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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ALBORI DELL’ETÀ MODERNA SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON LA DEFINIZIONE DELLA NATURA E DEGLI OBIETTIVI DEL VIAGGIO DI STUDIO ...

Lezione N.: 
1

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica agli albori dell’età moderna      12-13-14  ottobre  2016

 

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AGLI ALBORI DELL’ETÀ MODERNA

SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON

LA DEFINIZIONE DELLA NATURA E DEGLI OBIETTIVI DEL VIAGGIO DI STUDIO ...

     Ben tornate e ben tornati a Scuola, ben venute e ben venuti a Scuola! Ben tornate alle persone che sono in viaggio sulla via dell’Apprendimento permanente da uno, due, cinque, dieci, venti, trent’anni, e un ben venuto alle persone che muovono i primi passi sui sentieri di questa esperienza didattica che dal 1° ottobre 1984 [e quindi questo è il 33° viaggio di studio in partenza] opera nell’ambito della Scuola pubblica degli Adulti.

     Quest’anno però viaggiamo ai margini della Scuola pubblica degli Adulti perché dal gennaio scorso i Centri Territoriali Permanenti per l’istruzione in età adulta sono stati aboliti, e l’Ordinanza Ministeriale 455 che li aveva istituiti nel 1997, che noi abbiamo contribuito a scrivere [io stesso ero tra i quaranta membri della Consulta nazionale sull’Educazione degli adulti che a Tivoli, nel novembre del 1996, hanno scritto l’Ordinanza 455], ebbene, questo documento [uno strumento molto avanzato ma debole perché un’Ordinanza non è una Legge] è stato snaturato nei suoi principi dalla Legge 133 [Gelmini-Tremonti] che ha cancellato, rimuovendo la parola “alfabetizzazione”, la possibilità di costruire un sistema pubblico di Educazione Permanente in questo Paese dove “l’analfabetismo” [parola tabù] - cioè la scarsa capacità di utilizzare le azioni dell’Apprendimento [in primo luogo per leggere, per scrivere e per far di conto] - è un fenomeno in evoluzione [in Italia - secondo la ricerca Eurostat effettuata in tutti i paesi dell’unione nel 2009 - l’analfabetismo, a tre gradi di livello, riguarda l’81% della popolazione attiva, nella fascia dai 18 ai 65 anni, siamo agli ultimi posti ma non è che le altre Nazioni della Comunità Europea stiano meglio] e i danni provocati dalla cosiddetta “povertà educativa” [dicitura corrispondente al termine  “analfabetismo” considerato erroneamente come arcaico], ebbene, i danni della “povertà educativa” sono evidenti a livello planetario.

     E, quindi, il nostro Percorso didattico “di Alfabetizzarione funzionale e culturale”, secondo le nuove norme, è diventato “estraneo”, è tornato ad essere “fuori-legge”: illegale?

     Abbiamo già scritto nel 1996, vent’anni fa, un libretto intitolato Un’esperienza scolastica illegale? sul quale, in calce, c’è il nome di più di una e di uno di voi. Il quadernetto in questione, sotto forma di Lettera, descrive questa esperienza, che allora durava già da dodici anni, e che sperimentava tutti gli elementi che l’anno dopo sono entrati nel testo dell’OM. 455.

     Oggi siamo tornati indietro di un ventennio e uno come me che si occupa di Educazione degli Adulti dal 1969, dall’Università, si dovrebbe scoraggiare ma uso il condizionale perché poi, adesso, vedo voi, il popolo della Scuola, e mi rendo conto che il cammino è stato comunque fruttuoso.

     Per essere ancora a servizio della Scuola pubblica è stato necessario costituire il 23 marzo scorso un’Associazione e, quindi, nel Repertorio che avete ricevuto c’è una nuova dicitura: non c’è più scritto CTP per l’istruzione in età adulta ma Associazione Articolo 34 - La scuola è aperta a tutti e chi non ha ancora riempito la domanda d’iscrizione e intende farlo la può compilare sapendo che la domanda d’iscrizione all’Associazione corrisponde alla domanda d’iscrizione a questo Percorso didattico perché l’obiettivo dell’Associazione è lo stesso della Scuola: operare per promuovere una necessaria e urgente Campagna di Alfabetizzazione funzionale e culturale, perché [senza alfabeto non c’è democrazia] non c’è cultura senza Alfabetizzazione.

     E a questo proposito dobbiamo riflettere [brevemente, in quanto voi conoscete la realtà delle cose] sul fatto che la parola “cultura” - che nel titolo di questo Percorso affianca il termine “alfabetizzazione” - deriva dal verbo “coltivare” per cui il significato di questa parola è legato all’acquisizione delle competenze utili ad imparare: la cultura è l’attività che rende proficuo l’esercizio dell’apprendimento. Di conseguenza quando si parla di “attività culturali” si parla di cultura in senso lato perché leggere un libro, visitare un museo, vedere una mostra, andare a teatro, osservare i monumenti di una città, osservare il cielo e via dicendo, di per sé non è cultura: è cultura “il saper utilizzare in modo efficiente le azioni dell’Apprendimento per rendere efficaci queste attività tanto da tradurle in un investimento in intelligenza”, perché “avere cultura” [come affermano tutte le intellettuali e gli intellettuali del movimento della Scolastica medioevale che abbiamo incontrato in questi ultimi tre anni] significa sapersi porre di fronte ai propri limiti senza perdere mai la volontà d’imparare.

     Come molte e molti di voi ricordano, alla fine del mese di maggio abbiamo incontrato Nicola Cusano [autore di uno dei trattati più importanti della Storia del Pensiero, intitolato La dotta ignoranza], e Nicola Cusano nel 1440 si domanda [utilizzando questo paradosso, perché dire che “l’ignoranza è dotta” significa esprimere una contraddizione, formulare un’aporia] che cosa sia “la cultura” [che cosa ci faccia diventare persone sagge e sapienti] e la sua risposta che deriva dal “senso della misura” è emblematica: la cultura, scrive Nicola Cusano, è un viaggio senza fine alla scoperta della propria ignoranza perché l’ignoranza ha in sé qualcosa di “dotto” nel momento in cui indirizza la persona verso lo studio e, quindi, “la dotta ignoranza” è la forma più idonea per garantire la conoscenza perché, scrive Nicola Cusano, costituisce il presupposto su cui si basa la nostra possibilità di imparare. “La dotta ignoranza” [l’ignoranza consapevole] è la nozione socratica per cui la persona si predispone all’apprendimento per imparare come si apprendono le cose perché, come ben sapete, piuttosto che avere una testa “ben piena” è bene avere una testa “ben fatta” e, quindi, il termine “ignoranza” va inteso, afferma Nicola Cusano, non come un deprezzamento del conoscere ma come una garanzia per apprendere.

     Voi che da anni arate e seminate nel campo dell’Educazione permanente conoscete queste affermazioni e, quindi, non voglio indugiare in proposito: voi siete consapevoli di dover esercitare il vostro diritto-dovere di cittadinanza attiva che in questo caso consiste nell’applicare l’articolo 34 della Costituzione che dice: “La Scuola è aperta a tutti.”, e per questo siamo sul punto di intraprendere un nuovo viaggio di studio. E “studiare” significa imparare ad investire in intelligenza durante tutto l’arco della vita “per curare l’apprendimento delle virtù” perché non si studia, scrive Seneca nelle Lettere a Lucilio, solo per sapere tante cose ma per comprendere che cos’è il Bene.

