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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ TARDO-ANTICA SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA CON LA DEFINIZIONE DELLA NATURA E DEGLI OBIETTIVI DEL VIAGGIO DI STUDIO...

Lezione N.: 
1

Prof. Giuseppe Nibbi  La sapienza poetico e filosofica dell’età tardo-antica    10-11-12  ottobre  2012

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ TARDO-ANTICA

SI CELEBRA IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA

CON LA DEFINIZIONE DELLA NATURA E DEGLI OBIETTIVI DEL VIAGGIO DI STUDIO...

   Ben tornate e ben tornati a Scuola! Ben tornate alle veterane e ai veterani che frequentano da tempo la Scuola pubblica degli Adulti e ben venute [ce ne sono?] alle persone che sono qui per la prima volta ad intraprendere un viaggio di studio: un Percorso didattico che favorisca l’esercizio delle azioni dell’Apprendimento perché il compito della Scuola non è prima di tutto quello di insegnarci delle cose ma bensì quello di insegnarci ad apprendere.

   Questo Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura [un titolo lungo a dirsi e difficile da ricordarsi in prima istanza: ci vuole un po’ di esercizio] è un’offerta formativa di alfabetizzazione culturale e funzionale che inizia – secondo una tradizione ormai acquisita – con il consueto “rituale della partenza”. Se un Percorso di alfabetizzazione culturale e funzionale corrisponde [metaforicamente] ad un “viaggio” significa che anche questo viaggio – di studio, virtuale [o affabulato] – ha inizio con l’atto della partenza.

   Questo viaggio di studio e di “cura” [visto che in latino la parola “studium” e la parola “cura” sono sinonimi e l’obiettivo primario per cui una persona deve fare un’esperienza di “studio” è quello di imparare a prendersi cura di se stessa in modo da poter prendersi cura degli altri], si compone [secondo il calendario dell’anno scolastico 2012-2013] di ventisette itinerari didattici [avete ricevuto, con il primo REPERTORIO E TRAMA..., un calendario dettagliato sulle date degli itinerari] e, quindi, si parte adesso, all’inizio di quest’autunno del 2012 e il termine è previsto per l’ultima settimana di maggio, nella primavera inoltrata dell’anno che verrà, il 2013.

   Ci accingiamo a compiere [è il 29° Percorso della storia di questa esperienza didattica iniziata il primo ottobre 1984] un viaggio lungo [e anche faticoso] ma è così che la Scuola pubblica degli Adulti deve tener fede al mandato istituzionale che ha ricevuto: garantire a tutte le cittadine e i cittadini il diritto all’Apprendimento Permanente, un diritto che in questo Paese – nonostante il dettato costituzionale [l’art.34 della Costituzione] – non è stato ancora sancito per legge: sull’Educazione degli Adulti continua ad esistere una normativa frammentata e soggetta all’instabilità e, spesso, all’arbitrio. Difatti siamo qui non in virtù di una Legge ma di un’Ordinanza Ministeriale: l’Ordinanza Ministeriale n. 455 del 1997 che continua a fornirci una dignità normativa [sebbene nell’ambito della precarietà] e, quindi, gli Organi collegiali degli Istituti scolastici a cui facciamo riferimento [l’Istituto Comprensivo “Antonino Caponnetto” di Bagno a Ripoli-Antella-Grassina e la “Scuola Città Pestalozzi” di Firenze] hanno deliberato che l’Educazione Permanente è un dovere istituzionale della Scuola pubblica e che questo dovere diventa inderogabile se c’è la richiesta e il consenso da parte di un certo numero di cittadine e di cittadini e hanno dato a me l’incarico – sebbene non faccia più parte dell’organico della Scuola pubblica – di svolgere l’attività [o la missione] dell’alfabetizzatore di strada. Siete qui, quindi, per soddisfare un diritto in modo da esercitare il vostro dovere all’Apprendimento Permanente e l’esistenza di un sistema di Educazione degli Adulti  su questo territorio [un sistema imperfetto, anche se molti dicono che è esemplare] dipende soprattutto dalla vostra partecipazione perché è nella persona di ciascuna e di ciascuno di voi che s’incarna l’Istituzione scolastica dando concretezza a quel fenomeno democratico che si chiama “cittadinanza attiva”, e l’azione principale che rende “attivo” il diritto di cittadinanza è proprio lo studio [l’esercizio in funzione dell’Apprendimento e dell’investimento in intelligenza].

   Prima di occuparci della natura e degli obiettivi di questa esperienza didattica [come prescrive il tradizionale rituale della partenza] dobbiamo riflettere sul fatto che in questo viaggio di studio [del quale stiamo preparando la partenza] attraverseremo, itinerario dopo itinerario [come da programma stabilito a giugno], il territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo-antica”. Che significato ha questa dicitura: territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età tardo-antica”?

   A questo proposito – prima di prendere il passo – è necessario fare subito chiarezza  su alcune caratteristiche che contraddistinguono questo territorio culturale.

