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SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI SI FA TAPPA A LES GRANGES E A PORT-ROYAL DE PARIS ...

Lezione N.: 
8

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34  -  «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI.»

PERCORSO DI STORIA DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi  

La sapienza poetica e filosofica dal secolo della Scienza a quello dei Lumi    11-12-13  dicembre  2019

SULLA VIA CHE PORTA DAL SECOLO DELLA SCIENZA A QUELLO DEI LUMI

SI FA TAPPA A LES GRANGES E A PORT-ROYAL DE PARIS ...

     Ben tornate e ben tornati a Scuola, questo è l’ottavo itinerario del nostro viaggio sulla via che porta dal secolo della Scienza [il ‘600] a quello dei Lumi [il ‘700] e questo è l’ultimo itinerario prima della vacanza natalizia e l’ultimo itinerario di quest’anno solare.

     Come sapete dal mese di ottobre stiamo viaggiando in compagnia di Blaise Pascal il quale, come abbiamo studiato, a un certo punto della sua esistenza [a trent’anni, quando viene considerato il più geniale matematico europeo] - dopo aver letto con grande emozione l’Epistolario di Paolo di Tarso commentato da padre Mersenne - vive un’esperienza appassionante, “una notte di fuoco”, quella del 23 novembre 1654, che descrive con queste parole: «Non so se ho sognato, ma non credo di aver sognato: ho vissuto in modo drammatico un incontro fiammeggiante col Dio di Gesù Cristo, che mi diceva di seguire le indicazioni dei Vangeli », una folgorazione quasi come quella subita da Paolo di Tarso sulla via di Damasco. E poi nel Memoriale, scritto in relazione a “la notte di fuoco”, Pascal, nell’incipit, afferma: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non il dio dei filosofi e dei sapienti [e qui - come sapete - polemizza nei confronti di Cartesio e dei cartesiani] mi ha chiamato a un nuovo programma di vita e di pensiero » e queste parole le scrive su un foglio di carta e se lo cuce nella fodera della giacca, e nel secondo itinerario dopo la vacanza risaliremo alla fonte di queste parole. E poi alcuni giorni dopo, come ricorderete, esce anche miracolosamente indenne da un gravissimo incidente quando la carrozza su cui sta viaggiando si ribalta sul ponte di Neuilly. Quindi, in ragione di questi episodi che ritiene segni premonitori, Pascal decide di frequentare regolarmente [già la frequentava saltuariamente per far visita alla sorella monaca] l’abbazia di Port-Royal per studiare, per meditare e per attuare programmi di solidarietà verso il prossimo. Di conseguenza, per capire la scelta fatta da Pascal, abbiamo iniziato a studiare la storia di Port-Royal des Champs, cioè la prima parte, quella medioevale, della storia di Port-Royal.

     Per poter rispondere alla doppia domanda: “che cos’è Port-Royal des Champs e perché Blaise Pascal  inizia a frequentare questa abbazia? [a distanza di quattro secoli dagli avvenimenti di Età medioevale che abbiamo studiato]”, abbiamo dovuto organizzare, come ben ricorderete, un incontro durato due settimane con Ildegarda di Bingen.

     E adesso, per riprendere il passo sul nostro cammino nella giusta direzione, è bene procedere riepilogando i fatti essenziali e i concetti fondamentali per poterci occupare della seconda parte, quella moderna, della storia di Port-Royal.

     L’abbazia di Port-Royal des Champs è stata fondata nella paludosa e insalubre valle della Chevreuse a sud di Versailles nel 1204 da Matilde di Garlanda che con l’aiuto di quattro consorelle tedesche interpreta la regola benedettina secondo lo stile monastico inaugurato mezzo secolo prima da quel grande personaggio che è Ildegarda di Bingen che, come sapete, pone al centro dell’impegno delle comunità religiose femminili da lei fondate l’attuazione del concetto di “viridità” [in latino la parola “viriditas” rimanda - come sapete - ai termini “disponibilità, salute, rigoglio” e contrasta con la parola “virilità” che si rifà a qualcosa di aggressivo]. Di conseguenza, Matilde di Garlanda imposta il programma del monastero di Port-Royal des Champs sul concetto di “viridità” in termini ambientali e materiali [bisogna che le monache siano disposte a dare rigoglio-viridità alla valle della Chevreuse che è insalubre riducendo il territorio paludoso e, sulle balze, favorendo la coltura di erbe officinali (quattro ore per lavorare, e per curare, secondo la Regola benedettina)]. Poi imposta il programma in termini spirituali [bisogna che le monache procurino la salute-la viridità alle anime promuovendo lo studio (quattro ore per studiare, per pregare, per riflettere)] e imposta il programma anche in termini politici [la parola “viriditas” diventa l’emblema che Matilde di Garlanda utilizza quando rivendica l’autonomia del suo monastero in quanto “sorella e figlia dell’autorevole figura della beata Ildegarda”].

