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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ UMANISTICA MATURA L’IDEA CHE IL DISTACCO DALLE COSE SUPERFLUE MIGLIORI LA QUALITÀ DELLA VITA E CHE LA RENDITA DEL DENARO SIA “IL BENE” ...

Lezione N.: 
12

Prof. Giuseppe Nibbi         La sapienza poetica e filosofica dell’età umanistica         20-21-22  gennaio  2016

Pietro di Giovanni Olivi

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ UMANISTICA

MATURA L’IDEA CHE IL DISTACCO DALLE COSE SUPERFLUE MIGLIORI LA QUALITÀ DELLA VITA

E CHE LA RENDITA DEL DENARO SIA “IL BENE”  ...

   Questo è il dodicesimo itinerario del nostro viaggio di studio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età umanistica”: ci troviamo agli albori del 1300, in pieno autunno del Medioevo, quando nell’ambito della Storia del Pensiero Umano si verificano due importanti situazioni: in primo luogo la Filosofia scolastica ha assunto [come abbiamo studiato negli itinerari precedenti] un nuovo volto che esprime una mentalità empirica, sperimentale, razionalista che mette al centro l’esperienza e l’idea ecumenica dell’unità del sapere [su tutta la Terra abitata, l’Ecumene, ci può essere un sapere comune fondato su valori condivisibili], mentre la seconda situazione riguarda le ripercussioni derivanti da quell’importante avvenimento pragmatico, di carattere politico ed economico più che religioso, che è il primo Giubileo della Storia della Chiesa.

   Sappiamo che tanto nei confronti della mentalità razionalistico-sperimentale [quella di Ruggero Bacone e di Sigieri di Brabante] quanto nei confronti del pragmatismo economico e politico del Giubileo [secondo il disegno di papa Bonifacio VIII] assistiamo ad una reazione della quale sono protagonisti alcuni personaggi esemplari.

   Il primo di questi personaggi è Meister Eckhart, un magister [e il titolo di magister-meister è rimasto legato al suo nome], un magister che abbiamo incontrato la scorsa settimana, e che ancora ci accompagna, il quale, come abbiamo studiato, reagisce nei confronti del razionalismo averroistico di Sigieri e anche di quello aristotelico di Tommaso d’Aquino in nome del misticismo, di un misticismo di carattere “intellettuale”: Meister Eckhart, che si oppone al razionalismo utilizzando le potenzialità della Ragione, sostiene in campo teologico il primato del misticismo intellettuale sull’empirismo pratico, e pensa che con la sperimentazione si possa conoscere meglio il funzionamento della Natura e si possano interpretare i fenomeni del Mondo creato ma non si possa conoscere Dio nonostante ci sia nella Natura l’impronta divina. Meister Eckhart afferma che in Dio esiste il primato del pensare sull’essere perché l’essenza di Dio non può che essere di natura intellettuale [la sostanza di Dio è Pensiero] e, quindi, scrive che  «Il pensare stesso di Dio è il fondamento del suo essere»: come abbiamo detto la settimana scorsa, questo fatto, secondo Meister Eckhart, vale anche per le creature, per gli esseri umani [fatti “ad immagine e somiglianza di Dio”] e ciò significa che una persona non può dire “io sono quel che sono” ma deve affermare “il mio essere dipende da come penso” e, quindi, è più che mai importante acquisire un pensiero indipendente [aumentare le potenzialità del pensiero orientate in senso etico ed estetico], e abbiamo ribadito l’attualità di questo tema per cui è necessario avere una testa ben fatta piuttosto che una testa ben piena.