   Il territorio della cosiddetta “Età tardo-antica” è una sorta di area di confine [piuttosto vasta: per capirne la vastità è significativo fare riferimento al tempo perché il “tardo-antico” si sviluppa dal I al V secolo] che si trova tra il territorio dell’Età antica e il territorio dell’Età medioevale. È sempre stato difficile stabilire un confine preciso tra il territorio di quella che chiamiamo l’Età antica [un’età che si esaurisce nella vasta area della “sapienza poetica ellenistica”, che è un’area culturale che non cessa di esistere] e il territorio dell’Età medioevale. Di conseguenza la prima difficoltà che incontriamo, questa sera, nel partire per questo nuovo viaggio sta nel fatto che non ci troviamo adesso nei pressi di una frontiera: la frontiera è sempre una linea ben precisa di separazione, è una struttura che divide nettamente il territorio ma che [come ci ha insegnato Erodoto] costituisce anche un punto di riferimento certo che genera l’idea del superamento, dell’attraversamento, stimola la volontà dell’andare al di là, verso nuovi mondi spesso sconosciuti. Noi stiamo per partire da un luogo nel quale non ci sono elementi che determinano una divisione, non ci sono barriere: la terra che ci circonda [siamo nel bel mezzo di quella che si chiama l’Ecumene, una vasta terra abitata] continua ad avere l’aspetto del territorio della “sapienza poetica ellenistica [di stampo imperiale, perché in questo momento l’Ecumene s’identifica con l’area investita dall’imperialismo romano]” e, intorno a noi, si parla e si scrive in latino e si continua [più che mai] a parlare e a scrivere in greco [a Pergamo, ad Antiochia, a Smirne, ad Atene, ad Alessandria, a Roma, tanto per citare qualche fiorente città ellenistica, si parla il latino che è la lingua del potere politico ma soprattutto si parla greco che è la lingua della mediazione culturale]. Sappiamo che l’antica cultura greca e la più recente cultura latina si sono – nel giro di circa due secoli – integrate completamente secondo un processo [così come abbiamo studiato nel corso del viaggio terminato a giugno] che ha portato ad una sintesi la quale ha prodotto un nuovo apparato intellettuale: la “classica” civiltà greco-romana. E allora, che significato ha questa constatazione: significa che non sappiamo da dove partire?

   Noi, già dagli ultimi itinerari [ad aprile, a maggio] dello scorso viaggio di studio, abbiamo individuato un punto di raccolta adatto alla nostra partenza situato di fronte ad un paesaggio intellettuale che [secondo la natura del nostro Percorso orientato in funzione della didattica della lettura e della scrittura] ha la forma di un glossario [un repertorio, un catalogo] di parole-chiave che contengono delle idee-significative: questa è la nostra base di riferimento da cui dobbiamo prendere il passo.

   E adesso, per celebrare il tradizionale rituale della partenza, diamo ordine – ricapitolando – alla riflessione che stiamo facendo: mettete gli occhi sul primo punto del REPERTORIO E TRAMA ... che è lo strumento che ci consente di orientarci meglio.

Nel corso del tempo le studiose e gli studiosi di filologia si sono sempre chiesti: quando e come finisce l’Età antica e, soprattutto, quando e come inizia il Medioevo? Le risposte a queste domande sono diventate innumerevoli, così come sono innumerevoli, a tutt’oggi, le Scuole di pensiero che sostengono queste risposte, per cui, molto saggiamente, già da qualche secolo, è stata presa in considerare l’esistenza di un vero e proprio territorio di passaggio tra l’Età antica [il mondo antico] e l’Età di mezzo [il mondo medioevale].

   Questo “territorio di passaggio” raccoglie i grandi temi [le parole-chiave, le idee-cardine] emersi nel corso nell’Età antica ma li interpreta con strumenti inediti rispetto al passato tanto che viene a crearsi una nuova mentalità che va “oltre il limite” del pensiero antico. Questo “territorio di passaggio” ha preso il nome di “tardo-antico” perché il termine “tardo [dal latino tardus nel senso di prolungato, di prolungamento]” assume il significato di “oltre il limite” e, in questo caso, di “oltre il limite del pensiero antico”. Quindi il termine “tardo” non definisce tanto “l’ultima parte di un periodo” quanto “il prolungamento e il superamento di un periodo”. Pertanto il territorio del “tardo antico” possiede delle caratteristiche proprie e, di conseguenza, questo vasto spazio si è guadagnato una propria autonomia perché in esso si respira un’aria culturale che non ha più propriamente il sapore e l’odore dell’Antichità [siamo “oltre il limite” dell’Antichità] ma non ha ancora il gusto specifico del Medioevo [perché conserva elementi in cui l’Antichità si prolunga].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è un’esperienza della vostra vita della quale avete detto: «Questa volta sono andata, sono andato oltre le mie possibilità»?...

Scrivete due, tre, quattro righe in proposito...

   Le studiose e gli studiosi di filologia si sono trovati d’accordo – e noi facciamo tesoro del loro operato in funzione della didattica della lettura e della scrittura [secondo la natura del nostro Percorso e fra poco lo chiariremo meglio questo aspetto] – nell’affermare che i temi specifici [le parole-chiave e le idee-cardine] che determinano la transizione tra l’Età antica e l’Epoca del tardo antico sono ben evidenti.

   Come abbiamo già anticipato alla fine dello scorso viaggio di studio [conclusosi ai primi di giugno] i temi che affiorano alla fine dell’Età antica per prolungarsi e per “andare oltre” su un nuovo territorio [sul territorio del tardo-antico] sono caratterizzati da argomenti piuttosto indigesti che presuppongono una lenta e difficile digestione. E questi temi sono concentrati in un paesaggio intellettuale che, adesso, rappresenta il luogo [lo spazio virtuale] nel quale stiamo organizzando la partenza.

   Dal punto di vista culturale l’Età antica termina con l’inizio dell’Impero romano, dopo il tracollo della Repubblica e con l’evidente fallimento di un micidiale metodo di gestione del potere che è stato chiamato “imperialismo” [dalla parola latina “imperium” che significa “il centro del comando”] e che è basato sullo strumento della guerra di conquista: un sistema di governo basato sulla guerra, come se fosse una vera e propria attività economica, risulta anacronistico perché è sempre destinato a ritorcersi su chi lo promuove.