     Inoltre sappiamo che un numero sempre crescente di persone [il popolo minuto] si mette in marcia per recarsi a Port-Royal des Champs per farsi “curare” perché le monache dell’abbazia [che dal 1204 al 1207 da 5 diventano 74] iniziano, sebbene con circospezione ma con la massima determinazione, un’intensa e pericolosa attività di distribuzione di “farmaci” in linea con la realizzazione delle Opere di misericordia corporale e spirituale codificate, proprio in quest’epoca, a corollario della regola benedettina; tutto ciò avviene sull’esempio di Ildegarda, che, come sapete, è diventata celebre soprattutto come “curatrice” e le sue opere “farmacologiche”, come abbiamo studiato due settimane fa, si sono diffuse e vengono utilizzate per curare molte malattie in un gran numero di monasteri femminili europei.

     Queste sono le originarie caratteristiche che ha il monastero femminile benedettino di Port-Royal des Champs, prerogative di straordinaria modernità che non possono non interessare a Pascal e a un certo numero di persone sue contemporanee compresa sua sorella Jacqueline che, nel 1651 decide di entrare nel convento di Port-Royal. Le peculiarità di Port-Royal des Champs sono il frutto di una feconda stagione alla quale [sulla scia della poliedrica figura di Ildegarda, la visionaria scrittrice, la curatrice, la filosofa, la musicista, la consigliera di papi e di re e di imperatori, la prima badessa con pieni poteri, la guida della “consorteria delle badesse”, la monaca già beata in vita] è stato dato il nome di “Primavera ildegardiana”, un fenomeno che si estende a macchia di leopardo sul territorio europeo, un fenomeno che, subito dopo la morte di Ildegarda nel 1179, viene considerato molto pericoloso dal potere clericale [“la consorteria delle badesse” rivendica maggior potere decisionale all’interno delle istituzioni ecclesiastiche] e dal potere feudale [“la consorteria delle badesse” pretende l’abolizione della servitù della gleba per la riqualificazione umana e sociale della manodopera agricola]. Questo fenomeno non ha potuto far maturare i suoi frutti perché è stato violentemente represso [come le lotte contadine, come la cosiddetta eresia catara, come tutti i movimenti pauperisti] e, in proposito, è intervenuto papa Bonifacio VIII che, nel 1298, su richiesta degli abati, dei vescovi e dei feudatari europei, impone “regole rigidissime per la clausura delle religiose” con una bolla intitolata Periculoso: il testo di questo documento ha la spudoratezza di affermare che «il comportamento rivendicativo delle religiose è pericoloso per la salvezza delle loro anime e per quella dei fedeli che seguono il loro nefasto esempio». Le direttive di una bolla diventano il consueto pretesto per scatenare la violenza: i feudatari, con i loro uomini armati, assaltano i monasteri femminili considerati ribelli e massacrano le suore e incendiano le abbazie.

     Con la bolla Periculoso di Bonifacio VIII anche l’abbazia benedettina femminile di Port-Royal des Champs [che fortunatamente si salva dalla distruzione] viene blindata in una rigidissima clausura: alle monache viene vietata tutta quella fruttuosa attività svolta nel nome del concetto della “viridità”, e così la valle della Chevreuse torna a regredire, e questo stato di cose dura per più di tre secoli finché all’inizio del ‘600 non si assiste a un risveglio.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola “risveglio” è sinonimo di “rinnovamento”… C’è un momento della vostra vita in cui potete affermare che si sia verificato un rinnovamento [materiale, intellettuale, spirituale]: in occasione di che cosa?…   

Scrivete quattro righe in proposito [Pascal, per esempio, direbbe che un rinnovamento si è verificato nella sua vita con la lettura dell’Epistolario di Paolo di Tarso]…

     Come avviene il risveglio di Port-Royal des Champs e chi è la nuova protagonista del moderno rinnovamento di Port-Royal?

     Per prima cosa dobbiamo dire che un lungo resoconto dell’originaria tradizione ildegardiana di Port-Royal des Champs è stato custodito durante gli anni della repressione e si è, quindi, conservato nella biblioteca dell’abbazia a cominciare dagli Scritti memorialistici di Matilde di Garlanda, che, dopo la sua morte avvenuta nel 1224, sono stati integrati dagli interventi di molte badesse a lei succedute e da molte monache che, sotto traccia, hanno tenuta viva, con i loro pensieri, la memoria delle origini. Matilde di Garlanda, avendo assorbito totalmente la lezione di Ildegarda sull’importanza della scrittura, e sulla rilevanza del fatto che le monache [e le donne in generale] debbano appropriarsi di questo strumento di emancipazione [uno strumento da utilizzare nell’ambito delle quattro ore giornaliere di studio previste dalla regola benedettina, o se preferite, contemplate dal programma politico di papa Gregorio Magno che ha codificato la regola nel 590 come una buona pratica di vita per ogni persona], ha lasciato in eredità come regola “la coltura dello scrivere” nel monastero di Port-Royal des Champs per cui le monache, alle quali è ufficialmente fatto divieto di scrivere, si sentono autorizzate per tradizione a mettere per iscritto i loro pensieri sebbene debbano rimanere sepolti nella biblioteca del monastero nella quale, però, rimane comunque un patrimonio di riflessioni, di osservazioni, di considerazioni, di giudizi, di ispirazioni. E questo patrimonio [potenza evocativa della scrittura!] viene ad assumere un ruolo nel risveglio di Port-Royal des Champs, ma, in proposito, procediamo con ordine.

