinta della colpevolezza di Tombo e vuole, quindi, constatare personalmente il fatto.

     La trama di questo romanzo come sappiamo costituisce il filo conduttore di un intreccio filologico che coinvolge l’inquisitore Giovanni Rafanelli [nel 1512], lo scrittore russo Anton Čechov [nel 1884] e Tommaso Landolfi [nel 1946], ma a noi, come abbiamo più volte affermato, interessa, soprattutto, entrare in contatto con la forma, non facile da leggere, che Tommaso Landolfi dà ai testi che scrive perché il suo stile è quello del “glottoteta” cioè di un autore che allarga le potenzialità della lingua recuperando termini e modi grammaticali non più in uso in modo da rimetterli nel circuito comunicativo per dare la possibilità a chi legge di allargare il ventaglio delle proprie conoscenze semantiche: più parole si conoscono, più significati si acquisiscono, e più la persona si arricchisce intellettualmente, e più la sua comprensione del mondo si amplifica. E ora continuiamo a leggere il testo di questo romanzo.

LEGERE MULTUM….

Tommaso Landolfi, Le due zittelle

Il giorno che seguì quell’agitata notte Nena era quasi tornata in sé, o così almeno appariva. Dette relazione alla sorella e alla serva, e insieme discussero a lungo. Ma a mano a mano che quelle si convincevano meglio della responsabilità di Tombo nella faccenda delle ostie consacrate, e senza ambagi, vedendola più calma, l’affermavano; Nena sempre più apertamente l’andava negando. Che la scimia fosse tipo da battersela segretamente per andare a sgambettar sugli eucalipti non poteva non ammettere, diceva; pure, fra l’una cosa e l’altra c’era un bel tratto. Macché concludeva ella ogni volta, passeggiando per la stanza colle fettucce delle mutande pendenti, che di far toletta quel giorno non s’era parlato; macché, è incapace di fare una cosa simile!

... continua la lettura ...

     Abbiamo detto che Cosimo il Vecchio compie un’impresa assai coraggiosa [e oggi quasi del tutto dimenticata], un’impresa che rende assai vivace il clima intellettuale e artistico di Firenze, un clima culturale che, nei decenni a venire, si rivelerà determinante per la formazione del giovane Michelangelo: Cosimo apre le porte della città agli ebrei, si adopera perché la comunità ebraica si stabilisca a Firenze.

     Finora [fino al 1437] la Repubblica fiorentina aveva vietato agli ebrei di stabilirsi e di lavorare in città, con la sola eccezione di un ristretto numero di medici, di traduttori e di scrivani. Non c’è nei confronti degli ebrei [che non fanno proselitismo e rimangono sempre scrupolosamente appartati nel loro ambito] un pregiudizio di carattere religioso ma, soprattutto, la preclusione è legata a ragioni di concorrenza perché le ricche famiglie di banchieri cristiani come gli Strozzi e i Pazzi non vogliono in città gli ebrei che, per tradizione, praticano il cambio di valute e il prestito a interesse calmierato dalla torah, dalla Legge di Mosè che impone di praticare “tassi giusti” perché “lo strozzinaggio” viene punito severamente dalla Legge [che potrebbe anche essere aggirata] e da Dio [perché, anche se si aggirasse la Legge, al giudizio di Dio non si sfugge].

     Poiché la Chiesa condanna il prestito a interesse tra i fedeli [la Letteratura dei Vangeli usa il verbo “donare” non “prestare”], le famiglie toscane cattoliche di banchieri si sono specializzate [loro sì che hanno trovato il sistema per aggirare la norma evangelica] nell’anticipare grosse somme di denaro ai re stranieri e in altre attività di finanza internazionale: le chiamano “donazioni [affermano: “Non abbiamo concesso un prestito ma abbiamo fatto una donazione e, quindi, prossimamente anche noi riceveremo una donazione”, il massimo dell’ipocisia]”. Questo modo di comportarsi lascia campo libero agli ebrei nel settore del piccolo prestito alle persone comuni [artigiani, commercianti, operai, contadini]. Insomma, l’alta finanza cattolica fiorentina non si occupa della “plebe” e pretende che nessun altro lo faccia [il mssimo dell’egoismo].

     Nel 1437 Cosimo de’ Medici prende il potere in città, non con la forza ma in virtù della ricchezza e dell’energia della sua personalità. Lascia che in apparenza Firenze rimanga una Repubblica governata dalla ricca aristocrazia e dalle corporazioni più influenti come quella della lana, l’arte di calimala, ma, in realtà, Cosimo orienta e guida la politica della città come una sorta di benevolo “fìlosofo” ispirandosi ai governanti descritti da Platone nel dialogo intitolato Repubblica.

