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LA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA AFFIDATA AGLI ANIMALI - GLI ANIMALI RIUNITI IN ASSEMBLEA ...

Lezione N.: 
4

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

La sapienza poetica e filosofica dalla seconda metà del ‘600 al secolo dei Lumi

La sapienza poetica e filosofica affidata agli animali

Prof. Giuseppe Nibbi

SECONDO ITINERARIO [in attesa di tornare a viaggiare in presenza] ...   27 gennaio 2021

GLI ANIMALI  RIUNITI IN ASSEMBLEA ...

     Care compagne e cari compagni di Scuola, oggi è il 27 gennaio, è la Giornata della Memoria e la celebriamo insieme nell’attesa di riprendere il cammino in presenza sul Percorso canonico di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura, sulla via che dalla metà del Seicento porta verso il secolo dei Lumi. Su consiglio di Jean de La Fontaine, abbiamo cominciato a leggere, dalla scorsa settimana, una favola dove la Sapienza poetica e filosofica è affidata agli animali perché, come sappiamo fin dalla notte dei tempi, la favola - attraverso la voce degli animali - parla degli esseri umani che la ascoltano [de te fabula narratur], ma, purtroppo, gli esseri umani - a causa della loro debolezza cognitiva e del loro istinto predatorio - hanno dimenticato che sono gli animali, con il loro mondo mitico, a raccontare in metafora la realtà delle cose di questo mondo.

     E Jean de La Fontaine, in proposito, ci ha consigliato di utilizzare la Favola selvaggia [rimaneggiata in tempi moderni] di un umanista rinascimentale di nome Filelfo e, di conseguenza, già dall’itinerario precedente, abbiamo portato questo scritto nella nostra Officina dell’apprendistato cognitivo per poterne interpretare il testo facendo emergere i riferimenti letterari in esso contenuti, in modo che questa operazione di carattere ermeneutico ci consenta di tenere attivo nella nostra mente il funzionamento delle principali azioni dell’Apprendimento [conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare].

     Jean de La Fontaine ci ha ricordato, inoltre, che la vera lettrice e il vero lettore è una persona che sa come “andare incontro al pensiero scritto” per cimentarsi nell’interpretazione della scrittura [per fare l’esegesi, per dirla in greco] e, soprattutto, sa come far muovere la mente per sostenere “il carico della scrittura” tanto nelle sue forme quanto nei suoi contenuti. La lettura - come tutte le persone dovrebbero sapere - è un’arte difficile da praticare, e sono capaci a leggere nel vero senso della parola solo le persone che sanno conoscere il significato delle parole-chiave, che sanno capire la rilevanza delle idee-cardine, che si sanno applicare metodicamente, che sanno analizzare i pensieri che il testo contiene, che sanno sintetizzare il contenuto del testo e che sanno valutare il grado di soddisfazione che hanno provato leggendo.

     Nello scorso itinerario, come ricorderete, abbiamo letto e commentato il primo capitolo della Favola selvaggia di Filelfo intitolata L’assemblea degli animali. Nel luogo dove si sta per tenere la grande assemblea degli animali ci siamo arrivati seguendo il volo del corvo che, giunto per ultimo, ha trovato posto accanto alla colomba, e la colomba non sta, però, stringendo nel becco il tradizionale ramoscello di ulivo perché stavolta non è venuta a parlare di pace, ma, come tutti gli animali in assemblea, è venuta a parlare di guerra. I rappresentanti degli animali stanno per prendere la parola, e noi cominciamo a leggere il secondo capitolo della favola di Filelfo e, nel corso della lettura, ci fermeremo più volte a riflettere perché leggere è un esercizio di ermeneutica, di interpretazione, di spiegazione, di chiarimento, di complicazione, di analisi, di esegesi, e un testo va letto sempre nell’ambito di un’Officina di apprendistato cognitivo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo II. Gli animali riuniti in assemblea

- Chicchirichì! - squillò assordante il gallo dalla cima del baobab nano.