   Meister Eckhart sostiene [e lo ripetiamo questa sera per rinfrescare la nostra memoria] l’esistenza di una Unità assoluta ed essenziale tra Dio e l’Essere umano e, quindi, il mondo naturale e quello soprannaturale sono una cosa sola e sono intimamente legati tra loro da un rapporto metafisico: l’Universo, afferma Meister Eckhart, è Uno ed è Dio, e se Dio esiste non può che essere “una totalità”. Meister Eckhart, quindi, come abbiamo studiato la scorsa settimana, aderisce al pensiero neoplatonico formulato nel V secolo da Proclo di Costantinopoli nel volume del Dionigi Areopagita o Pseudo-Dionigi [un’opera che - come ben sappiamo - non finisce mai di essere al centro dell’attenzione]. Se Dio, sostiene Meister Eckhart [e questa affermazione lo mette nei guai con l’Inquisizione] è “al disopra di tutto” significa che per la nostra capacità di conoscenza “è nulla” poiché “essendo totale” è indefinibile e allora, afferma Meister Eckhart, anche l’immagine, l’idea che ci siamo fatte e fatti di Dio è vaga, è un espediente della Ragione. Secondo Meister Eckhart c’è un “Dio [con la lettera maiuscola] totale ed indefinibile, puro ed assoluto” e un “dio” [con la lettera minuscola] che “la nostra mente tenta di raffigurasi” il quale non è altro che l’immagine di un semplice “essere superiore”, un feticcio sopravvissuto nell’immaginario collettivo, scrive Meister Eckhart, ispirato dalla religiosità naturale, e dal quale dobbiamo liberarci per poter imbastire un rapporto - che non può che essere di natura intellettuale - con il “Dio totale, puro e assoluto”. Che relazione, si domanda Meister Eckhart, ci può essere tra il “Dio indefinibile” e le creature? Meister Eckhart affronta questo paradosso impostando il tema dei rapporti tra Dio e le creature prendendo le mosse dall’analisi del concetto di “Essere” che appartiene in modo univoco a Dio: solo all’Essere di Dio, afferma Meister Eckhart, si può attribuire il privilegio dell’esistenza infinita, e fuori di Dio non si dà esistenza perché ciò che è fuori dalla causa prima è anche fuori dall’Essere e, siccome “l’Essere di Dio dipende dal suo stesso pensare”, il rapporto, afferma Meister Eckhart,  tra il “Dio-primo e totale” e le creature non può che essere rigorosamente “intellettualistico” perché “l’essenza di Dio è l’intendere”; la via che conduce a Dio, quindi, non è l’amore, necessariamente soggetto alla conoscenza sensibile, ma è quella che Meister Eckhart chiama “l’intellezione” [la comprensione con la mente, ciò che può essere solo pensato e conosciuto con l’intelletto] perché la consapevolezza dell’efficacia della Grazia è data dall’intelletto: la persona è gradita a Dio nella misura in cui sa di esserlo, ed è coltivando questo pensiero, afferma Meister Eckhart, che viene a crearsi una coincidenza fra l’Intelletto divino e quello umano, e questo pensiero costa a Meister Eckhart l’accusa di panteismo [se Dio è in Tutto perde la trascendenza] e la condanna per eresia.

   La persona, scrive Meister Eckhart, deve dedicarsi ad una “preghiera contemplativa” che abbia “un carattere intelligibile” [non feticistico, non di natura superstiziosa], una orazione che sia in grado di produrre “aforismi”: riflessioni che assumano il valore di precetti che sappiano generare “l’intellezione” [la comprensione che la persona è gradita a Dio perché in Dio vige il primato dell’intendere] e questo atteggiamento [per cui prima si pensa e poi si è e poi si ama] - non facile da realizzare senza l’ausilio dello studio - è già tipicamente “umanistico” e anticipatore dell’Età moderna.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

L’espressione «Se ci pensavo prima questa cosa non l’avrei fatta, o l’avrei fatta diversamente» ricorre nella nostra esperienza...

Scrivete quattro righe in proposito...

   La scorsa settimana abbiamo letto un certo numero di Aforismi tratti dalle Prediche di Meister Eckhart [spero che vi siate esercitate ed esercitati a sceglierne qualcuno, siete sempre in tempo: noi ne abbiamo letto solo una serie – tra quelli che preludono all’età dell’Umanesimo - ma ne sono stati raccolti a decine]: gli Aforismi eckhartiani hanno generato una riflessione che è andata ben al di là dell’autunno del Medioevo e che continua ai giorni nostri perché i pensieri contenuti in questi Aforismi rivelano che anche per lui, come per i maestri della Scuola di Chartres , che abbiamo incontrato a suo tempo nel viaggio dello scorso anno scolastico, vale l’espressione: «Siamo come dei nani sulle spalle di giganti», dove i “giganti” sono i Classici greci e latini, e Meister Eckhart ha maturato i concetti del suo “misticismo intellettuale” abbeverandosi pienamente alle Opere dei Classici e questo atteggiamento culturale fa maturare la mentalità “umanistica”.

   La scorsa settimana [e senz’altro lo ricordate] abbiamo preso spunto da uno degli Aforismi di Meister Eckhart, «Le persone non possono cercare Dio se non imparano a pensarsi come esseri nudi e crudi», per dipanare un intreccio filologico in funzione della didattica della lettura e della scrittura perché Nudi e crudi è il titolo di un racconto che abbiamo cominciato a leggere otto giorni fa, e che si presenta, contemporaneamente, come un breve-romanzo e come un testo teatrale, rappresentato per la prima volta nel 1996 a Londra, riscuotendo un grande successo in tutta Europa e nel mondo [in Italia è da tempo in cartellone in molti teatri].

   Stiamo leggendo questo romanzo sia per riflettere sul concetto dell’essere “nudi e crudi” cioè, secondo l’intenzione di Meister Eckhart,] “liberi da sovrastrutture mentali idolatriche, superstiziose” [compresa l’idea che ci siamo fatte e fatti di Dio come apparato feticistico], poi lo leggiamo anche in rapporto all’affermazione che abbiamo fatto poco fa, «se ci pensavo prima questa cosa non l’avrei fatta, o l’avrei fatta diversamente», un’idea che aleggia nella mente della protagonista, la signora Rosemary Ransome, e inoltre leggiamo questo breve romanzo perché c’è una relazione tra l’autore di Nudi e crudi e  Meister Eckhart. Voi sapete che l’autore di quest’opera si chiama Alan Bennett che oggi è considerato uno dei più significativi autori teatrali europei e che noi abbiamo già incontrato nei nostri viaggi per leggere pagine tratte da alcune sue opere come La sovrana lettrice e Una vita come le altre.