     “Lo studio” [in tutte le sue forme] è come ben sappiamo un’attività a volte vietata, a volte negata, dalla quale spesso la persona viene distolta per essere indirizzata verso forme di addestramento, quindi, “lo studio” è un’attività poco diffusa nella popolazione mondiale [e l’Italia in questo non si distingue]: “poco studio” si traduce in poca cura e “poca cura” corrisponde a “poca adesione ai valori dell’Umanesimo”. E allora è compito della Politica a livello mondiale, europeo, nazionale e soprattutto locale promuovere viaggi di studio: Percorsi di Alfabetizzazione e per questo noi siamo in partenza.

     Sapete che qualsiasi viaggio [reale o metaforico che sia] ha inizio con la partenza, e la partenza per un viaggio corrisponde sempre ad un “rito”. E il tradizionale “rituale della partenza” si ripete per noi ogni anno e come ben sapete i rituali in quanto ripetitivi a volte finiscono per essere noiosi, ma insostituibili. Il “rituale della partenza” è, nel nostro caso, una presa d’atto che consiste nel conoscere la “natura didattica” e gli “obiettivi formativi” del Percorso che seguiremo: è sconsigliabile, soprattutto per quanto riguarda un viaggio di studio [funzionale all’esercizio della lettura e della scrittura], partire senza sapere dove andare.

     La conoscenza della “natura didattica” e degli “obiettivi formativi” di un Percorso scolastico non riguarda tanto “i contenuti”, le “cose da sapere” [anche se i contenuti hanno la loro importanza come vedremo], ma si riferisce soprattutto alla “forma” perché dobbiamo essere consapevoli, come abbiamo ribadito poco fa, di come si configura quello straordinario esercizio che è l’Apprendimento: dobbiamo imparare a conoscere “il modo in cui impariamo” perché il compito primario della Scuola è quello di occuparsi di “coltura”, da cui deriva il termine “cultura”, e la Scuola si frequenta ad ogni età per “imparare ad imparare” perché la persona, come dice l’incipit della Metafisica di Aristotele, è attratta permanentemente dal desiderio di conoscere.

     In primo luogo nel celebrare il rituale della partenza [e la celebrazione è iniziata] dobbiamo dire che il nostro Percorso di studio utilizza, in particolare, i contenuti della “Storia del Pensiero Umano” [stiamo per intraprendere un viaggio sul territorio della “sapienza poetica e filosofica agli albori dell’Età moderna”, e in questo momento siamo di fronte al portone, ancora chiuso, di una Cappella] per raggiungere, però, un obiettivo di carattere formativo per acquisire quegli strumenti che facilitano la nostra capacità di Apprendimento ed è per questo che ci muoviamo “in funzione della didattica della lettura e della scrittura” e per “il potenziamento dell’esercizio della riflessione personale”, e questa prassi dà il titolo al Percorso che stiamo per seguire: “Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura” in quanto l’esercizio della “lettura”, della “scrittura” e della “riflessione personale” sono gli strumenti necessari per poter compiere un investimento in intelligenza che è l’atto in cui prendiamo coscienza di aver imparato. Per quale motivo, quindi, dobbiamo, frequentare la Scuola?

     Quando leggiamo, quando scriviamo e quando riflettiamo noi ci esercitiamo a potenziare le azioni dell’Apprendimento [le azioni cognitive] e questo è il motivo fondamentale per cui dobbiamo “leggere”, “scrivere” e “riflettere”.

     E quali sono le azioni che ci permettono di imparare? Ormai molte e molti di voi le conoscono a memoria ma ripassare non nuoce bensì giova - repetita iuvant (per dirla in latino) - e poi il rituale della partenza, come tutti i rituali, è di per sé ripetitivo.

     L’Apprendimento [l’attività dell’imparare] si sviluppa attraverso sei azioni privilegiate - conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare - che non agiscono in ordinata successione, come in modo funzionale le abbiamo elencate ora, ma operano attraverso una serie di rapporti simultanei condizionati da vari fattori.

     Alle dipendenze di queste “sei azioni cognitive principali” ci sono, per corroborarne il funzionamento, altre quaranta azioni conseguenti [e quando qualcuna di queste azioni sussidiarie capiterà a tiro la citeremo e ne spiegheremo la funzione]; le azioni cognitive, principali e sussidiarie, contribuiscono a fare di ciascuna e di ciascuno di noi una “persona intelligente”. Di conseguenza ogni itinerario settimanale [ogni Lezione] deve corrispondere ad un “ragionamento progressivo” mediante il quale ci si possa esercitare, con la maggior consapevolezza possibile, ad attivare le azioni cognitive [quelle principali]: a conoscere, a capire, ad applicare, ad analizzare, a sintetizzare e a valutare.

     Quando si entra nel sistema [nell’officina] dell’Apprendimento permanente piuttosto che farsi interrogare, ci si deve interrogare, bisogna domandarsi: per investire in intelligenza che cosa devo “conoscere”, che cosa devo “capire”, come mi devo “applicare”, e che cosa significa “analizzare”, “sintetizzare” e “valutare”?

* Per investire in intelligenza è necessario “conoscere” le parole-chiave della Storia del Pensiero Umano, e nel corso del viaggio che faremo costruiremo, strada facendo, un catalogo di parole-chiave, utili per l’esercizio della conoscenza.

* Per investire in intelligenza è necessario “capire” le idee-cardine della Storia del Pensiero Umano, e nel corso del viaggio che faremo incontreremo, strada facendo, una serie di idee-significative, utili per l’esercizio della comprensione.

* Per investire in intelligenza è necessario “applicarsi” costantemente nell’esercizio della lettura [quattro pagine al giorno per dieci minuti al giorno] e della scrittura [quattro righe al giorno]: si legge e si scrive per dare fluidità al processo di apprendimento.

* Per investire in intelligenza è necessario “analizzare”, cioè catalogare, mettere in ordine i pensieri che si formano nella nostra mente quando entriamo in contatto con le parole-chiave e con le idee-cardine contenute nei “paesaggi intellettuali” che incontreremo strada facendo.

* Per investire in intelligenza è necessario “sintetizzare”, cioè scrivere uno dei pensieri che si sono formati nella nostra mente facendo l’analisi, quello che ci sembra più significativo: quattro righe scritte [per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare] rappresentano l’oggetto [le parole scritte sono cose] in cui si concretizza la nostra attività intellettuale.

* Per investire in intelligenza è necessario “valutare”, e valutare significa “essere consapevoli” di sovrintendere all’iter del nostro percorso di apprendimento.

     Ciascuna e ciascuno di noi, itinerario dopo itinerario, deve domandarsi: quante parole-chiave ho conosciuto, quante idee-significative ho capito, quanti pensieri ha catalogato la mia mente, quale testo ho scritto? Ebbene, i sei punti che abbiamo elencato e descritto costituiscono le fasi fondamentali di quello che si chiama “il metodo dell’affabulazione didattica”: un procedimento che abbiamo sperimentato in questi anni e che come sappiamo ha le sue radici lontano nel tempo [questo metodo lo troviamo formulato nello Statuto della Facoltà delle arti di Parigi scritto nel 1247].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale ordine di importanza - secondo le vostre esigenze - elenchereste questi obiettivi: conoscere le parole-chiave, capire le idee significative, applicarsi nella lettura, analizzare i propri pensieri, sintetizzare un testo scritto, valutare il proprio apprendimento?...