- Ordine! Ordine! - urlò furibondo il tricheco dallo scoglio giù in basso. Il frinire, il nitrire, il grugnire, il chiocciare, il gracchiare, il ragliare, l’ululare, il belare, il ruggire, il muggire, il barrire, il bramire, lo squittire, l’uggiolare, il pigolare, il tubare, l’abbaiare, il gracidare, il cinguettare, lo starnazzare, il sibilare, il miagolare, il ringhiare, il ronzare si acquietarono di colpo. Si abbatté sul monte il silenzio che solo gli animali in certe circostanze sanno fare, appena prima di un terremoto, di un maremoto, dell’eruzione di un vulcano, di un’eclissi di sole o di un altro di quei grandi eventi. Fu dopo qualche secondo, in cui l’udito di tutti fu teso al frusciare delle foglie nel vento, che il giaguaro parlò.  - Amici, animali, cittadini del mondo, fratelli di saggezza, pari di questo consiglio, sapete tutti perché siamo qui. Già altre volte nel passato noi, padroni della terra, suoi più antichi e più sapienti abitatori, ci siamo riuniti per discutere come affrontare la minaccia del suo più giovane e intemperante colono, l’essere umano. …

     E adesso è necessario fermarci a riflettere sul testo che stiamo leggendo in modo da farci carico della scrittura, e la scrittura si presta ad essere presa in esame per mostrarsi in tutta la sua pienezza e, quindi, puntiamo la nostra attenzione sulla frase: «Il frinire, il nitrire, il grugnire, il chiocciare, il gracchiare, il ragliare, l’ululare, il belare, il ruggire, il muggire, il barrire, il bramire, lo squittire, l’uggiolare, il pigolare, il tubare, l’abbaiare, il gracidare, il cinguettare, lo starnazzare, il sibilare, il miagolare, il ringhiare, il ronzare si acquietarono di colpo». Ebbene, ci troviamo di fronte a un lungo elenco di azioni che descrivono le voci emesse dagli animali, e dobbiamo sapere che il più lungo elenco lessicografico di voci emesse dagli animali si trova in un’opera dello scrittore latino Gaio Svetonio Tranquillo, vissuto a Roma tra il 70 e il 150 d.C., autore di molte opere la maggior parte delle quali è andata perduta; difatti, il più lungo elenco lessicografico di voci emesse dagli animali si trova in un’opera enciclopedica di Svetonio andata perduta, intitolata Libro sulla natura [Liber de naturis rerum], della quale possediamo solo pochi frammenti conservati in una compilazione medioevale, e in uno di questi frammenti si legge: «Le voci emesse dagli animali a cui possiamo dare un’attribuzione sono: il frinire, il nitrire, il grugnire, il chiocciare, il gracchiare, il ragliare, l’ululare, il belare, il ruggire, il muggire, il barrire, il bramire, lo squittire, l’uggiolare, il pigolare, il tubare, l’abbaiare, il gracidare, il cinguettare, lo starnazzare, il sibilare, il miagolare, il ringhiare, il ronzare».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A quali di queste voci potete accostare il nome di un animale senza usare il dizionario?...  Date - senza o con il dizionario - un soggetto a ognuno di questi verbi...     

     A questo frammento si è ispirato probabilmente, e ironicamente, François Rabelais nella sua famosissima opera intitolata Gargantua e Pantagruel quando scrive: «I filosofi e i medici sostengono che gli esseri umani hanno preso coscienza della loro condizione ferina quando, di comune accordo, hanno stabilito che i cani abbaiano, i lupi ululano, i leoni ruggiscono, i cavalli nitriscono, gli elefanti barriscono, i serpenti fischiano, gli asini ragliano, le cicale stridono, le tortorelle gemono, e per questo possiamo affermare che in principio era la fabula».