   Alan Bennett è nato nel 1934 a Leeds, nello Yorkshire occidentale, e dopo gli studi secondari si è iscritto ad Oxford [ecco un altro allievo, questa volta contemporaneo, della Scuola di Oxford] dove si è laureato in Storia e dove è rimasto per alcuni anni come ricercatore e docente di Storia medioevale, finché nel 1960 ha cominciato a distaccarsi dal mondo accademico per poi dedicarsi a tempo pieno al teatro. Non possiamo non ricordare - in nome del concetto tipicamente umanistico dell’unità dei saperi - che Alan Bennett, come professore di Storia medioevale, ha scritto anche una tesi, un breve trattato nel quale ha messo in evidenza un aspetto particolare del carattere di Meister Eckhart. Alan Bennett - nel breve trattato intitolato Eckhart meister [Eckhart il maestro] - mette in evidenza come Eckhart sia stato un domenicano dottissimo e, tuttavia, capace di esprimere concetti non facili in una forma il più possibile semplice, essenziale e diretta: Alan Bennett evidenzia la volontà e l’intenzione che Meister Eckhart ha di svolgere un’opera di alfabetizzazione sforzandosi di ridurre problemi teologici e filosofici molto complessi rendendoli alla portata delle ascoltatrici e degli ascoltatori meno acculturati, ed anche per questo motivo viene chiamato “meister-magister” [maestro]. Eckhart, scrive Alan Bennett, accetta di buon grado l’incarico di predicatore presso i conventi delle suore domenicane, che erano donne umili e spesso analfabete, perché vuole farle esercitare sul “procedimento dell’intellezione” [sulla comprensione che la persona è gradita a Dio perché in Dio vige il primato dell’intendere] per metterle nelle condizioni di conoscere e di capire la vera essenza di Dio, ed Eckhart, scrive Alan Bennett, s’impegna ad elaborare un linguaggio che - pur non rinunciando ad affrontare difficili temi dottrinali - tuttavia risulti “ripulito” dei termini tecnici della teologia, in modo da diventare comprensibile a una vasta platea di pubblico. Questo suo zelo didattico non piace affatto alle autorità ecclesiastiche: le suore domenicane dovevano rimanere ignoranti e dedite esclusivamente a ruoli di servitù. Eckhart il magister, scrive Alan Bennett, con la sua sperimentazione didattica ha gettato le basi del vocabolario tedesco moderno, arricchendolo con una terminologia originale, funzionale, e facile da capire anche da parte di chi aveva una cultura limitata.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il termine “semplice” [sinonimo di “nudo e crudo”] per Eckhart meister, scrive Alan Bennett,  corrisponde ai termini “essenziale, genuino, schietto”: quale di queste tre parole, o quale altra, mettereste per prima accanto alla parola “semplice”?…

Scrivetela...

   E ora, sulla scia di questa riflessione, andiamo avanti a leggere il romanzo Nudi e crudi. Quando i coniugi Ransome tornano a casa - dopo una serata passata a teatro ad ascoltare Così fan tutte di Mozart - scoprono di aver subìto un furto nel loro appartamento, e la stranezza sta nel fatto che la loro casa è stata completamente svuotata, dalla moquette ai lampadari: i ladri hanno portato via tutto anche il telefono e perfino la carta igienica. Si tratta di uno scherzo o forse di un errore? Naturalmente questa circostanza sconvolge la vita tranquilla e ripetitiva dei due padroni di casa che si ritrovano “nudi e crudi” e sono costretti a reagire. Il signor Ransome reagisce incupendosi e arrabbiandosi mentre la signora Ransome trova in questa esperienza una motivazione per iniziare un tragitto di rinnovamento. Quando il sergente e l’agente della polizia, accorsi senza troppa sollecitudine sul posto del furto per fare le indagini [come abbiamo letto la scorsa settimana] se ne vanno, il signor Ransome chiede loro: «Credete che riuscirete a prenderli?», al che il sergente scoppia a ridere dicendo: «Be’, i miracoli capitano anche nel mondo della pubblica sicurezza. Non è che qualcuno avrà pensato di farvi uno scherzo?». Il signor Ransome rimane sconcertato [e per un amante di Mozart rimanere sconcertato è la peggiore cosa che possa capitare]. E ora proseguiamo nella lettura.

LEGERE MULTUM….

