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LO SGUARDO DI HEGEL SUL CONVITO DI FINE PERCORSO ...

Lezione N.: 
30

Prof. Giuseppe Nibbi       Lo sguardo di Hegel  2007     6 -7 - 10  giugno 2007

LO SGUARDO DI HEGEL 

SUL CONVITO DI FINE PERCORSO ...

     Sappiamo che Hegel nel 1831 avrebbe voluto riscrivere la Fenomenologia dello Spirito anche perché era necessario curare una nuova edizione dell’opera che era andata esaurita da tempo, ma la morte lo coglie e questo progetto non si realizza. Tra gli appunti di Hegel ci sono due righe che a noi che ci occupiamo di didattica della lettura e della scrittura non possono sfuggire. Questo appunto è un frammento e dice in modo ironico (Hegel sapeva anche fare dell’ironia su se stesso): «Si potesse scrivere la Fenomenologia con la gaia lingua del Buonannulla di Eichendorff!». Che significato ha questo frammento? Intanto ci rendiamo conto di che cosa leggeva Hegel e scopriamo che si dedica anche a letture divertenti e le apprezza.

     Chi è il Buonannulla di Joseph von Eichendorff e chi è Eichendorff?  

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Joseph von Eichendorff (1788-1857) è un poeta romantico che frequenta Brentano e Arnim, partecipa alle guerre (1813) contro Napoleone e poi s’impiega come burocrate nello Stato prussiano. Come poeta Eichendorff manifesta spesso nelle sue opere anche una propensione per il misticismo, come prosatore compone alcuni dei più bei racconti della narrativa romantica. Eichendorff rivela soprattutto le sue qualità di scrittore nelle poesie liriche raccolte in un’opera divisa in tre parti intitolate Canti di viaggio, Vita di cantori, Primavera e amore: composizioni molto musicali che descrivono stati d’animo romantici suggeriti da impressioni ricevute dalla natura e cantate con un linguaggio fresco e popolare. Queste poesie liriche, pubblicate nel 1837, Hegel non le ha mai potute leggere. Il libro a cui Hegel si riferisce, nell’appunto che abbiamo letto, è un romanzo – il romanzo più significativo di Eichendorff che s’intitola Storia di un fannullone, pubblicato nel 1826.

Il nome di Buonannulla, che viene dato al fannullone protagonista del romanzo, in realtà è una calunnia: perché il Buonannulla è buono a fare mille cose: a suonare il violino, a comporre canzoni, a cantare, a piantare fiori. E meglio ancora è buono a incamminarsi ogni mattina sulla via maestra, che passa per il villaggio dove abita, con le tasche vuote e la testa piena di farfalle e di nuvole. Questo personaggio rientra nella legione dei trasognati romantici per questo suo dono ingenuo di scambiare cameriere per contesse, lanterne per lucciole, il suono d’un corno di postiglione per il suono delle trombe degli angeli del paradiso. Il fatto è che il Buonannulla un paradiso lo trova davvero quasi sempre, sia esso il grembo della natura o quello di una sposa insperata in un castello vicino a Vienna. La domanda è d’obbligo: sarebbe stata questa la vita che avrebbe desiderato fare Hegel? Chissà! Sta di fatto che questo romanzo gli è piaciuto e, con questo stile, avrebbe voluto scrivere le sue opere.

     Leggiamo l’incipit:

LEGERE MULTUM….

     Joseph von Eichendorff, Storia di un fannullone (1826)