     E noi è appunto sul testo di una fabula che stiamo riflettendo, e penso che nella vostra biblioteca domestica sia presente l’opera Gargantua e Pantagruel di François Rabelais e, quindi, vi invito a leggere [nel caso non lo abbiate ancora mai fatto] o a rileggere [se già avete provveduto come la Scuola ha più volte consigliato di fare] il testo del Prologo dell’autore che, naturalmente, si trova nelle prime [due o tre, a seconda dell’edizione] pagine dell’opera. Ebbene, Rabelais nel testo del Prologo - testo fortemente didascalico, d’insegnamento sul tema della lettura - paragona l’atteggiamento di una persona che stappa una bottiglia di buon vino a quella di un cane alle prese con un osso midollato e il comportamento che tiene l’animale, scrive Rabelais, fa dire a Platone [nel dialogo Repubblica] che il cane è la bestia più filosofa del mondo per il modo in cui “studia l’osso”: difatti, lo guarda devotamente, lo osserva con cura, lo tiene con fervore, lo addenta con prudenza, lo stritola con voluttà e lo succhia con passione. Ma questo esempio del cane che “studia l’osso” serve a Rabelais per affermare quale sia la maniera in cui la lettrice e il lettore deve affrontare la lettura di un testo: quando si legge bisogna guardare devotamente, osservare con cura, tenere con fervore, addentare con prudenza, stritolare con voluttà e succhiare con passione le parole del testo che abbiamo di fronte; la lettura - ci ricorda  Rabelais - è un’arte difficile da praticare e «per saper leggere bisogna imparare a fiutare, ad assaporare e a giudicare in modo che i bei Libri d’alto sugo si possano avvicinare con la necessaria leggerezza per poterli approfondire con il dovuto ardimento».

     A proposito di “Libri d’alto sugo” l’opera più celebre e completa scritta da Svetonio è una raccolta di biografie che s’intitola [De vita Caesarum] La vita dei Cesari [o degli imperatori] in otto Libri che contiene le biografie di dodici imperatori, da Giulio Cesare a Domiziano, che è stata pubblicataintorno all’anno 112 quando Svetonio era segretario dell’imperatore Adriano. Nel tracciare i dodici profili l’autore segue uno schema ben preciso che è diventato un modello [molto utilizzato e apprezzato durante il Medioevo e l’Umanesimo] per comporre tutte le successive biografie di uomini illustri che sono state scritte: dell’opera di Svetonio, per esempio, se ne sono serviti sia San Gerolamo sia Petrarca sia Achille Campanile per scrivere le loro opere omonime. Svetonio non è uno storico e nelle sue biografie la figura del principe compare quasi esclusivamente come uomo - senza riferimenti agli avvenimenti dell’impero romano - e lo scrittore ci mostra gli aspetti fisici del personaggio, il suo modo di vestire, di mangiare, di dormire, i meriti e le colpe, le virtù e i vizi, anche i più segreti. Svetonio raccoglie le notizie con scrupolo negli archivi pubblici e imperiali e le riferisce con obiettività ma senza preoccuparsi dell’ordine cronologico, e sembra divertirsi a riferire una serie di curiosità e aneddoti maliziosi che rasentano il salace pettegolezzo soddisfacendo il gusto della lettrice e del lettore sia antico che contemporaneo in quanto i personaggi descritti vengono resi con vivacità mediante un linguaggio sobrio ed essenziale, semplice e chiaro che dà credibilità al racconto.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In biblioteca potete richiedere La vita dei Cesari di Svetonio che si presenta come un’opera “ad alto sugo” e quindi [a detta di Rabelais] assaporatene qualche pagina... e la stessa cosa potete fare con Vite degli Uomini Illustri di Achille Campanile...

     E ora riprendiamo a leggere il testo del capitolo secondo della Favola di Filelfo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo II. Gli animali riuniti in assemblea