Alan Bennett, Nudi e crudi

«Be’,» disse la signora Ransome qualche ora dopo che il sergente e l’agente di polizia se ne furono andati «ci toccherà accamparci e basta. In fin dei conti,» aggiunse con una certa eccitazione «potrebbe anche essere divertente». «Divertente?» esclamò il marito. «Divertente?». Il signor Ransome aveva la barba lunga, non si era lavato, gli bruciava il posteriore e per colazione aveva bevuto un sorso d’acqua dal rubinetto. Ciò nonostante, per quante suppliche gli rivolgesse la moglie, volle andare eroicamente al lavoro - e la signora Ransome capì d’istinto che, anche in quelle circostanze inedite, le sarebbe toccato plaudere alla generosa abnegazione del consorte.   

... continua la lettura ...

   Anche Meister Eckhart, che ha uno spirito dell’umorismo piuttosto sviluppato, sorride, ma sorride anche perché Alan Bennett ha utilizzato teatralmente un importante concetto eckhartiano. Abbiamo appena letto che i coniugi Ransome, in quanto “nudi e crudi”, hanno cominciato “a condurre una vita spartana, tirando avanti con lo stretto indispensabile, e questa condizione alla signora Ransome non risulta affatto sgradita”. Che cosa c’entra Meister Eckhart con questa considerazione?

   Meister Eckhart ha scritto nel 1326 un trattato intitolato Sul distacco nel quale analizza uno dei temi classici della meditazione e della riflessione esistenziale:  l’argomento del “disprezzo delle cose superflue”, quelle cose che non concorrono ad aumentare la qualità della vita ma contribuiscono a “squalificare il senso dell’esistenza” e, a questo proposito, Meister Eckhart conduce la sua riflessione mettendo in evidenza il fatto che questo atteggiamento virtuoso, “il disprezzo delle cose superflue”, accende la scintilla divina che illumina l’interiorità della persona. Se la persona si libera dall’interesse e dall’attrazione per le cose superflue [dalla sbornia consumistica] diventa capace di far posto nella sua anima alla presenza di Dio prendendo coscienza che l’Io è una cosa sola con Dio che corrisponde “all’essenzialità assoluta”. Questa affermazione eckhartiana - «l’Io è una cosa sola con Dio e, quindi, la persona può diventare come Dio» - viene considerata blasfema dal Vescovo di Strasburgo che come sappiamo, nel 1326, decide di denunciare Eckhart per eresia. Poi [come sappiamo] nel 1329 [una bolla] un decreto del Sant’Uffizio firmato dal papa Giovanni XXII condanna 28 tesi di Meister Eckhart come eretiche, ma lui non può controbattere perché è già morto.

   Che cosa infastidisce di più le autorità ecclesiastiche? I punti che contrariano i custodi dell’ortodossia sono quelli che risultano più significativi per la riflessione e per il conseguente esercizio dell’investimento in intelligenza.

   C’è un punto fondamentale nella riflessione di Meister Eckhart che ha lasciato il segno nella Storia del Pensiero Umano: Meister Eckhart mette in evidenza come i valori evangelici siano il punto d’incontro delle contraddizioni, perché i valori espressi dalla Letteratura dei Vangeli, che corrispondono agli autentici valori umani, scrive Meister Eckhart, li troviamo dove fiorisce il paradosso: che cosa significa? La riflessione esegetica di Meister Eckhart parte da un concetto di natura mistica, e si domanda: qual è il valore più importante per l’Umanità? Il valore più importante per l’Umanità, scrive Meister Eckhart, è “l’incarnazione di Dio nella storia”.

   Come dice il testo del Vangelo Secondo Giovanni: «Et verbum caro factum est et abitavit in nobis» [La Parola di Dio si è fatta carne e abitò in noi]. Questo è il valore più grande, scrive Meister Eckhart, ma è anche la contraddizione più grande, il paradosso assoluto, perché qui si uniscono due realtà, l’umana e la divina, che non sono più allora completamente diverse, biologicamente incompatibili e razionalmente incomprensibili. Il valore più importante per l’Umanità è l’incarnazione di Dio nella Storia e, contemporaneamente, questa incarnazione rappresenta la contraddizione, il paradosso  più grande che si possa concepire: questo significa, scrive Meister Eckhart, che “ciò che è valore” s’identifica con “ciò che è contraddizione”: «Areté on aporeté» scrive Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani che Meister Eckhart commenta per avvalorare il fatto che i valori cristiani sono paradossali e si trovano nel punto d’incontro delle contraddizioni come ha sempre sostenuto Paolo di Tarso nel suo Epistolario.