Non rinunciate a scrivere il vostro parere in proposito...

     La celebrazione del “rituale della partenza”, da qualche anno, comporta anche la lettura di un testo nella sua interezza, di un testo che possa farci prendere il passo tutte e tutti quanti assieme. Il testo che stiamo per leggere ha un’attinenza filologica con il punto da cui stiamo per partire: è un “romanzo breve”, anzi “brevissimo” visto che è formato da sole tre pagine: ma come si fa [direte voi] a considerare un testo di tre pagine un vero e proprio romanzo? Su questo tema che emerge nell’ambito del “rituale della partenza” che stiamo celebrando è necessario imbastire una riflessione.

     Secondo le studiose e gli studiosi di filologia [che c’invitano a conoscere, a capire e ad applicarci] un testo “brevissimo” di poche pagine può essere considerato un vero e proprio “romanzo” se chi lo ha scritto [l’autrice o l’autore] è stato capace, utilizzando l’azione del sintetizzare, ad inserire nel testo una serie di citazioni, di riferimenti, di allusioni, di richiami, di tracce, di indizi che possano far scaturire nel nostro pensiero, attraverso l’azione dell’analizzare, delle rappresentazioni concettuali che fanno dilatare il testo nella nostra mente per cui sulla pagina il contenuto risulta essere breve o brevissimo ma nella mente si amplifica [e questo ampliamento, che si configura in un paesaggio intellettuale, lo possiamo valutare se siamo capaci di conoscere, di capire, di applicarci, di analizzare e di sintetizzare]. Naturalmente per scrivere un “romanzo brevissimo” - secondo i canoni che abbiamo esposto [secondo la dinamica delle azioni dell’apprendimento] - ci vuole una scrittrice o uno scrittore “competente”. E “competenza” è una parola-chiave che non possiamo non incontrare in un Percorso di Alfabetizzazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di queste parole - esperienza, passione, abilità, convenienza, o quale altra - mettereste per prima accanto alla parola “competenza”?... Fate la vostra scelta sapendo che “scegliere” presuppone sempre un utile investimento in intelligenza che mette in moto le azioni dell’apprendimento, basta una parola: scrivetela...

     Per dedicarsi alla lettura in modo proficuo - e il “romanzo brevissimo” che stiamo per leggere tratta sarcasticamente questo tema - bisogna essere persone “competenti” altrimenti l’esercizio della lettura rischia addirittura di rivoltarsi contro la lettrice e il lettore se questi non è in grado di investire in intelligenza. Lo scrittore, autore del “romanzo brevissimo” che stiamo per leggere in partenza, [è molto famoso e lo abbiamo incontrato più volte in questi anni] si chiama Anton Čechov. Chi è Anton Čechov, chi è lo scrittore che prende parte al rituale della partenza del viaggio di quest’anno? Sebbene a grandi linee merita una presentazione.

     Anton Čechov è nato il 29 gennaio del 1860 a Taganrog una grande città portuale russa sul Mar d’Azov nella regione di Rostov fondata nel 1698 dallo zar Pietro il Grande come prima base della Marina russa. Noi italiane e italiani siamo un po’ legati a questa città perché nel 1962 è stato eretto qui un monumento a Giuseppe Garibaldi che, come comandante di un piccolo bastimento di nome “Clorinda” è sbarcato diverse volte a Taganrog [tra il 1831 e il 1833] dove in un’osteria del porto ha conosciuto alcuni immigrati italiani in esilio appartenenti all’organizzazione “Giovine Italia” fondata da Giuseppe Mazzini ed è qui che Garibaldi si è votato alla causa dell’unità nazionale, e l’anno 1860 [se vogliamo giocare con le coincidenze] - che è l’anno di nascita di Anton Čechov - è anche quello della Spedizione dei Mille.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Russia e navigando in rete fate una visita alla città di Taganrog, ci sono tanti bei monumenti da vedere, buon viaggio

     Anton Čechov è il nipote di un servo della gleba che, facendo dei terribili sacrifici, ha ottenuto la libertà pagando un forte riscatto, ed è terzo di sei figli di un modesto droghiere, uomo molto religioso e piuttosto violento, ed ha vissuto la giovinezza nel clima e nelle atmosfere della provincia russa tra arretratezza e tentativi di riforma. Nel 1876 la famiglia Čechov, a causa delle difficoltà finanziarie in cui si trova, si trasferisce a Mosca mentre il giovane Anton rimane a Taganrog per terminare gli studi al ginnasio [“Una Scuola - scrive Anton - che funziona come una caserma, poco educativa”], e lui, che ama scrivere, comincia a comporre racconti ironici per mettere alla berlina i suoi professori che sono dei funzionari [sono quasi tutti informatori della feroce polizia zarista] e poco pedagoghi, meno il professore di religione che risulta un’eccezione e che si occupa della sua formazione classica indirizzandolo nelle letture, che lo porta con sé a teatro, che legge i suoi scritti e lo incoraggia a spedirli ad alcuni giornali umoristici. Uno di questi, niente meno che la famosa rivista Schegge di San Pietroburgo, glieli pubblica con lo pseudonimo di “Čechontè” e viene anche pagato otto copechi a riga, e inizia così la sua carriera di scrittore perché il direttore della rivista, lo scrittore Nikolaj Lejkin, gli affida una regolare rubrica di cronaca, capisce che il giovane Anton ha talento e trova i suoi racconti coincisi, vivaci, divertenti e inattaccabili dalla censura perché i protagonisti, presi in giro, sembrano maschere, sembrano personaggi inventati e nessuno intenterà una causa contro il giornale.

     Nel 1879 Anton si trasferisce a Mosca e, usufruendo di una borsa di studio, s’iscrive alla facoltà di medicina e naturalmente continua a scrivere, poi si laurea e inizia anche a fare il medico ma per poco tempo perché, purtroppo, sarà costretto a fare l’ammalato visto che nel 1884 scopre di avere la tubercolosi e via via la malattia si aggrava costringendolo a soggiorni sempre più lunghi in luoghi di cura. Si trasferisce a Jalta dove compra una casa e lì incontra e ospita molti intellettuali russi come Tolstoj e Gorki con i quali imbastisce un dialogo che gli è utile per intensificare ancora di più la sua attività letteraria, e poi inizia una fattiva collaborazione con il Teatro d’Arte di Mosca, con il regista Konstantin Stanislavskij e, nel 1898, il dramma di Čechov intitolato Il gabbiano viene accolto trionfalmente.

     Nel 1901 Anton sposa l’attrice Ol’ga Knipper [1870-1959], grande interprete dei suoi drammi, e nel febbraio del 1904, aggravatasi la malattia, si trasferisce con la moglie nel centro termale di Badenweiler nella Selva Nera, in Germania, dove muore il 2 luglio. Il 9 luglio le spoglie di Anton Čechov giungono alla stazione Nikolaj di Mosca e il vagone su cui viaggiano porta sul fianco un grosso cartello con scritto “Trasporto di ostriche”, e molti di quelli accorsi ad aspettarlo [c’erano centinaia di persone] si indignano ma la moglie Ol’ga prende la parola e dice: «Non vi adirate ma pensate a che bel racconto, vivace, ironico e comico, avrebbe scritto Anton in proposito» e nessuno ha ancora avuto il coraggio di scriverlo questo racconto.