Dopo qualche secondo il giaguaro parlò. - Amici animali, sapete tutti perché siamo qui. Ci siamo riuniti per discutere come affrontare la minaccia del più giovane e intemperante colono della terra, l’essere umano.   - Eccome, - urlarono le scimmie. - Ve l’abbiamo sempre detto che non discende da noi.    - Zitte! - ragliò l’asino. - L’essere umano sa bene, anche se non lo ammette, che è una delle nostre metamorfosi e che solo con i nostri zoccoli può imboccare i sentieri della luna, e solo con le nostre orecchie udire il richiamo della Legge morale. - Zitto tu, superstizioso bigotto, servo sciocco di due padroni, - intervenne l’ibis alzando il collo sopra la schiera compatta dei paperi che si stavano spiumando concentrati.  - L’unica Legge morale per gli umani dovrebbe essere quella della natura, ma non mi sembra che agli asini sia riconosciuta questa gran sapienza per averglielo, come sostieni, ricordato -.  Uno stridio di struzzi e pavoni, gru e fenicotteri seguì beffardo le parole dell’ibis, mentre un battito ritmato di becchi e zoccoli, zampe e zanne, code e pinne faceva da claque.   Il giaguaro accovacciato alzò la destra, come si vede nei disegni dei Maya, e ruggì ottenendo silenzio.  - L’essere umano, dicevo, è stato causa di molte catastrofi per la terra. Ma questa, - e digrignò le zanne, - questa con cui ha voluto salutare la vigilia dell’Anno del Topo ci riporta ai racconti degli avi che videro coi loro occhi glaciazioni, diluvi universali, estinzioni di massa come quella della grande stirpe dei sauri, dei sacri draghi, di cui solo pochi, sprofondati nelle acque dei laghi o negli abissi del mare, sono rimasti in vita -.   I cobra drizzarono la testa e dalle nervature del collo alzarono il cappuccio come monaci in preghiera, i serpenti a sonagli scossero i loro sistri funebri, due lucertole guizzarono fuori dalle cripte in cui l’esiguità dei loro corpi le aveva costrette, a differenza dei potenti antenati; un’iguana fece balenare la lingua rossa che un tempo era di fuoco, e la radura fu tutta screziata da uno scintillio di ocra e smeraldo, ebano e turchese, come doveva essere il mondo quando era giovane e i rettili ne erano i custodi.   - Un olocausto, - riprese il giaguaro. - Un miliardo di fratelli sterminati dagli umani per futili motivi e senza alcun segno di pentimento, arsi vivi tra le fiamme di un immenso rogo, di un insensato sacrificio di massa, - scandì. - Un miliardo di compagni inceneriti, di cadaveri ammucchiati nelle lande di quell’emisfero australe che ci era stato lasciato ancora in feudo, pianure e deserti e foreste dove animali e umani sembrava potessero ancora convivere. Perciò siamo qui riuniti, e vi ringrazio di avere tutti aderito, da ogni parte del mondo, a questa convocazione d’urgenza -. Nel mormorio che seguì le parole del giaguaro gli occhi di tutti gli animali si volsero alla delegazione marsupiale, che sedeva tacita e composta nei banchi riservati ai testimoni, i cuccioli di canguro rannicchiati in grembo alle madri, circondate dai rappresentanti di quelle altre famiglie di grandi e piccoli mammiferi, rettili e uccelli che nel grande olocausto australiano avevano visto perire innumerevoli amici innocenti. Nessuno di loro parlò: non era ancora il momento. …

 

     E ora - prima che venga data la parola a un rappresentante della delegazione marsupiale - c’è una seconda doppia citazione sulla quale dobbiamo soffermare la nostra attenzione: «L’essere umano - ragliò l’asino - sa bene, anche se non lo ammette, che è una delle nostre metamorfosi e che solo con i nostri zoccoli può imboccare i sentieri della luna, e solo con le nostre orecchie udire il richiamo della Legge morale». L’affermazione «solo con i nostri zoccoli può imboccare i sentieri della luna» rimanda a Le Metamorfosi o L’asino d’oro, il capolavoro [che più di una volta abbiamo incontrato nei nostri Viaggi] dello scrittore latino Apuleio. Quest’opera ha la forma di un romanzo composto da undici Libri a loro volta suddivisi in 351 brevissimi capitoli [secondo uno dei principi basilari della didattica della lettura]. Le metamorfosi di Apuleio è l’unico “romanzo” della Letteratura latina che ci è giunto completo e si presume sia stato scritto a Cartagine dopo che l’autore è stato assolto in un processo per magia. Le metamorfosi di Apuleio è un’opera che è sempre stata conosciuta nei secoli e sant’Agostino, vescovo di Hippona, la cita nel trattato De Civitate Dei del 426 con il titolo L’asino d’oro: lo stesso titolo con cui è stata tramandata nel Medioevo e nel Rinascimento, epoche in cui ha avuto un grande successo. All’inizio de Le metamorfosi, nel breve prologo, l’autore costruisce un’immagine significativa, e velata di sensualità, sul ruolo della lettura, scrive Apuleio: «Ecco! Voglio per te, lettrice e lettore, intrecciare varie favole, e con il piacevole mormorio del mio narrare accarezzare le tue benevole orecchie». Apuleio nel prologo della sua opera fa riferimento al ricco contenuto del suo romanzo [non ha dubbi che la trama del suo racconto sia avvincente] ma, soprattutto, si preoccupa di sottolineare l’efficacia dell’elemento formale [del modo di scrivere] e ritiene che ci si possa divertire non solo per la materia della storia raccontata ma, in primo luogo, per il modo [per lo stile] in cui viene condotta la narrazione. Apuleio, nato intorno al 125 d.C. a Madaura in Numidia, l’odierna Algeria, è un avvocato esperto, un medico preparato, un bibliotecario competente e un brillante conferenziere noto come esperto di magia.