     Dal 1298, per effetto della bolla Periculoso di Bonifacio VIII - che costringe le monache a vivere recluse in una rigidissima clausura senza avere più alcun rapporto con l’esterno e impone alle badesse di sottomettersi agli abati - la vita dell’abbazia di Port-Royal des Champs è come se fosse entrata in letargo e, con il trascorrere dei secoli, anche la memoria delle prerogative delle origini del monastero si affievolisce, finché, nel 1609, a quattro secoli dalla fondazione, una giovane [ha solo 17 anni] ed energica badessa, Mère Angélique promuove il risveglio dell’abbazia di Port-Royal des Champs. Mère Angélique da secolare si chiama Jacqueline Arnauld e appartiene alla omonima facoltosa famiglia parigina, una delle famiglie aristocratiche più facoltose della città. Jacqueline è stata fatta entrare in monastero nel 1599, all’età di soli sette anni [come Ildegarda], e le viene attribuito il nome di Angélique anche per le sue fattezze: è “diafana” [trasparente, delicata, pallida] come un angioletto secentesco e questa affermazione fa venire in mente una curiosità legata a una recente scoperta.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Nel dipinto La vocazione di San Matteo di Caravaggio del 1599, che si trova nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, è stata recentemente scoperta - dietro i vetri della finestra che fa entrare luce nella stanza dove si svolge la scena – la figura “diafana” di un angelo…   

Andate a osservare in rete questo interessante particolare…  

     Naturalmente non si può pensare che Jacqueline [alias Mère Angélique] avesse “una vocazione” ma, per il fatto di appartenere alla facoltosa famiglia Arnauld [che vuole sistemare i suoi membri in posizioni di prestigio], nel 1602, Mère Angélique, ad appena dieci anni, viene nominata badessa: il fatto è che, anche se è sotto tutela di una reggente, è una bambina curiosa, è intraprendente ed è già ben alfabetizzata per cui vuole scoprire, riportando alla luce una voluminosa documentazione sepolta da secoli nella biblioteca del monastero, la Storia degli avvenimenti e del pensiero di questo sito; dopo aver intellettualmente riannodato il filo con la tradizione mistico-visionaria ildegardiana istaurata dal 1204 dalla fondatrice Matilde di Garlanda, nel 1609, quando assume pieni poteri, dopo aver affermato di essere stata: «illuminata dalla Grazia», pur mantenendo il rigore della clausura riaffermato per decreto dal concilio di Trento, decide di riformare il monastero ristabilendo però il rispetto della regola benedettina secondo lo stile legato alla parola-chiave “viridità” e noi siamo al corrente di che cosa significhi attuare [tornare ad attuare] questo programma.

     Mère Angélique si fa ancor più decisa, di fronte agli ostacoli, nella sua opera di rinnovamento quando riceve l’incoraggiamento di San Francesco di Sales [che è, in questo momento, il vescovo di Ginevra e va d’amore e d’accordo con i calvinisti perché “cerca ciò che unisce piuttosto che ciò che divide”] al quale Mère Angélique chiede se stia commettendo un errore a fare quel che fa e lui le risponde con un aforisma che rispecchia il suo carattere caritatevole scrivendole: «Se devi sbagliare, cerca di farlo per troppa bontà e non per troppo rigore».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Francesco di Sales [nato in Alta Savoia nel 1567 e morto a Lione nel 1622] merita di essere conosciuto meglio e, quindi, utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete, potete incontrare questo nobile personaggio, figlio primogenito del signore di Boisy e documentarvi sulle istituzioni umanitarie che sono nate ispirandosi al suo pensiero [chi, per esempio, non ha presente la figura di don (San) Giovanni Bosco?]…

     Il processo di rinnovamento di Mère Angélique attira a Port-Royal des Champs molte persone, donne e uomini che non vogliono entrare in monastero ma, pur mantenendo la loro laicità, desiderano entrare in contatto con questa realtà: sono intellettuali, quasi tutti di formazione cartesiana e provvisti di una vasta preparazione scientifica, alla ricerca, però, di spiritualità, di misticismo e di “impegno evangelico” perché sono persone [che tutte hanno letto i Saggi di Montaigne e si domandano «Come vivere?»] disorientate dalle molte contraddizioni di questi anni [in campo ecclesiastico per la rigidezza della decretazione del concilio di Trento, sul piano politico per il deleterio sistema dell’assolutismo regio, e in ambito culturale per l’arretratezza dei programmi accademici che generano una situazione al quale è stato dato il il nome di “ignorantocrazia”].