     Accogliendo gli ebrei, Cosimo conquista il consenso dei fiorentini comuni i quali, da questo momento, possono ottenere dei piccoli prestiti a tassi bassi d’interesse grazie ai quali hanno la possibilità di investire in attività economiche che fanno alzare il tenore di vita della città. Da questo momento la sorte degli ebrei a Firenze è legata a quella dei Medici: quando, in due diverse occasioni, questi ultimi vengono cacciati dalla città dai loro nemici interni sostenuti dal Vaticano, gli ebrei devono anche loro abbandonare la città per poi tornare quando i Medici riprendono il controllo della situzione. Gli ebrei, però, non portano in città solo dei servizi finanziari per la gente comune, ma introducono a Firenze - e Cosimo è proprio questo che vuole - un elemento molto più importante: la loro cultura e le loro conoscenze.

     Cosimo il Vecchio e gli intellettuali della sua cerchia [a cominciare da Marsilio Ficino] sono affascinati dall’opportunità di studiare i testi dei Dialoghi di Platone ma sono altrettanto attratti dalla possibilità che ora hanno di accedere a tutta una serie di antiche e misteriose conoscenze che la presenza degli ebrei a Firenze rende disponibile.

     C’è da dire tuttavia che Cosimo il Vecchio è attratto soprattutto dallo “spirito pratico” che hanno gli ebrei: lui ammira la teoria ma, in primo luogo, ama la prassi [l’intraprendere]. A loro volta, gli intellettuali ebrei - sulla scia della Scuola alessandrina che dal I al III secolo ha portato a termine la traduzione in greco dei Libri della Bibbia [la traduzione dei Settanta, un argomento - la più importante operazione culturale dell’ellenismo - che abbiamo studiato a suo tempo] - per dare un’anima al loro spirito pratico, ricominciano a studiare la filosofia di Platone cercando di armonizzare il pensiero platonico [secondo cui le cose derivano dalle Idee] con quello della Letteratura dell’Antico Testamento [secondo cui le idee derivano dalle cose] e, quindi, si crea una virtuosa situazione di interscambio culturale dove i Dialoghi di Platone fanno da punto di riferimento comune tra intellettuali cristiani ed ebrei. Gli intellettuali della cerchia di Cosimo il Vecchio cominciano, con grande interesse, a studiare: la lingua ebraica, il senso delle regole della Torah, il Libro del Talmud, la tradizione del Midrash [del “testo cerimoniale”: il Midrash è il genere letterario con cui è scritto il Pentateuco, i primi cinque Libri della Bibbia, come abbiamo studiato a suo tempo] e, soprattutto, sono attratti dallo studio della Cabala, che diventa ben presto la loro materia preferita.

     Dal 1437 [e il curioso Michelangelo vuole conoscere che cosa è successo a Firenze nei cinquant’anni precedenti alla sua permanenza a bottega dal Ghirlandaio] la vivacità e la varietà delle manifestazioni della cultura ebraica si diffondono entrambe a Firenze, e gli umanisti fiorentini [gli intellettuali della cerchia di Cosimo il Vecchio] sono fortemente interessati allo studio e all’indagine filologica della lingua ebraica in quanto portatrice di valori e di significati che reputano di somma importanza: pensiamo al fatto che l’unica versione della Bibbia alla quale si poteva accedere senza provocare l’intervento del tribunale dell’Inquisizione era la “Vulgata latina” del 420 di Gerolamo [la traduzione in latino da parte di Gerolamo di tutti i Libri della Bibbia: un argomento molto interessante che abbiamo studiato a suo tempo] e, quindi, la versione originale in lingua ebraica [la lingua in cui il Dio di Abramo, di Mosè e di Gesù, “ha parlato” dalle origini] non poteva non attirare l’attenzione di chi voleva cimentarsi nell’esegesi [nell’interpretazione - proibita dal tribunale dell’Inquisizione - del testo originario] per poi tradurre questa interpretazione in commenti, in simboli e in immagini.

     I domenicani di Firenze [in primo luogo la corrente legata all’Inquisizione], e molti membri della curia vaticana a Roma, sono scandalizzati da questa situazione, una vera e propria rivoluzione culturale laica, creata da Cosimo, e hanno, quindi, una buona ragione per augurarsi [e per favorire] la caduta dei Medici. Gli intellettuali della cerchia di Cosimo il Vecchio studiano con grande interesse i miti dell’antichità greco-romana, i concetti della filosofia di Platone, i principi provenienti dalla tradizione ermetica egizia e tutti gli elementi fondamentali della cultura ebraica, in particolare, i simboli della cabala e questa stimolante e fertile fusione di culture e di idee ha portato a una confluenza di arte, di scienza e di filosofia che ha contribuito a liberare molti impulsi creativi che hanno modificato il modo di guardare il mondo. Quattro secoli dopo, nel 1860, lo storico Jacob Burckhardt ha dato il nome di “Rinascimento” a questo significativo periodo della Storia del Pensiero Umano. Diciamo che, se non ci fosse stato questo impatto culturale, il soffitto della Cappella Sistina non sarebbe così com’è.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola "rinascimento" rimanda a tre termini fondamentali: rinascita, ripresa, rinnovamento...     C'è stato nella vostra vita un momento [o più di uno] che potreste definire di rinascita, di ripresa, di rinnovamento?...