   Nel 27 a.C., con l’inizio della dittatura di Augusto, dopo più di un sessantennio di deleterie “guerre civili” [la prima guerra civile scoppia nell’88 a.C. tra Mario e Silla], ha inizio una crisi irreversibile [materiale, morale, economica e sociale] dovuta ai modi imposti dall’imperialismo romano: modi che fanno emergere una serie di parole-chiave emblematiche. Il catalogo di queste parole-chiave ha cominciato concretamente a prendere forma [come abbiamo studiato durante il viaggio dello scorso anno scolastico nel territorio della “sapienza poetica ellenistica” di stampo imperiale] –, soprattutto, nel repertorio delle opere di Cicerone, di Lucrezio, di Virgilio, di Orazio, di Ovidio. Questi autori [che abbiamo incontrato e di cui abbiamo studiato l’opera] hanno fatto emergere un “glossario di termini” con cui viene a determinarsi l’inizio di un cambiamento epocale. Le parole-chiave, piuttosto indigeste, e i concetti inseriti in esse, che determinano la fine dell’Età antica sono: la condizione dell’esilio, il desiderio alienante di sonno per fuggire nel sogno, la vacuità dell’amore che si confonde con l’odio, la malattia [soprattutto dell’anima] come condizione per immaginare la inconcludente discesa agli Inferi e la constatazione del trionfo della Morte [sono assai indigeste queste parole].

   L’epoca tardo-antica compare quando le persone che leggono, che scrivono, che riflettono, che studiano, pensano che questi concetti e queste parole-chiave, generate dalla pesantezza [dall’oppressione] dell’imperialismo romano, debbano essere interpretate con uno spirito di rinnovamento e di cambiamento – non solo in termini poetici [per descriverne i risvolti sentimentali soprattutto nostalgici e malinconici] ma anche in termini filosofici [per fabbricare nuove idee che possano creare nuovi stili di vita orientati al cambiamento] e allora si comincia a pensare all’esilio come esperienza che insegna ad identificare come “propria patria” il luogo in cui si coltiva l’humanitas, si comincia a desiderare di risvegliarsi dal sonno per interpretare il sogno, si comincia a concepire l’amore come un possibile gesto materiale di aiuto, si comincia ad identificare la malattia [del corpo e dell’anima] come un percorso nel territorio del sacro e si comincia a considerare la guarigione come una specie di tradimento nei confronti di chi al male è costretto a soccombere e, infine, si comincia a pensare che il trionfo della Morte possa essere contrastato con un efficace messaggio di salvezza, in particolare [con l’anastasia] con l’emergenza della buona notizia della risurrezione.

   Stiamo [celebrando il rituale della partenza] organizzando la partenza per entrare nel territorio dell’Età tardo-antica e ci troviamo di fronte ad un paesaggio intellettuale che corrisponde ad un catalogo di parole-chiave accoppiate e contrastanti: l’esilio e la patria, il sonno e il sogno, l’amore e l’odio, la malattia del corpo e il tormento dell’anima, il trionfo della morte e il gaudio per la notizia della risurrezione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Scegliete una di queste coppie di parole – di non facile digestione – e scrivetela...

Basta una riga per comporre il primo appunto nel momento in cui stiamo per partire per questo nuovo viaggio     In un viaggio di studio, di per sé statico, il movimento è dato dalla scrittura: rinunciare a scrivere – rinunciare alla principale attività che mette in funzione le azioni dell’Apprendimento – significa dare spazio all’immobilismo intellettuale E allora ribelliamoci all’immobilismo intellettuale: il primo e fondamentale atto di ribellione consiste nel prendere la buona abitudine di scrivere dieci minuti al giorno, quattro righe al giorno      

   Questo catalogo di parole contrastanti – pesanti, indigeste ma importanti [sul cui significato rifletteremo strada facendo] – dà al territorio del tardo antico, nel quale stiamo per entrare, un carattere che porta a far emergere la “riflessione esistenziale” e, quindi, ciò che, all’ingresso dell’Epoca tardo-antica, chiamiamo “sapienza poetica” assume anche un connotato di “natura filosofica [di ricerca sul senso da dare all’esistenza]”, ed è per questo motivo che, in questo viaggio [come potete vedere nel titolo], dobbiamo parlare di “sapienza poetica e filosofica”.

   Il viaggio che ci accingiamo a compiere – come tutti quelli che abbiamo intrapreso in questi ventinove anni – non è facile, ma ciò non significa che gli itinerari proposti settimanalmente non siano percorribili: se non fossero percorribili da tutti [indipendentemente dai livelli di scolarizzazione di ciascuna e di ciascuno di noi] questa esperienza di Educazione Permanente non sarebbe stata frequentata [nel corso degli ultimi due decenni] da 1156 cittadine e cittadini che hanno sentito e sentono la necessità di misurarsi con ciò che è meno convenzionale proprio perché sanno che le difficoltà intellettuali [il “sapere di non sapere”: come c’insegna Socrate attraverso i Dialoghi di Platone] stimolano la curiosità, spingono alla ricerca e risvegliano il desiderio di investire in intelligenza.

   E ora – secondo la natura del nostro Percorso che è “in funzione della didattica della lettura e della scrittura [e tra un po’ spiegheremo meglio che cosa significa]” – accompagniamo la nostra riflessione [il tradizionale rituale della partenza] con la lettura di un testo: questo testo – secondo una prassi ormai consolidata all’inizio dei nostri viaggi – funge da “veicolo” e serve per portarci nei pressi del nostro punto di partenza, davanti al paesaggio intellettuale che [nella sua forma] abbiamo descritto in questa prima parte della nostra rituale introduzione. Nel testo che stiamo per leggere hanno un ruolo tutte le parole-chiave del catalogo che rappresenta il nostro [virtuale] luogo di partenza.