     Mère Angélique invita i visitatori del monastero a partecipare alla ristrutturazione [quattro ore per lavorare] di una casa colonica, “la cascina dei granai” [les Granges], situata su un altopiano a monte dell’abbazia in modo che diventi un centro di accoglienza per gli ospiti, e sul tetto di questo fabbricato viene anche costruita, e inaugurata nella primavera del 1621, una terrazza-osservatorio nello stile dei monasteri ildegardiani per potersi sollevare da terra e volgere lo sguardo verso il cielo [quattro ore per studiare], per poter entrare in contatto con “il silenzio dell’Universo” [quattro ore per meditare e per riflettere], per poter “mettere l’occhio a contatto con i pianeti”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Oggi sono visibili nella valle della Chevreuse le rovine dell’abbazia e “la cascina dei granai” [les Granges], e in loco è stato allestito il “Musée national de Port-Royal des Champs” che, fino a qualche anno fa, si chiamava “Musée des Granges”  e queste informazioni potrebbero anche far nascere in voi la curiosità di fare una visita a questo territorio: ebbene, quando riprenderemo il viaggio dopo la vacanza, il prossimo anno, disegneremo un possibile itinerario da percorrere sia virtualmente che materialmente

     Chissà se il signor Palomar - il protagonista [che ormai ben conoscete] del Libro dal titolo omonimo di Italo Calvino [del 1983] che stiamo leggendo - si sarebbe aggregato alle persone che frequentavano Port-Royal des Champs anche per sollevarsi da terra puntando lo sguardo verso il cielo? Anche il signor Palomar, nome simbolico che richiama un potente telescopio, è intenzionato a far questo perché vuole puntare la sua meticolosa attenzione su molti fenomeni che gli capitano sotto gli occhi perché [come Montaigne] decide di osservare “le cose della vita” scrutandole nei minimi particolari per cercare di interpretarle nel tentativo [come pretende di fare Pascal] di entrare in rapporto con l’universo [a Port-Royal des Champs tanto in età medioevale quanto in età moderna viene proposto questo esercizio e si capisce perché il pensiero di Pascal assume determinate caratteristiche], e questo tentativo presenta molte difficoltà e lascia sempre il signor Palomar [e anche il signor Pascal] nel dubbio, ma il dubbio è utile perché stimola [deve stimolare] la riflessione e la volontà di imparare.

     Calvino, questa sera, ci presenta il suo personaggio, nel quale s’identifica, mentre riflette guardando il cielo. Il signor Palomar - per volere dell’autore, che è esperto a parafrasare i Classici - ha allegoricamente un piede nei Saggi di Montaigne [nel particolare] e l’altro piede nei Pensieri di Pascal [nell’universale], e adesso leggiamo il testo de L’occhio e i pianeti, come se fossimo sul tetto de “la cascina dei granai” [les Granges], situata sull’altopiano a monte dell’abbazia di Port-Royal des Champs.

LEGERE MULTUM….

Italo Calvino, Palomar

L’occhio e i pianeti.

Il signor Palomar, avendo appreso che quest’anno per tutto il mese d’aprile i tre pianeti «esterni» visibili a occhio nudo (anche da lui, che è miope e astigmatico) sono tutti e tre «in opposizione», dunque visibili insieme per l’intera notte, s’affretta a uscire sul terrazzo.    Il cielo è chiaro per la luna piena. Marte, pur essendo vicino al grande specchio lunare inondato di luce bianca, si fa avanti imperioso col suo fulgore ostinato, col suo giallo concentrato e denso, diverso da tutti gli altri gialli del firmamento, al punto che si finisce per convenire di chiamarlo rosso, e nei momenti ispirati per vederlo rosso davvero.    Scendendo con lo sguardo, seguitando verso levante un arco immaginario che dovrebbe congiungere Regolo a Spica (ma Spica quasi non si vede), s’incontra ben distinto Saturno, dalla luce bianca e freddina, e più in giù ancora ecco Giove, nel momento del suo massimo splendore, d’un giallo vigoroso che dà sul verde. Le stelle intorno sono tutte impallidite, tranne Arturo che brilla con aria di sfida un po’ più in alto verso oriente.   

... continua la lettura ...

     Alla fine del ‘500 nella valle della Chevreuse è aumentato il degrado, le paludi si sono estese, il territorio è sempre più malsano e questo luogo è diventato davvero inospitale, e i lavori di bonifica su questa vasta area geografica inizieranno non per ragioni umanitarie quando il re Sole, Luigi XIV, deciderà, dal 1661 di dare inizio lì dove c’era solo un edificio di caccia ai lavori per la costruzione della reggia di Versailles dove si trasferirà tutta la corte nel 1682, ma questa è un’altra storia della quale adesso non ci possiamo e non ci dobbiamo occupare.