     Anton Čechov ci ha lasciato una vasta produzione letteraria di cui si consiglia la lettura, distribuita in più raccolte di novelle che, come dicono le studiose e gli studiosi, sono dei veri e propri romanzi brevi o brevissimi, ricordiamo i Racconti di Melpomene [1884], i Racconti variopinti [1886] e la raccolta All’imbrunire [1887]. Nel 1888 viene pubblicato il famoso breve romanzo intitolato La steppa che è la storia di un viaggio nelle desolate e infinite distese della steppa siberiana visto attraverso gli occhi di un ragazzo e nello stesso periodo compone una serie di ironici atti unici: Il fumo fa male, L’orso [che abbiamo letto nel percorso dell’anno 2007-2008], Una domanda di matrimonio, Le nozze, L’anniversario. Dal 1892 Anton Čechov ha vissuto una stagione letteraria di ispirazione simbolista in cui ha composto diverse opere tutte celebri, e ne citiamo alcune: Il reparto n.6., La mia vita, La villa col mezzanino, La signora col cagnolino, tutti testi che Tolstoj amava leggere ad alta voce.

     Rimane inoltre fondamentale per la Storia del teatro la produzione drammatica di Anton Čechov: Il gabbiano [1895], Zio Vania [1899], Le tre sorelle [1901], Il giardino dei ciliegi [1904], e queste opere continuano immancabilmente ad essere messe in scena perché fanno riflettere e continuano ad essere di grande attualità.

     Čechov detesta la volgarità, odia la menzogna e tutto ciò che umilia l’essere umano, e la grandezza della sua opera consiste nella rappresentazione di persone normali, dal destino mediocre. Čechov mette in scena il mondo dei grigi burocrati, le cui figure meschine o dolorose sono scolpite con straordinaria potenza. Il suo linguaggio - che suscita l’ammirazione di Tolstoj - è semplice, essenziale, discreto: tesse la trama utilizzando discorsi all’apparenza banali, quelli della quotidianità, e sembra che sulla scena non succeda nulla, e sono emblematici i cosiddetti “silenzi parlanti” del teatro di Čechov. L’enfasi in Anton Čechov è sempre assente, e l’ironia rimane la nota dominante del suo carattere di narratore e la drammaturgia cechoviana rinnova non solo il teatro russo ma tutto il teatro europeo.

     Le sue opere teatrali prendono il nome di “drammi d’atmosfera” e sono realizzati con estrema povertà d’azione e d’intreccio ma descrivono perfettamente il grigiore della vita nelle proprietà terriere e il decadere della vecchia generazione che è incapace di comprendere i tempi nuovi e la necessità di una radicale riforma sociale, intellettuale, morale.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con l’enciclopedia, in biblioteca e sulla rete potete approfondire la conoscenza di Anton Čechov e dei personaggi che abbiamo citato e che vivono accanto a lui [Nikolaj Lejkin, Konstantin Stanislavskij, Ol’ga Knipper], e potete anche leggere qualche pagina della vasta produzione letteraria cechoviana

     E ora iniziamo a leggere il “romanzo brevissimo” intitolato La lettura dove il sarcasmo cechoviano si mostra con tutta la sua efficacia: è facile [o, per meglio dire, è faciloneria, ci fa capire Čechov] spronare le persone a leggere senza tener conto del fatto che, per poter fare questo esercizio in modo proficuo, sono necessarie delle competenze di carattere funzionale e culturale.

     Per quanto riguarda la funzionalità è necessario compiere un tirocinio attraverso il quale una persona si eserciti gradatamente alla lettura e impari a decifrare i testi scritti senza che tutta la sua attenzione sia assorbita dalla decodificazione dei simboli altrimenti il significato delle parole e delle frasi diventa di difficile e faticosa comprensione [senza conoscere l’uso dello strumento manca la comprensione] e, per quanto riguarda il contenuto, certi “argomenti romanzati” possono disorientare e turbare profondamente una persona semplice e sprovveduta sul piano della conoscenza [senza comprensione non si può dare una valutazione].

     Per esempio [e l’esempio è in funzione della comprensione del testo del romanzo brevissimo che stiamo per leggere nell’ambito del rituale della partenza] se una persona mi chiede: che cosa posso leggere in questa stagione? Io potrei rispondere dicendo: leggi Il conte di Montecristo. E questa persona, probabilmente, mi risponderebbe dicendo che conosce già questo romanzo, anche se non lo ha mai letto, in virtù dei molteplici modi in cui è stato rappresentato [difatti questo celebre romanzo è stato letto da una percentuale esigua di persone rispetto alla fama che ha acquisito per via del teatro, del cinema, della televisione e questo destino è toccato ad un numero considerevole di opere letterarie]. Sappiamo che Il conte di Montecristo è un popolarissimo romanzo di Alexandre Dumas padre [1803-1870] pubblicato nel 1844. Sappiamo che il protagonista si chiama Edmond Dantès, ed è un marinaio che viene imprigionato a Marsiglia nel 1815, il giorno stesso delle sue nozze, sotto la falsa accusa di bonapartismo [di essere un seguace di Napoleone che è ormai caduto in disgrazia], e per questo Edmond Dantès rimane rinchiuso per quattordici anni nella terribile prigione del castello d’If, vittima innocente della rivalità in amore di un certo Fernando e in affari di un certo Danglars e poi la sua prigionia asseconda la carriera politica di un giovane e ambizioso magistrato, Villefort. Questi sono i tre nemici mortali di Dantès, e lui, dopo essere diventato amico di un altro prigioniero, l’abate Faria, dopo essere stato protagonista di una fantastica evasione, dopo essere entrato in possesso di un immenso tesoro nascosto nell’isola di Monte Cristo secondo l’indicazione dell’abate Faria, ebbene, dopo queste vicende, Dantès mette in atto - in modo piuttosto complesso - una terribile opera vendicativa contro i suoi tre nemici dimostrandosi spietato ed infallibile come il Fato che è al di sopra di qualunque legge umana e divina secondo la mentalità laica e provocatoria dell’autore: Alexandre Dumas padre, soprattutto in quest’opera, dimostra la sua straordinaria capacità inventiva che si esplicita in un rapido susseguirsi di singolari avventure senza avere la preoccupazione - se non quella di far aumentare in modo morboso la curiosità di chi legge [e in questo Dumas padre è un maestro] -, ebbene, senza preoccuparsi di dare alla trama una dimensione verosimile e coerente per cui chi legge questo testo senza le necessarie competenze finisce per fare fatica a seguire il filo della narrazione. E poi se chi legge è una persona di animo semplice ed è rispettosa dei principi etici, rischia di scandalizzarsi per l’apologia del non rispetto delle regole civili e morali e per l’esaltazione che viene fatta dello spirito di vendetta: Edmond Dantès non opera in nome della giustizia [chi lo ha fatto ingiustamente soffrire deve essere punito ma secondo il Codice penale] ma lui agisce, infrangendo le regole, per gustare la vendetta [e lo scrittore sa benissimo che lo spirito di vendetta si annida nell’animo di ciascuno e lui, abilissimo, lo solletica].