     Le metamorfosi o L’asino d’oro è un’opera complessa: prima di tutto è un godibile “romanzo” d’amori e di avventure nel quale s’intrecciano favole, racconti mitologici, episodi comici e scene permeate di esplicito erotismo. Il protagonista dell’opera è un giovane greco di nome Lucio, il quale, nel fare in modo maldestro un esperimento magico [è appassionato di magia] si trasforma [mediante l’uso sbagliato di un unguento] in un asino che conserva la consapevolezza tutti i sentimenti umani. L’asino Lucio vive - tra rapimenti, fughe, passioni erotiche e intrighi - un’intensa esperienza di vita che lo induce ad una profonda riflessione sui temi dell’esistenza umana perché quest’opera termina in chiave mistica, in quanto in essa, tra le righe del “romanzo”, contiene un trattato sui riti misterici della dèa Iside. La storia di Lucio trasformato in asino ha un prezioso valore simbolico [asinus aureus] perché rappresenta il travagliato destino dell’anima umana che, caduta nella prigione della materia, cerca la sua redenzione: una redenzione [Lucio tornerà ad avere un aspetto umano] resa possibile attraverso la partecipazione alla celebrazione del culto segreto dei misteri di Iside praticati su tutto il territorio dell’Ecumene, soprattutto a Roma in Età tardo-antica, ma la liberazione dalla materia e l’elevazione dello Spirito - allude Apuleio - avviene in primis attraverso il costante e prezioso [aureus] esercizio della lettura.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Richiedete in biblioteca Le metamorfosi o L’asino d’oro di Apuleio per leggerne almeno alcuni frammenti: la trasformazione di Lucio in asino nel Libro III al capitolo 24 e la contemplazione della luna e il dialogo con lei nel Libro XI ai capitoli 1 e 5...  

L’esercizio della lettura è un prezioso [aureus] rituale di iniziazione dello Spirito da celebrare quotidianamente con almeno quattro pagine al giorno di buona letteratura, come ci ricorda Rita Levi Montalcini...

     La seconda affermazione della doppia citazione che stiamo prendendo in considerazione dice: «e l’essere umano - ragliò l’asino - solo con le nostre orecchie può udire il richiamo della Legge morale». Queste parole ci fanno riflettere sul fatto che Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi - che dobbiamo periodicamente rileggere nella loro versione integrale - è un’opera che trae spunto anche da Le metamorfosi di Apuleio e, di conseguenza, risulta interessante, attraverso la lettura, fare un esercizio di comparazione.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Leggete il capitolo XXXII de Le avventure di Pinocchio dove Collodi racconta la trasformazione del burattino in ciuco... Ricordate con quale animale dialoga Pinocchio nel momento in cui scopre che le sue orecchie – gli strumenti per udire il richiamo della Legge morale - sono cresciute a dismisura?... Perché – secondo voi - Collodi sceglie questo animale per ricordare a Pinocchio che l’ignoranza è una malattia e che la Scuola è il luogo dove si guarisce da questo malanno?...  Forse perché è un animale che vive in altura?...  Voi che ne dite?... 

Leggete e poi scrivete due righe in proposito...