     Ora dobbiamo procedere sul nostro cammino sviluppando un discorso incentrato sui principali avvenimenti perché se dovessimo trattare questa storia nella sua interezza ci vorrebbero degli anni, avvenimenti relativi a quello che è il nostro obiettivo che non dobbiamo perdere di vista: capire perché una persona come Blaise Pascal, a un certo punto della sua vita, mentre si ritrova ad essere un geniale matematico acclamato in tutta Europa, decide di aderire al pensiero e alle iniziative di Port-Royal.

     E allora procediamo con ordine partendo dalla prima questione, quella che ci permette di prendere il passo: che cosa comporta per l’abbazia di Port-Royal des Champs il degrado del territorio che la circonda?

     Nel 1624 le febbri malariche colpiscono un certo numero di monache del convento di Port-Royal des Champs tanto che - prima che si allarghi l’epidemia - è necessario sgomberare l’abbazia, e Mère Angélique approfittando anche di un lascito che ha ricevuto, nel 1625, acquista una casa nella periferia di Parigi, nel faubourg Saint-Jacques, e apre un nuovo monastero che prende il nome di Port-Royal de Paris [e inizia così la seconda parte della Storia di Port-Royal, quella moderna]. Qui, nel 1635 si stabilisce, come direttore spirituale invitato da Mère Angélique, l’abate Jean Duvergier di Saint Cyran, un monaco agostiniano molto colto e molto critico nei confronti della gestione dell’istituzione ecclesiastica che dipende, ormai da qualche tempo, quasi completamente dai Gesuiti [l’ordine religioso che, dopo il concilio di Trento, è diventato il più potente: essi si definiscono “un esercito in marcia”]. La morale benedettina di Port-Royal de Paris si pone in forte opposizione nei confronti del comportamento piuttosto spregiudicato e vincente dei Gesuiti [i Gesuiti del ‘600]. A Port-Royal si contesta ai Gesuiti [una prassi pastorale] un modo di agire troppo disinvolto basato sulla stipula di molti compromessi e di vantaggiosi scambi di favori con il mondo economico e con il potere assoluto della corte francese e delle corti europee . A Port-Royal poi si disapprova l’interpretazione gesuitica considerata “militaresca” che ha trasformato la figura di Paolo di Tarso in “un guerriero della religione” [ricordate che Caravaggio - nel dipinto che abbiamo citato nel 6° itinerario - fa, provocatoriamente, cadere Paolo da cavallo in divisa da soldato romano?] mentre nelle sue Lettere Paolo si dichiara sempre “un apostolo della fede” [e a Port-Royal prevale l’esegesi di padre Mersenne che - come sappiamo - ha reso visibili nella mente di Pascal nuovi orizzonti].

     A Port-Royal de Paris, attorno all’abate Jean Duvergier di Saint Cyran, si riuniscono tutti quegli intellettuali che, sull’altopiano della Chevreuse, hanno frequentato dopo averla ristrutturata “la cascina dei granai” [les Granges] alla ricerca [di deserto] di spiritualità, di rigore morale, di misticismo e di “impegno evangelico” e nasce una vera e propria organizzazione: questo gruppo decide di chiamarsi dei “solitari di Port-Royal”. Essi nel 1637 decidono - con l’attenuarsi dell’epidemia di malaria, e prendendo le necessarie precauzioni - di tornare nell’abbazia, rimasta vuota, di Port-Royal des Champs, e tra “i solitari” si distinguono due personaggi che fungono da coordinatori dell’iniziativa: Antoine Arnauld [fratello minore di Mère Angélique] e Pierre Nicole [che rincontreremo].

     Intanto i Gesuiti, che non sopportano le critiche dei “solitari di Port-Royal”, utilizzano [per passare al contrattacco] un efficace strumento di denuncia in modo da ridurli al silenzio: approfittano della pubblicazione, nel 1640, di un Libro, il cui autore è morto due anni prima nel 1638, che viene subito preventivamente messo all’Indice per ordine del Sant’Uffizio in attesa che il tribunale dell’Inquisizione emetta un giudizio; siccome questo Libro costituisce il punto di riferimento fondamentale del pensiero teologico e dottrinale dei “solitari di Port-Royal”, i Gesuiti li tacciano di deviazionismo rispetto all’ortodossia cattolica. Il Libro in questione s’intitola Augustinus, e l’autore di quest’opera è il teologo olandese Cornelis Jansen che conosciamo con il nome di Giansenio.