     Abbiamo tirato in ballo Il conte di Montecristo [e se ne consiglia la lettura] per capire qual è l’intenzione di Anton Čechov nel citare quest’opera. E ora che abbiamo in mano una delle chiavi che serve per far lievitare nella nostra mente un testo che sulla carta è brevissimo, cominciamo a leggere per capire la sottile ironia cechoviana e per continuare a celebrare il “rituale della partenza”.

LEGERE MULTUM….

Anton Čechov, La lettura

Una volta, nel gabinetto del capufficio Ivan Petrovič, c’era l’impresario del nostro teatro, Galamidov, e stavano parlando della recitazione e della bellezza delle attrici.

«E io non son d’accordo con voi» diceva Ivan Petrovič nel mentre che firmava pratiche.

«Sof’ja Jurevna è un talento forte e originale! Così cara, leggiadra Così bella …».

Ivan Petrovic voleva continuare, ma dall’entusiasmo perse la parola e si limitò a sorridere, tanto largo e melato, che l’impresario guardandolo si sentì il dolce in bocca.  … «Mi piace in lei l’affannare e il fremere del giovane petto quand’essa recita i monologhi È ardente, ardente in una maniera! In quei momenti, diteglielo, io mi sento pronto a tutto!».

«Eccellenza, vogliate firmare la risposta al rapporto della direzione di polizia di Herson relativamente a …».

Ivan Petrovič levò il viso sorridente e vide l’impiegato Merdjaev.

Merdjaev gli stava innanzi e cogli occhi sgranati gli sottoponeva una carta per la firma. Ivan Petrovič aggrottò le ciglia: la prosa interrompeva la poesia proprio nel punto più bello.

«Se ne parlerà più tardi» disse. «Non vedete che sto discorrendo! Che gente terribilmente maleducata e indelicata! Ecco qua, signor Galamidov voi dite che i tipi di Gogol’ da noi non esistono più Ecco, guardate! Questo non è uno di quei tipi? Sudicio, coi gomiti strappati, strabico e non si pettina mai E guardate poi come scrive! Il diavolo sa che roba è questa! Scrive scorretto, senza badare al senso come un calzolaio! Ma guardate dunque!».

«Uhm, già…» mugolò Galamidov dopo aver guardata la carta.

«In effetti Voi, signor Merdjaev, certo leggete poco».

«Così, carissimo, non si va avanti!» proseguì il capufficio «Ho vergogna per voi! Dovreste almeno, chessò, leggere dei libri …».

«La lettura è cosa importante!» disse Galamidov, e sospirò senza un motivo.

«Importantissima! Provate a leggere, e vedrete come da un momento all’altro si allargherà il vostro orizzonte. E i libri potete trovarli dovunque. Per esempio, ve li posso dare io Lo faccio con piacere. Ve li porterò domani, se volete».

«Ringraziate, carissimo!» disse Ivan Petrovič.

Merdjaev s’inchinò goffamente, mormorò qualcosa e uscì. Il giorno appresso Galamidov arrivò recando un pacco di libri. E da questo punto comincia la storia.

I posteri non perdoneranno mai a Ivan Petrovič la sua condotta sconsiderata! Si potrebbe in caso perdonare una cosa simile a un giovinetto, ma a un consigliere di Stato attuale con tanto di esperienza, mai!

All’arrivo dell’impresario, Merdjaev fu chiamato in direzione.

«Ecco qua, leggete, carissimo!» disse Ivan Petrovič consegnandogli un libro.

«Leggete con attenzione».

Merdjaev prese con mani tremanti il libro ed uscì. Era pallido. I suoi occhietti torti si giravano inquieti da tutte le parti e parevano chiedere aiuto agli oggetti circostanti.

Gli prendemmo il libro di mano e cominciammo a osservarlo con circospezione.

Il libro era Il conte di Montecristo.

«Se vuole così non c’è niente da fare!» disse con un sospiro il nostro vecchio ragioniere Budylda.

«Cerca in qualche maniera, sforzati Leggi poco per volta, e intanto con l’aiuto di Dio lui se ne dimenticherà, e allora potrai lasciar perdere. Tu non ti spaventare Ma sopratutto non ti ci ficcar dentro Leggi, ma non ti ci ficcar dentro a tutta quella letteratura».

Merdjaev involtò il libro in una carta e si mise a scrivere. Ma quella volta di scrivere non gli riusciva. Gli tremavano le mani e gli occhi gli si storcevano in due diverse direzioni: uno guardava il soffitto, l’altro il calamaio.

     Ebbene noi procederemo [abbiamo detto] secondo “il metodo dell’affabulazione didattica”: un procedimento che abbiamo sperimentato in questi anni.

     “Affabulare” significa “sollecitare la domanda” per far allungare la catena degli interrogativi che sorgono nella mente delle persone che procedono sul Percorso di studio perché “imparare” non significa arrivare direttamente alle risposte ma significa attivare la curiosità e lo stupore: due doti necessarie per imparare ad imparare. “L’affabulazione didattica” si basa sulla consapevolezza che gli esseri umani sono obbligati all’interpretazione, sono costretti ad interpretare la realtà [senza questa competenza non c’è autonomia di pensiero, e questo è un tema di grande attualità nel momento in cui siamo sottoposte e sottoposti - a causa dell’ipertrofia tecnologica - ad un eccesso di informazioni che dobbiamo saper selezionare e trasformare in conoscenza], e le persone, quindi, devono prendere coscienza che hanno bisogno “di sperimentare un metodo di studio” affinché “le visioni del mondo” siano le più affidabili possibile [“bisogna saper dare un’essenza all’esistenza”, dicono le intellettuali e gli intellettuali della Scolastica che abbiamo incontrato in questi ultimi anni].

     E ora, sempre in funzione del tradizionale “rituale della partenza”, entriamo nel contenuto del nostro viaggio utilizzando un intreccio filologico che dobbiamo dipanare e il primo segmento di questo intreccio lo troviamo proprio nel testo [nel colpo finale] del “romanzo brevissimo” che, non a caso, abbiamo scelto di leggere e del quale ora terminiamo la lettura.

LEGERE MULTUM….

Anton Čechov, La lettura

Il giorno appresso Merdjaev venne in ufficio colla faccia di pianto.

«Ho cominciato quattro volte» disse: «ma non ci capisco nullaCerti stranieri vanno…».

Cinque minuti dopo Ivan Petrovič, passando fra i tavoli, si fermò davanti a Merdjaev e chiese: «Ebbene? Avete letto il libro?».

«L’ho letto. Eccellenza».

«E che cosa avete letto, carissimo? Su, raccontate».

Merdjaev alzò la testa e mosse le labbra.

«Non mi rammento, Eccellenza …» disse dopo un momento.

«È segno che non avete letto, oppureche avete letto distrattamente! Auto-ma-tica-mente! Così non va bene! Leggete un’altra volta! In generale, signori, mi raccomando! Leggete! Leggete tutti! Prendete lì da me sulla finestra i libri e leggete. Paramonov, andate, prendetevi un libro! Podhodcev, anche voi, carissimo! Smirnov, anche voi! Tutti, signori! vi prego!».