Scrivete quattro righe in proposito [scrivendo ci si rinnova]...

     La lungimiranza di Cosimo il Vecchio sul piano della promozione culturale è davvero ad ampio spettro se si considera che, in Età contemporanea, le studiose e gli studiosi hanno dimostrato ed affermato che “la modernità ha le sue radici più profonde principalmente nella cultura ebraica” e, in particolare, “nello spirito pratico che hanno gli ebrei”, e questa è una caratteristica, come abbiamo già detto, che li rende molto simpatici a Cosimo il Vecchio che ammira la teoria ma, in primo luogo, ama la prassi [l’intraprendere].

     Per avvalorare questa affermazione - che mette in evidenza la perspicacia di Cosimo de’ Medici nei confronti della promozione della cultura ebraica - puntiamo la nostra attenzione su un significativo saggio initolato Radici ebraiche del moderno scritto dal teologo Sergio Quinzio [nato ad Alassio nel 1927 e morto a Roma nel 1996], un personaggio che abbiamo più volte citato in questi anni e del quale abbiamo commentato alcune opere esegetiche, l’ultima in ordine di tempo s’intitola La sconfitta di Dio.

     Nel saggio intitolato Radici ebraiche del moderno il teologo Sergio Quinzio riflette - facendo continuo riferimento all’esegesi biblica - su come la cultura ebraica abbia influenzato, dalle origini della modernità, le visioni politiche, quelle artistiche, quelle letterarie, quelle etiche. Quinzio dimostra quanto la potenza dell’eredità culturale ebraica - mescolandosi a quella greca - abbia dato una determinata fisionamia all’epoca moderna e abbia dato origine a forme e pensieri di ogni specie a volte in contrapposizione tra loro. Ogni “pensiero utopico” [ogni ipotesi rivoluzionaria], per esempio, prende luce dalla visione messianica contenuta nell’Antico Testamento, e anche la pretesa psicoanalitica di “leggere i sogni” nasce sui presupposti ebraici del Libro della Genesi. E poi, prima di ogni altra, è la nozione stessa di “storia” che, nel senso occidentale, è segnata dall’ebraismo come “tempo a senso unico e senza ritorni”, una visione della storia che, a sua volta, rimanda a una specifica concezione del sacro. Scrive Quinzio: «Non gli oggetti dello spazio, statici anche nel tempo, ma gli eventi sono per eccellenza sacri nell’ebraismo. Il sacro ebraico è pochissimo legato alle cose: le tavole della Torah, scritte dal dito di Dio, hanno potuto essere subito infrante da Mosè appena disceso dal Sinai. Il sacro ebraico è, per così dire, mobile e fluido come il tempo, non ha la struttura compatta e rigida del sacro comune alle altre grandi tradizioni religiose dell’umanità. Il sacro ebraico non è atemporale [come quello greco], ma s’inserisce in una storia, ha una storia».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Le opere di Sergio Quinzio - per esempio La sconfitta di Dio, La fede sepolta, Dalla gola del leone, La croce e il nulla, Radici ebraiche del moderno - non sono di facile lettura ma potete richiederle in biblioteca, sfogliarle e leggerne anche solo qualche pagina...

     Adesso leggiamo l’incipit del saggio intitolato Radici ebraiche del moderno tenendo conto del fatto che tanto Cosimo il Vecchio quanto Michelangelo [e soprattutto Michelangelo] avrebbero condiviso le parole di Quinzio perché sono stati protagonisti dell’operazione politica e intellettuale che ha fatto germogliare nuovi virgulti dalle radici della cultura ebraica: sul soffitto della Cappella Sistina [se voglimo usare questa metafora] ci sono i frutti della germinazione delle radici ebraiche agli albori dell’Età moderna [e questi frutti - le forme e i contenuti dell’affrescatura michelangiolesca - li osserveremo a suo tempo]. Ora leggiamo l’incipit di questo saggio.

LEGERE MULTUM….