   Meister Eckhart radicalizza ancora di più questo concetto: se dobbiamo cercare Dio, dove lo possiamo trovare, dov’è Dio? Dio, totalità assoluta, lo si trova,  scrive Meister Eckhart, nella massima contraddizione teoretica: «Dio sta, afferma Meister Eckhart, nel punto d’incontro tra l’Essere e il Nulla, un punto [un non-luogo, ou-tópos] nel quale siamo forti quando siamo deboli, siamo ricchi quando abbracciamo la povertà, siamo sapienti quando constatiamo di non sapere, siamo sicuri quando il dubbio ci assale, siamo miti quando lottiamo per la pace, siamo tranquilli finché siamo inquieti, e più ci distacchiamo dalle cose superflue più possediamo il Creato».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è una cosa che potrebbe essere considerata “superflua” ma che desiderate possedere?…

Scrivete quattro righe in proposito…   

   Certamente il signor Ransome non considera cosa superflua il suo impianto stereo con il quale ascolta Mozart nelle migliori condizioni possibili, ma glielo hanno rubato, però, essendo assicurato, a questo punto, in proposito, “prende coscienza dei potenziali vantaggi della sua sventura [non sempre il male viene per nuocere] e, seppure con riluttanza [da granitico conservatore], comincia a vedere le cose sotto un’altra luce”.

   Però, prima di tornare a seguire le avventure dei signori Ransome, rimasti “nudi e crudi”, ci congediamo da Meister Eckhart leggendo mezza pagina dal suo trattato intitolato Sul distacco, ed io credo che sia valsa la pena venire a Scuola questa sera anche solo per leggere e per conoscere questo frammento che contiene, tra le righe,  tutti i germi più importanti che stiamo inventariando e che ci conducono all’Età umanistica a cominciare dal concetto “umanistico” per eccellenza: quello dell’unità del sapere che secondo Eckhart corrisponde all’atto di rendere sgombra la nostra interiorità in modo da far posto dentro di noi alla saggezza [al bello, al buono e al giusto] piuttosto che all’insipienza [al possesso di cose dall’effimero valore].

LEGERE MULTUM….

Meister Eckhart, Sul distacco

In breve, se considero tutte le virtù, non ne trovo alcuna che sia così completamente senza difetto e che unisca a Dio tanto quanto il distacco dalle cose superflue. Un maestro persiano chiamato Avicenna dice che: la nobiltà dello spirito che permane distaccato dalle cose superflue è tanto grande che, tutto quel che contempla è vero, tutto quel che desidera gli è accordato e, tutto quel che la coscienza comanda, bisogna che le si obbedisca. Voi dovete sapere, in verità, che quando la persona permane in un vero distacco dalle cose superflue, essa costringe Dio a venire verso il suo essere e a riempire la sua interiorità, in modo che, l’anima di questa persona possa prendere l’essenza propria di Dio. Dio non può che donare se stesso, perciò se Dio trova spazio nell’interiorità, liberata dall’interesse e dall’attrazione per le cose superflue, non può che donare se stesso. Il distacco dalle cose superflue permette alla scintilla divina che trova dimora nell’interiorità di illuminare il volto di Dio: a questo punto Dio e l’anima non sono che una cosa sola, e la nostra interiorità è una cosa sola con Dio.

   I signori Ransome - soprattutto la signora - cominciano a pensare che tutto ciò che prima di diventare nudi e crudi consideravano indispensabile era, invece, superfluo? Non ci resta che andare avanti a leggere qualche pagina del romanzo del quale sono i protagonisti e risulta evidente che Alan Bennett, in quanto studioso di Meister Eckhart li faccia ragionare sul tema “ambiguo” del distacco [è sempre difficile scegliere da che cosa distaccarsi].

LEGERE MULTUM….

Allan Bennett, Nudi e crudi

«Che tipo di stereo aveva?» chiese l’assicuratore. «Oh, un impianto all’avanguardia» rispose il signor Ransome. «Il meglio che c’era sul mercato. Devo avere ancora le ricevuteah, no, certo che no. Dimenticavo».  Anche se la dimenticanza era autentica, fu una fortuna che le ricevute fossero state rubate insieme al relativo impianto, perché il signor Ransome aveva detto una piccola bugia. Il suo impianto stereo non era esattamente all’avanguardia; ma d’altronde quale impianto può dirsi tale?

... continua la lettura ...

   E allora, secondo la logica per cui un intreccio filologico tira l’altro, prendiamo in considerazione l’azione del “comprare”, ma per compiere questa operazione dobbiamo risalire alla fonte della nostra riflessione.

   Ci troviamo agli albori del 1300 [in pieno autunno del Medioevo, come ben sappiamo] di fronte a due importanti situazioni: la prima, come abbiamo studiato, riguarda il cambiamento di carattere della Filosofia scolastica che assume una mentalità empirica, sperimentale, razionalista che mette al centro l’esperienza, mentre la seconda situazione riguarda le ripercussioni derivanti da quell’importante avvenimento pragmatico [di carattere politico ed economico più che religioso] che è il primo Giubileo della Storia della Chiesa. Ebbene, tanto nei confronti della mentalità razionalistico-sperimentale quanto nei confronti del pragmatismo economico e politico del Giubileo [secondo il disegno di papa Bonifacio VIII] assistiamo ad una reazione della quale sono protagonisti alcuni personaggi esemplari. Il primo di questi personaggi lo abbiamo appena incontrato: è Meister Eckhart, il quale, come abbiamo studiato, reagisce nei confronti del razionalismo [quello averroistico di Sigieri e quello aristotelico di Tommaso] in nome del “misticismo intellettuale” anche se, come abbiamo potuto constatare, si oppone al razionalismo utilizzando le potenzialità della Ragione e la versatilità dell’Intelletto in nome dell’idea che l’essere di Dio dipende dal suo pensare.