Tutti andarono e si presero un libro.

Il solo Budylda osò protestare. Aprì le braccia, tentennò il capo e disse: «Eh no, scusatemi, Eccellenza Preferirei farmi mettere a riposo Lo so, io, che cosa capita con tutti questi romanzi e queste critiche. Il mio nipote maggiore per via di questa roba dà della stupida sulla faccia alla sua propria madre e sproloquia per tutto il tempo della quaresima. Scusatemi!».

«Voi non capite niente» disse Ivan Petrovič, abituato a perdonare al vecchio le sue mancanze di riguardo. Ma Ivan Petrovič si sbagliava: il vecchio capiva tutto, invece.

In capo a una settimana si videro gli effetti di quelle letture. Podhodcev dopo aver letto il secondo volume dell’Ebreo errante chiamò Budylda «gesuita»; Smirnov cominciò a venire in ufficio alticcio. Ma a nessuno fece tanto effetto la lettura quanto a Merdjaev. Il quale diventò magro e smunto e si diede al bere. Egli scongiurava Budylda: «Fate che debba pregare in eterno Dio per voi! Chiedete voi a Sua Eccellenza di scusarmi Io non so leggere. Leggo giorno e notte, non dormo, non mangio mia moglie non ne può più, a forza di leggere ad alta voce; ma, Dio mi punisca, non ci capisco niente! Fatemi il sacrosanto piacere!».

Budylda più d’una volta s’attentò a riferirne a Ivan Petrovič, ma questi non faceva per tutta risposta che agitar le mani e, passeggiando in direzione assieme a Galamidov, accusare tutti d’ignoranza.

Passarono così due mesi, e la storia finì nel modo più terribile.

Una volta Merdjaev venne in ufficio e, invece di sedersi a tavolino, si buttò ginocchioni in mezzo alla stanza e piangendo disse: «Perdonatemi, gente cristiana, io fabbrico biglietti falsi!». Quindi andò in direzione e, inginocchiatosi anche davanti a Ivan Petrovič, disse: «Perdonatemi, Eccellenza: ieri ho buttato un fanciullino in un pozzo!». Batteva la fronte in terra e singhiozzava

«Che significa questo?!» si stupì Ivan Petrovič.

«Significa, Eccellenza» disse Budylda facendosi avanti colle lagrime agli occhi: «che è impazzito! La sua ragione è andata a farsi benedire! Ecco che cosa ha fatto il vostro Galamidka [Diminutivo spregiativo di Galamidov] coi suoi libri! Dio vede tutto, Eccellenza. E se le mie parole non vi vanno, licenziatemi pure. Meglio morir di fame che vedere in vecchiaia cose simili!».

Ivan Petrovič impallidì e principiò ad andare avanti e indietro.

«Ordine di non ricevere Galamidov!» disse con voce sorda.

«E voi, signori, tranquillizzatevi. Vedo adesso il mio errore. Grazie, Budylda».

E da allora nel nostro ufficio tornò la calma.

Merdjaev è guarito, ma non del tutto. Ancora adesso alla vista d’un libro trema e si volta da un’altra parte perché leggere si configura in lui come un gesto blasfemo, come quello che si raccontava di una scimmia che, fuggita dalla sua gabbia, si era rifugiata in una chiesa e lì si era mangiata tutte le ostie consacrate conservate nel tabernacolo: venne condannata a morte.

     Molto spesso i finali dei racconti di Anton Čechov - come in questo caso - si configurano come se fossero “un colpo di grazia sparato sulla ragionevolezza”. Come si può pensare che il meschino Merdjaev tragga vantaggio dalla lettura senza avere le necessarie competenze per farlo? Questa domanda suona come una denuncia ed emerge dal testo di questo “romanzo brevissimo” che è stato scritto da Čechov nel 1884 durante il primissimo periodo della sua carriera quando abita a Mosca, studia medicina, ha a carico l’intera famiglia e vive con l’ossessione della povertà e, in questo caso, con tutto il sarcasmo di cui è capace, denuncia la piaga sociale dell’analfabetismo ed evoca la necessità di una campagna di Alfabetizzazione funzionale e culturale.

     L’aneddoto ricorrente - di antica tradizione popolare - di un animale che penetra in un tempio e divora le ostie consacrate, qui utilizzato dallo scrittore per dare il colpo finale al suo racconto, è diventato una metafora per descrivere un gesto blasfemo, ma dalla penna di Čechov la metafora, in questo caso, fuoriesce più che mai impregnata di amara ironia perché, tra le righe, è come se si affermasse che l’atto sacrilego è quello di condannare a morte la povera scimmia, non il gesto che lei ha compiuto, essendo l’animale, per sua natura, al di là del bene e del male e quindi, in definitiva, chi comanda pensa che la lettura sia una prerogativa di pochi privilegiati e ritiene sia meglio che le masse popolari non leggano: è bene che il popolo resti analfabeta “per non corrompere la sua candida anima cristiana”.

     Questa metafora costituisce uno dei fili dell’intreccio filologico che dobbiamo dipanare nel corso della celebrazione del “rituale della partenza” e, quindi, è opportuno procedere con ordine per cogliere alcune necessarie significative coincidenze.

     Ci troviamo questa sera [pronte e pronti per partire] davanti al portone, ancora chiuso, di una Cappella che si chiama “Sistina” che è, senza dubbio come abbiamo già detto a giugno nell’ultimo itinerario dell’ultimo viaggio che abbiamo fatto, l’edificio più affascinante che si trova all’interno delle antiche mura vaticane. La Sistina è ritenuta la Cappella più famosa del mondo e questa costruzione ha in sé un significato simbolico poco conosciuto dalle persone che la visitano [bisogna saper leggere per conoscere, capire e applicarsi]. Di che significato simbolico si tratta?

     Circa sei secoli fa, su mandato del papa Sisto IV, un giovane architetto fiorentino, Bartolomeo Pontelli detto Baccio, ha progettato, nel cuore della Roma rinascimentale, la Cappella Sistina per sostituire la Cappella Palatina che stava franando ed era ormai desueta, e il papa vuole che le dimensioni di questo nuovo edificio siano le stesse o quasi del santuario interno [il Santo dei Santi] del Tempio di re Salomone a Gerusalemme. E per essere sicuro che le misure e le proporzioni di questa costruzione corrispondano esattamente o quasi al prototipo, Baccio Pontelli ha studiato - per ordine del papa - il testo del capitolo 6 del Primo Libro dei Re che detta le misure, cubito per cubito, del Tempio di Salomone.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Siccome tutti in casa abbiamo una Bibbia [così dicono le statistiche] andate a leggere o a rileggere il capitolo 6 del “Primo Libro dei Re” [sono solo quattordici versetti]...  E poi la costruzione del Tempio di Salomone viene descritta anche nel testo del capitolo 3 [sono appena 17 versetti] del “Secondo Libro delle Cronache” dove lo scrivano annota tutte le decorazioni che abbellivano il Tempio: leggete o rileggete questi due capitoli, sono interessanti...

     E ora leggiamo insieme il testo dei primi due versetti e degli ultimi quattro versetti del capitolo 6 del Primo Libro dei Re che a noi - e a Baccio Pontelli - interessano particolarmente.