Al mulino di mio padre la ruota fremeva già mormorando di nuovo allegramente; assidua sgocciolava la neve dal tetto, i passerotti cinguettavano saltellando all’intorno; io me ne stavo seduto sulla soglia di casa stropicciandomi gli occhi assonnati; mi sentivo veramente bene nel caldo splendore del sole! Ma ecco uscir di casa mio padre; sin dall’alba era andato faccendando con fracasso per il mulino e il berretto da notte gli stava a sghembo sulla testa. – O fannullone che non sei altro! – m’investì, – ecco che di nuovo ti crogioli al sole e ti stiri le ossa fino a slogartele, lasciando a me tutto il lavoro. Non posso più a lungo tenerti a ingrassare. La primavera è alle porte, vattene dunque per il mondo a guadagnarti il pane da te. – Ebbene? – dissi io, – se sono un poltrone, tanto meglio, me ne andrò per il mondo a far fortuna. – E, in realtà, la cosa non mi dispiaceva. Poco prima, infatti, avevo sentito lo zigolo, che in autunno e in inverno aveva melanconicamente cantato accanto alla nostra finestra: «Dammi asilo, contadino, dammi asilo!» gridare ora, tornata la bella primavera, rimbaldanzito e giocondo, dall’alto del suo albero; «Tienti l’asilo, contadino!» e m’era venuto il desiderio di mettermi m viaggio. Entrai dunque in casa e staccai dalla parete il violino, che suonavo con molto garbo; mio padre mi diede ancora qualche spicciolo per il viaggio e così me ne andai attraversando a lenti passi il lungo villaggio. Provavo una gioia segreta, nel vedere, a destra e a sinistra, i miei conoscenti e compagni recarsi al lavoro, vangare ed arare, come ieri e l’altro ieri e sempre, mentre io m’avventuravo per il libero mondo. Appagato e fiero mi misi a mandar saluti in tutte le direzioni, ma nessuno se ne curava. Dentro mi sentivo come un'eterna domenica! E quando, finalmente giunsi in aperta campagna, tirai fuori il violino e cominciai a suonare e a cantare avanzando sulla strada maestra:         

Chi il Signore vuoi favorire manda nel mondo libero e grande

le sue meraviglie a scoprire per boschi e fiumi, per colli e lande.

I pigri che a casa si stanno mai non rallegra l’aurora,

di pianti di bimbi sol sanno: vizio e miseria li accora.

Scorron dai monti i ruscelli nell'alto ciclo trilla l’allodola.

Non canterò anch'io con quelli serenamente a piena gola?

Solo al buon Dio mi voglio affidare, egli che allodole, boschi e ruscelli,

e cielo e terra sa conservare, anche i miei giorni farà sempre belli!

Frattanto, mentre mi guardavo intorno, mi raggiunse una graziosa vettura, che doveva avermi seguito da un pezzo, senza che io me ne accorgessi, tanto il mio cuore era pieno di musica; avanzava, difatti, pian piano e al finestrino due distinte signore s’erano affacciate ad ascoltarmi. L’una era particolarmente bella e più giovane dell’altra, ma in verità mi piacquero tutte e due. Quando dunque finii di cantare, la più anziana fece fermare la vettura e mi disse cortesemente: – Ehi, allegro ragazzo, allegre canzoni sapete cantare! – E io pronto: – Per far piacere a Vostra Grazia, ne saprei più belle assai – Poi lei mi domandò: – Dove si va così di buon mattino? – Sentii vergogna perché io stesso non lo sapevo, ma dissi in fretta: – A Vienna. – Allora si misero a parlare fra di loro in una lingua straniera che non capivo. La più giovane scosse più volte la testa, l’altra non fece che ridere e alla fine mi disse: – Arrampicatevi qui dietro; a Vienna ci andiamo anche noi –. Chi più felice di me? Feci una riverenza e con un salto fui dentro alla vettura, il cocchiere fece schioccare la frusta e volammo sulla luminosa strada così velocemente, che il vento mi fischiava alle orecchie. Sparirono dietro di me il villaggio, i giardini e i campanili, e nuovi villaggi, castelli e monti mi sfilaron dinanzi; sotto di me seminati, boschetti e prati variopinti passavano di volo; sopra di me innumerevoli allodole nell’aria tersa ed azzurrina: avevo ritegno di gridare forte, ma nel mio intimo giubilavo, e sgambettavo e ballavo sulla predella, tanto che fui quasi per perdere il violino che tenevo sotto il braccio. Ma quando il sole salì sempre più alto, e all’orizzonte, pian piano, si alzarono nel mezzodì pesanti nuvole bianche, e sull’ampia pianura e sugli ondeggianti campi di grano l’aria diventò vuota e greve, mi tornarono in mente il mio villaggio, mio padre, il nostro mulino e la dolce frescura degli ombrosi salici: e tutto era lontano, ormai, tanto lontano. Sentii allora dentro qualcosa di strano, quasi che dovessi ritornare: m’infilai il violino tra la giacca e il panciotto, m’allungai assorto sulla predella e m’addormentai.

 

 

Lezione del: 
Domenica, Giugno 10, 2007