Sergio Quinzio, Radici ebraiche del moderno

Proprio nel secolo in cui l’odio antiebraico ha raggiunto estremi di crudeltà inaudita, proprio nel secolo della shoah, gli ebrei, fenomeno davvero unico, hanno risuscitato la loro lingua e hanno riedificato un loro Stato. Quel che più conta, se l’influsso di questo piccolo popolo è stato pofondo in tutta la storia dell’Occidente, segnandola anziutto con il suo monoteismo etico, è che i suoi pensatori e i suoi autori non hanno mai esercitato un influsso tanto grande quanto nel secolo [il ‘900] che avrebbe dovuto segnarne il completo sterminio. Non è importante far nomi, e se ne dovrebbero comunque far troppi, ma senza Marx e il marxismo, senza Freud e la psicoanalisi, senza Einstein e la relatività, o senza Kafka, senza Wittgenstein, il mondo contemporaneo non sarebbe ciò che è. E le categorie ebraiche, anche quando assumono vesti non ortodosse e persino esasperatamente lontane dalla tradizione, restano pur sempre riconoscibili come filiazioni o metamorfosi di una vocazione risalente, nella sua origine, alla cultura dell’Antico Testamento, alla rivelazione biblica.

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     In questa pagina Michelangelo - nonostante non sia ebreo - si riconoscerebbe perfettamente [in primo luogo per la propensione caratteriale che ha nel coltivare il più moderno dei sentimenti, la melanconia], e le ragioni della sua vicinanza alla cultura ebraica le conosceremo e le capiremo strada facendo, e queste ragioni dipendono, soprattutto, dal lavoro intellettuale che Cosimo il Vecchio commissiona agli studiosi della sua cerchia: e chi sono questi personaggi e come svolgono il loro compito? Ce ne occuperemo la prossima settimana perché è necssario avere la mente fresca per seguirli nelle loro evoluzioni.

     In conclusione adesso dobbiamo interessarci di un caso pietoso: dobbiamo assistere alla misurazione della blasfemia e alla valutazione della moralità di Tombo [ammesso che per una scimmia si possa parlare propriamente di moralità e di blsfemia]. Verso l’animale “sacrilego” Nena è inflessibile, Lilla è più comprensiva. E poi il destino della “scimia peccatrice” viene affidato al giudizio di due religiosi - il vecchio monsignor Tostini e il giovane padre Alessio - che imbastiscono una disputa di carattere teologico-dottrinale che deborda in uno scontro che supera i confini della semplice questione, e questo non giova al povero Tombo.

LEGERE MULTUM….

Tommaso Landolfi, Le due zittelle

Lilla, sostenuta in parte da Bellonia, tentò con tutte le sue poche forze la difesa di Tombo. Come eccessiva le era parsa la costernazione della sorella ai trascorsi della bestia, così ora le pareva eccessivo e crudele il progettato castigo. Lamentandosi, e talvolta piagnucolando, ella trotterellava a tutte l’ore dietro a Nena e si studiava d’addurre argomenti in favore della scimia.

Nena diceva che, proprio perché Tombo era un animale, poteva e doveva seguire la sorte dei suoi simili; gli animali hanno sì diritto alla massima indulgenza, ma se divengono nocivi e pericolosi, si sopprimono. E questo non era soltanto nocivo e pericoloso, sibbene anzi qualcosa di peggio. …  Senza contare che loro due sarebbero diventate la favola di tutta la città, se non s’appigliavano a un pronto ed energico partito; e non la favola, l’obbrobrio della gente dabbene e timorata.

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     Come ben sapete, Platone e Aristotele hanno già riflettuto a suo tempo sul tema della “trascendenza assoluta” per cui se Dio è trascendente non è “né buono e né cattivo” e se, invece, Dio comprende in sé l’universo intero e tutte le cose allora, non solo la via del bene, ma anche la via del male è compresa in Dio. Capite che la disputa di carattere teologico-dottrinale tra monsignor Tostini e padre Alessio deborda in uno scontro che supera i confini della semplice questione, e noi ci domandiamo se il povero Tombo abbia trovato l’avvocato difensore giusto! Questo lo sapremo andando avanti a leggere il romanzo.

     Chi sono e come svolgono il loro compito gli intellettuali della cerchia di Cosimo il Vecchio?

     Per rispondere a questa domanda bisogna prendere decisamente il passo verso un rigoglioso “paesaggio intellettuale” che dobbiamo visitare a mente fresca e con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, consapevoli che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare. Gli intellettuali della cerchia di Cosimo hanno tutti un forte carattere e lui stesso diceva: «Sono tipi che quando si guardano allo specchio si fissano con tale sicurezza che, alla fine, è lo specchio che deve abbassare lo sguardo». Ebbene, noi li incontreremo e saremo capaci di sostenerne lo sguardo?

     Non dubitate, con noi sono indulgenti perché promuoviamo l’Alfabetizzazione!

     Sanno che la Scuola è qui, e il viaggio - che li vede per un buon tratto protagonisti - è cominciato…

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Novembre 4, 2016