LEGERE MULTUM….

Primo Libro dei Re  1-2  11-14

Salomone diede inizio alla costruzione del tempio nel quarto anno di regno, nel secondo mese, il mese di Ziv. Erano passati quattrocentottant’anni da quando gli Israeliti erano usciti dall’Egitto. Il tempio che il re Salomone fece costruire era lungo trenta metri, largo dieci e alto quindici.  

Un giorno il Signore parlò così a Salomone: «Tu stai costruendo per me questo tempio. Se vivrai secondo le mie leggi e i miei comandamenti e li metterai in pratica allora realizzerò la promessa che ho fatto a tuo padre Davide. Io abiterò in mezzo agli Israeliti e non abbandonerò mai il mio popolo e questo luogo». Così Salomone portò a termine la costruzione del tempio.

     «Il tempio che il re Salomone fece costruire era lungo trenta metri, largo dieci e alto quindici». E queste sono [pressappoco, perché Baccio Pontelli ha dovuto tener conto della conformazione del terreno, assai friabile, su cui si doveva costruire] le misure della Cappella Sistina. Qual è il motivo per cui il papa vuole realizzare questo progetto?

     Sisto IV conosce bene le Sacre Scritture e il Libro ebraico del Talmud [che, come sapete, contiene i commenti dei Libri della Bibbia composti in più di cinque secoli dai più grandi sapienti ebrei], ebbene, nel Libro del Talmud è fatto divieto di “costruire il Tempio di Gerusalemme in un altro luogo che non sia il Monte del Tempio stesso” e questo divieto mira a prevenire, tra gli ebrei, gli scismi religiosi con relativi spargimenti di sangue, ma il papa non è obbligato a rispettare il divieto del Talmud e vuole che la Cappella Sistina abbia le stesse dimensioni del perimetro più sacro del Tempio di Salomone in Gerusalemme e questo per dare forma concreta ad un’idea teologica che è andata maturando durante il Medioevo nel laboratorio della Filosofia scolastica: l’idea della “successione delle fedi”. Secondo questa dottrina, una fede, in questo caso il cristianesimo, può prendere il posto della precedente sul cui pensiero si è sviluppata, in questo caso l’ebraismo, perché l’apparato di questo pensiero [l’ebraismo] ne costituirebbe l’anticipazione e, secondo questa dottrina, la Letteratura dell’Antico Testamento [La Legge e i Profeti] non farebbe altro che preannunciare la venuta salvifica di Gesù Cristo [il vero messia]: la Letteratura dei Vangeli aveva già coltivato questa idea, e la teologia cristiana scolastico-medioevale ha ulteriormente sviluppato questa interpretazione [dal IV secolo l’esegesi dell’Antico Testamento viene fatta in chiave cristologica]. Gesù Cristo, in quanto ebreo, è di conseguenza il Figlio del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mosè, di Davide, di Salomone, ma è anche Colui che ci fa conoscere il vero volto, il volto “cristiano”, di questo Dio che, a questo punto secondo l’idea della “successione delle fedi” - pensa Sisto IV - deve essere accolto in un nuovo Tempio, a Roma, nella nuova Gerusalemme, in seno alla Chiesa di Cristo e del suo vicario in Terra, il papa.

     Questa teoria è paradossalmente simile a quella evolutiva, esposta nel 1859 da Charles Darwin: come l’uomo di Neanderthal è stato rimpiazzato dall’Homo Sapiens più evoluto così le idee religiose e filosofiche della cultura ebraica, e della cultura greco-romana, hanno lasciato il posto a “l’Ecclesia triumphans” [alla Chiesa trionfante] e al Cristianesimo che ha assunto il ruolo di “vera e unica fede che invalida tutte le altre”. I tribunali dell’Inquisizione, a questo proposito, cominciano a decretare che, avendo condannato a morte Gesù e rifiutato la sua parola, gli ebrei sono stati puniti con la perdita del Tempio, della città di Gerusalemme e della loro Terra per cui Dio li ha condannati ad un perenne esilio trasformandoli nel monito vivente di ciò che la sorte riserva sempre a chi si ostina a resistere ai dettami della Chiesa di Roma.

     A questo proposito è importante precisare che nel 1962, dopo cinque secoli, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha categoricamente respinto e proibito questo insegnamento e gli ebrei hanno ricevuto il titolo di “fratelli maggiori”.

     La Chiesa di Roma, nella seconda metà del 1400, vuole dimostrare di essere la nuova potenza unificatrice dell’Europa e per questo la Cappella Sistina deve far sì che si manifesti questa potenza: qui vengono accolti i monarchi europei che fanno visita al pontefice e devono sentirsi in soggezione dentro a questo edificio.

     Sisto IV, eletto papa nel 1471, è un francescano e appartiene alla nobile ma poco facoltosa famiglia savonese dei Della Rovere: si chiama, infatti, Francesco Della Rovere e appena viene eletto, per prima cosa, si occupa di sistemare tutti i suoi nipoti tra i quali c’è anche un certo Giuliano Della Rovere. A questo proposito potete fare una interessante ricognizione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con un catalogo di Storia dell’Arte che potete richiedere in biblioteca e, in modo ancora più pratico, navigando in rete andate ad osservare un quadro molto interessante intitolato: Papa Sisto IV nomina Bartolomeo Platina prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, realizzato nel 1477 da Melozzo da Forlì... 

Questo celebre dipinto ritrae Sisto IV in trono insieme ad alcuni dei suoi nipoti mentre nomina prefetto della Biblioteca Apostolica un bravo ed esperto umanista, Bartolomeo Sacchi detto il Platina, che sta inginocchiato di fronte a lui...  La figura alta e dai tratti marcati che sta in piedi davanti al papa è Giuliano Della Rovere, il futuro Giulio II...

Andate ad osservare questo quadro molto significativo...

     Oltre ad inaugurare in grande stile il “nepotismo”, però Sisto IV [a cominciare dalla Biblioteca vaticana] dà anche l’avvio ad una grande opera di ristrutturazione della città di Roma. Sappiamo che Roma, che era stata per più di settant’anni senza papa, era ridotta ad un cumulo di macerie e di sporcizia e in quest’opera di ristrutturazione e di “primo ordinamento archeologico” rientra anche la Cappella Sistina la cui costruzione su progetto di Baccio Pontelli ha inizio sotto la direzione dell’architetto Giovannino de’ Dolci ai primi di marzo del 1475 e qui ci troviamo di fronte ad una significativa coincidenza che abbiamo già messo in evidenza nell’ultima Lezione dello scorso viaggio, all’inizio di giugno.