     E ora riprendiamo a leggere il testo del capitolo secondo della Favola di Filelfo.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo II. Gli animali riuniti in assemblea

Il giaguaro riprese a parlare e disse: - Nonostante le frequenti e gravi ragioni di allarme da molti di voi segnalate negli ultimi secoli, finora siamo rimasti a guardare. Per troppo tempo abbiamo visto i nostri fratelli pesci soffocare nella plastica e nel petrolio -. Un delfino sottoscrisse facendo una capriola oltre gli scogli e avvitandosi in più salti tra la schiuma. - Per troppo tempo non abbiamo ascoltato il grido d’aiuto dei nostri amici scacciati dalle foreste, che gli umani abbattono pensando che siano infinite. Per troppo tempo abbiamo abbandonato i nostri compagni più indifesi alla schiavitù negli allevamenti intensivi, nei campi di concentramento dei mattatoi, nei carri bestiame dove è meglio morire che arrivare alla fine del viaggio, nei mercati dove si viene scelti, condannati e giustiziati con un unico gesto incurante, nelle gabbie degli zoo dove i felini in cattività sono più numerosi di quelli liberi nelle terre selvagge, nelle celle dei laboratori dove si viene sottoposti agli esperimenti più atroci.

- Bravo! Bravo! - squittì commossa la delegazione delle cavie, allineata sul bordo del lago. - E che dire della loro ruota della morte, - esclamò il criceto, trovando tra le file dei canarini un’inaspettata solidarietà.  - Non parlate di morte a noi, - starnazzò un’oca del gruppo di Strasburgo, - che moriamo sempre col fegato ingrossato e, vi assicuro, di pessimo umore -.    Si levò un acuto belato di protesta sul lato sinistro del gregge delle pecore, riservato agli agnellini: - Siamo la delegazione più giovane, ma tra le più antiche a soffrire. Da quando gli umani hanno deciso che tra tanti animali si dovesse sacrificare proprio noi, i più innocenti, i più teneri, i più candidi, noi che quando piangiamo siamo così simili ai bambini -.  Si gonfiò di orgoglio, dal suo improvvisato trogolo di fanghiglia, il capogruppo dei maiali: - E perché, nei riti più antichi non erano i nostri cuccioli a morire sgozzati, sostituiti ai neonati degli umani, piccoli, rosei, lisci come loro? Lo sapete cosa si dice tra gli umani? Che di noi non si butta via niente! Siamo i più sfruttati, allevati, divorati.    - Ma almeno in metà del mondo non vi mangiano, - sottolineò il montone, abitatore dei deserti. - A cosa serve essere il compagno del pastore errante nell’Asia? Non ti salva dall’essere arrostito e infilzato a pezzi in uno spiedo da kebab -.   Un muggito potente fu a quel punto emesso dal grande stuolo delle mucche occidentali, che nella regalità olimpica dei loro occhi avevano tante sorelle imprigionate, messe all’ingrasso e infine, per tutta ricompensa, macellate e trasformate in bistecche. …

     Adesso ci fermiamo a riflettere, e io mi sono volontariamente lasciato scappare «il pastore errante dell’Asia», ebbene, inseguitelo voi cercando Giacomo Leopardi, non è difficile!

     Invece puntiamo l’attenzione sull’affermazione: «nella regalità olimpica dei loro occhi» domandandoci che cosa ci sia di regale e di olimpico negli occhi delle mucche. Questa affermazione allude a una formula omerica utilizzata per presentare una qualità della dea Era [per i Latini Giunone] - la figlia di Crono e di Rea, sorella e moglie, assai gelosa, di Zeus - che appare molte volte nel testo dell’Iliade descritta come: «regale dagli occhi di giovenca»- E l’espressione “occhi di giovenca” viene solitamente tradotta [dal greco in italiano] con le parole «augusta dea dai grandi occhi» per sottolineare la capacità che ha questa divina figura olimpica di prevedere, tenendo gli occhi bene aperti, quali siano le intenzioni del consorte, Zeus, il maggiore di tutti gli dèi, del quale si fida poco. Se - come consigliato nell’itinerario precedente - avete letto il Libro primo dell’Iliade avete incontrato Era, al verso 551, mentre tiene gli occhi bene aperti al ritorno di Zeus sull’Olimpo perché ha capito che «Teti [la madre di Achille] - dai piedi d’argento e figlia del Vecchio del mare - ha tramato ed escogitato con lui un piano».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Rileggete il Libro primo dell’Iliade per assaporare ancor meglio l’intreccio narrativo, riflettendo sul fatto che il cantore omerico attribuisce alla dea Era, per esaltarne la perspicacia, «occhi di giovenca» perché per la cultura di matrice orfico-dionisiaca «tutte le cose – e i minerali e le piante e gli umani e gli animali e le dèe e gli dèi – sono di ornamento l’una dell’altra e formano una cosa sola che si può chiamare Natura» e, di conseguenza, non c’è niente di meglio, per magnificare poeticamente le figure divine [o umane], che utilizzare attributi provenienti dal prezioso patrimonio semantico del mondo animale... 