     Cornelis Jansen [1585-1638] è stato professore all’Università di Lovanio e poi vescovo di Ypres, e l’abate agostiniano di Saint Cyran, il direttore spirituale di Port-Royal, è un convinto sostenitore delle idee di Giansenio [è stato suo collega all’Università di Lovanio], e Port-Royal diventa il centro più attivo del movimento giansenista. Quali sono le idee teologiche e le proposte dottrinali di Giansenio? Per Giansenio è Dio che dispensa unicamente e gratuitamente la sua Grazia, indipendentemente da qualsiasi iniziativa umana, e il modo di comportarsi della persona dipende dalla Grazia che riceve da Dio e non dalla sua intraprendenza.

     I Gesuiti avversano questa idea perché la loro condotta deve corrispondere alla direttiva che il loro fondatore, Ignazio di Lojola, ha dato già con il titolo dei suoi Esercizi spirituali che devono servire per conoscere tutti i modi per intercettare la volontà di Dio: quindi, la persona si procura la Grazia divina mediante le iniziative che essa stessa mette in atto. I Gesuiti sono molto attivi [si definiscono “un esercito efficiente”] e impongono la loro linea [è l’azione umana che sollecita Dio a elargire la sua Grazia] soprattutto nei centri del potere a cominciare dalle corti europee.

     Giansenio non condivide questa mentalità e sostiene che “le azioni umane di successo in difesa o per proporre o per imporre la religione cattolica non sempre sono davvero gradite a Dio”, ma i Gesuiti ragionano in modo manageriale, bisogna fare dei compromessi [anche smussando l’intransigenza evangelica] pur di mantenere nella Chiesa il maggior numero di fedeli possibile, soprattutto di fedeli che contano, che hanno potere e, di conseguenza, giudicano le situazioni concrete con molta praticità, chiudono un occhio [e spesso li chiudono entrambi] sui peccati personali e collettivi, e offrono, come rimedio, i Sacramenti. Ed è chiaro che questa “morale del compromesso” come la definiscono i solitari di Port-Royal è molto gradita agli uomini di potere e del bel mondo che coniano un motto [uno slogan]: «Attraverso i Gesuiti, Dio perdona tutto!»[Quindi affidiamoci a loro].

     Giansenio, che in vita, come vescovo, si è impegnato a rilanciare il dialogo con i protestanti, in particolare con i Calvinisti, vuole unire idee calviniste a tesi cattoliche per poter praticare una via di riconciliazione ecumenica.

     Giansenio è un agostiniano e come Sant’Agostino ha una visione pessimistica della natura umana: la persona, dopo il peccato originale, è corrotta, e le persone nascono spiritualmente ammalate, con i germi del male nell’anima e questo lo si può verificare [scrive il vescovo Giansenio] dal fatto che la ragione umana è ottenebrata dalla sua astuzia e, di conseguenza, propende per fare il Male piuttosto che per conoscere e fare il Bene. Ma non dobbiamo disperare [scrive il vescovo Giansenio] perché, per Grazia di Dio, c’è stata la Redenzione, e la Grazia divina è entrata nella Storia e può procurare la guarigione definitiva per ogni persona. Ma è evidente che la persona deve favorire l’azione salutare della Grazia, è evidente che la persona deve guadagnarsela la salvezza, ma i Sacramenti [che i Gesuiti - scrive il vescovo Giansenio - considerano “merce di scambio”] non possono dare automaticamente la Grazia, perché è Dio che decide se e come elargirla.

     Per dare un fondamento teologico alle sue idee Giansenio propone l’esegesi delle Lettere ai Tessalonicesi e le Lettere ai Corinti dove Paolo di Tarso spiega come i concetti di “exousia” [la potenza di Dio] e di “sophia” [la sapienza di Dio] si fondano insieme per formare il concetto di “Grazia” [charis, gratis-data] che «corrisponde [scrive il vescovo Giansenio parafrasando Paolo di Tarso] a l’elargizione gratuita e discrezionale della potenza e della sapienza di Dio che si manifesta in bontà e in misericordia per cui la persona è buona e misericordiosa non di per sé ma quando è toccata dalla Grazia di Dio e, quindi, i Sacramenti sono segni salvifici solo se Dio concede la Grazia; e la persona deve meritarla da Dio, e non dall’istituzione né tanto meno dal clero, e la Chiesa [scrive il vescovo Giansenio parafrasando Sant’Agostino] deve essere impegnata a insegnare alle persone come guadagnarsi la Grazia da Dio; di conseguenza,  la Chiesa deve favorire l’elargizione della Grazia ma non può sostituirsi a Dio nel concedere la Grazia, che [secondo la dottrina di Paolo di Tarso sviluppata da Sant’Agostino, scrive il vescovo Giansenio] è dono esclusivo di Dio, non della Chiesa».