   Per introdurre questa lettura dobbiamo fare una considerazione indispensabile: questo pacchetto di parole-chiave, quasi tutte piuttosto indigeste [esilio, patria, sonno, sogno, amore, odio, malattia, tormento, morte, risurrezione], raccoglie i caratteri di una particolare situazione sociale che abbiamo osservato sostando dinnanzi all’ultimo paesaggio intellettuale del viaggio che si è concluso a giugno: il paesaggio intellettuale dell’età di Augusto [dovreste avere dei ricordi in proposito].

   L’età di Augusto [dal 27 a.C. al 14 d.C.], vista in superficie, si presenta come un’epoca di straordinario splendore, in realtà sappiamo che il governo istituito da Cesare Ottaviano [con tutte le cariche repubblicane nelle sue mani: Augusto continua a proclamare che lui ha salvato la Repubblica e che il governo di Roma è repubblicano] è una dittatura piuttosto rigida, e la testimonianza di questa rigidezza ci viene dalle opere e dall’esperienza degli autori più accreditati, dagli scrittori [i classici: Cicerone, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Ovidio, li abbiamo incontrati e ne abbiamo studiato le opere] che hanno dato lustro alla Letteratura latina e alla cultura greco-romana. Il clima che si viene a creare con la nascita dell’Impero augusteo si concretizza in due termini significativi che descrivono tanto il sentimento predominante quanto l’atto consequenziale determinato da questo sentimento: il sentimento predominante è “la paura” [Augusto stesso ha paura e incute e trasmette paura nella società] e la situazione consequenziale è “il silenzio” [quando si ha paura si sta zitti oppure si parla sottovoce e, soprattutto, “si scrive per metafore” che - a proposito di metafore - è un modo per “collezionare il silenzio”: gli adulatori strillano, i saggi preferiscono riflettere attraverso il silenzioso linguaggio della scrittura].

   Il testo che, in preparazione della partenza, stiamo per leggere lo possiamo definire un romanzo-breve [non è un semplice racconto], ed è stato scritto, nel 1958, da un autore che abbiamo già incontrato molte volte nei nostri viaggi: Heinrich Böll. Chi è Heinrich Böll?

   Heinrich Böll è uno scrittore tedesco, nato a Colonia il 21 dicembre 1917, in una famiglia piccolo borghese, da genitori che si definiscono “orgogliosamente cattolici” [ricordiamoci che la Germania è una terra fondamentalmente protestante, ma il padre di Böll diceva che “A Colonia sono cattoliche anche le patate”]. La famiglia Böll ha avversato – per quanto possibile [ma non era facile] – il regime nazista, e, sappiamo che Colonia è stata la città meno nazista della Germania. Il giovane Heinrich, pur tra mille difficoltà economiche, ha frequentato la Scuola: il liceo e gli studi classici all’Università. Aveva appena trovato un impiego in una libreria quando, nel 1939, è stato chiamato alle armi: è stato spedito a fare la guerra e, naturalmente, ha vissuto un’esperienza drammatica, ha combattuto sul fronte occidentale, poi in Romania, è stato ferito più volte, e infine ha partecipato all’invasione della Russia, come gli scrittori italiani Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli. Nel 1944 il soldato Böll decide di arrendersi [come secondo lui avrebbe dovuto fare la Germania], si consegna agli Alleati e viene rinchiuso in un campo di prigionia americano. Ed è proprio durante la guerra e la prigionia che Böll capisce che scrivere è necessario perché questa tragedia deve essere ricordata e ripensata in tutta la sua drammaticità.

   Il ruolo di Heinrich Böll come scrittore è molto importante perché affronta – con pacata disperazione ma anche con un tono satirico che rasenta l’umorismo – il tema di come sia stato possibile che i Tedeschi [ma questo tema riguarda anche gli Italiani e anche i Romani del I secolo] si siano lasciati attanagliare da una terribile dittatura.

   La guerra e il dopoguerra in una Germania distrutta sono gli argomenti dei suoi primi romanzi in cui Böll pone la questione del perché i cittadini tedeschi abbiano aderito al nazismo nonostante le ragioni per opporsi fossero molte: Böll si oppone alla ipocrita rimozione collettiva della tragedia. Si domanda [lo domanda prima di tutto a se stesso] quali siano le responsabilità di ciascuno in questa tragedia, ed è preoccupato – come Primo Levi – dal fatto che, se si perde la memoria, tutto questo potrebbe succedere di nuovo. E poi s’interroga – avendo avuto una formazione cattolica – sul fatto di come sia stato possibile che i cristiani, in massa, non abbiano fatto opposizione: anche per questo motivo entra in urto con la Chiesa cattolica.

   Böll, quindi, scrive non tanto per raccontare ma soprattutto per riflettere e per far riflettere, e dal 1949 al 1954 scrive, a questo proposito, una serie di romanzi [interessanti da leggere] dei quali ora riportiamo solo i titoli: “Il treno era in orario”, “Viandante se vieni a Spa”, “Il pane dei verdi anni”, “Dov’eri Adamo?”, “E non disse nemmeno una parola”, “Casa senza custode”.

   In questi anni Böll, per vivere, fa il falegname nella bottega di uno dei suoi fratelli e poi viene assunto come impiegato al Comune di Colonia. Contemporaneamente comincia a collaborare con molte riviste letterarie e con i famosi “Quaderni di Francoforte”.