     E ora riprendiamo a leggere il testo del capitolo secondo della favola di Filelfo …

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo II. Gli animali riuniti in assemblea

Il baccano era ormai, come usa dirsi, bestiale. Conigli, anatre e tacchini si davano sulla voce sciorinando le ricette delle ricorrenze più importanti in occasione delle quali venivano cucinati, lasciando cadere parole del gergo umano come «ripieno», «all’arancia» e «salmì», per essere interrotti da una spettacolare emersione di vegliarde aragoste, che alzando le chele arancioni contro l’orizzonte turchese ricordarono a tutti in che maniera finivano in pentola. Fu lì che dalle acque trasparenti della baia affiorò la flottiglia dei tonni e, a nome di tutto il popolo del mare, molluschi compresi, cominciò a sgranare il suo rosario di penitenze e mattanze, mentre la spigola e perfino la medusa dei mari orientali si contorcevano in segno di indignazione. - Sushi, - bisbigliò traducendo il panda al grizzly che gli sedeva accanto. Così, tra le grida della selvaggina di cielo e di bosco, il tumulto bovino, suino ed equino, lo scomposto vociare ovino, montava l’indignazione generale.

- Ordine! Ordine! - tornò a urlare il tricheco, facendo echeggiare il suo grido su per il dorso della montagna e faticando a tenere a bada le foche sue cugine, che guidavano la protesta congiunta delle lontre, dei castori e dei più aristocratici animali da pelliccia - gli ermellini, i visoni, gli zibellini - scaglionati lungo la parete boscosa di roccia. Anche le grandi fiere - il leopardo, la tigre - si erano innervosite pensando a quanti loro simili erano diventati cappotti, se non addirittura scendiletti. Il cervo bramiva ricordando gli usi umilianti delle sue corna, appese alle pareti, intrecciate in mobilia, divenute volgare simbolo nei gesti degli umani. L’elefante barriva l’avorio delle sue zanne, la tartaruga piangeva le scaglie del suo carapace, nessuno ascoltava più nessuno. E fu allora che roteando in lenti cerchi concentrici, quasi invisibili, da una radura di fiori di timo, inudibile in quel frastuono nel suo tenue ronzio, atterrò sulla testa del giaguaro l’ape regina.  Il popolo degli insetti tacque in segno di venerazione, subito seguito da quello degli uccelli. Anche il cormorano, che insieme all’albatro stava rimuginando tristi memorie di viaggi per mare e chiazze di petrolio, si voltò di scatto e fissò gli occhi in quelli neri e ipnotici della minuscola sovrana.

Il grande orso bruno avanzò tra la folla, che gli fece largo, mentre il silenzio pian piano tornava ad avvolgere il monte e la baia. Come tutti sanno, l’orso è un gentiluomo puntiglioso all’estremo, che non cede di un passo dal suo cammino, nemmeno dinanzi a un principe; anzi la cosa più saggia per chi lo incontra è voltare strada e prendere un’altra direzione, perché se si accorge che qualcuno gli fissa gli occhi addosso lo considera un affronto ed è pronto a lasciare tutte le altre sue faccende per ottenere cavalieresca soddisfazione. È questa la prima delle sue qualità. L’altra è che, oltraggiato una volta, non ve la perdona mai più, non vi lascia più né notte né giorno, vi tallona finché vi abbia raggiunto e si sia vendicato.  Ma in questo caso si inginocchiò davanti alla regina, in segno di eterna gratitudine per il miele, che addolciva la sua vita e lo rimetteva in forze appena usciva dal letargo, magro, stanco e affamato, facendolo risorgere al ritmo della natura, di cui il popolo della sovrana assicurava gli eterni legami, nel suo continuo traffico di pollini. …