     Queste sono le idee portanti del pensiero teologico del vescovo Giansenio contenute nei capitoli della prima parte dell’opera Augustinus e, in quelli della seconda parte, si occupa della dottrina domandandosi che funzione abbia la Chiesa nella Storia della salvezza? «La Chiesa [scrive il vescovo Giansenio] deve avere una funzione di educazione e di formazione perché non elargisce la Grazia ma educa la persona in modo che possa riceverla gratuitamente da Dio, ed è attraverso l’educazione che bisogna imparare a pentirsi, a usare pietà e misericordia, a esercitarsi nelle opere buone, nella meditazione, nell’ascesi. Per ricevere gratuitamente la Grazia è necessario che la persona si prepari intellettualmente curando il funzionamento della propria razionalità».

     In linea con queste idee, a Port-Royal, nel 1645, il gruppo dei “solitari” - incoraggiati da Mère Angélique - promuove il programma delle “Petites Ecoles”, le Piccole Scuole di Port-Royal, aperte a tutti. Il programma delle “Piccole Scuole di Port-Royal” - che nascono con l’obiettivo di insegnare a ciascuna persona a coltivare la propria spiritualità - ha decisamente una base “razionalista” [siamo sulla via che conduce verso l’età dei Lumi]: la bontà, la pietà, la misericordia, l’amore di Dio va perseguito insegnando alla persona a “essere ragionevole”. Solo mediante “la ragionevolezza” [imparando a investire in intelligenza] la persona può elevare il proprio pensiero, può tonificare il proprio carattere, può sollevarsi dalla miseria e dalla fragilità spirituale.

     I programmi didattici di Port-Royal sono all’avanguardia per lo studio della lingua, delle scienze, della matematica, e le Piccole Scuole di Port-Royal hanno perseguito la tesi didattica che ha anche elaborato Montaigne nei suoi Saggi: «È necessario formare una testa ben fatta, piuttosto che una testa ben piena».

     Antoine Arnauld e Pierre Nicole sono i due intellettuali che hanno scritto un’opera pubblicata nel 1662 che raccoglie i programmi delle “Piccole Scuole” e che s’intitola Arte di pensare o Logica di Port-Royal, dalla quale ora leggiamo un frammento: «Noi ci serviamo della ragione come d’uno strumento per l’acquisto delle scienze, e ci dovremmo invece servire delle scienze come di strumenti con cui la ragione viene perfezionata, poiché una mente retta [una testa ben fatta] vale senza confronto più di tutte le conoscenze speculative».  La via che conduce verso l’età dei Lumi passa per Port-Royal, transita paradossalmente [ma la strada su cui procede la Storia del Pensiero Umano è lastricata di paradossi] per il centro dove, in Europa, si coltiva maggiormente il misticismo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale altro termine o quale pensiero vi ispira la parola “ragionevolezza”?…  

Scrivete due righe in proposito…

     Su questo argomento relativo alla scelta di Blaise Pascal di diventare “un solitario di Port-Royal”, riprenderemo il discorso a gennaio quando, dopo la vacanza, riprenderemo il nostro viaggio. Intanto dobbiamo anticipare che il pensiero e l’attività dei “solitari di Port-Royal”, su denuncia dei Gesuiti, subisce la sorte del giansenismo: cinque tesi contenute nell’opera Augustinus di Giansenio vengono dichiarate eretiche dal tribunale dell’Inquisizione e, nel 1653, papa Innocenzo X [Giovan Battista Pamphili] condanna il giansenismo, e di conseguenza anche l’esperienza di Port-Royal, con la bolla Cum occasione.

     Quello che abbiamo studiato questa sera [condanna compresa] ci fa capire che Blaise Pascal a Port-Royal si sente a casa sua e, quindi [ed è qui che volevamo arrivare ma, senza premesse che fanno da carburante intellettuale, non si arriva da nessuna parte], nel dicembre del 1654, Blaise Pascal [anche per difendere Port-Royal, e vedremo come] entra con convinzione a far parte del gruppo dei “solitari” e si mette subito al lavoro [manuale, spirituale e intellettuale]. Quali sono i risultati del suo lavoro intellettuale [che è quello più rilevante]? Lo vedremo quando, dopo la necessaria vacanza, riannoderemo i fili della questione e riprenderemo il nostro viaggio.

     E ora dobbiamo celebrare il Natale e, per celebrare il Natale, è anche d’obbligo guardare le stelle. I “solitari di Port-Royal”, nel tempo di Avvento, intabarrati nelle loro pesanti marsine [rischiando la broncopolmonite], riflettono guardando le stelle, ma questo esercizio [al quale tutte e tutti noi ci dedichiamo dai nostri balconi “stile les Granges”] lo fa anche il signor Palomar che, in un certo senso, ha trovato quasi normale uniformarsi alle abitudini dei “solitari di Port-Royal” e sembra uno di loro quando fra poco lo sentiremo dire in modo interlocutorio: «È questa l’esatta geometria degli spazi siderei, a cui tante volte ho sentito il bisogno di rivolgermi, per staccarmi dalla Terra, luogo delle complicazioni superflue e delle approssimazioni confuse? » [Si sa che c’è lo zampino di Pascal in quest’opera di Italo Calvino!]. E allora, per concludere [e per celebrare il Natale], leggiamo La contemplazione delle stelle.