   Con il passare degli anni la Germania Federale si riassesta economicamente, si arricchisce e tende a dimenticare il tragico recente passato alienandosi nel “consumismo ” [Böll è uno di coloro che coniano questo termine] che diventa l’ideologia dominante dell’Occidente: un’ideologia negativa che – sul nascere della guerra fredda – porta anche a riprendere in considerazione il fenomeno del riarmo, del riarmo atomico. Böll, dal 1955, si schiera contro il riarmo atomico ed è uno degli ispiratori del manifesto pacifista di Francoforte.

   Dagli anni sessanta nei romanzi di Heinrich Böll è presente la denuncia ironica e feroce dell’ipocrisia, del conformismo della società tedesca e del “consumismo” della società occidentale che contrabbanda – sostiene Böll – il “ben-essere” con il “benessere” [Böll è tra gli autori che per primi mettono in evidenza la distinzione tra i valori dello spirito, il ben-essere,  e l’eccessiva invadenza degli oggetti materiali, il benessere].

   Nel 1963 Böll scrive “Opinioni di un clown”, e poi successivamente “Foto di gruppo con signora”, “L’onore perduto di Katarina Blum”, “Donne con passaggio fluviale”: queste opere [tutte interessanti da leggere], di grande impegno civile e politico, etichettano Böll come uno scrittore del “dissenso” piuttosto che [come lui preferiva dire di se stesso] del “senso corretto delle cose”.

   I temi che tocca scatenano grandi polemiche: Böll sostiene l’idea [la stessa idea di Giorgio La Pira] che si debba preparare la pace piuttosto che la guerra [meglio il disarmo unilaterale], sostiene l’idea che si debba preservare il territorio dall’industrializzazione selvaggia, sostiene l’idea che l’uso della calunnia per colpire [attraverso i media] gli avversari sia un segno di inciviltà, sostiene l’idea che la chiesa abbia ridotto la religione ad un genere di consumo e non sia più in grado di offrire un autentico conforto [è la stessa idea che formula Giovanni XXIII quando – proprio cinquant’anni fa – decide di convocare il Concilio].

   Nel 1972 a Heinrich Böll – anche se ha pochi amici in campo accademico – viene assegnato il premio Nobel per la Letteratura. Negli anni settanta e ottanta Heinrich Böll ha scritto: “Assedio preventivo”, “Vai troppo spesso a Heidelberg”,  “Che ne sarà di questo ragazzo?”. Noi abbiamo citato solo una piccola parte del lavoro letterario di questo fecondo scrittore che rappresenta una “coscienza critica” importante per la cultura europea, per dare un’anima all’Europa [e oggi ce ne sarebbe più che mai bisogno].

   Heinrich Böll è morto a Colonia il 16 luglio 1985: e con quest’ultimo dato ora noi sfumiamo sulla sua vita e sulle sue opere che sono state presentate a grandi linee per dare l’avvio ad una attività di ricerca alla quale vi potete dedicare.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con l’ausilio dell’enciclopedia, della biblioteca e della rete potete approfondire la conoscenza di Heinrich Böll e dei suoi romanzi

Date l’avvio ad una piccola attività di ricerca: prendete la buona abitudine di indagare seguendo i ritmi proposti da questo Percorso di studio

   Stiamo per leggere un testo [il testo di un racconto che può essere considerato un romanzo-breve] che è stato scritto da Heinrich Böll nel 1958 e che s’intitola La raccolta di silenzi del dottor Murke. Questo testo [come se fosse un veicolo] serve per portarci nei pressi del nostro punto di partenza. Nelle pagine che stiamo per leggere [una parte questa sera e una parte nel prossimo itinerario] hanno un ruolo le parole-chiave [esilio, patria, sonno, sogno, amore, odio, malattia, tormento, morte, risurrezione] che certificano l’inizio della transizione tra l’Età antica e l’Epoca del tardo antico, e poi nelle pagine che stiamo per leggere emergono [sono ben visibili] anche i due termini che fanno da corollario a queste indigeste parole-chiave: il termine “paura [sentimento tipico anche di ogni dopoguerra]” e il termine “silenzio” [che spicca già nel titolo del racconto che stiamo per leggere].

   In questo breve romanzo si racconta che nell’immediato dopoguerra l’importante saggista tedesco Bur-Malot [era stato anche un intellettuale importante durante la dittatura] non poteva essere contraddetto perché era amico del direttore della radio [il quale lavorava alla radio anche durante la dittatura]. Bur-Malot vuole correggere la registrazione di due conferenze sull’essenza dell’arte, le quali stanno per essere riproposte al pubblico, e che aveva tenuto alla radio subito dopo la fine della guerra quando molti autorevoli intellettuali come lui, nel 1945, avevano vissuto una profonda crisi religiosa con la conseguente conversione [una conversione di comodo - allude sarcastico Böll - per mettersi la coscienza in pace e per far dimenticare i loro trascorsi]. Bur-Malot, ora che è passato il pericolo e c’è stata l’amnistia generale, non si sente più così tanto convertito [soffre di un’ulteriore crisi di coscienza] e quindi vuole sostituire nel testo delle sue conferenze la parola “Dio” con l’espressione “quell’essere superiore che veneriamo” che lui utilizzava prima della guerra. Bur-Malot non ha voglia e non ha tempo di registrare da capo le conferenze ma pretende che si tagli dal nastro la parola “Dio” e la si sostituisca con la nuova dicitura, con l’espressione “quell’essere superiore che veneriamo”. Il direttore della radio naturalmente [visto anche che Bur-Malot è tornato ad essere importante e potente] acconsente a questa sostituzione e affida questo rognoso incarico a Murke, il redattore che gli sta più antipatico ma del quale apprezza la pericolosa intelligenza. Murke si mette al lavoro, ascolta la registrazione delle conferenze di Bur-Malot, e constata che la parola “Dio” ricorre ben ventisette volte ma – siccome il tedesco è una lingua che si declina e, quindi, le parole devono essere modificate e pronunciate secondo il caso in cui vengono usate – la cosa non si presenta affatto semplice e questo espediente narrativo dà modo a Böll di disegnare una storia satirica, velata di grottesco e ricca di sottile e feroce umorismo che induce a riflettere sulla supponenza del Potere sia esso quello dell’Impero universale, sia esso quello della dittatura nazionalistica, sia esso quello del consumismo capitalistico.