     Succede che il 6 marzo 1475, nel momento in cui iniziano i lavori di costruzione della Cappella Sistina, nella cittadina di Caprese, in Valtiberina, a metà strada tra l’Eremo della Verna e la città di Arezzo, una certa Francesca de’ Neri, che era la moglie di un certo Ludovico di Leonardo Buonarroti Simoni - che era podestà al Castello di Chiusi e di Caprese - dà alla luce il suo secondo figlio, al quale viene dato il nome di Michelangelo, [in onore di quel guerriero che è l’arcangelo Michele. Ebbene, nello stesso momento in cui iniziano i lavori di costruzione dell’edificio della Cappella Sistina nasce questo bambino e i destini di questo nuovo edifico e di questo neonato si sono strettamente intrecciati. E il termine “coincidenza” è la seconda parola-chiave che incontriamo questa sera.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Che cosa vi fa venire in mente la parola “coincidenza”?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     E ora, per cominciare a dipanare l’intreccio filologico, e la coincidenza che, nel corso del rituale che stiamo celebrando, circoscrive il luogo della nostra partenza, facciamo un salto di 37 anni [e, nei prossimi itinerari, vedremo che cosa è successo in questo periodo]. Quel bambino che si chiama Michelangelo è cresciuto [e nei prossimi itinerari vedremo come cresce, dove cresce e qual è la sua formazione culturale] e, da adulto, nel 1506, entra in contatto con papa Giulio II.

     Giulio II si chiama Giuliano Della Rovere ed è il nipote di Sisto IV, ed è stato eletto nel 1503, dopo solo un giorno di conclave, 19 anni dopo la morte dello zio Sisto IV e dopo i pontificati di Innocenzo VIII,  Gian Battista Cybo di Genova, di Alessandro VI,  Don Rodrigo Borgia, e di Pio III, Francesco Todeschini Piccolomini di Siena che regna solo per 47 giorni.

     Giulio II ha un vasto programma di governo che comprende anche grandi investimenti in favore della ricostruzione ex novo della Basilica di San Pietro e della ristrutturazione e dell’abbellimento dei Palazzi papali e nel 1506 iniziano tutti questi lavori e il Vaticano diventa un grande cantiere.

     Giulio II è un mecenate molto competente e ha il carattere [un caratterino!] per incoraggiare, utilizzare e anche minacciare gli artisti perché esprimano tutta la loro genialità e questo è il merito più grande che gli viene riconosciuto. Nel programma dello opere da realizzare c’è anche “l’affrescatura” del soffitto della Cappella Sistina, e una delle mosse per cui dobbiamo essere riconoscenti a Giulio II è quella di aver convinto, e di aver obbligato, Michelangelo a svolgere questo lavoro.

     Questa sera il portone della Cappella Sistina per noi rimane ancora chiuso perché “il rituale della partenza” non si è ancora concluso e ciò che adesso vogliamo sottolineare fa ancora parte di questa celebrazione e ci mostra come l’esercizio del dipanare certi intrecci filologici sia propedeutico sul piano della didattica della lettura e della scrittura secondo la natura e gli obiettivi del nostro Percorso. Ma a che cosa mi sto riferendo?

     Ricordate il colpo finale del “romanzo brevissimo” di Anton Čechov, intitolato La lettura, che abbiamo finito di leggere poco fa? Ve lo rileggo: «Merdjaev è guarito, ma non del tutto. Ancora adesso alla vista d’un libro trema e si volta da un’altra parte perché leggere si configura in lui come un gesto blasfemo, come quello che si raccontava di una scimmia che, fuggita dalla sua gabbia, si era rifugiata in una chiesa e lì si era mangiata tutte le ostie consacrate conservate nel tabernacolo: venne condannata a morte.». E allora, che parte ha nel rituale della partenza questa immagine emblematica?

     Dal 1508 al 1512, mentre Raffaello sta affrescando le stanze vaticane, e abbiamo già studiato questa questione a suo tempo, Michelangelo affresca il soffitto della Cappella Sistina: la fastosa cerimonia di inaugurazione ha luogo il 31 ottobre 1512, nel giorno del nono anniversario dell’incoronazione di Giulio II. Quel giorno - ci dicono le studiose e gli studiosi - la Storia dell’Arte occidentale ha voltato pagina e per questo motivo si formula anche l’ipotesi che questa sia la data d’inizio dell’età moderna [tra tante altre ipotesi che si fanno in proposito e, come vedremo, l’elenco è lungo]. Ciò che Michelangelo stava dipingendo era stato visto solo dal papa e, di nascosto, da un piccolo gruppo di collaboratori del pontefice: l’architetto Bramante, il pittore Raffaello, il bibliotecario pontificio Fedra Inghirami e poi, forse, qualche altra persona, ma non sappiamo nulla di preciso in proposito. Quindi il 31 ottobre 1512 tutti i cardinali e un certo numero di invitati entrano per la prima volta nella Cappella Sistina per ammirare l’opera michelangiolesca di decorazione del soffitto e “rimangono basiti”, come scrive, in una delle sue significative Lettere, Fedra Inghirami che ci ha lasciato un certo numero di preziose informazioni sull’avvenimento, finché si sente una voce che rompe il glaciale silenzio che si è venuto a creare, ed è la voce del supremo magistrato del tribunale dell’Inquisizione di Santa Romana Chiesa, il [piuttosto fanatico] frate domenicano Giovanni Rafanelli che aveva la facoltà di interrompere i sacerdoti e i vescovi se, durante le loro prediche, vi trovava anche una sola affermazione che non collimava con la dottrina. Il Rafanelli guarda il papa con occhi severi perché capisce che Giulio II, il quale risponde al suo sguardo con altrettanta severità, lo ha fregato in quanto il progetto decorativo che aveva illustrato al Sacro collegio [come vedremo a suo tempo] era tutt’altro, e allora il supremo inquisitore pronuncia la celebre frase che Fedra Inghirami, per Lettera, ci ha trasmesso. Dice, scandendo bene le parole, Giovanni Rafanelli: «È come se la bestia immonda dell’Apocalisse fosse entrata in questo sacro Tempio e avesse profanato il tabernacolo mangiandosi le Ostie consacrate». Quindi, ben prima di Anton Čechov e con un’intenzione assai diversa, l’inquisitore Giovanni Rafanelli utilizza la stessa metafora di tradizione popolare per giudicare blasfema l’opera di affrescatura del soffitto della Cappella Sistina.

     Michelangelo ha davvero commesso un grave atto di profanazione? Oggi sappiamo che gli atti di profanazione della dignità umana sono ben altri.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale gesto, secondo voi, può profanare la dignità umana prevaricando i valori dell’uguaglianza, della giustizia, della pace, della solidarietà, della misericordia?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     Ma perché, secondo l’inquisitore Rafanelli, la decorazione del soffitto della Cappella Sistina avrebbe un aspetto blasfemo? E che cosa ha dipinto, che cosa ha scritto Michelangelo - in accordo con il papa - su questo, ormai famosissimo, soffitto? Bisogna saper leggere e se avesse saputo e voluto leggere senza pregiudizi, anche il fanatico Rafanelli avrebbe capito che i messaggi inseriti in questa massa di corpi dipinti non sono né riprovevoli né blasfemi ma provocatori nei confronti di una Chiesa che andava profondamente riformata. Ebbene: noi riusciremo a leggerli questi messaggi? Cominceremo a leggerli dopo aver osservato il contesto culturale nel quale ci troviamo [siamo agli albori dell’età moderna] e dopo aver studiato il percorso della formazione intellettuale di Michelangelo a Firenze.

     Ma il rituale della partenza non è ancora concluso perché, prima di prendere il passo, è necessario chiarire bene il motivo per cui “non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare” che è la qualità fondamentale per poter affrontare un viaggio come questo che vuole esaltare il carattere utopico che lo studio porta con sé [prepariamoci a partire]…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 14, 2016