   Il secondo personaggio che stiamo per incontrare invece prepara la strada ad una reazione nei confronti del pragmatismo economico e politico del Giubileo perché lui sarebbe scomparso due anni prima del 1300 [anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una misteriosa scomparsa? L’autunno del Medioevo è stagione di misteri che suggestionano la fantasia].

   Il concetto di “pragmatismo economico”, che lo stesso papa Bonifacio VIII associa al Giubileo, consiste nel fatto che la corte pontificia aveva anche, e soprattutto, bisogno di aumentare le entrate perché le spese erano molte e, quindi, vengono messi sul mercato prodotti [diremmo oggi con terminologia bancaria] che le stesse Sacre Scritture non permettevano fossero messi in vendita come le indulgenze [soprattutto quelle che permettevano alle anime di accorciare la loro permanenza in Purgatorio] e il perdono dei peccati. Il Diritto canonico - materia su cui il papa Benedetto Caetani [Bonifacio VIII] è particolarmente ferrato - non parla esplicitamente di “compravendita delle cose sacre” ma utilizza il termine “donazione”, ma il fatto è che, poi, in pratica, emerge però un vero e proprio “tariffario” a regolamentare le donazioni e, quindi, all’interno della Chiesa e degli stessi Ordini ecclesiastici, da tempo, si era sviluppata una discussione sul tema del “vendere e del compare” ed è in relazione a questa discussione che incontriamo la figura di Pietro di Giovanni Olivi.

   Chi è Pietro di Giovanni Olivi   [Pierre de Jean Olieu]? Pietro di Giovanni Olivi [Pierre de Jean Olieu] è un francescano che, già in vita, si è meritato il titolo di “doctor speculativus” [una persona che ha un’alta capacità di riflessione e una particolare predisposizione per investire in intelligenza] ed è nato a Sérignan vicino a Béziers, in Provenza, nel 1248.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida della Francia e navigando in rete andate a fare un’escursione nella cittadina di Sérignan che si trova sulle strade dei Catari: su un itinerario che abbiamo percorso nel viaggio dello scorso anno scolastico e sul quale c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, buon viaggio  

   Tra le tante Opere che Pietro di Giovanni Olivi ha scritto - ha commentato praticamente tutti i Libri dell’Antico Testamento e della Letteratura dei Vangeli [in particolare il Libro dell’Apocalisse] -, to ce n’è una, forse la meno conosciuta, che s’intitola Trattato delle compere e delle vendite, un breve testo di natura etica [dove raccoglie le postille (gli appunti) che ha raccolto in tutti i Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento sul tema della povertà], uno scritto che ha come argomento la liceità del “mercato” e degli scambi delle merci e del denaro [quindi, di grandissima attualità].

   Nella storia molto complessa del francescanesimo Pietro di Giovanni Olivi è noto come uno dei capi degli Spirituali, la corrente più intransigente dell’Ordine francescano, sostenitrice dell’ascetismo e della più assoluta scelta di povertà di fronte al progressivo cedimento di molti figli del Poverello di Assisi. Pietro Olivi insegna a Parigi alla Facoltà delle Arti e nel 1279 viene chiamato a Roma, insieme a tutti i più importanti teologi dell’Ordine francescano, perché papa Niccolò III [Giovanni Gaetano Orsini che abbiamo già incontrato nel Canto XIX dell’Inferno dantesco tra i pontefici simoniaci] vuole che sia dato un parere sul tema della “povertà” [e questo argomento continua ad essere a tutt’oggi di grande attualità], e la questione, come molte e molti di voi sanno, viene posta con una domanda: «Gesù era padrone dei suoi abiti?» ed è in questa occasione che prende forma la corrente degli Spirituali che vorrebbero fondare un Ordine proprio [insieme a Pietro Olivi ci sono Ugo di Digne, Guglielmo de la Mare, Giovanni Peckham, Matteo d'Acquasparta, Angelo Clareno e Ubertino da Casale] i quali sostengono che «I beni del Creato sono dati in prestito agli esseri umani e che il concetto della proprietà privata non è aderente alla volontà divina».