   Iniziamo a leggere questo breve romanzo consapevoli del fatto che – nel corso della lettura – dobbiamo fare un esercizio di riconoscimento delle parole-chiave [le abbiamo ripetute spesso] appartenenti al catalogo che rappresenta il nostro virtuale punto di partenza: questo esercizio serve per fluidificare gli ingranaggi della nostra mente dopo la vacanza, e per riscaldare i neuroni prima della partenza.

LEGERE MULTUM….

Heinrich Böll,  La raccolta di silenzi del dottor Murke

Ogni mattina, varcata la soglia degli studi della radio, Murke si sottoponeva ad un esercizio di ginnastica esistenziale: saliva nell’ascensore Paternoster [L’ascensore chiamato “Paternoster", fatto di due cabine aperte, funziona ininterrottamente su rotelle in un meccanismo circolare], ma non usciva al secondo piano, dove era il suo ufficio; si lasciava invece portare più in alto, oltre il terzo, il quarto, il quinto piano. Lo prendeva la paura ogni volta che la piattaforma della cabina si sollevava oltre il corridoio del quinto piano, quando la cabina si elevava cigolando nel vuoto dove cavi oliati e stanghe sporche di grasso, asmatico macchinario di ferro, spingevano la cabina dall’alto al basso: Murke fissava pieno di paura quell’unico luogo dell’edificio della radio che non fosse liscio e intonacato e respirava di sollievo quando la cabina, con una scossa si drizzava, superava quel vuoto, si metteva di nuovo in linea e lentamente si abbassava verso il quinto, il quarto, il terzo piano.

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   Penso che abbiate identificato già alcune delle parole-chiave appartenenti al catalogo che rappresenta il nostro virtuale punto di partenza. Heinrich Böll, come scrittore e come intellettuale impegnato, ha sempre operato per contrastare la perdita della memoria.

   Nel momento della partenza, a questo proposito, la Scuola deve raccomandare alle studentesse e agli studenti di essere pazienti, tenaci e determinati. Voi, queste qualità, queste virtù – la pazienza, la tenacia, la determinazione – [e lo dimostra il fatto che siete qui] le possedete e queste qualità sono necessarie, oggi, per affrontare uno dei nodi cruciali che riguarda la società in cui viviamo: in questi ultimi due decenni è aumentato il potere della “dittatura dell’ignoranza” e [secondo i dati di Eurostat] l’81% degli Italiani soffre di analfabetismo e conoscete questo argomento che viene sistematicamente rimosso [o pochissimo trattato] dal sistema informativo.

   Il primo danno [e tutte le studiose e gli studiosi sono d’accordo] che crea la “dittatura dell’ignoranza” è la perdita della memoria. E questa situazione salta agli occhi delle persone più attente anche senza bisogno di fare degli studi e delle ricerche. Se siete qui questa sera è anche perché – in quanto cittadine e cittadini consapevoli – avete capito perfettamente il pericolo insito in questa grave situazione: la perdita della memoria favorisce il degrado cognitivo e il degrado cognitivo è la prima causa che porta verso l’affievolirsi dei valori costitutivi dell’Umanesimo e, nel viaggio dello scorso anno, abbiamo osservato la parola latina “humanitas” mentre faceva i suoi primi passi e poi quando è entrata, gradualmente, nel vocabolario dei “classici [Cicerone, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Ovidio]”.

   E adesso continuiamo a celebrare il rituale della partenza andando avanti a leggere il racconto intitolato La raccolta di silenzi del dottor Murke. Poco fa abbiamo fatto conoscenza con il redattore Murke – che il suo direttore vorrebbe mandare in esilio perché è troppo intelligente – il quale avrebbe qualcosa da dire a Bur-Malot a proposito del pericolo che è insito nella perdita della memoria. Murke si lascia travolgere dal sentimento dell’odio.

   Leggiamo consapevoli del fatto che dobbiamo continuare a fare un esercizio di riconoscimento delle parole-chiave [le abbiamo ormai ripetute spesso] appartenenti al catalogo che rappresenta il nostro virtuale punto di partenza.

LEGERE MULTUM….

Heinrich Böll,  La raccolta di silenzi del dottor Murke

Era passato un altro giorno e nella notte Murke non aveva sognato né sapone, né montagne russe, niente che avesse a che fare con il direttore. Sorridente entrò alla radio, salì nel Paternoster, si lasciò trasportare fino al sesto piano - quattro secondi e mezzo di paura - lo stridere dei cavi, quella parete senza intonaco, poi si lasciò portare in basso fino al quarto piano, uscì dall’ascensore e andò nello studio in cui aveva l’appuntamento con Bur-Malot.

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   Il primo danno – abbiamo detto – che crea la “dittatura dell’ignoranza” è la perdita della memoria e la perdita della memoria favorisce il degrado cognitivo, e di fronte al diffondersi del degrado cognitivo è necessario [sarebbe necessario con un urgente Decreto Legge] promuovere una campagna, a tempo indeterminato, di alfabetizzazione culturale e funzionale: questo Percorso [da quasi tre decenni] ne prefigura l’attuazione.