     E ora non possiamo fare a meno di fermarci per riflettere sulla citazione riguardante l’orso: «l’orso è un gentiluomo puntiglioso all’estremo, che non cede di un passo dal suo cammino, nemmeno dinanzi a un principe; anzi la cosa più saggia per chi lo incontra è voltare strada e prendere un’altra direzione, perché se si accorge che qualcuno gli fissa gli occhi addosso lo considera un affronto ed è pronto a lasciare tutte le altre sue faccende per ottenere cavalieresca soddisfazione. È questa la prima delle sue qualità. L’altra è che, oltraggiato una volta, non ve la perdona mai più, non vi lascia più né notte né giorno, vi tallona finché vi abbia raggiunto e si sia vendicato». Questa citazione ci porta nella parte conclusiva di un celebre romanzo: Robinson Crusoe di Daniel Defoe, pubblicato nel 1719, un’opera che va periodicamente riletta e, in tempo di pandemia, la rilettura di questo romanzo sarebbe obbligatoria così come sarebbe obbligatorio leggere la più significativa delle varianti moderne del Robinson.

     Leggete – lo trovate in biblioteca - il romanzo intitolato Venerdì o il limbo del Pacifico di Michel Tournier [Parigi 1924-2016] pubblicato nel 1967. In questo breve romanzo filosofico Robinson può rigenerarsi a contatto e a confronto col “bambino” selvaggio Venerdì in modo da poter cambiare nome alla sua isola della Disperazione ribattezzandola Speranza. Di Michel Tournier – figura insolita e originale [informatevi in rete] - non parla più nessuno eppure oggi il suo romanzo, come tutti quelli che ha scritto, è ancor più vitale e attuale di quando è comparso più di mezzo secolo fa, suscitando un serrato dibattito sull’interpretazione da dare a questo testo provocatorio... 

     E ora concludiamo la lettura del secondo capitolo della Favola selvaggia di Filelfo che vede l’adunata degli animali riuniti in assemblea.

Filelfo, L’assemblea degli animali

Capitolo II. Gli animali riuniti in assemblea

 Ma in questo caso l’orso si inginocchiò davanti alla regina delle api, in segno di eterna gratitudine per il miele, che addolciva la sua vita e lo rimetteva in forze appena usciva dal letargo, magro, stanco e affamato, facendolo risorgere al ritmo della natura, di cui il popolo dell’ape sovrana assicurava gli eterni legami, nel suo continuo traffico di pollini.  - Signora dei fiori e del lavoro, amica della natura, messaggera d’amore, tu che nella tua saggezza organizzi, tra le stanze dorate dei tuoi alveari, il rinnovarsi della terra, - l’orso chinò il capo, non era abituato ai discorsi, e tagliò corto: - Metti ordine tu, ti prego, nell’assemblea. Parla, nessuno ti interromperà, - aggiunse guardandosi minaccioso intorno.  Il giaguaro si inchinò a sua volta e accettò con fierezza che il velluto maculato del suo capo facesse da trono all’ape regina che, nel silenzio assoluto dell’assemblea, si apprestava a parlare. …

     Per ascoltare le parole dell’ape regina e poi la testimonianza del koala - che sarà l’ospite d’onore - non perdete la prossima tappa di questo Percorso.

     Vi invito a esercitarvi rileggendo il testo del secondo capitolo della Favola di Filelfo, e poi vi esorto a fare il compito come è richiesto da ogni punto del REPERTORIO ...  perché il desiderio di apprendere stimola il sistema immunitario e corrobora, rinfranca e ritempra lo spirito.

     Ci risentiamo prossimamente [presumibilmente fra quindici giorni] per compiere il terzo itinerario di questo Percorso e per continuare a studiare insieme in attesa di poter riprendere a viaggiare in presenza perché lo studio è cura, lo studio è memoria.

     E, infine, un abbraccio a tutte e a tutti voi, nell’ambito di quel significativo paradosso che consiste nel mantenere le distanze restando uniti…

 

 

Lezione del: 
Mercoledì, Gennaio 27, 2021