   Questa corrente per la sua stretta aderenza alla prima Regola francescana entra in urto con i superiori dell’Ordine, e papa Niccolò III - dopo la conferenza sulla povertà - il 14 agosto 1279 firma la bolla Exiit qui seminat [Colui che semina esce a seminare la sua semente] nella quale [e Pietro Olivi partecipa alla stesura di questa parte del testo] si dà una interpretazione favorevole alla povertà francescana ma poi il papa [a insaputa dell’Olivi] aggiunge un post-scriptum dove dichiara che “i francescani non possiedono nulla in quanto tali perché i loro beni appartengono alla curia romana” e quindi, in pratica, il decreto papale smentisce il pensiero della corrente degli Spirituali;  sarà poi papa Bonifacio VIII a condannarli e a perseguitarli e, successivamente, papa Giovanni XXII [da esperto banchiere] indirà da Avignone una vera e propria crociata contro i cosiddetti Fraticelli.

   Nella primavera del 1287 Pietro Olivi lascia Parigi perché viene nominato Lettore di teologia nello Studio generale di Santa Croce a Firenze: la basilica non c’è ancora perché la sua costruzione inizia nel 1294, ma esiste un grande Oratorio che ha soprattutto funzioni culturali più che cultuali. Pietro Olivi resta a Firenze circa due anni e sembra abbia conosciuto Dante Alighieri il quale nella Divina Commedia tratta il tema della povertà in linea con il pensiero della corrente degli Spirituali. Nel 1289 Pietro Olivi viene inviato ad insegnare nell’importante Università di Montpellier e lì si perdono le sue tracce: non ci sono [come per Ruggero Bacone] notizie certe sulla sua morte, avvenuta sembra a Narbonne nel 1298, sappiamo però che, dopo la sua scomparsa tutti i suoi scritti sono stati raccolti per essere bruciati e c’erano pene gravissime per quei frati che avessero osato nasconderli e conservarli. Naturalmente c’è chi ha disobbedito [l’obbedienza non è sempre una virtù e sono stati i frati di Santa Croce a Firenze a disobbedire per primi] e così le Opere di Pietro di Giovanni Olivi sono state tutte conservate e tacitamente utilizzate: il Trattato delle compere e delle vendite è stato copiato quasi letteralmente nei Sermones [I discorsi] di Bernardino da Siena nel 1424, e Sant’Antonino da Firenze nel 1446 lo ha trasferito nella sua Summa moralis [Trattato sulla morale] e nessuno dei due Santi naturalmente ha citato la fonte che aveva utilizzato.

   Ma come mai un francescano come Pietro Olivi, staccato da ogni bene terreno, autore di poderosi commentari teologici ed esegetici, è andato ad occuparsi di “mercato”, di prezzi delle merci, di valore del denaro?

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Accanto alla parola “denaro” quale di questi termini mettereste per primo: potere, desiderio, libertà, autonomia, sogno, o quale altro?… 

Scrivete una riga in proposito…

   La preoccupazione di Pietro di Giovanni Olivi nel trattare il tema del “mercato”, dei prezzi delle merci, del valore del denaro è di carattere morale: vuole esaminare e capire i meccanismi della vita economica che si presenta [come abbiamo studiato anche noi durante il viaggio dello scorso anno scolastico] con caratteri nuovi alla fine del 1200: infatti gli scambi commerciali hanno sostituito la statica economia feudale e ciò rappresenta un cambiamento epocale, soprattutto nella terra di Pietro Olivi, la Provenza di cui, in relazione alla crociata contro i Catari, conosciamo la storia.

   La ricerca teologica, che avviene nell’ambito della Filosofia scolastica, si propone di dare un giudizio etico sulle nuove attività mercantili che si affiancano all’agricoltura e all’artigianato, ed ecco allora che Pietro Olivi, in forza della sua professione religiosa, distaccato dai beni mondani e, quindi, senza interessi e preconcetti, entra culturalmente nel campo economico, prima per analizzarlo, e poi per applicare il criterio etico.

   Leggiamo un famoso frammento tratto dal Trattato delle compere e delle vendite di Pietro di Giovanni Olivi.

LEGERE MULTUM….

Pietro di Giovanni Olivi, Trattato delle compere e delle vendite

Bisogna precisare che esistono due modi per considerare il valore delle cose. un primo: secondo la oggettiva bontà della natura, e in questo senso il topo o la formica valgono più del pane, perché essi hanno anima, vita e sensibilità, mentre il pane no.

Il secondo modo si desume dall’uso che noi ne facciamo, e in questo senso quanto più le cose sono utili alle nostre necessità tanto più valgono, e per questo il pane vale più che il topo o che il rospo.