   Quali obiettivi didattici si propone questo Percorso di alfabetizzazione culturale che utilizza la Storia del Pensiero Umano in funzione dell’esercizio della lettura e della scrittura: per quale motivo dobbiamo frequentare settimanalmente la Scuola pubblica degli Adulti? Quasi tutte e quasi tutti voi siete al corrente della natura e degli obiettivi di questo Percorso di studio ma la celebrazione del tradizionale rituale della partenza ci obbliga a ravvivarne il ricordo: i rituali sono ripetitivi [proprio perché servono per ravvivare il ricordo] e, inoltre, la cultura dell’Ellenismo greco-romano ci ha insegnato che “repetita iuvant [le cose ripetute sono di giovamento]”.

   Il primo obiettivo didattico che questo viaggio di studio si propone è quello di “imparare ad ascoltare con attenzione”: l’attenzione è una facoltà che si apprende e sulla quale è necessario esercitarsi. Imparare ad ascoltare significa imparare a selezionare le parole, a controllare le idee, a catalogare i pensieri e, quindi, a seguire le varie fasi di un ragionamento progressivo.

   Il secondo obiettivo è quello di incentivare l’esercizio della lettura e della scrittura: la lettura e la scrittura sono due attività fondamentali per la riflessione e per lo sviluppo del processo di apprendimento. L’esercizio quotidiano della lettura e della scrittura mette in moto l’attività cognitiva che ci permette di imparare.

   La persona – molte e molti di voi lo sanno ma il tradizionale rituale della partenza c’impone di ripetere [e i riti sono ripetitivi] – impara attraverso sei azioni fondamentali [e chi vuole usufruire del diritto-dovere all’Apprendimento deve esserne sempre consapevole], le azioni cognitive che ci permettono di imparare ad imparare sono: conoscere, capire, applicarsi, analizzare, sintetizzare e valutare. Ogni itinerario – l’andamento di ogni Lezione che, di settimana in settimana, percorreremo – si sviluppa sotto forma di “ragionamento progressivo” scandito dalle azioni attraverso cui si sviluppa l’Apprendimento e, di conseguenza [e questo è il compito specifico della Scuola] ci eserciteremo a conoscere, a capire, ad applicare, ad analizzare, a sintetizzare e a valutare.

   Ci eserciteremo a “conoscere”, che cosa? A conoscere le “parole-chiave” più importanti [una o due] del repertorio previsto per ogni tappa perché senza “conoscere” le parole-chiave della Storia del Pensiero Umano non s’impara a leggere.

   Ci eserciteremo a “capire”, che cosa? A capire le “idee più significative” che troveremo, strada facendo, sul territorio che attraverseremo perché non si impara a leggere senza “capire” le idee-cardine della Storia del Pensiero Umano.

   Ci eserciteremo ad “applicare” e, nel nostro Percorso, “l’applicarsi” corrisponde all’esercizio della lettura e della scrittura. Come sapete queste due attività sono sistematicamente trascurate dalla popolazione: solo il 14% degli Italiani si dedica – a diversi livelli – alla lettura e alla scrittura e la disaffezione dipende, prima di tutto, dal fatto che l’81% della popolazione, nella fascia tra i 18 e i 65 anni [secondo la ricerca Eurostat, 2008] si trova, a tre livelli, in condizione di analfabetismo. Come ci si deve applicare nella lettura e nella scrittura? Dobbiamo imparare a leggere dieci minuti al giorno e a scrivere dieci minuti al giorno perché acquisire la buona abitudine di leggere e di scrivere [di applicarci intellettualmente] per dieci minuti al giorno crea un buon accumulo di esercizio intellettuale e, di conseguenza, un fruttuoso investimento in intelligenza. Per quanto riguarda la quantità, il leggere dieci minuti al giorno, il “legere multum” [“legere multum” in latino significa “leggere in modica quantità ma costantemente e con la dovuta attenzione”], ebbene, leggere dieci minuti al giorno significa leggere quattro pagine e, quindi, circa 1500 pagine in un anno, vale a dire un certo numero di libri: “Per leggere molti libri [multa] – c’è scritto anche nel programma del 1247 della facoltà delle Arti di Parigi – bisogna leggere poco e con attenzione [multum] quotidianamente [Oportet cotidie legere multum]”. Scrivere quattro righe al giorno, poi, significa, in un anno scolastico, riempire per intero il proprio quaderno.

   Ci eserciteremo ad “analizzare”: che cosa significa esercitarsi ad “analizzare”? Significa mettere a fuoco e disporre in ordine i pensieri che ci vengono in mente attraverso la “trame” proposte dai repertori del nostro Percorso.

   Ci eserciteremo a “sintetizzare”: che cosa significa esercitarsi a “sintetizzare”? Significa “mettere per iscritto” un nostro pensiero, uno di quelli [quello che ci piace di più] che siamo state, che siamo stati capaci di mettere a fuoco e di ordinare: la scrittura e l’esercizio sintetico vanno di pari passo, e bastano quattro righe scritte per far sì che un nostro pensiero si materializzi. Quattro righe di scrittura autobiografica sono una bella cedola di investimento in intelligenza che serve, giorno per giorno, anche ad allargare e ad allungare la nostra vita.

   Infine dobbiamo esercitarci a “valutare”, ad “auto-valutare” l’andamento del nostro cammino intellettuale, e questo dispositivo dell’auto-valutazione è legato allo svolgimento del “compito” che – sebbene facoltativo – la Scuola propone di eseguire invitando ciascuna e ciascuno di voi a dedicarsi all’uso del repertorio E TRAMA [è il fascicolo che avete tra le mani] da utilizzare, in un tempo che va dai dieci minuti alle due ore, nel corso della settimana, nell’intervallo tra un itinerario e l’altro.