LEGERE MULTUM….

Italo Calvino, Palomar

La contemplazione delle stelle.

Quando c’è una bella notte stellata, il signor Palomar dice: - Devo andare a guardare le stelle -. Dice proprio: - Devo, - perché odia gli sprechi e pensa che non sia giusto sprecare tutta quella quantità di stelle che gli viene messa a disposizione. Dice «Devo» anche perché non ha molta pratica di come si guardano le stelle, e questo semplice atto gli costa sempre un certo sforzo.   La prima difficoltà è quella di trovare un posto dal quale il suo sguardo possa spaziare per tutta la cupola del cielo senza ostacoli e senza l’invadenza dell’illuminazione elettrica. …  Altra condizione necessaria è quella di avere a disposizione una mappa astronomica, senza la quale non saprebbe cosa sta guardando; ma da una volta all’altra egli dimentica come si fa a orientarla e deve prima rimettersi a studiarla per mezz’ora. Per decifrare la mappa al buio deve portarsi anche una lampadina tascabile. I frequenti confronti tra il cielo e la mappa lo obbligano ad accendere e spegnere la lampadina, e in questi passaggi dalla luce al buio egli resta quasi accecato e deve riaggiustare la sua vista ogni volta.

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     Blaise Pascal [insieme ai solitari di Port-Royal] condivide l’idea che la nostra nascita “secondo la carne” [il Natale di ciascuna e di ciascuno di noi] deve prevedere una crescita secondo lo spirito che sia favorita dallo “studio” [studium] che è sinonimo di “cura”, e il Natale è proprio una manifestazione [un’epifania] dell’atto del “prendersi cura” di sé e degli altri. Ed è con questo spirito che la Scuola deve contribuire a dare un significato al Natale così come all’ordinaria quotidianità.

     E dell’ordinaria quotidianità fa anche parte il bilancio economico dell’Associazione Articolo 34 del quale dobbiamo essere messe e messi al corrente.

Sono stati raccolti - al 22 novembre 2019 - 3120€. e 38Cents.

Abbiamo speso 700 € per l’Assicurazione e  1600 € per la stampa dei Repertori.

Abbiamo devoluto 500€. per il Cuore si scioglie della Coop., 250€. per l’Aisla, e 200€. per l’Associazione messicana delle donne dei forni.

Per un totale di  3250 €.

     Quindi abbiamo speso e devoluto 129€. e 62Cents. in più, ma siccome al 24 maggio 2019 sono rimasti in cassa, come patrimonio dell’Associazione, 824€. e 58Cents, abbiamo potuto attingere e rimanere in attivo di 694€. e 96Cents. come prevede la Legge [le Associazione non devono avere debiti].

     E voi continuate, volendo, a mettere uno spicciolo nel borsellino-blu perché a maggio dobbiamo ancora devolvere al Cuore si scioglie, all’Aisla, all’Associazione messicana dei forni, a qualche altra iniziativa, e dobbiamo anche conservare in cassa, secondo la Legge, un patrimonio-attivo.

     Come stavamo dicendo, anche con questo “florido” bilancio la Scuola deve contribuire a dare un significato al Natale così come all’ordinaria quotidianità, ridistribuendo ciò che è stato raccolto.

     La canzone natalizia più popolare che tutte e tutti noi conosciamo e cantiamo a Natale [composta da Alfonso Maria de’ Liguori] annuncia: «Tu scendi dalle stelle o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo» e succede che questo bambino con Maria e con Giuseppe continua troppo spesso - nonostante venga tanto sbandierata l’identità cristiana, dice Pascal - ad essere lasciato al freddo e al gelo.

     Ebbene, sulla scia di questa affermazione paradossale [dal punto di vista teologico] nella quale si concentra l’essenza del Natale, il viaggio che abbiamo intrapreso continua, dopo la vacanza. E la Scuola sarà qui proprio perché, anche nell’anno che verrà, non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo perdere il nostro diritto all’Apprendimento permanente secondo l’Articolo 34 della Costituzione [e, come da calendario, riprenderemo il passo mercoledì 15 gennaio a Bagno a Ripoli, giovedì 16 gennaio a Tavarnuzze e venerdì 17 gennaio a Firenze].

     E, per concludere, anche quest’anno [il 36° anno da quando siamo in cammino] scenda su di noi oltre alla benedizione, un augurio: l’augurio di un buon Natale di studio perché “lo studio è cura” per l’anima, per l’intelletto e come scrive Ildegarda di Bingen per il corpo nel suo insieme.

     E, quindi, che sia un buon Natale di studio per tutte e per tutti voi!...

 

 

 

 

 

 

 


 

Lezione del: 
Venerdì, Dicembre 13, 2019