   Il frammento che abbiamo letto dal Trattato delle compere e delle vendite di Pietro di Giovanni Olivi è già esaustivo di per sé in merito allo stabilire il prezzo delle merci perché, a questo proposito, l’autore pone la regola che una cosa acquista valore per l’uso che se ne fa o per l’utilità che se ne riceve. Si deve tener presente, però, che non si tratta dell’uso di un singolo ma di uso comune che viene, scrive Pietro Olivi, dal “bŏnum commūne”, dall’uso che ne fa la “commūnĭtas” [oggi diremmo “la società civile”] e, quindi, la rendita del denaro è il “bŏnum” [il bene] che produce. Se è così, afferma Pietro Olivi dimostrando di apprezzare il cambiamento sociale che è avvenuto, il ruolo del mercante può essere positivo per il bene della società ma, naturalmente, il mercato, sostiene Pietro Olivi, va riformato e la Chiesa deve farsi paladina di questa riforma: «Il mercato, scrive Pietro Olivi, è inficiato dalle più insidiose tentazioni, di guadagno di usura di egoismo, ed è oggi certamente un campo pericoloso per l’essere umano. La Chiesa, tuttavia, non deve richiedere una integerrima perfezione agli individui decaduti dopo il peccato originale, la Chiesa deve sapere che sta parlando ad un essere umano che è nella condizione dell’infermo, ma deve però insegnare alle creature, fatte a immagine e somiglianza di Dio, la pratica della giustizia affinché operino con moderazione e agiscano con misericordia, così che il denaro non sarà più l’oggetto demoniaco che è diventato anche con la complicità della casta ecclesiastica dedita a vendere in modo blasfemo le indulgenze e il perdono dei peccati».

   Il Trattato delle compere e delle vendite di Pietro di Giovanni Olivi viene salvato dal rogo e diventa il manifesto degli Spirituali francescani che vedono nel Giubileo di Bonifacio VIII un pragmatico evento per fare denaro che deve servire non per iniziative di tipo caritativo ma per finanziare gli strumenti [l’esercito, i tribunali, le strutture murarie, gli arredi preziosi] che servono a potenziare lo Stato pontificio.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Voi vorreste avere il denaro necessario per comperare che cosa?…

Scrivete quattro righe in proposito…

   Il signor Ransome vorrebbe comprare un impianto stereofonico all’avanguardia, ma vorrebbe anche compare un’altra cosa [un colorante] in profumeria, la signora Ransome è contenta di aver comprato due collane da settantacinque penny e poi compra anche un televisore. E, quindi, non ci resta che concludere questo itinerario leggendo ancora una pagina da Nudi e crudi.

LEGERE MULTUM….

Alan Bennett, Nudi e crudi

Quando aveva confidato a Dusty di non provare nostalgia dei suoi arredi, la signora Ransome era stata sincera. Piuttosto - ma questo era più difficile da esprimere - le mancavano i particolari percorsi che seguiva da una cosa all’altra. Ad esempio, c’era quel cappello verde col pompon, mai messo, che lasciava sulla console nell’ingresso per ricordarsi che aveva acceso lo scaldabagno. Adesso non aveva più né cappello né console (ringraziando il cielo, lo scaldabagno c’era ancora). Ma senza quel cappello le era già capitato due volte di lasciarlo acceso tutta la notte e una volta il signor Ransome si era scottato una mano. Anche lui aveva dovuto rinunciare a certi suoi riti: per esempio, non aveva più le forbicine ricurve con cui si tagliava i peli delle orecchie.

... continua la lettura ...

   La contestazione degli Spirituali francescani nei confronti del Giubileo non ottiene risultati: il Giubileo è un evento che riscuote successo per molti motivi, non ultimo quello della gran massa di denaro che porta alla curia romana ma anche  - e per questo sono grati al papa - ai commercianti romani che fanno affari d’oro.

   Qual è l’argomento inerente al Giubileo che a noi - che stiamo andando a caccia dei germi dell’Umanesimo - interessa maggiormente? A noi, in funzione del nostro viaggio, interessa il tema delle “anticaglie”. Che genere di tema sarebbe quello delle “anticaglie” [un termine, per giunta, che sembra suonare come una brutta parola]?

   Per rispondere a questa domanda [e a molte altre che si profilano all’orizzonte] dobbiamo seguire la via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, tenendo conto del fatto che, spesso, sono proprio “le anticaglie” a stimolare la nostra volontà d’imparare per acquisire una testa ben fatta [per giunta tutte e tutti noi abbiamo un solaio - o qualcosa di simile - pieno di anticaglie dove il filo della memoria, spesso con emozione, comincia a tessere con ordine le sue trame: mai sottovalutare le anticaglie!].

   La Scuola è qui, e mi domando se non cominci [dopo oltre tre decenni] ad essere “un’anticaglia” anche questa esperienza didattica e chi la conduce, ma siccome voi - che siete la giovinezza personificata - continuate ad animare con gaiezza e passione la Scuola, penso che il viaggio debba continuare anche nella

Bellezza riposata dei solai

dove il rifiuto secolare dorme

tra le anticaglie dalle varie forme

di quel che è stato e non sarà più mai …

   Ebbene, anche tra “le anticaglie” la Scuola è qui, e il viaggio continua: mai sottovalutare “le anticaglie” soprattutto se non stanno nei solai…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Gennaio 22, 2016