   Il conoscere, il capire, l’applicarsi, l’analizzare, il sintetizzare e il valutare sono le “azioni cognitive” attraverso le quali ciascuna e ciascuno di noi ha la possibilità di cominciare a misurare il proprio “tasso di apprendimento” perché l’intento del nostro viaggio è quello di stimolare il funzionamento dei meccanismi utili per imparare ad imparare con l’obiettivo di gettare le basi perché si possano creare sul territorio una serie di “officine dell’Apprendimento” – e ce ne sono già di attive e sono le Associazioni culturali di cui molte e molti di voi fanno parte [l’Alfabetizzazione deve agire sotto traccia per essere a servizio delle cittadine e dei cittadini perché possano creare la cultura] – in modo che si possa sviluppare una “comunità educante”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Tutta l’attività didattica messa in atto la si trova contenuta su due siti che potete consultare e ai quali è utile iscriversi: www.inantibagno.it e www.scuolantibagno.net

   Nel corso del nostro viaggio osserveremo tanti “paesaggi intellettuali” e verremo a contatto con tanti “contenuti” [nozioni, dati, date, luoghi, personaggi, ragionamenti], e succederà che – come dicono i manuali di tecnologia dell’apprendimento –  «dei contenuti di una Lezione, nella fase del primo impatto [dell’affabulazione], in media, ne perderemo oltre il 70%, mentre circa il 30% rimarrà, in modo più o meno frammentario, nella nostra mente», e questo per tutta una serie di limiti che ciascuna e ciascuno di noi, in quanto essere umano, possiede [per fortuna la nostra memoria non funziona come un registratore].

   L’obiettivo principale in un Percorso di didattica della lettura e della scrittura non consiste nell’immagazzinare contenuti: questo esercizio lo possiamo fare in un secondo momento rileggendoci con calma i testi del REPERTORIO E TRAMA e leggendoci il testo integrale della Lezione che viene inserito sui nostri siti [e che possiamo stampare e rileggere ad libitum], ma l’obiettivo principale in un Percorso di didattica della lettura e della scrittura consiste nell’esercitare la mente all’ascolto, alla selezione, alla catalogazione, in modo da imparare ad identificare le forme contenute nella nostra mente perché senza contenitori la sostanza si disperde disordinatamente.

   A questo proposito è doveroso [come sempre nel tradizionale e ripetitivo rituale della partenza] citare ancora una volta il signor Michel de Montaigne che nei suoi Saggi [1580-1588] ci ricorda che l’obiettivo dell’Educazione e della Scuola consiste nel favorire la formazione di “una testa ben fatta, piuttosto che di una testa ben piena” e, quindi, non è la Lezione che deve entrare nella vostra mente [per produrre una sorta di indottrinamento] ma è la vostra mente che deve entrare nella Lezione in modo da poterne utilizzare gli elementi, anche perché l’alfabetizzatore – parafrasando uno dei Pensieri [1669] di Blaise Pascal – dovrebbe poter dire: «Ho seminato gigli e sono nati giacinti».

   E ora, per concludere, torniamo sul testo del breve romanzo – intitolato La raccolta di silenzi del dottor Murke – che fa da cornice al rituale della partenza per questo nostro nuovo viaggio: proseguiamo nella lettura consapevoli del fatto che dobbiamo continuare a fare un esercizio di riconoscimento delle parole-chiave appartenenti al catalogo che rappresenta il nostro virtuale punto di partenza.

LEGERE MULTUM….

Heinrich Böll,  La raccolta di silenzi del dottor Murke

Bur-Malot, senza voltarsi verso Murke, lasciò lo studio di registrazione. Erano precisamente le dieci e un quarto e sulla porta si scontrò con una donna giovane e graziosa che teneva in mano dei fogli di musica. La giovane donna era rossa di capelli e fiorente; si avviò energica verso il microfono, lo girò, mise a posto il tavolo in modo da poter stare liberamente davanti al microfono. Nella cabina di vetro Murke si intrattenne mezzo minuto con Huglieme, il redattore della sezione programmi di varietà. Huglieme disse, accennando alla scatola di sigarette: «Ne ha ancora bisogno?» 

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   Nel testo di questo breve romanzo – che continueremo a leggere la prossima settimana – avrete certamente identificato già quasi tutte le parole-chiave appartenenti al catalogo che rappresenta il nostro virtuale punto di partenza: non è ancora comparsa [se non nel titolo] la parola “silenzio”, e chissà in che cosa consiste la raccolta dei silenzi del dottor Murke?

   Intanto ci siamo riunite e riuniti davanti al paesaggio intellettuale che fa da crocevia tra l’Età antica e l’Epoca del tardo antico, ed è proprio questo l’obiettivo che questa sera volevamo raggiungere: definire il concetto di “tardo antico”.

   E così anche questo viaggio di studio – dell’anno scolastico 2012-2013 –, con il ripetitivo ma doveroso rituale della partenza sta per iniziare [anche se il rituale della partenza non lo abbiamo ancora celebrato completamente, ci sono ancora alcuni atti importanti che dobbiamo compiere la prossima settimana].

   Comunque siamo già pronte e siamo già pronti a prendere il passo sulla scia dell’Alfabetizzazione e dell’Apprendimento permanente perché l’Alfabetizzazione culturale e funzionale è un bene comune [come ogni rito celebrato a fin di bene] e l’Apprendimento permanente è un diritto e un dovere di ogni persona: per questo la Scuola è qui con il suo carattere “errante” perché l’insegnamento più importante è quello che non si acquisisce mai ma che si studia sempre.

   Un grande viaggio inizia sempre con un piccolo passo: non so se faremo un grande viaggio ma questa sera un piccolo passo lo abbiamo comunque compiuto.

   Buon viaggio…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 12, 2012